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Autore: lady_bella    30/12/2019    5 recensioni
[Imma Tataranni - Sostituto Procuratore]
Sono passati pochi mesi dalla Festa della Bruna e dal loro attimo di follia; da quel momento avevano cercato di evitarsi il più possibile, entrambi spaventati dalla forza delle loro emozioni.
Ma quando due persone sono fatte per stare insieme, non possono reggere la finzione per troppo tempo: i sentimenti hanno un modo tutto loro di saltare fuori, inattesi e imprevedibili, costringendoci a guardarci allo specchio e ammettere la verità, anche se scomoda.
Un nuovo caso sconvolgerà gli equilibri del Sostituto Procuratore Tataranni, portandola a fare i conti con una realtà che è ben diversa da come appare.
Genere: Generale, Introspettivo, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: Lime, What if? | Avvertimenti: Tematiche delicate
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Capitolo Quinto

 

Un rombo sordo squarciò il silenzio che avvolgeva le strade di Matera e un fascio di luce abbagliò per un istante gli occhi del Sostituto Procuratore Tataranni: una moto si fermò a pochi passi da lei e ne scese un uomo che si avvicinò rapidamente, tenendo un casco in mano e porgendoglielo. Lui fece per dirle qualcosa, ma Imma, intuendo le sue intenzioni, lo precedette perentoria: «Portami via da qua Calogiuri», e gli prese bruscamente il casco dalle mani.

Il maresciallo annuì, ma un’ombra di confusione ed incertezza gli passò negli occhi mentre osservava i gesti di Imma che erano, se possibile, ancor più impazienti del solito: si muoveva con una rigidità inusuale, sembrava come qualcuno che, sotto l’influsso di forti emozioni, cerca con tutte le proprie energie di tenerle sotto controllo, sapendo che se anche un solo frammento scivolasse al di là delle pareti accuratamente erette intorno alla propria anima, si sarebbe spalancato un baratro dal quale sarebbe stato impossibile riemergere in un unico pezzo.

 

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Il maresciallo condusse entrambi via da quel luogo, lontano dalle stradine poco illuminate del centro della città guidando verso gli spazi aperti della periferia: lei avvolse le braccia attorno al busto di lui, traendo forza e rassicurazione da quella vicinanza e sentendo a poco a poco l’adrenalina scemare dal suo sistema, sostituita dalla paura che non aveva avvertito in precedenza, accompagnata da un inizio di nausea. La consapevolezza di cosa le fosse successo nell’ultima mezz’ora stava prepotentemente prendendo piede nella sua mente, assieme a tutte le implicazioni sottostanti, non solo per il caso. Alle minacce era abituata, erano rischi preventivamente calcolati quando aveva deciso di intraprendere questa professione; fino ad allora, però, erano state solo buste anonime recapitate in ufficio con biglietti dalla credibilità abbastanza discutibile, nessuno aveva mai dato seguito a ciò che minacciava fino a quella sera.

Le girava la testa: per un attimo la vista le si offuscò e lo stomaco le balzò in gola, accompagnato dal cuore che aveva preso a battere ad una velocità forsennata: «Ferma la moto Calogiù!», gli gridò disperata.

Lui non fece nemmeno in tempo ad accostarsi che Imma balzò a terra, cercando nel contempo di liberarsi dal casco e di prendere aria, perché improvvisamente le pareva di avere il petto e la gola in fiamme e nemmeno tutta l’aria del mondo l’avrebbe potuta salvare da quella sensazione di stare per annegare da un momento all’altro, benché non vi fosse acqua attorno a lei.

Calogiuri le si avvicinò e la prese tra le braccia, tenendola stretta contro di lui nonostante i tentativi ripetuti di liberarsi da quella presa che sembrò per un attimo aggravare lo stato di agitazione in cui si trovava: a poco a poco, però, quella morsa di ferro che erano diventate le braccia del maresciallo parve tranquillizzarla, il corpo si abbandonò docile contro il petto di lui, lasciando che questi si facesse carico di tutto il suo peso.

«Dottoressa, che cosa è successo?», le chiese quando avvertì che si era ormai calmata abbastanza e lasciò a malincuore che si allontanasse dalle sue braccia.

