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Autore: Lady R Of Rage    27/12/2019    4 recensioni
"-Quaggiù potrete chiacchierare quanto vi pare. Nessuno vi sente. Nessuno vi asciuga le lacrime se piangete. Siete all’inferno, ragazzi: ma chi siamo noi per separare una così bella famigliuola?-
Non voglio, pensa Baby 5. Voglio andare via, io sono la promessa sposa di Don Sai della terra di Kano, e lui ha bisogno di me. Serra i pugni, come se avessero ricominciato a tirarle addosso spazzatura. Deve scegliere, a un certo punto – anzi, ha già scelto, ed è troppo tardi per recriminare."
Baby 5 ha scelto: non un nuovo inizio come moglie di Don Sai, ma l’inferno, la condanna perpetua, nelle viscere ghiacciate di Impel Down, assieme a coloro con cui è cresciuta.
Dopo il calderone di sangue bollente e i tormenti di Sadi-chan, solo un’eterna attesa accoglie la sconfitta Famiglia Donquixiote. In mezzo alla neve perenne, dove nemmeno i lumacofoni mantengono il contatto col mondo, senza più un Padroncino da seguire e amare, Baby 5 non si è mai sentita meno utile.
Eppure, prima di Sai, aveva chiamato “famiglia” i suoi compagni di cella. Sarà l’inferno a ricordarle perché.
[Accennate Baby 5/Sai, Trebol/Diamante, Senor Pink/Lucian]
Genere: Angst, Introspettivo, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Slash | Personaggi: Baby 5, Donquijote Family, Gladius, Pica, Sugar
Note: Missing Moments, What if? | Avvertimenti: Contenuti forti, Spoiler!, Tematiche delicate
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Gli Alti E I Bassi Della Famiglia Donquixiote'
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Mal Di Mare – La Lunga Notte Della Squadra Commando


Non combatterà più.
Sembrava quasi dispiaciuto, Sai, mentre ripiegava il giornale. Aveva appoggiato la mano su quella di Boo, perché anche lui tremava. Diamante, l’assassino della principessa. Ha battuto la testa e si è rotto il collo.
Lo guardava, seduta sul parapetto della Yonta Maria, cercando di perdersi nella sua virile bellezza. È sempre orribile quando un grande guerriero cade in disgrazia, soprattutto se lo conosci. Ma adesso aveva Sai, aveva una famiglia nuova, e loro avevano bisogno di lei: avevano perso, non li avrebbe visti più. Doveva essere grata di non stargli andando dietro.
Boo aveva tirato un respiro profondo, prendendo il giornale dalle mani del fratello.
-Ma lo fanno camminare lo stesso, anche col collo rotto?-
Chinjao aveva sollevato la testa, scuotendola, la barba che dondolava sul suo petto. -Non si può dire a una folla cosa fare, ragazzi. Lo odiano, come odiano tutti loro. Sono contento che non ci toccherà vederlo. Doveva essere stato un gran combattente.-
Allora Sai doveva dire qualcosa. Che non è giusto, che non va bene, che non meritano quello oltre all’inferno, e che se la ama deve concederle almeno un piccolo favore. Invece niente, nemmeno un sospiro.
E avrebbe dovuto sposarselo, quello sciocco guerriero che non capisce niente delle vere star.

Diamante luccica: non di glitter ma di sudore, e di schizzi d’acqua che provengono dal parapetto. Si avvolge nella sua giacca da marine come fosse il suo mantello d’acciaio, premendosi le mani contro il ventre. Le sopracciglia si torcono, le labbra sporgono. Ogni respiro pare un’agonia.
-Ambi…- ansima. -Ambizione, eh. Dillo a me. La uso da prima che ci conoscessimo, uhahaha.-
-Pausa dalla sessione allenamento!-
L’ingresso alla coperta sbatte. Buffalo depone un vassoio grande come uno scudo sul tavolo. Vi svetta sopra una piramide di panini, più alta di Sugar.
