Sorelle
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Mi
sveglio senza aprire gli occhi, so già che giorno
è: capodanno. La mattina del primo giorno
dell’anno io e Nadine, mia sorella,
andiamo sempre a pattinare al palazzetto del ghiaccio giù al
paese.
Siamo
in pochi, perché ci andiamo molto presto, e ci
divertiamo tantissimo. È una tradizione che ci ha lasciato
la mamma, che ci ha
insegnato a pattinare e, da quando è morta otto anni fa, lo
facciamo anche in
suo ricordo.
So
già che quest’anno sarà un problema:
mia sorella
non vuole più pattinare. Si è chiusa a riccio e
non vuole più fare niente con
noi. Con me, il papà o la nonna.
Tre
mesi fa, quando ha compiuto diciotto anni, papà le
ha confessato che lui e la mamma l’hanno adottata e che
quindi, non è loro
figlia biologica. Nadine l’ha presa malissimo. Prima di tutto
perché mamma non
c’è più e non può chiederle
niente e poi perché papà ha aspettato
troppo
a dirglielo.
Secondo
me, se la mamma fosse stata viva, Nadine lo
avrebbe saputo prima. Purtroppo è morta
all’improvviso e non ha potuto dire la
sua in questa situazione.
Sono
tre mesi che Nadine esce dalla sua stanza solo
per andare a scuola e tiene il muso, però…
Però oggi è capodanno e dobbiamo
andare a pattinare! Mi alzo di scatto, mi preparo e irrompo nella sua
stanza.
“Nadine!”
esclamo, spalancando la porta e svegliandola
di colpo.
“Nina!”
urla di rimando lei, svegliandosi di
soprassalto.
“Preparati,
andiamo a pattinare”. Lei si ricopre con
il piumino e mi bisbiglia di andarci da sola.
Mi
avvicino e la scopro: questa volta deve ascoltarmi
per forza. Da quando si è chiusa in camera mi manca
tantissimo e abbiamo smesso
di fare tutte quelle cose che facevamo insieme.
“Devi
venire con me, invece! Non mi rovinerai anche il
capodanno!” esclamo. Lei spalanca gli occhi e, senza dire
niente, si alza e si
prepara.
Per
tutto il tragitto fino al paese rimaniamo in
silenzio. I nostri pattini sbattono uno contro l’altro sulle
nostre spalle e io
soffio dentro ai guanti cercando un po’ di scaldarmi il naso
e un po’ di
coprirmi la faccia. Non riesco a dire niente. Non so cosa dire. Inizio
a
pentirmi di averla obbligata a venire.
Arrivati
al palazzetto, notiamo subito che è deserto.
È il primo dell’anno e sono le sette del mattino:
molti saranno ancora a
festeggiare.
Non
ci diciamo niente neanche mentre ci infiliamo i
pattini sulla panca di legno. Quando ho finito, noto che lei
è ancora seduta e
sta trafficando con i lacci, così mi chino e glieli lego io.
Dopo l’ultimo
fiocco, mi alzo e le porgo le mani per aiutarla a tirarsi su.
Lei
me le stringe e io la tiro all’ingresso della
pista, camminando all’indietro. Pattino davanti a lei, al
contrario,
continuando a tenerle le mani proprio come faceva la mamma con noi.
I
suoi occhi brillano. Mi sa che sta per piangere.
“Non piangere, sorellina”
le
dico. La chiamo così quando è particolarmente
giù e io devo fare la parte della
‘sorella maggiore’.
“Non
sono tua sorella…” sussurra.
Mi
blocco. “Certo che sei mia sorella!” Lei scuote la
testa e guarda altrove.
“Ascolta”
dico, continuando a pattinare. Mi sento
proprio la sorella maggiore, in questo momento. “Al quarto
anno hai preso Lukas
per il bavero della giacca e mi hai difeso quando mi prendeva in giro.
Mi hai
aiutato a nascondere le lenzuola quando facevo la pipì a
letto…” Nadine non
riesce a trattenere un piccolo sorriso e io continuo: “Per me
sei sempre stata
la mia sorellona. Mi facevi dormire con te quando mi mancava la mamma,
ricordi?
Ti ho rubato i trucchi e mi provavo di nascosto i tuoi vestiti: volevo
essere come
te”.
Pattino
ancora, accelerando il passo e azzardando
qualche piccola esibizione.
“Tutte
queste cose fanno di te mia sorella. Sangue o
non sangue” le spiego. “Sarai sempre mia
sorella”. Una lacrima le scende sulla
guancia, ma facciamo finta entrambe di non accorgercene.
“È
che ci sono rimasta male…” tenta di giustificarsi.
Lei ci è rimasta male. Senz’altro, ma non
è l’unica.
“Anch’io
ci sono rimasta male”. Finalmente è il mio
turno. Anch’io posso dirlo.
“Perché
sono stata adottata?” mi chiede meravigliata.
“Perché
non mi consideri più tua sorella”. Nadine si
blocca e io, che continuo a pattinare, mi allontano da lei: le braccia
si
stendono e le nostre mani si lasciano.
Quando
lei abbassa le braccia lungo i fianchi, mi giro
e inizio a pattinare velocemente. Fa male. Malissimo.
“Sai,
io mi considero ancora tua sorella. So che sono
fastidiosa e irritante, ma io ti voglio bene. So che riderò
tutte le volte che
cadrai, ma ti aiuterò a rialzarti. Sempre. Voglio fare la
damigella al tuo
matrimonio e voglio viziare i tuoi bambini. Voglio poterti ancora
raccontare
quanto mi manca la mamma e vorrò venire da te quando un
ragazzo preferirà
un’altra. Vorrei che fossimo ancora
sorelle…” Ormai sto urlando, mentre pattino
per la lunghezza della pista e lei rimane ferma al centro girando solo
su se
stessa e seguendo il mio percorso.
E
io parlo, parlo e dico tutto ciò che ho tenuto
dentro in questi tre mesi perché, questa, è una
cosa che ha toccato anche me,
perché ci ha diviso.
Sto
ancora urlando quando sento Nadine che finalmente
si muove e inizia a pattinare. Mi volto e, quando la vedo sfrecciare
verso di
me, mi ricorda così tanto la mamma che mi si stringe il
petto.
“Hai
ragione: siamo sorelle. Non avrei dovuto
dubitarlo” si scusa, avvicinandosi. Io annuisco e lei mi
abbraccia.
“Lo
saremo per sempre?” le chiedo. Mi sembra di avere
ancora otto anni e di stringere la sua mano durante la funzione in
chiesa.
“Per
sempre.”
“Giuramelo.”
“Giuro.
Sarò sempre tua sorella e tu sarai sempre la
mia” promette. Mi prende le mani e iniziamo a pattinare,
insieme. “E quando
saremo grandi, anche se le nostre vite saranno diverse o vivremo
lontane, ci
troveremo sempre a capodanno per pattinare insieme.”