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Autore: Nadine_Rose    04/01/2020    2 recensioni
Sarah ed Hermann sono rispettivamente due tra le tante vittime e i tanti carnefici nell’ora più buia della storia dell’umanità. Il campo di Fossoli, anticamera dell’inferno nazista, sarà la loro comune e perenne prigione d’amore malato.
Matteo, un giovane pescatore, sarà colui che proverà a sciogliere il cuore di Sarah dalle catene del tenente Hermann, nello speranzoso e disperato scenario del dopoguerra napoletano.
[Capitolo 65: Un amore a Fossoli]
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Genere: Drammatico, Sentimentale, Storico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: Tematiche delicate | Contesto: Olocausto, Dopoguerra
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Immagine dal film “L’amore oltre la guerra”

 

Capitolo 19

                                                               

Gocce di miele

 

“Fummo quello che non si racconta né si ammette, ma che mai si dimentica.”

Frida Kahlo

 


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Immagine dal film “Il club del libro e della torta di bucce di patata di Guernsey”

 

Berlino, settembre 1946

 

Hermann sostava sul portico di casa, con la spalla sinistra appoggiata a una delle due colonne e la sigaretta tra le dita, ridotta quasi a un mozzicone. L’ultima boccata di fumo si dissolse nell’aria grigia e fredda della sera, tipicamente berlinese.

In Italia, il clima doveva essere ancora estivo.

Con un’acuta fitta di dolore, la cicatrice dietro la nuca gli preannunciava l’avvicinarsi dell’autunno e gli ricordava quanto fosse stato idiota a non fuggire insieme a Sarah durante la battaglia partigiana di Gonzaga. Per continuare a perseguire gli assurdi ideali di superiorità ariana e il suo sciocco amor di patria, aveva rinunciato al grande amore della sua vita.

Gettò la sigaretta sui gradini e, portando le dita sulla cicatrice, strinse i denti in una specie di ringhio, brontolandosi per il dolore, poi rivolse lo sguardo verso il fondo della strada. Cumuli di macerie si ergevano ancora ai lati dei marciapiedi sui quali, un tempo, le persone passeggiavano tutte in ghingheri, felici e orgogliose, esibendo la loro fedeltà al nazismo con la svastica al braccio. Adesso, come fantasmi, quelle stesse persone si aggiravano in vestiti logori e a testa bassa, ripiegate sotto il peso di una colpa che avrebbe gravato per sempre sulle loro coscienze.

E la sua coscienza pesava delle migliaia di persone transitate per Fossoli, prima di finire nei campi di sterminio, e dei sessantasette uomini di cui aveva guidato il plotone di esecuzione, durante un’alba estiva, presso il poligono di tiro di Cibeno. Quella sera, dopo una lunga e faticosa giornata, tornato nella sua camera, Sarah lo aveva respinto, spintonandolo e colpendolo con un cuscino e dandogli dell’assassino, con le lacrime agli occhi e con la voce carica di disperata rabbia. E lui aveva incassato i colpi, conscio di aver eseguito un ordine insensato e di aver fatto uccidere persone innocenti, tra le quali vi era anche un ragazzino di soli sedici anni[1].

Ripercorrendo le sensazioni di allora, capì quanto avesse temuto di perderla in quei momenti e ancora lo attanagliò la paura, pensando che Sarah potesse ricordarlo per il suo lato peggiore, come un criminale nazista, o peggio, andando a ritroso, come il suo stupratore.

Hermann rabbrividì per i sensi di colpa e il nostalgico desiderio di quegli occhi dolci e dorati, come gocce di miele; di quelle labbra morbide e rosate, così teneramente esitanti ai suoi primi baci; di quella cascata di capelli neri che, sfiorati dalla luce, brillavano di sfumature color rame; di quelle mani delicate e affusolate, da riscaldare prima di farsi accarezzare.

Incrociò le braccia e si strinse nella camicia, ancora un po’ troppo larga, nonostante avesse ripreso qualche chilo. Stentava ancora a riconoscersi e ad accettarsi in quel nuovo corpo, senza più muscoli e pieno di cicatrici, marchio indelebile delle torture inflittegli dai soldati russi. Ed era quello stesso corpo – con il quale, un tempo, aveva percorso la pelle olivastra, vellutata e illibata di Sarah – che, adesso, smagrito e indebolito, gli impediva di tornare da lei.

“Hermann!” La voce di suo padre, accompagnata da una mano sulla spalla, lo ridestò bruscamente dai suoi pensieri. “Tutto bene?”

“Sì”, rispose frastornato e la sua espressione palesemente sconvolta ne rivelò la bugia.

“Non si direbbe, sei pallido come un fantasma”, fece Karl, dando un accento severo al suo tono apprensivo, “vuoi che chiami il dottor Schneider?”

Nessun medico, neanche un luminare come Schneider, grazie al quale stava rimettendosi in sesto piuttosto velocemente, avrebbe potuto curare la sua malattia e, con molta naturalezza e senza alcun pudore, lo lasciò intendere anche a suo padre, dicendo malinconico: “Non avrebbe nessuna cura.”