-Si mangia-dasuyan.- Ne prende uno al salmone e lo ingoia tutto d’un fiato. -Serve una mano, Diamante?-
L’ex gladiatore scuote la testa. -Non ho fame. Devono essere le p-pillole.-
Nessuno risponde, e Baby 5 non gliene fa un torto: fosse per lei non smetterebbero mai di mangiare, raggruppati sul ponte della nave che li porta in salvo. In quei giorni di viaggio ha imparato che il prosciutto crudo è salato come mare, che il crocchiare dei biscotti nella bocca può essere più rilassante di un concerto d’archi, e che il caffè caldo è buono di sera come di prima mattina. Persino la fame non è spiacevole, finché hanno di che saziarla. La cambusa è sempre aperta, e ogni minimo languorino può essere chetato con una galletta, una pesca, un pezzo di formaggio o di salmone. Siamo liberi.
Dellinger affonda le zanne in una mezzaluna di melone, Sugar succhia acini d’uva dall’unica mano rimastale. Señor Pink taglia il suo panino in quadrati perfetti, Machvise vi spalma succo di pomodoro come se fosse una pizza. Gladius si lecca le labbra, accucciato di fronte alle enormi mani di…
Oh, no.
-Pica, cos’è quello?-
Il guerriero nasconde la mano dietro l’altra. -Un cerotto,- sbotta stridulo. -Non ne hai mai visto uno?-
Jora si alza, le mani ai fianchi. -Smettila. Non ci crede nessuno-zamazu.-
Pica serra i pugni. -Didi stava male. Non ci ho capito più niente. C’era un kit per la barba sul mobile…- serra i denti. -È un taglietto da niente. Non scocciarmi. Mi sono fatto di peggio con…-
-Ci credo.- lo interrompe la donna. -E non fare l’acido con me, giovanotto. Ormai lo sappiamo tutti.-
Il cerotto è rosso, una goccia di sangue scorre fin oltre la manica. Se quello è un taglietto da niente, Pica stesso è un nano di Green Bit. Il guerriero ha i denti serrati, le mani protese, come se si preparasse a uno scontro corpo a corpo. Jora prende un respiro profondo, appoggia la mano sulla sua spalla mutilata. -Vieni con me. Ti mostro cosa devi fare, con quelle povere mani.-
Pica prende un respiro profondo. -Tanto qui non c’è una roccia nemmeno a pagarla. Che altro potrei fare?-
Andarle dietro, pensa Baby 5. E farti aiutare. Non sei di pietra, e non hai i guanti. Se Diamante non si riprende, chissà quante altre volte Pica farà qualcosa del genere.
-Tesoro…- il gladiatore allunga il braccio. -Io…-
-Resta seduto, Diamante-sama.- Gladius si fa avanti e gli porge la mano. -Lasciati accudire. Non è colpa tua.-
-Non me ne sono mai accorto. Mai, mai.-
Baby 5 sospira. Era una star, un eroe, ed era il suo sogno. Le cantava una canzone dolcissima sul continuare a sognare, quando il volto di sua madre interrompeva le sue nottate. Le preparava torte salate, Baby Castella, abbastanza biscotti da riempirsene per settimane. La lanciava in aria, prendendola al volo, la faceva piroettare in aria come una fata. “Qualche stronzo ti ha scaricata? Dimenticatelo. Sei forte abbastanza per stare qui con noi.”
-Nessuno se n’è accorto, Diamante.- la voce di Lao G è lapidaria.
E rideva, rideva sempre, come per compensare alla malinconia di suo figlio. Forse ci vorranno anni, prima di sentire di nuovo quel suono vivace. Kyros aveva battuto anche lei, con un solo fendente della sua spada – ma se le ritornasse davanti, lo giura, gli salterebbe al collo e non lo farebbe scappare.
-Ah… ah, sì.- Diamante allunga le braccia, e Baby 5 si impone di non chiudere gli occhi a quelle mani tremanti. -Scusatemi. Non sch… sto bene.-
-Avanti,- lo incalza Dellinger. -Facci un urlo da rockstar.-
Diamante lo guarda con disgusto. -A malapena re-respiro. Non posso…-
I pugni tremanti si serrano, le labbra carnose tremano. Una lacrima gli scorre lungo la guancia.
-Datemi u-una pillola.-
-Scordatelo.- Sugar pesta l’unico pugno contro il parapetto. -Non scapperai in questo modo.-
-Mi fa male…- biascica Diamante.
