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Autore: Naco    03/01/2020    1 recensioni
Quando la sua professoressa di tesi propone a Lucia - seria e coscienziosa laureanda in Lettere - di dare ripetizioni di francese al proprio figlio, la ragazza capisce subito che, accettando, rischia di cacciarsi in un mare di guai: Giulio Molinari è il classico figlio di papà che pensa solo alle ragazze e assolutamente disinteressato a costruirsi un futuro Insomma, il tipo di persona che lei detesta.
Ma è davvero così impossibile che due persone così diverse possano avvicinarsi? In una girandola di battibecchi, scontri e incomprensioni, tra parenti ficcanaso e fedeli amici, tesi da preparare e lezioni di francese da seguire, Lucia e Giulio si renderanno presto conto che non sempre l’altro è poi così diverso da noi e che, forse, la nostra anima nasconde un ritratto molto più bello di quello che noi preferiamo mostrare agli altri.
Genere: Commedia, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Universitario
Capitoli:
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Il giorno in cui sua sorella presentò Stefano a tutta la famiglia, Lucia se lo ricordava bene: aveva dodici anni e da poco aveva scoperto cosa significasse avere una delusione d’amore. La causa era stata Mirko, suo compagno di classe e successivamente suo migliore amico, di cui si era presa una cotta. All’inizio era sembrato che lui la ricambiasse, tant’è che un pomeriggio erano usciti insieme e lui l’aveva anche baciata. Era stato un bacio un po’ infantile, solo uno schiocco di labbra, diverso da quelli che aveva visto tante volte nei film, ma a lei era bastato per essere la ragazza più felice del mondo.
La sua breve storia d’amore non era durata neanche una settimana: la domenica successiva Mirko era partito per il campeggio ed era tornato due settimane dopo mano nella mano con una ragazzina dell’altra sezione che aveva già il fisico di un’adolescente, si truccava e si atteggiava a donna matura, pur avendo la loro stessa età.
Lucia, invece, non era nulla di tutto ciò: era da poco diventata donna, odiava il rosa e sua madre le ripeteva in continuazione che era un maschiaccio e che non avrebbe mai trovato nessuno che avrebbe voluto sposarla se avesse continuato a comportarsi in quel modo.
A Lucia questi discorsi non erano mai importati granché, ma da quando Mirko l’aveva lasciata aveva iniziato a pensare che sua madre potesse avere ragione.
“Forse dovrei essere un po’ più come Giovanna” si disse quando, quel giorno, vide il fidanzato di sua sorella: era alto, molto più di sua sorella, aveva i capelli neri come la pece, gli occhi dello stesso colore e sorrideva sempre.
Lucia adorava Giovanna: era bella, dolce, gentile, tutto quello che lei non era, ma non glielo faceva mai pesare, anzi forse erano così legate proprio perché erano tanto diverse.
«Non cambiare mai, Lu'» le diceva sua sorella ogni volta che la loro madre l'accusava di essere poco femminile. «Tu sei meravigliosa perché sei così.»
Giovanna aveva sette anni più di Lucia e, a quell’età, sette anni sono tanti. Quando era più piccola, Lucia rimaneva per ore a fissarla mentre si truccava: le piaceva la precisione con cui si metteva il rimmel o il modo sensuale con cui stendeva il rossetto.
«Quando sarai più grande ti insegnerò come fare» le aveva detto tante volte e adesso che aveva raggiunto la pubertà ed era pronta ad imparare, non vedeva l’ora che sua sorella mantenesse la sua promessa; non che i trucchi l’interessassero, anzi li detestava, ma la sola idea che sua sorella si sarebbe seduta accanto a lei per insegnarle i suoi segreti la riempiva di gioia.
Soltanto che ormai Giovanna era completamente presa dal suo Stefano e si curava poco di lei. Non che si fossero allontanate o che le avesse dimostrato di non tenerci più, questo no: ogni tanto l’aiutava ancora con i compiti, ma non aveva più l’esclusiva della sua compagnia.
Eppure, non riusciva a odiare Stefano né a esserne gelosa: lui era sempre gentile quando andava a trovarli e quell’estate qualche volta le aveva persino proposto di andare al mare con loro. In quei momenti, quando sorseggiavano insieme una granita sotto l’ombrellone, Lucia pensava che sarebbe stato bellissimo se quei giorni fossero durati per sempre.
Ma la vita non è una commedia romantica destinata ad avere sempre un lieto fine, e questo Lucia lo imparò molto presto. Durante la primavera successiva, mentre lei era alle prese con lo studio che quell’anno si era fatto sempre più difficile, l’idillica storia d’amore tra Giovanna e Stefano aveva preso una piega che lei non si sarebbe mai aspettata e i due avevano iniziato a litigare sempre più spesso.
