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Autore: Enchalott    31/12/2019    5 recensioni
Questa storia è depositata presso lo Studio Legale che mi tutela. Non consento "libere ispirazioni" e citazioni senza il mio permesso. Buona lettura a chi si appassionerà! :)
"Percepì il Crescente tatuato intorno all'ombelico: la sua salvezza, la sua condanna, il suo destino. Adara sollevò lo sguardo sull'uomo che la affiancava, il suo nemico più implacabile e crudele. Anthos sorrise di rimando e con quell'atto feroce privò il cielo del suo colore".
Genere: Avventura, Introspettivo, Sovrannaturale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Unisco l'aggiornamento settimanale agli auguri di buon 2020! ^^

L’effetto di un addio
 
Nonostante la fiamma viva ardesse da ore nel maestoso camino di pietra, le spesse coperte di morbida pelliccia e i tappeti posti per impedire che il gelo esiziale del Nord esalasse dal pavimento, Adara aveva freddo.
Si rannicchiò nel letto che divideva con Anthos, cercando di prendere sonno in quella nottata di tormenta, che conteneva in sé il biancore riverberante del ghiaccio. La luce era talmente forte che, inizialmente, aveva pensato che fosse per davvero spuntata la luna, forzando lo strato di nubi permanenti di Iomhar, contrariamente ad ogni attesa. Invece, il bagliore era dovuto alla neve, protagonista assoluta di quell’incredibile fenomeno ottico di rifrazione.
Il principe aveva tirato i tendaggi, facendo ripiombare la stanza nell’oscurità, ma un taglio eversivo di chiarore penetrava attraverso la fessura tra i due drappi di stoffa preziosa, infrangendosi sul suo volto assopito e illuminandogli i tratti.
Adara si domandò nuovamente come facesse a dormire senza indossare altro che una sorta di vestaglia leggera, che comunque gli restava semi aperta sul petto, e a non coprirsi affatto; soprattutto, si disse, avrebbe dovuto smettere di guardarlo come incantata.
Ogni tanto lui parlava nel sonno, ma ciò che usciva dalle sue labbra era espresso in un idioma incomprensibile, lo stesso che gli aveva sentito pronunciare la prima volta che si erano incontrati. Le parve che fosse passato un secolo da allora. Che quella fosse un’altra vita, ora quasi dimenticata. Invece, era trascorso poco più di un mese.
Un tempo esiguo, in verità. Eccessivo, considerando la sua missione e il fatto che il reggente non le avesse ancora mostrato il Testo Sacro di Jarlath. Però qualcosa le aveva raccontato, mentre era impegnata nel restauro dell’affresco e lei lo aveva comunicato a Màrsali, che a sua volta lo aveva riportato a Dionissa.
Avrebbe dovuto chiedere a suo marito se avesse qualche opinione in merito all’improvvisa aggressività degli Anskelisia riferita da Màrsali nell’ultima visione. Sperava che dietro all’episodio non ci fosse Anthos stesso oppure suo padre Stelio sarebbe stato davvero in pericolo in quella battaglia ad armi dispari.
L’instancabile veggente di Odhran era un supporto indispensabile, l’unico legame attivo con Erinna e con chi desiderava la salvezza universale, il loro fragile e spericolato tramite; sapere che sua sorella era viva e si era messa in gioco, che Rei si era quasi ristabilito ed era pronto a tutto le infondeva una forza straordinaria. Ne aveva necessità assoluta.
La fermezza coraggiosa di dormire accanto a Anthos, di non respingerlo del tutto quando le si avvicinava, di pregare ogni volta che il Crescente non smettesse di impedirgli di fare l’amore con lei.
Si sorprese per averlo pensato in quella modalità: il reggente non avrebbe mai usato termini così romantici per un rapporto fisico che interpretava semplicemente come dovuto e destinato a garantirgli un successore.
I vetri tintinnarono, assediati dalle prepotenti folate di vento.
Avrebbe dovuto cercare di prendere sonno, anziché spingere troppo oltre i pensieri. Anziché fissare il viso terribilmente affascinante del suo malvagio e feroce sposo.
Il giorno precedente il reggente aveva giustiziato due disertori. Senza pietà, anche se lei lo aveva pregato di concedere loro la grazia. Nessun perdono per i traditori, così aveva sentenziato, dando seguito all’atto senza esitazioni.