-Anche a noi. Se non fossi più una star, stupido idiota, ti avremmo buttato a mare.-
Diamante fa scivolare un lembo della coperta attorno alle dita e si tampona la faccia. Rivolge a Sugar un’espressione di sufficienza. -Ambizione della Persch… Per…-
-Percezione, Diamante-sama.-
Baby 5 si siede a gambe incrociate su uno dei cuscini e tiene la mano dell’Ufficiale ferito. -Sai usarla ancora, no? Anche se stai male?-
Diamante stringe appena la mano, ma le sue dita tremano troppo per reggere a lungo. Si asciuga addosso la mano sudata. -Mmh. Sì… Lo senti quel gabbiano, lassù?-
Baby 5 strizza gli occhi verso il sole. Due ali sbattono contro la luce, lontane e sfocate. Stringe le dita tra quelle di Diamante e inspira l’aria tiepida della mattina.
Venti metri sopra di noi. Una piuma spezzata nell’ala destra. -Ha il cuore che batte forte. Forse cerca qualcosa.-
-O forse è innamorato, ma il gab-bbiano della sua vita si è preso una pallottola nei polmoni.-
Baby 5 scuote la testa. -Diamante…-
-Lo so, devo consch… conchentrarmi.- L’uomo sbatte le palpebre. Sorride, ma i suoi occhi sono lucidi. -Ha le ali tese, senti?-
Baby 5 serra gli occhi più forte, massaggia col pollice la mano di Diamante. -Vento a quaranta nodi, da est-nord-est. Insegue il sole, proprio come noi.-
Il sangue pulsa sotto la pelle pallida di quelle mani. Diamante si lecca le labbra. Ha gli occhi serrati, le labbra dischiuse.
-Senti le onde, come pulsano…-
-Sì, sì…- Stringe più forte la mano tremante, la massaggia. Ogni raggio di sole, ogni folata di vento, è un frammento di mondo che pulsa assieme agli altri. Un trichiliocosmo, forse si dice così, ed è così bello che potrebbe dimenticarsi chi è e dove si trova.
-Puoi sentire me.- mormora Diamante. -I miei pensch… pensieri.-
La stringe più forte a sé, perché reclini la testa sulla sua spalla. La sua famiglia forma un cerchio attorno a loro, illuminata dal sole, e i loro cuori battono di vita contro la sua Ambizione. Siamo liberi: ogni tanto deve ricordarselo, o teme che da dietro l’albero maestro sbuchino fuori delle guardie, Magellan o Sadi-chan, pronti a trascinarli di nuovo da dove sono venuti.
Meglio fare finta di niente e preoccuparsi di chi è con lei. -Pensi al Padroncino.- A Doffy, così lo chiama, e l’ha visto da prima di che lei esistesse. -A ciò che abbiamo perso. Sei spaventato.-
Il gladiatore si sporge in avanti, serrando i denti. -Doffy era un bambino così interessante. Tre sapeva…-
No, non pensare a Trebol. È come se Diamante si consumasse là sul posto – sempre più magro, sempre più pallido, sempre più invisibile. Una stella che si spegne. Eppure gli abbiamo promesso di essere forti. Sugar si lecca le dita sporche d’uva e serra il piccolo, unico pugno. La mano di Diamante, grande la metà della donna-bambina, la solleva fino al suo petto.
-Un giorno ti parlerò di lui, di come ci siamo incontrati. S-se non…- si pulisce la bocca con la manica. -Sche non ti da fas-fastidio la mia parlata.-
-Ho sopportato il suo moccio schifoso per dieci anni. Un po’ di bava non mi fa nulla.- Sugar appoggia la testa contro il petto dell’uomo e si lascia cullare.
-Sei un guerriero coi controcoglioni, Mr. Diamante.-
Il gladiatore sorride, ma è teso. Plastico. -Mi sento tutto…-
Lascia la mano di Baby 5 e la pone nell’altra, schiacciandole tra le ginocchia finché non smettono di tremare.
