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Autore: Bellis    03/08/2009    1 recensioni
Da buon veterano di molte battaglie, il dottor John Watson conosce bene il significato della parola lealtà. Tuttavia, deve riconoscere che non in tutti i contesti si può applicare la stessa definizione.
Genere: Dark, Drammatico, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Grazie mille, Bebbe5, per aver commentato anche il precedente capitolo! :D In effetti è un atteggiamento ricorrente, nel carattere di Holmes, quello di voler tenere all'oscuro di alcuni fatti il suo fedele amico. Forse è derivante dal desiderio di proteggerlo, come hai fatto giustamente notare tu, forse anche da una certa tendenza alla teatralità :P
Sta di fatto che il leale Boswell ha una pazienza infinita, a mio parere :)
Spero che anche l'epilogo Ti piaccia!


Capitolo Quarto - Epilogo

Sette giorni dopo i terribili eventi di quella notte nebbiosa, mi trovavo nuovamente nel confortevole appartamento al 221B di Baker Street.
Il mio amico Holmes si era quasi completamente rimesso, ed aveva insistito oltre ogni ragionevole limite per ritornare alla quieta routine della sua abitazione.

Non che potessi biasimarlo.
Gli ambienti tetri e malsani dell'Harley Street Hospital non potevano certo giovare alla sua salute, e l'inattività forzata stava rendendo il suo umore particolarmente irritabile e lunatico.
Così avevo accettato con piacere la sua richiesta, a patto che il mio amico promettesse di non fare sforzi eccessivi nell'arco dei seguenti dieci giorni.

Avevamo entrambi recuperato senza troppe difficoltà il filo delle nostre abitudini, cosicchè, senza quasi accorgermene, ero nuovamente seduto al mio scrittoio, nel piccolo salotto, intento a trascrivere in bella forma gli eventi di un passato, interessante caso su uno dei miei numerosi taccuini.
La borsa contenente gli accessori medici stazionava pigramente sulla scrivania di Holmes, mentre il suddetto investigatore sedeva al tavolo scorrendo rapidamente gli annunci di cronaca sul Daily Telegraph.

"Bene, Watson," fece, all'improvviso, lanciando da una parte il quotidiano in un gesto di stizza, e puntando gli occhi grigi verso di me, "debbo ammettere di essere sorpreso."

"Mhmm?" mugolai, distrattamente, facendo una pausa nell'atto di corredare una lettera i del relativo puntino.
Sollevai lo sguardo annebbiato verso l'altro uomo.

Holmes sorrise, "Sono sorpreso, Watson, dal comportamento da lei tenuto nella scorsa settimana." ripetè, a mio beneficio, elaborando il concetto.

Asciugai lentamente il pennino dalla gocciolante quantità di inchiostro di China con la quale era imbevuto, quindi appoggiai la cannuccia sul taccuino.
"Cosa intende, Holmes?" chiesi, genuinamente disorientato.

Il detective si appoggiò allo schienale della sedia, osservandomi con uno sguardo penetrante, come per determinare la linea di condotta migliore da seguire.
Io intanto distaccavo la mente dallo straordinario Enigma del Mosaico di Pietra, del quale stavo realizzando una cronistoria dettagliata.
"Intendo, vecchio mio," iniziò quindi Holmes, e dall'atteggiamento potei stabilire che stava parlando con estrema ed inusuale franchezza, "che mi sarei aspettato una qualche reazione da parte sua, dopo averle tenuti nascosti i dettagli relativi al furto presso il Museo delle Antichità."

Avvertii la mia fronte corrugarsi involontariamente, a questa sua mancanza di tatto, che risvegliava in me vividamente l'amarezza provata ed il senso di colpa che aveva attanagliato il mio cuore a lungo, in quegli ultimi tempi.

"Ah!" esclamò Holmes, "Vedo che una reazione c'è stata, dopo tutto."

Sobbalzai, perchè il suo volto si era improvvisamente rabbuiato, ed il sorriso aveva assunto un inconfondibile accento di tristezza. Seppur fosse lieve e ben nascosto dal suo ammirevole autocontrollo, potevo scorgere questo sentimento farsi strada nei suoi lineamenti.

Mi accomodai meglio sulla sedia, tentennando il capo, a disagio.
Infine sollevai gli occhi e trovai il mio amico completamente immobile, dove l'avevo lasciato.
"In effetti, io... speravo di meritare la sua fiducia, Holmes." pronunciai, cautamente.

"Lei ha la mia fiducia, Watson." intervenne seccamente l'investigatore, aggrottando improvvisamente le sopracciglia nere.