Le aveva procurato i brividi. Non avrebbe mai dovuto dimenticarlo, Anthos era un crudele assassino. Allora perché non ne aveva timore? Perché le sembrava così diverso quando si ritiravano nella solitudine della loro stanza? Forse, il fatto che il suo sonno fosse tanto agitato lo rendeva più umano ai suoi occhi… o la ragione che anche lui sentisse il dolore di una lama che gli trapassava le carni lo traduceva da mostro inumano a creatura mortale… o perché era bello come un sogno e sembrava tanto vulnerabile, disteso a una spanna da lei…?
Avrebbe potuto raggomitolarglisi accanto per scaldarsi un po’, certo non l’avrebbe rifiutata e altrettanto certo che non avrebbero più dormito.
La finestra ebbe un tremore veemente, che le diede un tuffo al cuore. Si mise a sedere, tendendo l’orecchio, ma non udì nulla a parte il sibilo della corrente che avvolgeva Leu-Mòr. Il principe non si era mosso: se si fosse trattato di un pericolo reale, sarebbe balzato subito sul chi vive. E l’avrebbe sorpresa a osservarlo, sempre che non ne fosse perfettamente consapevole anche con gli occhi chiusi.
Chissà se lui faceva lo stesso, quando era lei a essere immersa nel mondo onirico. Probabilmente no. Non le sembrava proprio il tipo… e poi Adara non si era mai considerata né una gran bellezza né particolarmente seducente. Non aveva lo splendore delicato e incantevole di Dionissa o, per contro, il fascino ammaliante e tentatore di Tsambika. Si riteneva incredibilmente ordinaria.
Che ragionamenti inutili e frivoli! Aska Rei l’avrebbe presa in giro a ripetizione e Narsas le avrebbe detto che, con quanto di meraviglioso possedeva nel cuore, non aveva assolutamente necessità di concentrarsi sull’esteriorità. O qualcosa di simile. L’arciere le mancava. Lo vedeva tutti i giorni, ma era la condivisione di vita che avevano stabilito durante il viaggio e che era giunta al suo inevitabile termine a Jarlath a farle provare come un’assenza insopportabile.
Sentì battere ripetutamente contro il vetro con voluta insistenza. Non poteva essere solo il vento! Ma che qualcosa avesse raggiunto quell’altezza vertiginosa, approdando sul terrazzino della Torre, pareva impossibile. Il cuore prese a batterle forte per il timore. Fu tentata di svegliare il principe, ma si ripeté che si sarebbe difeso per conto proprio. Si strinse addosso la veste da camera e rabbrividì. La tensione non la abbandonò.
Poi lo udì.
Un richiamo flebile e stanco, come un pigolio appena accennato, quasi mimetizzato e sovrastato dalla furia delle folate mugghianti della bufera. Un nuovo colpo secco.
Non poteva essere…
Scese dal letto con un guizzo e si diresse concitatamente verso la finestra.
Anthos aprì lentamente gli occhi e si sollevò su un gomito. Prima che potesse proferire parola, la ragazza allargò le tende e il chiarore albeggiante inondò di colpo la stanza, illuminandola praticamente a giorno.
“Oh, per tutte le stelle!” esclamò lei, in preda a un’agitazione folle e sgomenta.
“Adara…?”.
Non gli rispose. Spalancò le imposte e la tormenta ghiacciata penetrò violenta nell’ambiente, facendo volare i drappi del baldacchino e gli oggetti più leggeri. Invase Leu-Mòr, estinguendo le fiamme del camino e insinuandosi ovunque con un ululato furente. Il cilindro argentato della Profezia rotolò a terra con un tonfo ovattato.
“Adara!” ripeté il reggente raggiungendo la sponda opposta del letto, contemporaneamente irritato e sorpreso dall’atto inconsulto e dalla mancata replica.
La vide avanzare cautamente verso il balconcino sommerso di neve e tentare di trascinare dentro qualcosa di grosso e scuro.
“Che cosa stai facendo!?” enfatizzò, incredulo e sospettoso.
Ma lei non gli prestava attenzione: stringeva quel fagotto bruno e misterioso tra le braccia, seduta a terra sul tappeto, investita in pieno dalla tempesta e dai fiocchi candidi che vorticavano attraverso le imposte.
“Ti prego… ti prego…!”.
La sentì supplicare gli dei con voce rotta dall’agitazione. Sollevò una mano e la finestra si serrò all’istante con uno schianto. Il sibilo dell’aria fu sigillato all’esterno, ma la principessa non sembrò neppure realizzare l’atto.
“Oh, dei misericordiosi! Che ci fai qui…?”.