Imma si voltò fuggendo quello sguardo blu che chiedeva una spiegazione, appoggiandosi contro il muretto che delimitava il confine della strada oltre il quale vi era soltanto una fitta oscurità. Lo spavento di poco prima era quasi sparito, sostituito però da un altro genere di tremore che le scuoteva il corpo, questa volta decisamente non sgradito.

«Un uomo mi ha seguita uscendo dalla Procura… mi ha detto di smettere di indagare su Bea…», si trovò a sussurrare nel silenzio della notte. «Sto bene», aggiunse vedendo lo sguardo di Calogiuri colmarsi di preoccupazione.

Lui prese a osservarla, cercando segni esteriori dell’aggressione: notò solo in quel momento un’ombra scura sul collo. Le si avvicinò per osservare meglio quel dettaglio, sollevandole delicatamente il mento e per poco non gli sfuggì un’imprecazione.

«Ma voi siete ferita!», Esclamò, seguendo con gli occhi le tracce di sangue sul collo di lei che avevano finito per macchiarle la camicetta.

«Sarà stato il coltello…», si strinse nelle spalle come a voler sottolineare che lo considerava un dettaglio di secondaria importanza.

«Sembra un taglio superficiale, ma deve essere pulito e disinfettato. Aspetta qua che ho del disinfettante sulla moto per ogni evenienza». Si affrettò a recuperare tutto il necessario e le sue mani si mossero con abilità e fermezza pulendo il taglio, ringraziando la sua buona stella che prima di arruolarsi aveva fatto un corso da infermiere e ormai non andava da nessuna parte senza un kit di prima necessità.

Imma chiuse gli occhi che le si stavano riempiendo di lacrime, in parte perché qualunque cosa le stesse applicando Calogiuri sul taglio, bruciava mortalmente, un po’ perché tutta quella vicinanza fisica, aggiunta agli avvenimenti di quella sera che l’avevano scossa non poco, le stava giocando brutti scherzi. Si rese conto che il maresciallo le stava dicendo qualcosa, ma il cervello non ne voleva sapere di dare un senso alle parole, le pareva di non essere in grado di formulare più un pensiero razionale.

«Imma», pronunciò con tono più deciso Calogiuri, scostandole una ciocca di capelli dal viso, lasciando che le dita indugiassero sullo zigomo di lei.

Sentì la pelle bruciare là dove lui le stava carezzando la guancia: qualunque cosa avesse voluto dire venne spazzata via da quella sensazione che le faceva attorcigliare lo stomaco dall’ansia e dalla trepidazione. Anche il buon senso sembrava essere evaporato in quella serata quando Imma gli gettò le braccia al collo, stringendosi al corpo di lui e le loro labbra si unirono in un bacio in cui lasciarono fluire tutti i sentimenti imbottigliati in quei mesi. E il mondo sembrò fermarsi e girare vorticosamente nello stesso momento.

Si staccarono solo quando non era loro possibile ignorare il bisogno di ossigeno e rimasero stretti l’uno all’altra, fronte contro fronte, i respiri che si mescolavano insieme nell’aria frizzante, volendo prolungare il più possibile l’euforia che avevano provato fino ad un attimo prima.

«Sei sicura?»

Lei rise senza allegria: «Mi chiedi se sono pronta a distruggere una condotta di vita quasi trentennale per…», e agitò la mano tra di loro in un gesto vago come se nemmeno lei riuscisse esattamente a trovare una definizione per la loro situazione, «è un po’ tardi dopo tutto no? Ci ho provato a fare finta di niente, ma non smetto di pensarti… non che tu mi abbia reso la cosa facile con i fiori e i bigliettini e il resto».

Calogiuri la guardò con un sorriso timido, portandosi una mano dietro la testa in un gesto di imbarazzo: «Mi ha colto in flagranza dottoressa! Mi dichiaro colpevole…», e la baciò ancora e ancora, volendo cancellare coi baci la lontananza degli ultimi mesi e la paura che lei aveva vissuto quella sera.

 

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Cercò di chiudere la porta il più silenziosamente possibile per non svegliare gli abitanti addormentati della casa. Mise il soprabito all’attaccapanni decidendo di coprirlo con un altro cappotto dopo aver notato lo stato pietoso in cui era ridotto, sgualcito e strappato sul collo: avrebbe dovuto disfarsene alla prima occasione perché non aveva una buona scusa per spiegare la fine ingloriosa capitata a quel capo.