Stavo per replicare, quando Sherlock Holmes si alzò di scatto in piedi, serrando le labbra ed impallidendo di colpo.
Notai che teneva il braccio sinistro rigidamente vicino al busto, e capii che le lesioni muscolari alla spalla non si erano rimarginate ancora completamente.
Scacciò con un gesto distratto della destra il mio contegno preoccupato, passeggiando nervosamente avanti e indietro, attraverso la stanza.

"Per tre anni l'ho ingannata, amico mio." dichiarò, solennemente, e mi si strinse il cuore, al pensiero di quei mesi d'angoscia, durante i quali mai il mio animo fu libero dal dolore per la perdita del mio amico, che credevo morto nel cupo baratro della cascata Reichenbach.
"Non intendo ripetere questo errore." aggiunse, con forza, voltandosi verso di me.

Attesi pazientemente che il mio amico continuasse, tuttavia, dato che sembrava egli stesso aspettare una mia risposta, riflettei per qualche momento, prima di darla.
"Dunque per quale motivo mi ha tenuti nascosti i suoi propositi?" chiesi, pacatamente, "Sapevo che stava lavorando insieme a Lestrade sul caso del Museo, ma non avevo idea che volesse imbarcarsi in una spedizione tanto rischiosa!" esclamai, di getto.

"Nemmeno io, glie lo assicuro." sbottò improvvisamente Holmes, fermandosi al mio fianco e lanciandomi uno sguardo penetrante, con la fronte corrugata. Esitò, irrigidendosi appena, prima di aggiungere, cupamente, "Ho sbagliato, Watson."

Capii in qualche modo che non stava parlando del suo comportamento, ma di un fatto più pratico, che gravava maggiormente sull'indole scientifica dell'investigatore.
"Sbagliato, Holmes?" chiesi, confuso.

Annuì, reprimendo un sospiro.
"Quando ho accettato di occuparmi di quel furto, ho riconosciuto immediatamente il modus operandi di Jeb Olson, noto malavitoso Londinese. Ritenevo di trovarmi di fronte a lui solo: un caso banale, di soluzione immediata. Non credevo avesse un complice - cosa estranea alla sua natura indipendente, inedita negli archivi di Scotland Yard."
Fece una pausa, sostando con lo sguardo sul fuoco che scoppiettava e crepitava, nel camino.
"L'ho attirato in una trappola, non sapendo di essere io la preda. Ho fornito raccomandazioni non sufficientemente accurate a Wiggins. Non ho saputo prevedere tutti gli scenari - ho sbagliato. Un gravissimo errore di giudizio."

"Holmes -" esordii, deciso ad interrompere questa dichiarazione di colpevolezza.

"Per Giove, Watson, Wiggins avrebbe potuto rimanere ucciso!" tagliò corto lui, condensando il fulcro delle sue meditazioni in quell'unica frase.
Incontrai il suo sguardo e lo trovai insolitamente desolato.

"Ma, Holmes -" ripresi, guardandolo dal basso verso l'alto, e distendendo la mano destra nel tentativo di enfatizzare l'importanza di ciò che tentavo di esporre.

"... lei stesso, amico mio, avrebbe potuto essere ucciso, se mi avesse accompagnato, quella notte."

L'ultima affermazione era stata pronunziata in un mormorio di scioccata, colpevole consapevolezza.
Il mio amico deglutì, avvicinandosi al tavolo ed appoggiandosi ad esso, nel prendere posto sulla poltrona.
Lo seguii con lo sguardo.

"Cosa avrebbe potuto fare, per evitare quegli eventi? Da cosa avrebbe potuto capire che Olson aveva un complice?" mi attentai a chiedere, forzando nel mio tono la tranquillità che volevo lui percepisse.

Serrò le labbra, assottigliando gli occhi tra le palpebre, in uno sforzo di concentrazione.
"Non so, non so..." sussurrò, ripercorrendo quegli indizi nella sua mente come sapevo aveva fatto, in continuazione, durante l'ultima settimana.
"Avrei potuto esaminare con più attenzione le caratteristiche del furto, forse... avrei potuto prevedere con più accuratezza le mosse del ladro... avrei dovuto capire!..."

"Holmes." chiamai, tentando di far confluire nella mia voce un pizzico di quell'autorità che tanto avevo udito negli Ufficiali, in tempo di guerra.

Quella tecnica sembrò funzionare, perchè, alla nota d'urgenza nel tono, il detective sollevò di scatto il mento, portando gli occhi grigi a focalizzarsi sul mio volto serio.