Karl sospirò profondamente ed emise uno sbuffo disperato, portandosi le mani alle tempie. “Ancora con questa storia? Io non ne posso più”, ribatté e l’esasperazione comparsa improvvisamente sul suo volto fece credere a Hermann che fosse in procinto di prenderlo a schiaffi.

Di suo padre aveva ereditato gli occhi, l’intuito e la caparbietà e sapeva benissimo che avrebbe fatto o detto qualsiasi cosa pur di dissuaderlo dal ritornare in Italia.

“Prova a ragionare solo per un attimo”, riprese, infatti, mentre il suo tono diventava pian piano più morbido e persuasivo, “sono passati due anni e, come te, anche lei potrebbe essere cambiata. Hai detto di averla abbandonata e non credi che potrebbe serbare del rancore e non volerti più?” Ed ecco che suo padre iniziava a dare voce alle sue paure. “Potrebbe aver ritrovato qualche membro della sua famiglia o avere un altro uomo accanto. Perché sconvolgerle la vita? Dopo tutto quello che ha passato, poverina.”

Hermann emise un ghigno e, scuotendo il capo in segno di dissentimento, disse ironico: “Ma quanto sei ipocrita. Vorresti farmi credere che t’importa qualcosa di lei?” Poi si fece d’un tratto serio e lo guardò intensamente negli occhi. “Io tornerò in Italia, con o senza il tuo aiuto.” Ma sapeva benissimo che senza i contatti di suo padre sarebbe stato tutto più difficile.

Karl lo sfidò con sguardo altrettanto tagliente e, sfogando la tensione in un profondo sospiro, ribatté: “E va bene, ti aiuterò. Non sopporto più vederti ridotto in questo stato.” Le parole di suo padre si rincorrevano lente in un intreccio di rassegnazione e disprezzo. “A causa di un’ebrea.”

Con uno scatto rabbioso, gli volse le spalle e rientrò nel portone, lasciando Hermann da solo, deluso ma risollevato, pronto a perdersi ancora nei rimorsi e a rifugiarsi nel ricordo di Sarah.

 

Napoli

 

“Se continui così, finirai per distruggere il tuo meraviglioso anello”, proruppe Hannah, ostentando dell’ironia.

Distesa sul letto, senza la benché minima intenzione di addormentarsi, Sarah non faceva altro che girare e rigirare l’anello di fidanzamento attorno al dito, fissandolo con aria vaga e sognante e ripensando a ogni singolo istante vissuto nella magia di Sorrento, “la terra delle sirene”, insieme a Matteo e fantasticando sul giorno seguente, quando avrebbe visitato la loro futura casa, quella con il tetto rosso, di fronte alla banchina.

Alzò un po’ la testa dal cuscino e rivolse all’amica un ampio sorriso rilassato, dicendole: “Sai, Hannah, non è affatto vero quello che si dice sui pescatori. Lui è così sensibile, gentile, romantico. È speciale.”

Hannah sospirò estasiata, poi si girò su un fianco e, appoggiando il gomito sul cuscino e la testa sulla mano, le chiese: “E lui è il tuo primo amore?”

In un attimo, i pensieri di Sarah e i battiti del suo cuore rischiarono di deragliare verso Hermann.

“Sì”, rispose con un sorriso, mantenendo lo stesso entusiasmo e credendoci realmente.

“Ti prego, Sarah, raccontami ancora”, riprese Hannah e la sua espressione assomigliava tanto a quella di una bambina desiderosa di riascoltare la favola della buonanotte, “raccontami ancora come ti ha chiesto di sposarlo.”

Sarah si aprì in un altro largo sorriso e accontentò il desiderio della sua amica. “Eravamo nella villetta di Sorrento, davanti a un panorama spettacolare. Lui mi ha preso le mani e mi ha detto: «Sarah, io ti amo e voglio trascorrere il resto della mia vita con te, che sei unica e straordinaria, la ragazza più bella, dolce e gentile che abbia mai conosciuto. Vedi, Sarah, io non ho molto da offrirti. Ho solo queste mani per lavorare in un mare spesso ostile e che, a volte, non dà nulla. E ho questo cuore per amarti». Ha portato le mie mani al suo cuore. Batteva fortissimo. Poi si è inginocchiato, ha preso l’anello dalla tasca e mi ha chiesto: «Sarah, vuoi sposarmi?».” La sua voce tremava per l’emozione, mentre il suo animo vibrava d’amore per Matteo.

Ma, quella notte, Sarah non sognò soltanto il suo futuro sposo.

 

“Te lo direi che ho freddo,

che ho paura

e che ti ho sempre amato.”

 

Michele Zarrillo, Adesso  



[1]In riferimento all’Eccidio di Cibeno. All’alba del 12 luglio 1944, sessantasette internati politici del Campo di Fossoli furono fucilati dalle SS al poligono di tiro di Cibeno (Carpi), come ritorsione per l’attentato contro alcuni soldati tedeschi a Genova. Una rappresaglia immotivata poiché condotta contro prigionieri inermi e in un’area lontana dal luogo dell’attentato. Tra le vittime, il più giovane aveva sedici anni.

   
 
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