-…fuorché un diamante.-
Per i quarantanove anni di Trebol era stata ordinata una torta a tre piani. Diamante ne era saltato fuori con addosso soltanto un paio di slip pieni di lustrini, cantando Mr. Wonderful, e si era assestato sulle ginocchia del festeggiato come su un trono. Chissà cosa avrebbe sentito, allora, la sua nuova Ambizione. O ai tempi del colosseo, o della conquista, o prima ancora, quand’era solo una bambina e quell’uomo enorme dal sorriso luccicante la faceva tremare metri sopra di lei.
Invece le tocca conoscerlo adesso, quando nemmeno la libertà sembra avere sapore.
Un battito di mani interrompe i suoi pensieri. -Yoo-hoo. Ehi, superstar! Vieni a dare un’occhiata al tuo ragazzo!-
Jora avanza sul ponte in punta di piedi, roteando le braccia come se sul palco ci fosse lei. Pica la segue a pochi passi, le mani dietro la schiena.
-Ora mostraglielo e fatti invidiare-zamazu.-
Il guerriero porge le braccia, e Diamante si drizza a sedere con un gemito.
-Sei…- tira su col naso. -Una gemma.-
Le mani di Pica sono viola, come se avesse ancora i guanti – ma è pittura, pittura purpurea che gli ricopre dita, dorsi, palmi e polsi. Un reticolo di triangoli luccicanti che segue quello delle cicatrici: come se dell’ametista stesse emergendo dalla sua carne, sostituendola, cancellando le tracce del suo segreto ventennale.
-Dovrò lavarla?- Pica si rimira i palmi delle mani, sbattendo le ciglia. Jora gli stringe il fianco.
-Purtroppo sì. Ma goditela, stella. Quando attraccheremo potrai fartici un tatuaggio, così. Non c’è bisogno di chiamarmi Regina di Bellezza, adulatore.-
Se le sue mani sono belle non sentirà bisogno di lacerarsi ancora. Baby 5 si sposta, lasciando che si sieda di fianco al padre. Gli porge le mani, e un raggio di sole le accende come fiamme.
-Sono bellissime,- mormora Diamante, e sorride ancora. -Se T-Trebolito ti vedesse…-
Prende un respiro profondo, si rattrappisce nella coperta. Sugar lo stringe attorno alle spalle.
-Lasch-lascia che ti alleni, Baby 5. Posso ancora essere v-versch…-
Porta la mano alla pancia, da cui proviene un ringhio profondo.
-…atile. E ora ho fame.-
Machvise strappa a metà un panino al formaggio e lo porge alla bocca dell’altro uomo. Diamante sogghigna. Ha i denti gialli, e le punte dei canini sono smussate.
-Servito e riverito c-come una star. Eccomi qua. Sch… sono a casa.-
Beato te, pensa Baby 5. Se lo pensi davvero, sei proprio un diamante di nome e di fatto.

C’era il sole, la prima mattina a Dressrosa.
Il tavolo della colazione era lungo abbastanza da correrci una frazione, acceso dei colori caldi delle arance e delle ciliegie e dell’uva. Violet – Viola – stava in disparte, rannicchiata contro l’angolo della tavola con una coperta sulle spalle. Non aveva risposto al suo ciao, e Baby 5 le aveva rivolto il dito medio: cafona.
Buffalo si ingozzava di gelato da un monte alto quanto lei. Jora si godeva un massaggio alla schiena da parte di una cameriera. Dellinger disegnava ai suoi piedi: un banco di pesci, in fila indiana.
-Dov’è Diamante-sama?- chiedeva Machvise a Pica.
Il colosso aveva sbuffato, succhiando la sua granita. -Tre bottiglie di vino rosso. Indovina.- E con un pugno aveva spedito il servitore che aveva riso dritto contro la parete.
Trebol tirava cucchiaiate di cereali addosso a Sugar e Señor Pink, Gladius mescolava lo yogurt al cioccolato e le indicava di sederglisi accanto. C’era una pila di Baby Castella che pareva un tesoro, e una sola era dolce come miele.
E poi c’era il Padroncino, nel suo cappotto rosa, bello come un Dio. Tutti i servitori si erano alzati in piedi, inchinati come a un vero Drago Celeste. I suoi famosi occhiali da sole brillavano come diamanti mentre procedeva al centro della sala dei banchetti.