Lucia all’inizio non si era accorta di nulla, troppo presa dai propri compiti; tuttavia, non ci era voluto molto perché le loro liti diventassero sempre più furiose e la voce di sua sorella le arrivasse all’orecchio forte e chiara pur trovandosi dall’altra parte della casa.
Il motivo per cui i due avessero iniziato a discutere, però, le era oscuro: sua sorella non gliene parlava, magari pensava che fosse ancora troppo piccola per comprendere, e le uniche informazioni di cui era entrata in possesso erano solo frammenti di conversazioni che aveva sentito per caso, mentre Giovanna si sfogava con sua madre oppure quando ne parlava al telefono con Marta, la sua migliore amica.
Da quanto aveva intuito, si trattava di problemi causati dal lavoro di lui: da qualche mese, Stefano aveva iniziato a lavorare presso l’azienda del padre e non aveva avuto molto tempo per stare con la propria fidanzata; Giovanna l’accusava di non aver preso con serietà il loro rapporto perché non era possibile che non riuscisse a trovare un paio d’ore per uscire insieme: benché fossero di due paesi diversi, la distanza non era molta e lei non si sarebbe fatta alcun problema a raggiungerlo, se lui avesse voluto davvero vederla.
Com’è ovvio, questa situazione aveva reso Giovanna sempre nervosa e intrattabile: non era raro che se la prendesse per nulla e che si rivolgesse in malo modo persino a sua sorella, quando lei le si avvicinava anche soltanto per parlarne e sapere come stesse. Lucia si rendeva conto che sua sorella non ce l’aveva con lei, che era solo arrabbiata con Stefano, quindi non se la prendeva, ma dentro di sé soffriva. Come erano arrivati a quel punto? Sempre più spesso si domandava se avrebbero vissuto ancora quelle giornate felici al mare.


Poi, tutto ad un tratto, sua sorella tornò quella di sempre: aveva ripreso a sorridere ed era molto più serena e allegra. Questa volta, era stata la stessa Giovanna a spiegarle il motivo, raggiungendola nella sua stanza.
«Ad agosto Stefano mi porta a Venezia» se ne uscì all’improvviso, felice.
Lucia era contenta per lei, ma c’era qualcosa che la lasciava perplessa.
«Quindi vi siete chiariti?» s’informò infatti e Giovanna annuì. «Mi ha detto che è stato un anno complicato e che abbiamo bisogno di stare un po’ di tempo insieme, noi due da soli, per parlare e ricominciare a conoscerci. Oh, Lu’, mi dispiace tanto! Sono stata una stronza nei tuoi confronti in questi mesi. Mi perdonerai, vero?»
Certo che la perdonava, come poteva avere dei dubbi in proposito? Lucia tirò un sospiro di sollievo, sicura che la prossima estate sarebbe stata bella e divertente come la precedente. Eppure, nonostante tutto, c’era ancora qualcosa che continuava a renderla inquieta: perché, se si erano chiariti, Stefano non era ancora passato a trovarli neanche una volta? Per il lavoro? O temeva di non essere più ben accetto, dopo il periodo turbolento che avevano avuto?
Tuttavia, Lucia non esternò i propri dubbi a sua sorella e continuò ad ascoltarla parlare dei suoi piani e di quello che avrebbero visto e fatto durante quella settimana. Sprizzava gioia da tutti i pori e lei non se la sentì di rovinarle quel bel momento. Inoltre, se le sue paure si fossero rivelate infondate, l’avrebbe solo fatta preoccupare per nulla.
A posteriori si era chiesta molte volte se le cose sarebbero andate in modo diverso se quel giorno le avesse parlato, ma conoscendo sua sorella si rendeva conto che molto probabilmente lei non l’avrebbe ascoltata e avrebbe bollato i suoi dubbi come una sciocchezza partorita dalla sua fervida immaginazione.
«Sabato ce ne andiamo al mare, che ne dici? Solo noi due.» le propose Giovanna un paio di giorni dopo. Il sabato successivo sarebbe stato il suo compleanno e l’idea di festeggiarlo con la sua sorella ritrovata la riempiva di felicità. Giovanna specificò che sarebbero andate sulla loro spiaggia preferita, quella su cui erano state tante volte con Stefano, l’anno prima; poi, sulla via di casa, avrebbero preso un gelato e sarebbero andate a pranzo dalla nonna che, come sempre, non perdeva occasione di riempire i propri nipoti di succulente leccornie. Sarebbe stata una giornata fantastica, ne era sicura.