Si sentiva euforica e non poteva smettere di rivivere gli eventi di quell’ultima ora più e più volte nella sua mente, i baci, le carezze e le parole scambiate nel bel mezzo di una strada deserta: si era finalmente arresa ai sentimenti che si agitavano dentro di lei ormai da troppo tempo, buttando al vento ogni cautela e volendo vivere quelle sensazioni con pienezza e abbandono, mettendo da parte ogni pensiero sul futuro al futuro e sulle responsabilità.

Per una volta nella vita stava scegliendo se stessa, assecondando quell’ardore che le scaldava l’anima e le faceva fremere tutto il corpo, quel desiderio che non credeva nemmeno esistente nella sua anima. Voleva, anche solo per un istante, sentire di essere il centro dei pensieri di qualcuno, sentirsi voluta e desiderata come Imma e non come un ideale o un simulacro disegnato per soddisfare una fantasia. Certe volte, con Pietro si sentiva proprio così: un modello di femminilità che lui si era dipinto, in cui a stento lei si riconosceva.

Esitò sulla soglia della camera che condivideva con il marito, osservando la sua figura giacere a letto profondamente addormentata. Un pizzico di colpa ruppe l’idillio di quella serata appena trascorsa con Calogiuri, riportandola crudelmente alla realtà: si stava incamminando su un sentiero irto di pericoli, in gioco c’era molto di più che le loro carriere o il rischio di un trasferimento, se fossero stati scoperti a pagare il prezzo più alto sarebbero stati Pietro e più di ogni altro, Valentina.

Si sdraiò a letto, pregando che suo marito non si destasse dal sonno e chiuse gli occhi avvertendo la colpa depositarsi come un macigno in fondo allo stomaco e sapendo che quello era solo l’inizio: voleva bene a Pietro, ne era sicura, gli era veramente grata, ma non poteva continuare a fingere di provare solo un affetto platonico nei confronti di Calogiuri. Non aveva mai mentito a se stessa, perché avrebbe dovuto iniziare a farlo ora?

 

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«Dottor Vitali, è permesso?».

«Ah, Dottoressa Tataranni prego. A che devo il piacere?», le aveva risposto affrettandosi a riporre nel cassetto della scrivania la sua amata statuina di Pulcinella per preservarla dall’uragano che era in procinto di entrare nel suo ufficio.

Imma, dopo una notte praticamente insonne, era arrivata in Procura di buon mattino, decisa più che mai a proseguire le indagini su Bea e non liquidarle come un allontanamento volontario di una ragazzina problematica.

«Dottore, ieri sera mentre tornavo a casa dall’ufficio, sono stata fermata, diciamo così, da un tizio: facendola breve mi ha suggerito di lasciar perdere Bea altrimenti per me non si mette bene. Se prima non c’era un caso, adesso per me il caso c’è eccome, Dottor Vitali. Altrimenti perché prendersi il disturbo di minacciarmi?».

Vitali la guardò con tanto d’occhi, Imma non sapeva se per le minacce o per il fatto che ne parlasse con una certa noncuranza: aveva già avuto modo di notare nei mesi in cui aveva lavorato per lui che il Procuratore Capo si lasciava allarmare facilmente ogniqualvolta venivano fatte delle intimidazioni ai suoi magistrati.

«Questa volta io le affido veramente una scorta dottoressa, e non voglio sentire ragioni! Mi sembra chiaro a questo punto che qualsiasi sia la ragione per cui Beatrice Vico si è allontanata da casa, c’è qualcosa sotto che non vogliono fari scoprire!».

«Ahh ancora con ’sta storia che è scappata di casa! No, c’è molto di più e io voglio andare fino in fondo! E chi se ne frega delle minacce!», lo disse con una unica emissione di fiato, ribadendo il concetto con un colpo sulla scrivania del povero Vitali, mandando all’aria alcuni fascicoli. “Meno male che Pulcinella è al sicuro nel cassetto“, si ritrovò a pensare sollevato.