"Norbury [1], Holmes." sillabai, gravemente.

Il mio coinquilino si irrigidì visibilmente, sollevando un sopracciglio inquisitore. Mi fissò per un attimo, ponderando la semplice parola da me pronunciata.
"Ritiene davvero che io stia sovrastimando le mie capacità, Watson?" chiese infine, il tono più quieto e quasi privo, ora, della precedente agitazione.

Annuii, "Francamente, sì, vecchio mio." confermai, severamente, "Lei è semplicemente umano, Holmes, per quanto lei rifiuti questa sua natura... e come tale, soggetto ad errori. Non può prevedere il futuro più di quanto lei sia in grado di modificare il passato."

L'investigatore rimase assorto nei propri pensieri, nella meditazione di quel concetto, per qualche minuto.
Infine, con gran sollievo da parte mia, accennò un sorriso, mentre la nebbia introspettiva si dissipava dai suoi occhi.

"Ed io per primo sono addolorato dal corso preso dagli eventi, in quella notte." commentai, con piena sincerità, avvertendo nuovamente un senso d'instabilità e di completa confusione, a ripensare all'Harley Street Hospital, "L'ho persa tre anni fa, Holmes, e non ho alcun desiderio di... perderla di nuovo, amico mio. Non un mese dopo averla ritrovata."

Terminai quell'affermazione in un sussurro, e bruscamente ritornai alle mie carte.
Appoggiai gli avambracci sullo scrittoio, impegnandomi, se non altro, ad allontanare la foschia che minacciava di avvolgere la mia mente ed il mio cuore, se mi avventuravo con troppa leggerezza nei ricordi di quei tre anni di dolore e sventura.

La perdita del mio migliore amico era stata seguita dalla morte della mia cara moglie, Mary, colpita da una malattia che l'aveva prosciugata completamente delle sue energie e della sua forza vitale.
Incapace di elaborare un'efficace cura, sopraffatto dal cordoglio, avevo trascorso due anni della mia vita in una solitudine morbosa.

Mi ero ripreso a fatica e, come un pianeta prosegue nella sua orbita, per quante tempeste si possano generare nella sua atmosfera, anche io avevo continuato la mia vita e la mia professione: per inerzia.
Il Cielo aveva voluto restituirmi il mio fraterno amico, Holmes; ma ora minacciava di togliermi questo unico sostegno.

Ricordavo quella notte all'ospedale, ora, come un lungo incubo.
Convinto di essere stato reso più solido ed affidabile dalle stesse avversità, mi ero trovato a tremare come una foglia nella burrasca.
Wiggins, l'acuto luogotenente degli Irregolari di Baker Street, l'aveva senza dubbio notato.
E così anche Sherlock Holmes.

Sentii un peso improvviso sulla mia spalla destra, e compresi che si trattava di una mano magra ed affilata.
Sobbalzai e sollevai di scatto lo sguardo.
"Mi dispiace, amico mio." intervenne la voce del mio amico, con quel tono tranquillizzante che riservava ai clienti affranti.
"Mi dispiace, davvero."

Abbozzai un sorriso, e fui sollevato nel sentire che il mio viso si distendeva con una serenità inaspettata.
Mi raddrizzai sulla sedia.
"E' tutto nel passato, Holmes." cercai di mantenere il mio tono di voce stabile e leggero, e dovetti riuscire nell'impresa, perchè il detective sorrise di rimando.

Holmes annuì e rilasciò la sua stretta simpatetica, mentre lo sguardo si posava, assente e meditabondo, sul taccuino aperto di fronte a me.
Allungò il collo oltre la mia spalla per leggere meglio le parole scribacchiate su di esso.
"Ah, ma lei era impegnato nella scrittura, Watson." notò, e dai movimenti rapidi delle sue pupille potei capire che stava decifrando la mia calligrafia - peraltro molto nitida e precisa, per essere quella di un medico.

"Brillante deduzione, Holmes." ribattei placidamente, ed il mio blando sarcasmo fu premiato con un'occhiata d'avvertimento lanciata nella mia direzione.

Il mio amico afferrò il blocco prima che io potessi fermarlo, e ricominciò a passeggiare attraverso la stanza, sfogliando pigramente le pagine e scorrendo con interesse il testo.
Sospirai. Le nostre opinioni in merito di gusti letterari differivano notevolmente.
Senza dubbio mi avrebbe fatto notare quanto impreciso e privo di dettagli essenziali fosse il mio racconto, come fosse basato solamente sul romanticismo e sull'avventura, omettendo i particolari più educativi e stimolanti per l'analisi logica.
Conoscevo a memoria la vecchia tirata.