Anthos scorse delle penne nere e lucide volteggiare sul pavimento e si fece avanti, incuriosito: quello che sua moglie cingeva con angoscia crescente era uno strik di grosse dimensioni, che appariva sfinito dalla fatica e dal gelo.
Le sue ali immense erano ricoperte di cristalli di ghiaccio, ripiegate in modo innaturale nell’abbraccio affettuoso di lei. Respirava appena, il rostro arancione spiccava contro il pallore apprensivo del viso della donna, dischiuso nello sforzo di cercare l’ossigeno. Gli occhi tondi erano opachi e smorzati, come se non avesse contezza di sé.
“Azhulio, piccolo mio…”
Il principe si inginocchiò accanto a lei, esaminando da vicino il rapace. Notò l’anello legato alla zampa destra e lo sganciò con cautela. Il volatile si riscosse e gli sibilò contro, irato, reagendo a quel tocco non autorizzato, spalancando gli occhi argentati, tentando di difendere strenuamente la missiva che aveva trasportato. Le ali sbatterono tenacemente contro il pavimento, ma non riuscì ad afferrare col becco altro che l’aria. Gemette, fiaccato dallo sforzo.
“E’ tutto a posto, Azhulio…” sussurrò Adara, con la voce che tremava “Sei a casa, non fare sforzi. Ci sono io, lui è con me…”.
Anthos sgranò gli occhi. A quanto aveva intuito, il messaggero piumato proveniva dal Sud, dunque la missiva che aveva trasportato era certamente destinata a sua moglie. Con probabilità si trattava di una comunicazione riservata e importante, pertanto il fatto che lei non avesse obiettato sul suo intervento, anzi gli avesse concesso di prendere il contenitore lo stupì non poco.
Lo strik tremava di freddo ed era scosso da convulsioni che Adara cercava di placare e contenere con il calore del proprio corpo. A sua volta, era percorsa da brividi violenti, che ignorava, concentrata com’era sul maestoso uccello languente.
“Tsk!” ringhiò lui, ravviando la fiamma del camino con un gesto iroso dell’indice.
“Grazie…” sussurrò lei senza girarsi, affondando il viso nel piumaggio bluastro dell’animale, che era tornato inerte e pigolava con fiacchezza straziante.
“Portalo vicino alle fiamme, è praticamente assiderato” suggerì il principe con durezza “Muoviti o farai la stessa fine”.
La aiutò a sollevarsi, reggendo in parte il peso dello strik, e a sistemarsi accanto al riverbero aranciato del fuoco. Prese una spessa coperta dal talamo e li avvolse entrambi, fissando con severità la scena: il rapace ne aveva ancora per poco a ben vedere, ma Adara non sembrava rassegnata. Guardò poi l’anello metallico appoggiato a terra, chiedendosi cosa mai potesse contenere di tanto urgente per spingere un inviato alato a sfidare con tale azzardo le nevi di Iomhar.
“Si chiama Azhulio” sussurrò lei “Appartiene a mio padre. Il mittente può essere solo la regina. È successo qualcosa di grave a Erinna o non avrebbero affidato il messaggio ad un amico tanto caro e fedele, ma così anziano”.
“Amico?” ripeté il principe, sbalordito.
“Sì. Mia madre intende il linguaggio di alcuni animali e lui è un fratello di sangue”.
Lo strik si mosse debolmente, circondato dalla pelliccia e dalle braccia amorevoli della ragazza, rantolando con fatica.
Anthos si approssimò, sedendosi a terra e osservandolo. Non ce l’avrebbe fatta, era troppo provato e privo di energie vitali. Gli strik non erano animali stupidi. L’indole innata suggeriva loro quando continuare o quando lasciar perdere. Per quanto importante fosse una missiva, l’istinto di autoconservazione prevaleva, com’era giusto che fosse. Ma l’uccello che stava lentamente scivolando nell’oblio sotto lo sguardo impotente di Adara aveva evidentemente messo la propria incolumità al secondo posto. Pareva dannatamente impossibile.
“Coraggio, Azhulio…” stava mormorando lei, cullandolo come un bambino “Sei salvo. Sei al caldo, hai completato la tua missione. Non darti per vinto…”.
Gli occhi di metallo liquido del volatile sembrarono comprendere quelle parole e l’affetto che racchiudevano. Ma contenevano anche l’ombra inevitabile della fine.