«Dottoressa, almeno eviti di andarsene in giro da sola, si faccia accompagnare nei suoi spostamenti, questo me lo può concedere. Anzi, chiamo subito…», tentennò un attimo, cercando di individuare una persona che potesse tenere testa alla Tataranni, «il maresciallo Calogiuri! Lo assegnerò esclusivamente al suo servizio, almeno fino a quando sarà necessario».

Imma annuì, cercando di tenere a bada un sorriso che minacciava di affiorarle alle labbra: tenendo da parte le loro vicende personali, lei e Calogiuri sul lavoro erano un duo imbattibile e, se proprio doveva avere qualcuno a seguirla passo passo, non vi erano dubbi che preferiva che fosse proprio lui.

«D’accordo. Se non c’è altro io torno a lavorare che c’ho un sacco da fare», non aspettò nemmeno la risposta del Procuratore Capo: si affrettò ad uscire con l’immancabile passo marziale che riecheggiava nei corridoi della Procura.

«Dottoressa…»

«Calogiuri!», esclamò Imma chiudendosi la porta alle spalle: era abbastanza frequente che lui l’attendesse in ufficio quando avevano delle indagini in corso, e nell’ultimo periodo, complice un allontanamento reciproco, si era trovata a sentire la mancanza di quella routine che avevano costruito.

«Come stai?», le sussurrò guardandola intensamente: gli leggeva negli occhi un desiderio di annullare quella poca distanza che ancora li divideva e tenerla stretta, come aveva fatto la sera precedente, incurante del fatto che si trovavano a lavoro, ed Imma era abbastanza sicura che lei stessa aveva il medesimo desiderio scritto su tutto il viso.

Si costrinse a resistere a quell’impulso e a sedersi dietro la scrivania come a voler sottolineare un punto molto importante nel loro rapporto: lì, tra quei corridoi, nel tempio della giustizia come avrebbe detto Vitali, loro erano il Maresciallo Calogiuri e il Sostituto Procuratore Tataranni, avevano un ruolo e dovevano attenersi strettamente a quel copione se volevano portare avanti un altro tipo di rapporto fuori da quelle sale.

Calogiuri sembrò interpretare il gesto esattamente per quello che era e le fece un cenno di assenso col capo, prendendo il suo solito posto davanti a lei: «Ho pensato una cosa dottoressa», fece lui, «il computer di Bea… è troppo pulito».

«In che senso Calogiuri».

«Che non c’è niente, nemmeno sui profili social… ci sono solo cose senza importanza, qualche condivisione di video musicali, dei link a pagine di serie tv. Insomma è un profilo pulito, pochissime foto sue, nessuna foto con gli amici».

«E questo in che modo è strano?», gli disse lei incuriosita.

«Ha pur sempre diciassette anni, a quell’età si condivide tutto sui social, soprattutto le foto, e lei non lo faceva, oppure…».

«Oppure usava un altro computer e un altro profilo!», finì Imma, completando come sempre il ragionamento di Calogiuri.

«Bella intuizione!», gli sorrise orgogliosa: era proprio diventato un bravo investigatore, se pensava da dove era partito non poteva evitare di provare uno slancio di compiacimento per essere stata in parte anche lei artefice di questo cambiamento.

«E adesso?»

«Adesso Calogiù dobbiamo cercare il profilo vero di Bea e forse anche un secondo computer. Fai una cosa, fatti dare una mano dal nucleo informatico, con gli smanettoni forse riuscite a trovare qualcosa. Anzi, prima andiamo a farci due chiacchiere un’altra volta con la nonna e a dare un’altra occhiata in casa: in fondo Bea passava più tempo lì che a casa sua, forse ci è sfuggito qualcosa».

Calogiuri la seguì fuori, ma Imma si bloccò improvvisamente con la mano sulla maniglia della porta e lui quasi le finì addosso. «Ah, ti do una notizia sensazionale, - ironizzò, - mi dovrai accompagnare in giro per un po’, Vitali mi ha proposto un’altra volta la scorta ma abbiamo negoziato che avrò sempre qualcuno intorno quando esco dalla Procura. Ti toccherà starmi dietro più del solito Calogiù!».

