Immagine dal film “L’amore oltre la guerra”
Capitolo
19
Gocce di miele
“Fummo quello
che non si racconta né si ammette, ma che mai si dimentica.”
Frida Kahlo
Immagine dal film “Il club del libro e della torta
di bucce di patata di Guernsey”
Berlino, settembre 1946
Hermann
sostava sul portico di casa, con la spalla sinistra appoggiata a una delle due
colonne e la sigaretta tra le dita, ridotta quasi a un mozzicone. L’ultima
boccata di fumo si dissolse nell’aria grigia e fredda della sera, tipicamente
berlinese.
In
Italia, il clima doveva essere ancora estivo.
Con
un’acuta fitta di dolore, la cicatrice dietro la nuca gli preannunciava
l’avvicinarsi dell’autunno e gli ricordava quanto fosse stato idiota a non
fuggire insieme a Sarah durante la battaglia partigiana di Gonzaga. Per
continuare a perseguire gli assurdi ideali di superiorità ariana e il suo sciocco
amor di patria, aveva rinunciato al grande amore della sua vita.
Gettò
la sigaretta sui gradini e, portando le dita sulla cicatrice, strinse i denti
in una specie di ringhio, brontolandosi per il dolore, poi rivolse lo sguardo
verso il fondo della strada. Cumuli di macerie si ergevano ancora ai lati dei
marciapiedi sui quali, un tempo, le persone passeggiavano tutte in ghingheri,
felici e orgogliose, esibendo la loro fedeltà al nazismo con la svastica al
braccio. Adesso, come fantasmi, quelle stesse persone si aggiravano in vestiti
logori e a testa bassa, ripiegate sotto il peso di una colpa che avrebbe
gravato per sempre sulle loro coscienze.
E
la sua coscienza pesava delle migliaia di persone transitate per Fossoli, prima
di finire nei campi di sterminio, e dei sessantasette uomini di cui aveva
guidato il plotone di esecuzione, durante un’alba estiva, presso il poligono di
tiro di Cibeno. Quella sera, dopo una lunga e faticosa giornata, tornato nella
sua camera, Sarah lo aveva respinto, spintonandolo e colpendolo con un cuscino
e dandogli dell’assassino, con le lacrime agli occhi e con la voce carica di
disperata rabbia. E lui aveva incassato i colpi, conscio di aver eseguito un
ordine insensato e di aver fatto uccidere persone innocenti, tra le quali vi
era anche un ragazzino di soli sedici anni[1].
Ripercorrendo
le sensazioni di allora, capì quanto avesse temuto di perderla in quei momenti
e ancora lo attanagliò la paura, pensando che Sarah potesse ricordarlo per il
suo lato peggiore, come un criminale nazista, o peggio, andando a ritroso, come
il suo stupratore.
Hermann
rabbrividì per i sensi di colpa e il nostalgico desiderio di quegli occhi dolci
e dorati, come gocce di miele; di quelle labbra morbide e rosate, così
teneramente esitanti ai suoi primi baci; di quella cascata di capelli neri che,
sfiorati dalla luce, brillavano di sfumature color rame; di quelle mani
delicate e affusolate, da riscaldare prima di farsi accarezzare.
Incrociò
le braccia e si strinse nella camicia, ancora un po’ troppo larga, nonostante
avesse ripreso qualche chilo. Stentava ancora a riconoscersi e ad accettarsi in
quel nuovo corpo, senza più muscoli e pieno di cicatrici, marchio indelebile
delle torture inflittegli dai soldati russi. Ed era quello stesso corpo – con
il quale, un tempo, aveva percorso la pelle olivastra, vellutata e illibata di
Sarah – che, adesso, smagrito e indebolito, gli impediva di tornare da lei.
“Hermann!”
La voce di suo padre, accompagnata da una mano sulla spalla, lo ridestò
bruscamente dai suoi pensieri. “Tutto bene?”
“Sì”,
rispose frastornato e la sua espressione palesemente sconvolta ne rivelò la
bugia.
“Non
si direbbe, sei pallido come un fantasma”, fece Karl, dando un accento severo
al suo tono apprensivo, “vuoi che chiami il dottor Schneider?”
Nessun
medico, neanche un luminare come Schneider, grazie al quale stava rimettendosi
in sesto piuttosto velocemente, avrebbe potuto curare la sua malattia e, con
molta naturalezza e senza alcun pudore, lo lasciò intendere anche a suo padre,
dicendo malinconico: “Non avrebbe nessuna cura.”