"L'Enigma del Mosaico di Pietra, eh, Watson?" iniziò, con tono stridente, "Sì, ricordo quel caso, e potrei affermare con certezza che la memoria è rimasta particolarmente impressa nella sua immaginazione."

Non potei reprimere un brivido, ripensando ai drammatici avvenimenti riguardanti quella stramba avventura, "Rammento quei giorni come fossero appena trascorsi, Holmes." confermai, apertamente.

Il detective chiuse il taccuino con un tonfo secco.
"Un caso dei più interessanti, dal punto di vista logico." iniziò a pontificare, "Non potrò mai ringraziarla abbastanza per aver portato il problema alla mia attenzione, amico Watson."

"Nè io potrò mai ringraziarla abbastanza per avermi dato consiglio." ricambiai, un po' sorpreso da quella bonarietà nei confronti della mia passione di scrittore, mentre mi restituiva il prezioso diario.

Avvicinandosi al camino, l'investigatore passò in rassegna rapidamente le diverse pipe dalla forma contorta che giacevano sulla mensola.
"A quando il prossimo inserto nello Strand?" chiese, rapidamente, con moderato interesse.

Inarcai le sopracciglia.
"Non credo che questo resoconto andrà allo Strand. E' decisamente troppo lungo."

Holmes scelse una pipa, "Può essere diviso in più parti, da pubblicarsi in sequenza."

Ero decisamente sbalordito. "Holmes?"

Un paio di occhi grigi ritornarono ad osservare la mia persona, incapaci di scacciare una vena d'ilarità, "Sì, vecchio mio?"

"Che ne è stato di 'fantasticherie romantiche nelle quali il ragionatore esperto non troverebbe nessun pregio, buone solamente ad attrarre la massa informe del pubblico mondano'?"

Il detective rise silenziosamente, avvicinandosi alla sua vecchia poltrona e raggomitolandosi su di essa.
Appoggiò la pipa, rilassandosi visibilmente ed azzardandosi ad affidare il peso del braccio sinistro all'imbottitura morbida.

Io sorridevo ampiamente, comprendendo bene il suo obliquo tentativo di chiedere perdono, e ritornai al lavoro, raschiando via diligentemente dal pennino un sottile strato d'inchiostro secco, prima di scoperchiare la boccetta della china nera ed intingervi la lamina metallica con cautela.
Ripercorsi l'ultimo periodo da me scritto, per ritornare nell'ottica d'idee della narrazione.

"Certo, Watson," giunse una voce dall'aria pensierosa, all'improvviso, "se lei volesse, potrei darle molte indicazioni su come rendere un po' più veritieri ed accurati i suoi resoconti."

Tracciai con infinita precisione una virgola, "Appunto, Holmes." borbottai infine.
"Se io volessi."

Sollevai lo sguardo seccato dal blocco, ad incontrare quello decisamente più attento e scrutatore del mio amico.
Rimanemmo per qualche istante immobili, quindi, con un sincero e sereno sorriso di muto ringraziamento, dividemmo la nostra attenzione su differenti linee di pensiero.

Una breve nota d'epilogo.
Jeb Olson ed il suo complice Paddy Pratt, dopo la cattura del battello Saint Claire da parte delle forze dell'ordine - guidate dall'ispettore Lestrade, furono condannati sotto l'accusa di furto e di lesioni personali volontarie.
Sherlock Holmes ritornò presto nel pieno ritmo della sua attività investigativa, venendo brillantemente a capo della misteriosa vicenda della nave a vapore Friesland.
L'Enigma del Mosaico di Pietra, per il quale occupai molto tempo redigendo la cronistoria, sarà pubblicato a puntate a partire dalla prossima edizione dello Strand Magazine.

[Lealtà - Fine]


*******************************

[1] : "Watson", mi disse, "se mai lei dovesse accorgersi che ripongo un po' troppa fiducia nelle mie capacità o che mi dedico a un caso con meno impegno di quanto merita, per favore, mi sussurri all'orecchio 'Norbury', e gliene sarò infinitamente grato."
da La Faccia Gialla, "Le Memorie di Sherlock Holmes", trad. Nicoletta Rosati Bizzotto

Nota dell'Autrice
Ringrazio Bebbe5 e l'onnipresente Jo March per avermi seguita sino alla fine di questa vicenda.
Sono in un periodo estremamente Sherlockiano, quindi ritengo che presto scriverò qualcos'altro in tema.
Spero che questa non-molto-long-fic Ti sia risultata gradita!
:D

A presto,
Bellis


   
 
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