-Dressrosa è nostra. Adesso divertiamoci: siamo a casa.-
Avevo quattordici anni. Baby 5 rimescola lo zucchero nel tè e vi soffia sopra. Dicono che nell’Isola degli Uomini Pesce viva una profetessa: se mi avesse detto che dieci anni dopo saremmo finiti tutti a Impel Down, avrei riso e le avrei sparato in faccia.
Un’isola nel mezzo del nulla, troppo piccola persino per il mercato degli schiavi. Non sanno se avranno un posto dove stare, in grado di contenerli tutti. Se fossero ancora pirati potrebbero tenersi quella nave Marine rubata – ma cosa sono, adesso? Non si può essere pirati senza un capitano, e nessuno potrà mai sostituire il Padroncino.
Doffy. Chiamalo Doffy. Ormai non comanda più nulla e nessuno.
Cose da fare se ne trovano, su quella nave. Anche solo l’orizzonte può diventare interessante. La sua Ambizione diventerà forte, dice Diamante, e ascoltare i battiti dei cuori dei gabbiani è una melodia così dolce da non poterle resistere. Anche i suoi muscoli cominciano a farsi vedere, nelle sue braccia. Come se il suo corpo stesse tornando alle sembianze di dovere.
Non è nemmeno un problema, dover stare a terra. Purché ci sia un sole da seguire nel cielo, del vento da sentire sulla pelle, qualcuno nel cui petto gettarsi quando il sole e il vento iniziano a pesare troppo. Basterà a tutti, non solo a lei. Vivere: senza catene, senza torture, senza il viso insanguinato di Trebol stampato sugli occhi ogni volta che li chiudono. La libertà è tutto, in questo mondo, diceva Jora, ma reimparare ad essere liberi non è facile come saper combattere o timonare. E ogni giorno, daccapo, Baby 5 e la sua famiglia devono imparare che nulla sarà mai più come prima.
Prima, Machvise non vomitava oltre il parapetto all’una di notte, con i frantumi di una bottiglia di whiskey attorno ai piedi. Prima, non beccava Sugar a piangere sotto il tavolo della cucina, come se la tovaglia bastasse a nasconderla. Prima, non entrava nella stanza di Diamante per cambiare le lenzuola solo per trovare Pica tra le braccia del padrone di casa, con i pugni tremanti e un fiotto di sangue dalle dita al gomito. Prima, Dellinger non spariva ore in acqua, ogni tanto portando su un bel pesce da cuocere, a volte sommerso tutto il tempo e quasi invisibile.
Prima, io non bevevo cinque tazze di caffè al giorno. Prima mi piaceva indossare una gonna corta e un abito scollato. Prima, nulla mi dava più gioia che essere utile a qualcuno.
Gladius scrolla le spalle, e beve un altro sorso di tè.
-Dobbiamo dimenticarcelo, quel “prima”. Fare come se non fosse successo. Io lo farei.-
Baby 5 si stringe nelle ginocchia e avvicina la sigaretta alla fiamma sulla sua mano. Stanno finendo anche quelle, e nessuna sorpresa: ne ha fumate cinque solo la mattina. C’è qualcosa di rassicurante, nell’avere in bocca quel fumo dolciastro. Significa non dover per forza parlare.
Ma se ci chiudiamo in noi stessi facciamo il loro gioco.
C’è la luna piena, ma la sua luce è una macchia bianca e sfocata dietro le nuvole lontane. Era stato bello, le prime sere, guardarla sorgere e tramontare. Ora nemmeno quella pare interessante. I colori del mare, la sua danza continua contro l’orizzonte, le strida dei gabbiani e i balzi dei pesci. Getta al cielo uno sguardo distante e tira una boccata.
-Vuoi dimenticare tutto? Anche Trebol?-
-A volte.-
Se fosse vivo gli darebbe una bastonata da girar la testa, e riderebbe smoccolando. Non può dimenticarlo, non è fatto per essere dimenticato. Un’altra boccata, profonda. -E il Padroncino? Dopo tutto quello che ha fatto per noi?-
-Sì.-
Il tono di Gladius è secco, i suoi occhi distanti. -Sì. Voglio dimenticare tutto. La mia vita comincia qui. Non mi hanno trovato. Non mi hanno salvato. Non ho fatto parte di nessuno squadrone.-
-Ma l’hai fatto!-
Baby 5 gli afferra il braccio. Anche il suo polso trema, e non ha idea come faccia a non lasciarlo andare. -Non è questo, che ci ha tenuti vivi?-
-Non lo so cos’è stato. Forse non era neanche questa gran cosa.-
Si alza, aggrappato al parapetto. Le ginocchia gli tremano. Ha un pugno serrato, gonfio, pulsante.