Anthos sfiorò il corpo contratto della povera bestia, saggiandone le condizioni, e sospirò. Quelli erano i suoi ultimi istanti. Lo strik aveva scelto il sacrificio di sé, pur di raggiungere la sua principessa. Persino una forma di vita inferiore era stata capace di gettare al vento la propria esistenza per amore di un’altra. O forse per più di una. Irrazionale il solo pensarlo. Forse si era perso a causa delle bizze del tempo e non era più stato in grado di rientrare. Logico e inattaccabile come ragionamento.
L’uccello ebbe una contrazione più forte e stridette dolorosamente.
“Ti prego, piccolo, fai un sforzo… non lasciarti vincere… Non… non possiamo fare nulla per lui, Anthos?” domandò con la voce rotta dall’ansia.
“Puoi solo lasciarlo spegnere nel tuo abbraccio. È il suo momento, mi dispiace”.
“No…” esalò lei, cingendolo ancora più stretto “Non voglio che se ne vada! Non voglio che Azhulio paghi per aver svolto il suo dovere! A causa del mondo che finisce per un maledetto fallo di più di mille anni fa!”.
Il principe aggrottò la fronte, turbato. Se uno sbaglio esisteva era quello presente, più che quello avvenuto nell’era precedente. Non le cause, bensì le conseguenze, quelle che lui avrebbe fatto evaporare con feroce soddisfazione.
Lo strik sbatté pietosamente le ali, in un’agonia ormai terminale.
“No, Azhulio, resisti! Fallo per me! Fallo per la tua sorella umana… per Eudiya!”.
Lui aprì gli occhi ancora una volta e in quell’argento dolce e forte si disegnò la fierezza indomita con cui era sempre vissuto, l’accettazione di essere giunto al termine del suo percorso, la gioia di non essere solo nell’ultimo istante. Lanciò il suo estremo grido al cielo bianco del Nord, al vento portatore di preghiera, a chi amava.
Poi si spense.
“No! No no no! Ti prego, no! Azhulio, non puoi andartene!”.
“Adara…”.
“No! Non mi toccare!” gridò lei, scostandolo, con le lacrime che scorrevano lungo il viso e piovevano sulle piume brune dello strik “Azhulio!”.
“Adara. Devi accettarlo. Hai fatto per lui quello che potevi”.
“Non è vero!” gettò fuori lei, sconvolta, sollevando uno sguardo furente e straziato dal dolore “Sarebbe vivo! Se io non fossi dovuta venire qui, Azhulio non avrebbe intrapreso un volo per lui fatale! Questa è un’altra vita innocente che si è interrotta perché io non sono stata abbastanza forte! Perché qualcuno mi ha rallentata! Perché tu hai deciso di seguire la tua misteriosa via, fatta di crudeltà e rancore!”.
“E’ lo shock che ti fa sragionare! Il messaggero era anziano e il rigore del Nord gli ha assestato il colpo di grazia. È stata una scelta sua, non tua e nemmeno mia!”.
“No! È una mia responsabilità! Se io ti avessi convinto per tempo ad aiutarmi, a non deviare dalla Profezia, a diventare un alleato, il suo sacrificio non sarebbe stato necessario! Invece… invece ho fallito a sue spese! Quante altre vite incolpevoli saranno immolate per tutto questo? Che cosa succederà ancora per causa nostra? Rispondimi, Anthos!”.
Il reggente trasalì, travolto da quel fiume di parole sincere e appassionate, che lo trascinavano dentro a un obbligo che non aveva mai vagliato. All’interno del destino che gli pesava sulle spalle e che aveva deciso di scaricare per orgoglio e sete di vendetta. Era legittimo! Era giusto per lui decidere di spezzare un vincolo!
“Non conosco che cosa sia successo tra Irkalla e Amathira, ma so che ci è stata data una soluzione e che le scellerate azioni umane la stanno cancellando! Odio, rancore, brama di potere, assenza di altruismo! È quanto hanno sopportato queste povere ali nell’ultimo viaggio! Dimmi perché! Perché Azhulio è morto!?”.
Anthos strinse i pugni, ribollendo di collera. Adara si stava attribuendo la responsabilità di quella morte e di tutte le possibili altre. Ma a ben considerare il suo ragionamento, pur senza voluti sottintesi, l’unico ad apparire come il vero colpevole era lui. Se lei avesse saputo la verità, non avrebbe parlato a quel modo. Fu tentato di rivelargliela, di farle provare la paura immensa che si sarebbe generata da quella sincerità fuori luogo, che forse le avrebbe aperto gli occhi su tante delle sue fredde e ragionate motivazioni. Ma non lo fece. Decise di mantenere la solitudine interiore, di respingere il desiderio troppo umano di condividere con lei la propria realtà, di appoggiarsi a un’altra creatura, di permettere che lei continuasse a pensarlo come l’essenza stessa del male. In fondo era così. In fondo, lui lo era da quando aveva assunto le proprie decisioni irremovibili.