Lei lo guardava in tralice, col corpo solo per metà rivolto nella sua direzione: Calogiuri le sorrise divertito con l’aria di chi avesse ricevuto un regalo gradito il giorno di Natale e pronunciò uno dei suoi proverbiali “va bene“ che sembravano racchiudere il mondo in tre sillabe. Imma prese un respiro prima di fare qualcosa di cui si sarebbe pentita visto il luogo in cui si trovavano e proseguì nel suo intento originario di andare dalla nonna di Bea.

 

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Una consapevolezza affiorò prepotentemente nei suoi pensieri, dandole una prospettiva più realistica sulla loro situazione: sarebbe stato difficile mantenere una facciata professionale, la smania reciproca di sentire costantemente l’altro vicino, di toccarsi per rassicurare entrambi che su quella barca stavano salpando insieme, era così forte e straziante che l’autocontrollo proverbiale di Imma vacillava sotto i colpi di quei sentimenti. Iniziò a sorgere in lei il dubbio di aver agito in modo sconsiderato, forse spinta anche dalle forti emozioni vissute la sera precedente e si chiese se non fosse nell’interesse di entrambi chiudere quella parentesi, liquidando tutto come un cedimento momentaneo: in fondo non era successo nulla di irreparabile tra di loro, ci sarebbe voluto del tempo ma sarebbero riusciti a recuperare il rapporto che avevano prima, prima della dichiarazione, prima anche di Roma.

- Ah, Imma, stai vivendo una passione che fino ad ora hai solo letto nelle pagine dei romanzi, un sentimento che molte donne sognano, a cui rinunciano in favore di una tiepida normalità, ma vuoi veramente buttare via  tutto questo? - La Diana-interiore era nuovamente salita sullo scanno della sua coscienza, elargendo consigli con quell’aria sognante da eroina tragica che tirava fuori ogni volta che c’era il profumo di storia d’amore tormentata.

- Diana, la vita non è un romanzo di Jane Austen, dove l’amore sfida le difficoltà e i pregiudizi della società e ne esce trionfante.

- E che soluzione proporresti, sentiamo? Vuoi vivere di sogni da qui alla pensione? E a Calogiuri che dirai? “non sei tu, sono io“ e tanti cari saluti?

- Diana! Ma perché non te ne vai a fare un bel giro?

Lei rise: - Cara Imma, io esisto nella tua mente, non posso andare da nessuna parte, ti toccherà sopportarmi per molto tempo!

Sospirò rassegnata: forse era il caso di trovarsi un buon analista. E subito l’immagine del sogno di qualche mese fa le tornò prepotentemente alla mente: ci mancava anche Vitali in versione Freud e poi avrebbe potuto far concorrenza a Pirandello.

 

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Freddo. Sentiva solo il gelo attorno a sé e i suoi occhi non riuscivano a distinguere alcunché. buio, freddo e dolore erano le uniche cose che le facevano capire che era ancora viva, perché quando muori non senti niente, almeno non senti dolore.

Cercò di tirarsi su dal pavimento su cui giaceva, tentando di assumere una posizione semi-seduta, ma la testa pulsava così forte che non riuscì a fermare i conati che scossero il suo corpo. No, sicuramente non era morta.

Tese le orecchie, cercando di cogliere anche il più piccolo suono, un indizio su dove si trovava, ma un desolante silenzio si prese gioco dei suoi tentativi.

Strinse le braccia attorno a sé per infondersi un po’ di coraggio, di conforto: si impose di non farsi sopraffare dal terrore, doveva essere forte, doveva combattere perché c’era in gioco molto di più della sua stessa vita.

 

 

 

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A/N

Eccoci alla fine di questo quinto capitolo, spero vi sia piaciuto!

Ho deciso di includere i link alla musica che ha ispirato alcune delle parti che ho scritto, fatemi sapere se va bene questo tipo di link oppure preferite collegamenti a YouTube.

Sto cercando di scrivere capitoli più lunghi perciò non so se aggiornerò venerdì oppure direttamente lunedì prossimo, perdonatemi.

Aspetto i vostri commenti, positivi o negativi va bene tutto: per me è molto importante conoscere la vostra opinione ed anche eventuali aspetti di criticità che state riscontrando nella storia. Ogni commento è un tassello in più perché il mio stile migliori e cresca!

 

Vi faccio i più gioiosi auguri per una buona fine e un felice inizio d’anno!

A presto!

  
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