-Non ho smesso mai di pensarci.-
Baby 5 tira una boccata esitante. -A cosa?-
-A come sarebbero andate le cose. Avrei potuto fermarli. Almeno quel samurai.-
Baby 5 serra i pugni. C’è un piattino da caffè pieno di cenere, accanto al suo piede: vi appoggia la sigaretta e si alza. Persino Gladius sembra pallido contro quella luce pallida, e non si era mai accorta delle sue guance scavate.
-Senti.- Fa un passo avanti, ma quando prova a fare il seguente, è come se il suo piede fosse incollato al ponte. -Siamo tutti d’accordo che quello che ho fatto io è peggio del resto. Quindi pensala così anche tu, e smetti di preoccuparti. Non ce n’è motivo. Siamo tutti qui.-
-Non siamo tutti.- Gladius taglia l’aria con la mano. -Non siamo tutti da quando abbiamo cominciato a combattere.
Forse, se non il Padroncino, almeno Trebol avrebbe saputo guidarli. Lo aveva fatto, con il suo compagno e suo figlio, quando erano bambini smarriti nel mondo. Adesso siamo adulti, ma comunque smarriti. Avevamo bisogno di te.
-Lui non vorrebbe che ci crogiolassimo nel dolore.-
-Lui non è qui.-
Gladius colpisce il parapetto con un pugno. -Non è qui, e sono tre notti che lo sogno. Non era neanche il mio Ufficiale, cosa vuole da me?-
-Calmati…- tenta Baby 5 di fretta. Non deve esplodere, sarebbe il colmo della sventura. Finirebbero tutti in fondo al mare come sassi, senza nemmeno la possibilità di un addio. Persino Trebol ha avuto di più.
-Sono calmo.- dice freddo Gladius.
Non è calmo, pensa Baby 5. Basta che non esploda, sarebbe il minimo. Forse può distrarlo, lasciare che la sua rabbia emerga diversamente. Non sarebbe la cosa più strana che è loro successa. E Gladius… ne ha diritto. Qualunque gioia, anche piccola, su cui riescano a mettere mano, devono godersela tutta fino all’ultima goccia.
-Sono solo stanco. È da quando ci hanno buttato lì dentro che sono stanco. Sono ancora più stanco da quando siamo su questa barca.-
Si aggrappa al parapetto, serrando le nocche sul legno. Gli tremano le spalle, le costole pulsano. Guarda dappertutto, meno che lei.
-E a volte…- Anche i gomiti tremano, adesso, e le ginocchia. -Penso che non ce la posso fare…-
-Sono pensieri. Quello che pensiamo non è mai vero.-
Gladius sbatte le palpebre, si passa la manica della giacca sugli occhi.
-Cos’è vero? Cosa non lo è? Non lo so più.-
Sporge la testa oltre il parapetto, e uno schizzo d’acqua salata gli bagna il volto. Le gocce gli scorrono lungo il volto, dagli occhi alle guance, e fino al mento.
-Non capisco più niente. Dovrei essere felice. Sembrava così facile. Era facile.-
-Gladius.- sussurra Baby 5. -Allontanati dal bordo. Ti prego.-
Vorrebbe piegare le dita, ma le sue mani non rispondono. Gladius sembra più magro che mai, senza la sua gonna, e senza i capelli aguzzi come spilli. Come se ad Impel Down gli avessero strappato via dei pezzi dal corpo, cervello incluso.
Ha gli occhi pervinca, ha scoperto durante i mesi senza occhialoni. Non le importava saperlo, ai tempi del Padroncino, eppure adesso non potrebbe immaginarlo senza.
-Che cazzo mi è preso…-
Si lascia cadere in ginocchio, con un rumore sordo, e preme i dorsi dei pugni contro il pavimento. La schiena trema, le vene pulsano sulla sua fronte.