“E’ una sola la dea che ha deciso per il creato intero. Uno solo un dio in grado di perderlo o salvarlo. Il resto è una conseguenza sistematica. È ad essi che devi porre la tua domanda” rispose, glaciale.
“La pongo a me stessa. E anche a te!” gridò lei tra le lacrime “Se smetto di interrogarmi, di cercare di essere una fioca luce nell’ombra, di sperare nel futuro non ho alcun valore! Che cosa farai tu, quando dovessi essere l’unico dominatore del mondo come nel tuo unico, persistente, egoistico desiderio?”.
Il reggente vibrò di rabbia e sofferenza inespressa.
“Aspetterò la morte. Ma sarà essa a dovermi temere” ringhiò.
“Non è come muori…” mormorò lei, stringendo ancora il corpo inanimato di Azhulio “E’ come sei vissuto, Anthos…”.
Lui rimase privo di parole. Lo scoppio emotivo di sua moglie aveva portato a galla ben di più del comprensibile dolore per la dipartita dello strik. L’aveva reso universale e palpabile. Lo aveva scaraventato addosso a lui, senza puntargli direttamente contro l’indice. Eppure, lo aveva fatto sentire peggiore di quanto già non fosse.
Adara si incurvò. Le lacrime di disperazione ripresero la via, bloccandole la voce in gola. Piangeva. Per Azhulio, per il creato, forse anche per lui. Per un uomo che non era in grado di amare neppure se stesso.
Anthos la attirò a sé quasi con prepotenza, con ira, per mostrare che era ancora padrone dell’esistente e, incredibilmente, la ragazza non lo respinse. Anzi, appoggiò la testa sulla sua spalla e sfogò tutta la propria angoscia.
La stoffa avorio della sua veste si intrise di lei, del calore delle sue lacrime, dei singhiozzi soffocati contro il suo petto. Nessuno aveva mai diviso nulla a metà con lui. Era la prima volta che si trovava a ricevere una frazione dei sentimenti misti e contrastanti di un’altra persona. Rimase immobile per un tempo infinito, prima di decidere di inoltrarle le dita tra i capelli sciolti, prima di essere interpretato come pietoso e comprensivo.
“Adesso basta, Adara…” mormorò “Dallo a me”.
“No. Voglio abbracciarlo ancora un po’…”.
Anthos attese senza rialzarsi, con la fronte di lei appoggiata alla guancia e i pensieri che volavano in un luogo che nessun’altro poteva raggiungere. Dove neppure lui credeva di potersi addentrare.
“Devi lasciarlo andare, ora…” ripeté con inusitata gentilezza “Permetti alla sua anima di raggiungere la destinazione che le spetta”.
La principessa si riscosse a quelle parole e si risollevò. Abbassò ancora una volta il viso tra le piume bluastre dello strik e poi permise al giovane, inginocchiato al suo fianco, di prenderlo.
Le iridi d’ambra di Anthos erano velate di tristezza, ma possedevano una tenacia che penetrava la sfumatura lunare della stanza. La sua espressione era decisa e malinconica, come se quella fine, in fondo, avesse toccato anche lui.
Poi agì.
Inspirò e concentrò il proprio potere, reggendo tra le braccia il corpo senza vita di Azhulio, come se stesse eseguendo un rito ancestrale. Si espanse. Il bagliore verde che emanava era chiaro e brillante, dotato di un fulgore straordinario: si avvinghiò alle piume del rapace, le trasformò in chiarore accecante, celandolo lentamente allo sguardo sconvolto della ragazza.
Quando la luminosità irreale arretrò, tra le mani del principe non c’erano altro che due pugni di cenere finissima. Perché aveva consunto il corpo mortale dello strik? Era forse la tradizione nordica a imporlo? O in quel modo aveva tentato di esorcizzare il dolore lancinante che le aveva letto nell’animo?
Adara non fece in tempo a porgli alcuna domanda, poiché lui chiuse gli occhi e sollevò il viso, stringendo tra le dita innalzate la polvere che era stata Azhulio. Il suo respiro accelerò, come se stesse compiendo uno sforzo insostenibile. La luminosità verde tornò a rifulgere, schiarendo in una tonalità quasi dorata. La stoffa che indossava si gonfiò, spalancandosi e mostrando il Medaglione, che vibrava sul suo petto come una creatura viva. Il gioiello iniziò a splendere di tre colori e poi virò sul giallo, come se si stesse riscaldando per l’emissione energetica immane proveniente dall’uomo che lo reggeva con infinito potere.