Il venerdì successivo Lucia era intenta ad aiutare sua madre a stirare, quando sulla soglia della cucina apparve sua sorella: aveva un abito leggero verde smeraldo che faceva risaltare ancora di più i suoi capelli scuri e la pelle già abbronzata.
«Vado da Stefano.» annunciò entrando in cucina.
Sua madre guardò l’orologio perplessa. «A quest’ora?»
«Ma sono solo le nove, mamma! Mi ha detto che è tornato a casa una mezz’ora fa ed era stanco morto. Non faremo tardi, promesso! E poi, domani io e Lucia abbiamo da fare!» fece un occhiolino complice a sua sorella e corse fuori, ebbra di felicità.
Ma Giovanna non mantenne mai la sua promessa.
Era da poco passata la mezzanotte, quando il telefono di casa squillò.
I suoi genitori erano già a letto, mentre Lucia stava rispondendo ai primi messaggi di auguri che aveva ricevuto dalle sue amiche. Fu suo padre a prendere la chiamata, più scocciato che preoccupato: gli scherzi telefonici non erano rari e tutti e tre avevano subito pensato a qualche idiota che non aveva niente di meglio da fare.
Il telefono era nell’ingresso, non troppo lontano dalla stanza di Lucia. Probabilmente fu quello il motivo per cui le bastarono pochi secondi per avvertire che doveva trattarsi di qualcos’altro: suo padre non solo non aveva sbattuto il telefono in faccia a qualunque imbecille avesse deciso di chiamare a quell’ora, ma non aveva pronunciato più una parola dopo il “Pronto?” di rito. Inquieta, si alzò e si affacciò sul corridoio: suo padre era fermo, immobile, la cornetta stretta tra le mani, il volto pallido come non l’aveva mai visto.
«Va bene, grazie. Arriviamo subito.» furono le uniche parole che pronunciò prima di abbassare il ricevitore; tuttavia, non si mosse, ma rimase per qualche istante fermo davanti al telefono.
«Papà, che succede?»
Solo allora l’uomo parve accorgersi di lei.
«Io e la mamma dobbiamo andare in un posto.» fu la sua laconica risposta e questo la spaventò ancora di più.
«Dove? Perché? Che succede?»
Adesso era terrorizzata e aveva iniziato ad urlare. Poco dopo anche sua madre si manifestò per rendersi conto di cosa stesse succedendo; tuttavia, le bastò incontrare sguardo del marito per realizzare che la situazione era più grave di quel che volesse far intendere alla figlia.
«Mi cambio subito.» fu tutto quello che disse, lei che di solito non si muoveva se prima non le era stato spiegato per filo e per segno cosa stesse accadendo e dove dovesse andare.
Lucia, però, non era intenzionata a seguire l’esempio materno e continuò a bombardare suo padre di domande, inseguendolo nella sua stanza. Alla fine, forse per esasperazione, forse perché anche la sua figlia più piccola meritava di essere informata, visto che dopotutto non era una bambina dell’asilo, l’uomo si voltò verso di lei: «Giovanna ha avuto un incidente e l’hanno portata all’ospedale. Stiamo andando lì.»
Il tuffo al cuore che avvertì quella volta non l’avrebbe più dimenticato. Rimase immobile, incapace di parlare e respirare, un’unica immagine in mente: sua sorella sulla soglia della cucina, felice e sorridente, che le faceva un occhiolino e salutava lei e la mamma prima di uscire.
«Cosa le è successo? Come sta?»
«Non me l’hanno detto per telefono. Tu va’ a prepararti, ché ti portiamo dalla nonna.»
Ma Lucia non ne volle sapere: voleva andare con loro, voleva notizie di sua sorella, voleva vederla. A nulla valsero i no di suo padre e le minacce di sua madre: era disposta a tutto, pur di non rimanere a casa, persino a impedir loro di uscire. E così, la ebbe vinta.


Alle 4.17 minuti del 25 giugno, giorno del compleanno di Lucia, il cuore di Giovanna smise di battere per sempre.
Da quanto fu loro spiegato appena giunti all’ospedale, Giovanna aveva perso il controllo della propria auto che era andata a sbattere contro il guard rail, uscendo fuori strada e schiantandosi contro un albero. A giudicare dai segni sull’asfalto e dalla testimonianza di chi l’aveva soccorsa, andava a una velocità molto alta, il che era strano, visto che era una ragazza molto coscienziosa e guidava con molta prudenza, soprattutto su quelle strade di campagna, note per non essere tra le più sicure.