-Gladius…-
-Non lasciarmi.-
E se esplode? Baby 5 si inginocchia al suo fianco, scacciando di fretta quel pensiero. È irascibile, non stupido. Spegne la sigaretta contro un anello da ormeggio e circonda Gladius con il braccio.
-È stupido, no? Non mi hanno neanche torturato tanto. Non mi hanno frustato. Non mi hanno bruciato. Mi hanno infilato la testa nell’acqua, che vuoi che sia? Neanche mi hanno costretto a nuotarci dentro.-
-Non è una gara a chi soffre di più. Qualcuno ti ha forse detto che non hai diritto a soffrire?-
-Nessuno. Come se fosse meglio.-
Anzi, è ben peggio. Baby 5 massaggia la schiena di Gladius, lo stringe così forte da sentire il suo fiato sulla sua schiena. -Basta che non esplodi. Ci riesci?-
-Non ci riuscirò più. Non dopo i cancelli.-
Qualcosa di caldo, liquido, gocciola sulla sua schiena. Gladius preme il volto contro la spalla di Baby 5 e vi urla dentro, le unghie serrate attorno alla sua camicia. Trema così forte che persino i suoi ansiti suonano irregolari.
Baby 5 reclina la testa contro quella di Gladius e lo tiene stretto. Si inginocchia, conducendolo con sé verso la base del parapetto. Le vele ricadono flosce, l’aria è pesante e secca sulla sua lingua. E Gladius trema, trema, come se il suo corpo avesse smesso di rispondergli.
-Vuoi dirmi qualcosa?-
Gladius sputa fuori una risata amara, senza gusto. -Ho bisogno di te.-
Si accuccia al suo fianco, facendosi piccolo. Per fin troppi secondi, Baby 5 non sa cosa rispondergli. Stringe il polso di Gladius, come a sfogare lo stress. -Non sono… non più.-
-Come lo sai?-
Baby 5 lascia andare il compagno e porta le ginocchia alla bocca dello stomaco. Quanto ancora durerà, quella odiosa conversazione?
-Ho scelto di…-
-Oppure,- la interrompe Gladius, -anche tu vuoi fare finta che non sia mai successo?-
Porta le mani alla testa, conficca le dita nella pelle come se anche quella gli facesse male. Dovrebbe dirgli qualcosa – di contare fino a dieci, di seguire il suo respiro e i suoi gesti, come ha insegnato loro Lao G durante i mesi in quella cella dannata – ma nessun fiato sfugge alle sue labbra.
Forse è arrabbiato per la storia di Don Sai, ma a malapena sapeva che faccia avesse. Forse è solo spaventato, sente troppe cose e tutte insieme. Si stringe nelle braccia, nelle gambe, rattrappito e tremante. Baby 5 appoggia i palmi sulle sue mani, massaggiandole.
E se avesse ragione? Il pensiero la fa rabbrividire, e le sue mani si fermano appoggiate su quelle del compagno. È stata utile così a lungo, con così tanto piacere, da dimenticare cos’altro le abbia mai reso felice la vita. Non che avesse avuto qualcos’altro da fare, in quel villaggio dimenticato anche dagli Dei. Se esistono, naturalmente. Dopotutto, se esistono i demoni…
Siamo liberi, no? Non basta? A Gladius no, non se continua a tremare.
Il ponte cigola, e Gladius sobbalza. È caldo come di febbre, realizza Baby 5 quando gattona verso di lei. -Shh, è solo Buffalo. Va tutto bene.-
Gladius emette un rumore stonato. -Mi dispiace.- sussurra. Si asciuga le lacrime e prende la mano di Buffalo, per alzarsi. Le sue gambe tremano: Baby 5 si alza di scatto, lo regge dai fianchi prima che cada.
-Gladius?- Buffalo stringe le sue mani nelle sue, così grandi da farle sparire. Lo lascia solo per circondargli la spalla col braccio, portandolo a sé.
-Non so cosa dire.-
Buffalo gli massaggia la spalla, scuotendo la testa.