I capelli biondi del principe si sollevarono, scossi da un vento invisibile, le ampie maniche della veste gli salirono fino alle spalle, scoprendogli le braccia allungate e contratte. Lo vide stringere i denti e gemere per la fatica, la sua fronte si imperlò di sudore. Parve sul punto di cedere, ma poi strinse le palpebre e la luce divenne ancora più intensa. Il Medaglione diventò incandescente, impossibile da guardare, e lui si piegò in avanti, come se avesse esaurito tutto il suo vigore.
La ragazza lo fissò esterrefatta, senza sapere che cosa stesse accadendo, impossibilitata a compiere qualunque azione difronte a quell’energia impressionante.
Poi ogni fenomeno sovrannaturale si estinse.
Tutto ripiombò nella penombra e nel silenzio, eccezion fatta per l’ansimare veloce del principe, che continuava a tremare vistosamente, quasi accasciato a terra.
“Anthos… ma cosa…?”.
Lui aprì le mani, bagnate di sudore, e le tese nella sua direzione senza parlare.
Adara sgranò gli occhi, sconvolta.
Sui suoi palmi aperti a ventaglio c’era un pulcino dalle piume scure, morbide e azzurrate, con un piccolo becco uncinato e due enormi occhi del colore dell’argento.
“Prendilo…” esalò lui, al limite delle forze.
La ragazza lo accolse con la convinzione di afferrare il nulla, invece il piccolo corpo caldo era reale. Lo fissò, senza raccapezzarsi, sconvolta.
Il mini strik pigolò, affermando con entusiasmo la propria effettiva esistenza.
Adara sollevò lo sguardo verso il reggente del Nord. Era cereo e sul suo petto nudo c’era un’ustione circolare, nel punto in cui il Medaglione rovente si era appoggiato di ritorno sulla sua pelle. Le ciocche bionde e scompigliate gli si erano appiccicate al viso e al collo. Era senza fiato, per la prima volta, e si puntellava al suolo con un braccio, incapace di rialzarsi o anche solo di muoversi.
“Anthos!” esclamò lei, incredula.
“Sto… sto bene” esalò lui in un soffio affaticato “Era… era tanto che non lo facevo… ho perso l’allenamento…”.
“C-cosa?” balbettò la ragazza, stupefatta “Tu hai… tu hai appena…”.
“Precisamente” sogghignò lui, quasi infastidito dalla sua eccessiva preoccupazione “Ho appena. Altrimenti non starei così male da…”.
Cedette di colpo e piombò in avanti, perdendo i sensi.
 
La principessa rimase raggelata per un istante. Poi appoggiò il pulcino su un cuscino, al sicuro, e si precipitò accanto all’uomo riverso a terra.
Gli prese il viso fra le mani e terse il sudore freddo che gli inumidiva la pelle; scostò con cautela il Medaglione dalla piaga rossastra che gli aveva impresso, constatando con sollievo che si era ormai raffreddato.
“Anthos…” sussurrò con apprensione sincera.
Lui non rispose e non si mosse, all’apparenza ancora privo di conoscenza. Gli appoggiò una mano sul petto, esitante. Il cuore batteva con regolarità, era la bruciatura a crearle il panico: in fondo, l’amuleto era un oggetto magico spaventoso e, anche se il principe era forte oltre la comune tolleranza, forse esso lo aveva completamente prosciugato. Non aveva idea di come comportarsi.
“Oh, dei…” mormorò, allarmata “Anthos!”.
Le labbra del giovane si schiusero in un sospiro lieve.
“Ti sento…”
“Dimmi cosa posso fare!”
“Niente. Sto bene” rispose lui, immobile.
“Detesto quando gli uomini fanno così!” brontolò lei, comunque sollevata “Voi e il vostro stupido amor proprio!”.
Lui sogghignò, socchiudendo le palpebre con fatica. Orgoglioso e arrogante come sempre. Si sfiorò il torace ed ebbe uno spasmo doloroso.
“Il Medaglione ti ha ustionato…. Che cosa è accaduto, Anthos, io non…”.
“Non era d’accordo con me” rispose lui, ironico.
“Non fare lo spiritoso! Mi hai spaventata, credevo fossi…”.
“Morto?” concluse il reggente, spostando gli occhi su di lei.
