Anime & Manga > Yu-gi-oh serie > Yu-Gi-Oh! ZEXAL
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Autore: dispatia    28/12/2019    2 recensioni
[Het, shonen-ai e shoujo-ai | Carte numero umanizzate | Possibile trasformazione di coppie "het" in "shonen-ai" o "shoujo-ai" e viceversa| Fanfiction dedicata a Marins5 per il suo compleanno ]
Avete voglia di shipping improbabili?
Di quelle che ti fanno dire: "Oh, andiamo, è IMPOSSIBILE!"
Perfetto!
Eccovi una "piccola" (10 capitoli di puro delirio in cui potete ammirare la mia immensa follia) raccolta di oneshot (E possibile drabble) sulle coppie di Zexal strane, mai considerate o che proprio non hanno ragione di esistere.
Siete pronti?
I personaggi di Zexal decisamente no...
01: ReserveShipping
02: AloneShipping
03: GuardianangelShipping
04: CatrapShipping
Genere: Introspettivo, Romantico, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Crack Pairing
Note: AU, Raccolta, What if? | Avvertimenti: Gender Bender, Triangolo
Capitoli:
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III
Guardianangelshipping


 
« Scusa, potresti regalarmi il tuo nome? »
Risuonavano con antica premura, nelle corde dell'anima, il suono di campanelli e il profumo della vaniglia, brillando come oro fuso, senza timore di eccesso, di peccare di tracotanza. Si spandevano nell'aria e lo costringevano a voltare il capo, e poi a sedersi, sopraffatto, come se tanta bellezza mai l'avesse vista in tutta la sua vita mortale.
E sopra tutto quei raggianti occhi viola, plasmati da mani esperte d'inganni e tentazioni, quelle iridi dal luccichìo infantile che lo invogliavano a fidarsi, a lasciarsi andare.
« Il mio nome? »
Alito levò il capo dal verde vibrante del prato su cui si era adagiato, concedendo al principe la sua totale attenzione. Quella domanda fu posta con un'innocenza dolcissima, che colava latte e miele, e che si fondeva così bene con quell'atmosfera che a Vector quasi venne meno la natura di folletto, in favore del desiderio di ammirarne la composizione.
Era raro ormai che un umano inciampasse in un cerchio fatato. Erano diventati furbi, crescevano i bambini con leggende di infanti rapiti e dèmoni crudeli, pronti a tutto pur di strapparli dal grembo materno. Certo, più l'uomo progrediva nella sua disperata corsa al progresso più incauto diveniva nel trattamento delle creature del bosco, ma questo non bastava a convincerli in fallo. Come i lupi temevano il fuoco fatuo delle città umane, così gli umani si ritraevano di fronte a segni incomprensibili e suoni d'arpa.
E se anche sbagliavano, come in quel momento, nella loro mente risuonavano le parole cupe della genitrice, e di un'intera generazione di donne timorate del buio: "Non donate il vostro nome alla bellezza".
Ma Alito di leggende non s'intendeva. Era solo un adolescente ribelle, dagli occhi dello stesso colore degli smeraldi che impreziosivano la gonna del principe, e quella domanda non suscitava nessuna ritrosìa dentro di lui. Solo una bocca socchiusa e palpebre abbassate per schermarsi dal sole che lentamente calava sulla scena.
« Ma certo! Il tuo nome! »
Si chinò verso di lui, chiedendosi se davvero ignorasse o se stesse cercando di evitare il destino. La fata scosse il capo, fra sè, e pensò fosse proprio buffo, con tutti quei vestiti addosso e quella mancanza di rispetto per la natura - non quella che li circondava, ma quella intrinseca dell'uomo, l'unica linea divisoria fra loro e le bestie; poi parlò ancora, posandosi di fronte a lui.
« Non ti fidi? Parlano sempre male di noi là fuori, eh? »
La sua stessa pelle, ambrata, brillava di un'aureo, soffice bagliore. Come un angelo, ma riflesso da uno specchio distorto, avrebbe detto la mamma di Alito, se ci fosse stata abbastanza da parlargli di queste cose importanti.
Invece c'era solo suo padre, a casa, e lui di magia non ne sapeva nulla. Non era colpa sua; si sa che in famiglia solo uno ha il diritto di viziare i figli riempiendoli di stupidaggini e fobie. L'altro doveva mandare concretamente avanti il carro, dare sussistenza, pane, carne, latte e disciplina.
Così avrebbe detto suo padre, se glielo avesse chiesto.
Quel sorriso non poteva essere fasullo, ma non era la fiducia che mancava ad Alito, quanto la comprensione reale dei desideri dell'altro. Trovava solo bizzarro il modo in cui era vestito l'altro, e nonostante fosse chiaramente di rango superiore al suo non riusciva a non vederlo solo come un coetaneo, un po' strano e dai modi particolari - e qualcosa di eccessivamente perfetto attaccato addosso come un vetro traslucido fra la realtà e la finzione...
« Il mio nome è Vector. Sono principe del mio popolo, creatura figlia della Madre di tutte le madri; e se ora tu volessi donarmi il tuo nome, saprei per certo di non avere di fronte a me un nemico. »
« Tu saresti un principe? »
Lo stupore era genuino, e lo prese in contropiede. Inarcò le sopracciglia, mentre annuiva, e con un cenno indicava tutto lo spazio intorno a lui. La musica si fece più soffusa, ma anche più onirica, capace di fargli entrare nelle narici e nel cervello la sensazione di non voler più uscire da lì dentro, come la più inebriante delle ipnosi.
Qualcuno di meno caparbio di Alito gli avrebbe semplicemente detto il nome, ma era un'anima così elementare che si concentrava sui particolari, e non sulle domande.
Era lui che voleva risposte.
E anche se non lo capiva Vector lo trovava divertente, e quasi affascinante, in quella testardìa involontaria.
« Sì, lo sono. Il mio popolo è stato per lungo tempo amico degli uomini, prima che voi iniziaste a scacciarci e dipingerci crudeli. Per questo non posso permetterti di restare, senza che tu... »
« Non posso regalarti il mio nome, non è qualcosa che si dà agli altri. Però puoi chiamarmi Alito... e puoi fidarti di me, Vector. »
Fiducia.
Fu preso di sorpresa da quella scelta di parole. Rimase per qualche istante in silenzio, e quell'arco di tempo fu sufficiente a creare due consapevolezze nella mente di entrambi.
La prima, che si sarebbero rivisti.
La seconda, che c'era una partita sotterranea, che nessuno dei due poteva perdere, e che faceva parte dell'ordine naturale delle cose. Non c'era bisogno di regole, limiti, spiegazioni. Si guardarono negli occhi, e ai loro polsi già c'era un filo argenteo di promessa.
Fu allora che calò la tenebra e Alito si alzò, con un singolo cennò di saluto, scappando via per tornare a casa, lasciando a Vector domande che prima non aveva mai sentito la necessità di porsi.