-Allora non dire niente. Vieni. Voliamo.-

Non sa da quanto tempo fosse stato lì, ad ascoltare quelle confessioni, e probabilmente non lo sa nemmeno Gladius. Ora giace rannicchiato sulla schiena del compagno, tra le sue braccia, con gli occhi chiusi e le guance rigate di lacrime. Trema, sotto la coperta in cui l’hanno avvolto.
-Guarda.- Buffalo cabra leggero verso il mare, a un palmo dalle onde calme. -C’è il riflesso delle stelle-dasuyan.-
Gladius striscia sulla schiena di Buffalo e porge la mano a Baby 5 per sporgersi. Emette una risata gracidante, stringendosi nella coperta.
-Che bello.- sussurra. Baby 5 a malapena lo sente. Carezza i capelli di Buffalo. -Gli piace.-
Buffalo ride, e le sue eliche le scuotono i capelli. Si solleva in aria, attraverso il vento, fino alle nuvole e sopra. La luna è un graffio sottile attraverso il cielo, bianca come polvere di diamante. Dicono che sulla luna – non sa quale – vi sia una colonia di guerrieri robot. Chissà se li vedono, da lassù. Cosa pensano, se sanno che gli umani hanno creato posti come Impel Down.
Gladius si tampona gli occhi con un lembo della coperta e rotola sulla schiena, a braccia aperte.
-Buffalo?-
-Sì?-
L’uomo-elica non può voltare la testa, ma il vento delle sue caviglie è come una carezza. Baby 5 massaggia la spalla di Gladius. La luna è riflessa nei suoi pallidi occhi azzurri, luccicanti.
-Vieni qui spesso?-
-Quando mi va. È il mio posto preferito-dasuyan.-
Gladius si serra le mani sullo stomaco. Le lacrime luccicano sul suo volto. Buffalo si tuffa di nuovo tra le nuvole, e Baby 5 ne carezza una. È fredda, leggera. Vorrebbe portarsela appresso come un medaglione.
-Vuoi atterrare?-
-Ancora cinque minuti.- mugugna Gladius. Si rannicchia sul fianco, e le lacrime gocciolano nella maglia di Buffalo. Offre la mano a Baby 5, che la prende. Si siede al suo fianco, la avvolge nella coperta assieme a lui. Buffalo decolla di nuovo, in cerchio, sopra la nave che li porterà via.

Il giorno in cui approdano arriva senza avviso, come una scossa della tolda che ti fa svegliare nel mezzo dell’oceano. Siamo scappati solo ieri, pensa Baby 5, ma non è vero, hanno guardato insieme abbastanza albe e tramonti da farsene un album fotografico, e provato tutti i vestiti di chiunque fosse il comandante. Hanno finito le birre, il miele, il ramen e le gallette, ma quando hai fame non ci pensi, e dopo Impel Down avranno fame forse per sempre.
-Capito, Buffalo?- Señor Pink appoggia la cornetta sul legno. -Dovrai fare qualche viaggio, contiamo su di te.-
-Sissignore-dasuyan.-
C’è un molo di legno grande come il suo letto, di assi che quasi spariscono sotto la schiuma. Ciuffi di vegetazione verde scuro sporgono dalle rocce pallide, secche, scarne come scheletri. Anche solo una capanna sarebbe fuori luogo, là in mezzo.
Abitavamo in un palazzo. Avevamo una città in mano. Baby 5 getta fuoribordo il mozzicone dell’ultima sigaretta rimasta e stringe le dita attorno al parapetto.


A.A.:
Dopo le feste, dopo i banchetti, torniamo alle nostre avventure. Siamo quasi alla riva, e so che questo capitolo è abbastanza lungo, ma l'ispirazione c'era e dovevo aggrapparmici. 
Fra poco torneremo sulla terra, ma vi assicuro che il DOLORE non è finito, anzi. Ho deciso di parlare di Gladius, perché è un personaggio che spesso ho ignorato, e aveva bisogno di sviluppo. Il povero ragazzo sta molto male, e anche lui l'ha sempre tenuto nascosto. Il PTSD è dappertutto. 
E poi c'è Diamante, che povero caro aveva bisogno di riprendersi, soprattutto dopo che gli ho ammazzato l'uomo che ama. 
Non penso di avere – stranamente – altro da aggiungere. Mi fermerò qui, allora. Grazie.
Lady R
  
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