Adara non rispose, ma il suo silenzio fu molto più eloquente.
“Il pulcino…” disse in un fiato “Come sei riuscito a resuscitare Azhulio?”
“Non l’ho fatto”.
“Come sarebbe? Ho visto la cenere e poi lo strik e…”.
“Ti stai avvicinando al punto. Ho usato la cenere e basta. Neppure Reshkigal sarebbe in grado di far risorgere chi è defunto. Dovresti saperlo”.
“Allora non capisco…”.
“Non è necessario. Vedila così. Ho creato una seconda occasione. Sei tu che ne parli continuamente, ricordi? Ora l’hai sperimentata”.
“Ma l’uccellino è… Azhulio?”.
“Sì e no”.
“Ti prendi gioco di me, come al solito!”.
Anthos scosse il capo, ostativo, creandole ancora più dubbi. Poi cambiò argomento.
“L’anello che lo strik ha condotto... che cosa contiene?”
“Non lo so, non l’ho ancora aperto!” ribatté lei con tono di rimprovero.
Il principe non distolse lo sguardo dal suo viso, come se stesse indagando con cautela e sospetto su quell’affermazione, che implicava il fatto che Adara avesse dato la precedenza a lui, interessandosi maggiormente alle sue precarie condizioni rispetto alla missiva che era costata la vita ad Azhulio.
“Tu… hai freddo…” constatò lei, stupita, scorgendo la pelle d’oca increspargli improvvisamente le membra scoperte.
“Tsk!” sbuffò il giovane, contrariato, avvertendo effettivamente il pizzicore del gelo.
Prima che potesse nuovamente obiettare, la ragazza gli pose addosso una coperta di pelliccia, badando che non sfiorasse l’ustione ancora fresca.
“Lieto che ti prodighi per me” commentò lui “Non sei tenuta a farlo”.
“Non dire sciocchezze!” lo rimproverò lei “Non riesco a sollevarti e il pavimento non è il posto migliore per recuperare le energie. Dimmi che cosa ti serve, piuttosto”.
In giovane inarcò un sopracciglio, ma rimase indecifrabile e silenzioso per qualche tempo. Sul suo volto, che stava recuperando il colore, transitarono varie sfumature.
“Perché mi hai risparmiato?” proruppe poi all’improvviso.
“Cosa?”.
“Quando ho perso i sensi ero nettamente indifeso. Perché non mi hai ucciso?”.
Indicò il coltello nuziale ancora conficcato nel muro.
“Non mi è neppure passato per la mente di fare una cosa del genere!” si indignò lei.
“Con un nemico io non avrei perso un’occasione tanto favorevole e insperata”.
“Per me non lo sei!”.
Anthos socchiuse gli occhi e le sue iridi dorate luccicarono al riflesso delle fiamme.
“Un giorno mi verrà voglia di ascoltare che cosa sono io per te, allora…” sogghignò, come se avesse appena udito un’immane assurdità.
“Tu sei… futuro in potenza” ribatté prontamente la principessa.
Il giovane assorbì la definizione inconsueta, che ebbe come risultato quello di fargli percepire uno strano calore. Certo erano solo i suoi poteri che stavano tornando. Aveva decisamente esagerato, pur sapendo che sarebbe stato meglio non eccedere. Non con il Medaglione al collo e con il suo nemico, quello vero, ancora in giro. Sospirò, scuotendo la testa, ma un sorriso lievissimo gli incurvò le labbra.
Appoggiò il palmo della mano sulla bruciatura e attivò le proprie rigenerate facoltà, senza sforzo. Un chiarore tenue spuntò tra le dita raccolte a coppa. Quando abbassò il braccio, l’ustione era completamente scomparsa.
Adara fissò la sua pelle abbronzata e intatta, incredula.
“Sei… sei in grado di guarirti, quindi!” esclamò, colta alla sprovvista.
“Se è poca cosa, sì”.
“Allora, quando ti ho ferito con il pugnale, perché non ti sei curato?”.
“Chiaramente per farti sentire in colpa” fece lui, pungente.
“Oh!” sbottò lei, indispettita “Tu sei un… un… Non so neppure quale definizione appiopparti, Anthos di Iomhar!”.
“Quella di prima può bastare” rise lui “Anche se non capisco come ti sia uscita”.