Era stato un uomo che viaggiava dietro di lei a chiamare l’ambulanza che era arrivata in fretta; tuttavia, le ferite che aveva riportato la ragazza erano troppo gravi e non erano stati in grado di salvarla, nonostante avessero fatto tutto il possibile.
Fu poi Marta, con voce rotta dal pianto e dalla rabbia, a fornire quei dettagli che mancavano per ricostruire un quadro chiaro della situazione: benché avesse detto alla sua fidanzata di essere a casa, Stefano quella sera era uscito. Giovanna, non trovandolo, aveva fatto un giro per il paese, sicura che fosse andato a fare una passeggiata; invece, proprio quando stava per abbandonare le ricerche e tornarsene a casa, la mente piena di domande e di perché, l’aveva intravisto. Era in un bar, con una tipa che non aveva mai visto e che scoprì essere una delle dipendenti che lavoravano nell’azienda del padre di lui. Per quanto fosse una ragazza buona e a tratti ingenua, non le ci era voluto molto per notare il legame che univa i due.
Le era bastato entrare nel locale e incrociare lo sguardo colpevole di Stefano per afferrare la situazione. A quanto pareva, la loro relazione era iniziata poche settimane dopo che il ragazzo aveva iniziato a lavorare con suo padre, più o meno nello stesso periodo in cui erano iniziate le liti con Giovanna, e Stefano aveva progettato quella vacanza per trovare il coraggio di dirle che tra loro era finita.
Sconvolta, Giovanna era corsa via piangendo e aveva subito chiamato la sua migliore amica per sfogarsi.
«Le avevo detto di non tornare a casa da sola» concluse Marta tra le lacrime «Mi ero offerta di andare a prenderla io, non poteva guidare in quelle condizioni, era distrutta. Ma non ha voluto ascoltarmi, ha detto che voleva restare per conto suo. È stato lui, è stato Stefano ad ucciderla!»
Dal canto suo, Lucia visse quelle ore come se fosse in un limbo. Era tutto in sogno, un brutto, bruttissimo sogno, continuava a ripetersi. Presto si sarebbe svegliata, sarebbe andata in cucina per far colazione e sua sorella l’avrebbe salutata con un sorriso, pronta per la bellissima giornata che avevano programmato insieme.
Eppure il tempo passava e tutto sembrava così maledettamente reale. Fu soltanto quando, alle prime luci dell’alba, vide ormai il corpo freddo e immobile di sua sorella, coperto solo da un lenzuolo bianco, che realizzò la crudele verità: Giovanna, la sua amatissima sorella maggiore, non c’era più.


*

Fu un urlo a svegliarmi. All’inizio non mi resi conto da dove provenisse, ma quando avvertii le lacrime sulle guance e un dolore lancinante al petto, compresi che giungeva dalla mia gola e che stavo ancora gridando.
«Lucia! Lucia!»
Qualcuno mi stava chiamando, ma avevo le orecchie ancora piene dell’eco delle mie grida per rendermi conto di chi fosse quella voce.
Dove mi trovavo? Quella non era casa mia. Né quella che avevo a Bari né la villetta in cui abitavo con i miei genitori e mia sorella.
«Lucia! Lucia!»
Chi era quella persona che mi chiamava? Cosa voleva? Mi sembrava di conoscere quella voce, ma non riuscivo a ricordare dove l’avessi sentita. Sembrava turbata, però. Curioso, non ricordavo di chi fosse, ma ero sicura di non averla mai sentita così sconvolta.
Era quella di papà? Anche lui aveva un timbro simile, quella notte.
No, non era lui. Chi diavolo era, allora? Provai a divincolarmi: era qualcuno che voleva farmi del male?
«Lucia, ti prego, calmati. Sono io, Giulio!»
Giulio?
Giulio… Molinari?
All’improvviso spalancai gli occhi e, questa volta, riconobbi la mia stanza, quella che per sette anni avevo occupato prima di trasferirmi a Bari. Giulio Molinari continuava a scuotermi con violenza, spaventato.
«Giulio?» riuscii a dire con un filo di voce: avevo la gola secca e la mia voce era poco più di un sussurro, ma per fortuna la sentii e smise di scrollarmi, sollevato.
«Stai bene? Ti ho sentita urlare e…»
Un incubo.
Avevo avuto un incubo.
Erano anni che non mi accadeva.
Non ricordavo niente di quello che era accaduto dopo che avevo realizzato davvero che mia sorella era morta. Mi è stato raccontato che ero come impazzita. avevo continuato a urlare il nome di Giovanna, pregandole di svegliarsi e di parlarmi, tanto che avevano dovuto sedarmi.