 
Vector iniziò a prendere un certo gusto nelle visite dell'altro, inizialmente poco frequenti quanto poi quasi giornaliere. Riusciva sempre a raccontargli qualcosa di nuovo del mondo esterno che prima ignorava, tenendolo inchiodato per ore con lo sguardo perso su di lui, una mano sulla guancia e un profumo diverso attorno ogni volta - che fosse incenso, mirto, rosa o violetta lo apprezzava sempre, e finiva a chiedergli che cosa fosse, ampliando una cultura prima sconosciuta di cose oltre il semplice lavoro manuale o le risse di strada -, finché non calava il sole e non si salutavano con il cuore ogni volta un poco più pesante.
I sentimenti gentili erano qualcosa di fin'ora sconosciuto al cuore dei due. Non si parlava di semplice amicizia con i bambini che lo ammiravano, o di un discorso nobile ai sudditi in ascolto; era qualcosa di più profondo e complesso che si sviluppava come il più bello dei palazzi, pietra dopo pietra, ad ogni tocco, frase, respiro lasciato a metà, parole di troppo sospese a mezz'aria finché non trovavano il momento giusto di ignorarle e andare avanti.
Alito non temeva il suo sangue blu, e Vector per quanto si sentisse superiore non sentiva l'ego ferito dalla sua mancanza di etichetta. Lo salutava ogni volta con il solito « Scusa, potresti regalarmi il tuo nome? » al quale l'altro sorrideva, con il solito « Non posso regalarti il mio, nome non è qualcosa che si dà agli altri. », e così il giro ricominciava, sempre uguale a se stesso.
Fu un tiepido pomeriggio di primavera che, mentre stavano sdraiati fra i boccioli di fiori selvatici e l'erba umida di rugiada, con il sole che li accarezzava dolce in un pigro invito e un fuoco dentro che non si spegneva per quanto continuassero a parlare per sovrastarlo, che il principe si acquietò a metà discorso per la prima volta, lo guardò in un modo che mai più, in mille congiunzioni di stelle o nell'eterno ruotare della terra su stessa si sarebbe ripetuto, e mormorò soltanto un debole, timido "Amami".
Amami, come fossimo gli ultimi due al mondo, come se ci fosse solo questo ormai, l'istinto, l'onore, la voce che s'infrange e muore sulle labbra, la lingua che riacquista la funzione comunicativa nel suo piano originale. Come se fosse il giardino dell'Eden, come avessimo appena peccato e fosse l'ultimo istante prima che Dio ci punisca per esserci sporcati, per aver sbagliato. Amami come se stessimo per morire, e come se stessimo per rinascere; come se dovessimo bruciarci fino al tornare al nostro stato originario, che cenere eravamo, e cenere dobbiamo tornare.
Come se fosse una fiaba, di un principe e del suo cavaliere, senza nessun drago da sconfiggere.
E mentre aspettava che il respiro tornasse regolare, la testa dell'amato sul suo petto e dentro solo pace, finalmente pace, come mai aveva avuto il piacere di sentirla, Alito pensava lontano, ad una casa, un focolare sempre acceso, pensava a come sarebbe andato tutto bene perché si era liberato dal peso che prima sentiva tormentarlo, quell'insoddisfazione dell'anima che reclamava libertà. Gli accarezzava i capelli, guardava il cielo, ed era certo che sarebbe andato tutto bene.
E anche se Vector sapeva che la verità era ben più amara,  per quel momento, per quella sensazione bellissima di amare ed essere amato, tacque, e concentrò tutto se stesso nel lento, regolare battito del cuore dell'altro.

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Note dell'autrice
Stranamente, non ho nulla da dire questa volta, se non scusate per questo mini spam che sto facendo ultimamente - sono le vacanze di Natale, il mio unico periodo libero tranne l'estate, capitemi.
Unica cosa, il motivo per il quale Vector chiede ad Alito di "donargli" il suo nome, e non solo di dirglielo è perché nella mitologia comune le fate si appropriano dei nomi degli umani incauti (si parla di folklore inglese, dove ha più senso il modo comune di chiedere il nome "can you give me your name / could you please give me your name?"), arrivando così ad avere potere sulla persona stessa.
Tranquilli che con questo aggiornamento torno a sparire negli angoli remoti degli aggiornamenti annuali da cui provengo.
Sayonara!

PS; Qualsiasi errore di battitura/stilistico è dovuto indubbiamente alla mia pigrizia nel ricontrollare. Se qualcuno me li volesse far notare sarebbe estremamente bene accetto <3
   
 
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