Prima che lei potesse replicare, la afferrò con enfasi e la attirò a sé, facendole perdere l’equilibrio. La prese tra le braccia, girandosi su un fianco e la baciò, impetuoso e inarrestabile come uno tsunami. Sulle labbra, sul collo, sulla spalla denudata, sul braccio che esitava, indeciso se respingerlo o cedergli il passo. La strinse con vigore, accendendosi al calore reciprocamente trasmesso dai loro corpi stesi sul tappeto e protetti dalla spessa coperta. Il pulsare frenetico del cuore di lei contro il suo petto alimentò l’ardere del suo sangue; smise quasi di pensare, di percepirsi come singolo individuo mentre le slacciava la cintura di seta della veste, senza che nessun atto contrario lo ostacolasse.
Lei non lo allontanava e non interveniva, come sempre, come aveva promesso, ma quella sorta di già sperimentata assenza iniziò improvvisamente a disturbarlo, a essere inaccettabile. Ne prese coscienza con stupore, in mezzo al labirinto delle carezze con cui la sfiorava e che non gli venivano restituite. C’era qualcosa di diverso in quella percezione estenuante e ne comprese con sgomento la sorgente: lui stesso.
In quell’amplesso aveva smesso di essere distaccato e razionale, ne aveva preso parte piena, vera, e la realtà di quella condizione gli era piovuta addosso, iniettandogli la consapevolezza che ciò che avrebbe dovuto essere condiviso con amore assoluto non poteva essere attuato senza alcun sentimento. Non senza pagare un prezzo.
Giunse fino al limite che solitamente gli veniva concesso da Leuhan, scosso da quell’impietosa analisi interiore, pronto a saldare il medesimo conto, ma con animo completamente diverso. Tuttavia, di differente non c’era solo quello.
Il Crescente era immobile.
Adara se ne rese conto, disorientata, nell’abbraccio del giovane uomo che la cercava. Nessun sintomo, nessun bruciore, nessuno spostamento sottocutaneo. Non seppe identificarne la ragione, ma intuì in lui un’esitazione mai esibita, come se l’uso delle sue doti sovrannaturali gli avesse assorbito anche parte della sicurezza innata. No, non era corretto. Indifferenza. Era quella che pareva mancare nei movimenti vibranti di Anthos, nel fuoco delle sue labbra, nella leggerezza del suo respiro, nel profondo, terrificante abisso del suo sguardo.
Si sentì sciogliere e gelare difronte a una realtà che non si aspettava, unica testimone dell’incrinarsi sempre più inesorabile dell’immagine algida di lui a favore di una sembianza puramente umana. Forse era per quello che l’Imis’eli non reagiva, perché non c’era più nulla di imposto e insensibile nella loro contiguità. Perché nel momento stesso in cui aveva realizzato quell’impercettibile difformità, aveva iniziato a volere che lui le dimostrasse di essere davvero quel futuro in potenza che lei gli aveva attribuito. Quello intravisto nel bacio che gli aveva domandato. E Anthos aveva scelto di impiegare un linguaggio universale e antico come il creato per attestarlo.
Oppure no. Si ingannava, il Medaglione aveva speso troppo di sé e la sua mezzaluna non era più in grado di identificare il pericolo. Tremò a quel pensiero.
“F-fermati…!” supplicò, turbata.
Ma lui era già immobile e la preghiera risultò superflua. Le sue dita scivolarono sul tatuaggio inerte, solo per constatarne l’assoluta abulia.
“Il Crescente non…” mormorò lei.
“Mh” sogghignò lui, come se non fosse affatto sorpreso “In questo modo vorresti ringraziarmi per lo strik? O dimostrare che credi in me?”.
Adara trattenne il fiato, incapace di prevedere le sue mosse successive.
“No…” esalò piano, fissandolo in volto.
“Bene, perché sono troppo stanco” continuò lui, impassibile “Non ce la faccio”.
Si sollevò da terra, staccandosi dal loro abbraccio e lasciandola sola sotto la pelliccia.
Raccolse l’anello abbandonato e gettò un’occhiata incurante sul pulcino assopito.
Adara smise di arrovellarsi su tutto ciò che le martellava il cervello e sul fatto che lui si comportasse sempre all’opposto di quanto ci si poteva aspettare. Con il dubbio che, invece, il reggente avrebbe potuto benissimo completare il rapporto.
“Me ne farò una ragione!” rispose con rabbia.
Anthos si strinse addosso la veste chiara e la guardò, interessato.
“Il letto è più comodo, non credi?” le disse, ironico sollevando il bussolotto con la lettera “E questa potrebbe essere urgente. Vuoi che rompa io il sigillo?”.
“Sì!” borbottò la ragazza.
Il principe sorrise, allusivo, facendola avvampare ancora di più.
   
 
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