Nei primi mesi dopo la morte di mia sorella, non riuscivo a chiudere gli occhi senza rivedere davanti a me la sua figura stesa su quel letto d’ospedale, pallida e immobile. Mi svegliavo nel cuore della notte urlando e mio padre mi raggiungeva nella mia camera e restava con me finché non mi addormentavo di nuovo; mia madre, invece, non veniva mai: sin da subito aveva iniziato a prendere dei sonniferi che la facevano dormire profondamente per calmare i suoi, di incubi. Non avevo idea se ne facesse ancora uso, ma non avevo mai avuto il coraggio di prendere l’argomento.
Man mano che crescevo, gli incubi avevano cambiato forma: sognavo un passato che non c’era, in cui mia sorella si riprendeva, si sposava e aveva addirittura una figlia – era sempre una bambina, nei miei sogni – oppure in cui non accadeva nulla e andavamo al mare come avevamo programmato. Al risveglio da quei sogni bellissimi, che si trasformavano in incubi appena tornavo alla terribile realtà, mi ritrovavo sempre scossa dai singhiozzi.
Quando poi mi ero iscritta all’università, avevo deciso di vivere da sola, anche se avrei dovuto sostenere spese maggiori: non sopportavo l’idea di condividere quei momenti così personali con degli sconosciuti.
Con il passare degli anni, sia gli incubi che quegli strani sogni a poco a poco erano scomparsi, ed ero ormai convinta che il peggio fosse passato.
Fino a quel giorno.
“Sto bene”, avrei voluto rispondergli, ma quelle due parole erano intrappolate nella mia gola e non riuscivano ad uscire – forse perché erano una bugia? – perciò mi limitai ad annuire.
«Hai bisogno di qualcosa? Vado a prenderti un po’ d’acqua?»
Anche stavolta, non riuscii a parlare, così scossi la testa.
Fintanto che, lentamente, riprendevo il controllo del mio corpo, Molinari rimase a osservarmi, gli occhi celesti che splendevano alla luce dei lampioni che, dall’esterno, entrava nella mia stanza. Quando avevo i miei attacchi, mio padre per tranquillizzarmi apriva le finestre, per mostrarmi che andava tutto bene là fuori e io, ormai, non riuscivo più a dormire con le tapparelle abbassate.
«Mi…»
Mi dispiace averti svegliato, ma va tutto bene. Ormai ci sono abituata. Torna pure a dormire. Ero sicura di riuscire a dirglielo stavolta, ma a quanto pareva mi ero sopravvalutata: quel groppo che sentivo sul cuore decise di esplodere proprio in quel momento in un singulto violento e si riversò in un fiume di lacrime che non riuscii a controllare.
Mentre nuovi singhiozzi, sempre più forti, mi scuotevano, continuai a chiedermi il perché. Perché quella sera? Perché davanti a Giulio Molinari, l’unica persona a cui non avrei mai voluto mostrarmi in quelle condizioni?
Tuttavia, lui non mi prese in giro né tanto meno fece stupide battute; anzi, mi cinse con delicatezza e, sebbene una parte di me volesse allontanarlo, mio malgrado appoggiai la testa sul suo petto.
«Va tutto bene, era solo un sogno» continuò a ripetermi all’orecchio, accarezzandomi i capelli con una dolcezza che non avrei mai creduto possibile da parte sua. La sua voce era calma e melodica, quasi una ninna nanna. Avvertii il mio corpo distendersi piano piano e i singhiozzi farsi sempre meno intensi.
Non ho idea di quanto tempo rimanemmo così, ricordo solo che quella notte non fui più colta dagli incubi.


Nota dell’autrice
Salve a tutt*! Spero che abbiate trascorso delle belle vacanze e che abbiate mangiato, bevuto e giocato (e vinto! XD) tanto! Come avete potuto notare (o forse no XD) la scorsa settimana ho saltato il mio aggiornamento. Sono stata combattuta fino all’ultimo se postare il capitolo oppure no, ma alla fine ho deciso di non farlo: come avete potuto notare, non si tratta di un capitolo allegro, tutt’altro; per me, è stato doloroso scriverlo, e ancora oggi mi fa male rileggerlo. Ed è proprio per questo che ho voluto risparmiarvelo proprio la settimana di Natale.
Più lo rileggo, più ho dubbi: sono riuscita a rendere bene i sentimenti delle due sorelle e il dolore che Lucia prova? Avrò esagerato? Sono stata banale? Oggi, più che mai commenti, critiche e consigli sono più che ben accetti.
   
 
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