Karl
sospirò profondamente ed emise uno sbuffo disperato, portandosi le mani alle
tempie. “Ancora con questa storia? Io non ne posso più”, ribatté e
l’esasperazione comparsa improvvisamente sul suo volto fece credere a Hermann
che fosse in procinto di prenderlo a schiaffi.
Di
suo padre aveva ereditato gli occhi, l’intuito e la caparbietà e sapeva
benissimo che avrebbe fatto o detto qualsiasi cosa pur di dissuaderlo dal
ritornare in Italia.
“Prova
a ragionare solo per un attimo”, riprese, infatti, mentre il suo tono diventava
pian piano più morbido e persuasivo, “sono passati due anni e, come te, anche
lei potrebbe essere cambiata. Hai detto di averla abbandonata e non credi che
potrebbe serbare del rancore e non volerti più?” Ed ecco che suo padre iniziava
a dare voce alle sue paure. “Potrebbe aver ritrovato qualche membro della sua
famiglia o avere un altro uomo accanto. Perché sconvolgerle la vita? Dopo tutto
quello che ha passato, poverina.”
Hermann
emise un ghigno e, scuotendo il capo in segno di dissentimento, disse ironico:
“Ma quanto sei ipocrita. Vorresti farmi credere che t’importa qualcosa di lei?”
Poi si fece d’un tratto serio e lo guardò intensamente negli occhi. “Io tornerò
in Italia, con o senza il tuo aiuto.” Ma sapeva benissimo che senza i contatti
di suo padre sarebbe stato tutto più difficile.
Karl
lo sfidò con sguardo altrettanto tagliente e, sfogando la tensione in un
profondo sospiro, ribatté: “E va bene, ti aiuterò. Non sopporto più vederti
ridotto in questo stato.” Le parole di suo padre si rincorrevano lente in un
intreccio di rassegnazione e disprezzo. “A causa di un’ebrea.”
Con
uno scatto rabbioso, gli volse le spalle e rientrò nel portone, lasciando
Hermann da solo, deluso ma risollevato, pronto a perdersi ancora nei rimorsi e
a rifugiarsi nel ricordo di Sarah.
Napoli
“Se
continui così, finirai per distruggere il tuo meraviglioso anello”, proruppe
Hannah, ostentando dell’ironia.
Distesa
sul letto, senza la benché minima intenzione di addormentarsi, Sarah non faceva
altro che girare e rigirare l’anello di fidanzamento attorno al dito,
fissandolo con aria vaga e sognante e ripensando a ogni singolo istante vissuto
nella magia di Sorrento, “la terra delle sirene”, insieme a Matteo e
fantasticando sul giorno seguente, quando avrebbe visitato la loro futura casa,
quella con il tetto rosso, di fronte alla banchina.
Alzò
un po’ la testa dal cuscino e rivolse all’amica un ampio sorriso rilassato,
dicendole: “Sai, Hannah, non è affatto vero quello che si dice sui pescatori.
Lui è così sensibile, gentile, romantico. È speciale.”
Hannah
sospirò estasiata, poi si girò su un fianco e, appoggiando il gomito sul
cuscino e la testa sulla mano, le chiese: “E lui è il tuo primo amore?”
In
un attimo, i pensieri di Sarah e i battiti del suo cuore rischiarono di
deragliare verso Hermann.
“Sì”,
rispose con un sorriso, mantenendo lo stesso entusiasmo e credendoci realmente.
“Ti
prego, Sarah, raccontami ancora”, riprese Hannah e la sua espressione
assomigliava tanto a quella di una bambina desiderosa di riascoltare la favola
della buonanotte, “raccontami ancora come ti ha chiesto di sposarlo.”
Sarah
si aprì in un altro largo sorriso e accontentò il desiderio della sua amica.
“Eravamo nella villetta di Sorrento, davanti a un panorama spettacolare. Lui mi
ha preso le mani e mi ha detto: «Sarah, io ti amo e voglio trascorrere il resto
della mia vita con te, che sei unica e straordinaria, la ragazza più bella,
dolce e gentile che abbia mai conosciuto. Vedi, Sarah, io non ho molto da
offrirti. Ho solo queste mani per lavorare in un mare spesso ostile e che, a
volte, non dà nulla. E ho questo cuore per amarti». Ha portato le mie mani al
suo cuore. Batteva fortissimo. Poi si è inginocchiato, ha preso l’anello dalla
tasca e mi ha chiesto: «Sarah, vuoi sposarmi?».” La sua voce tremava per
l’emozione, mentre il suo animo vibrava d’amore per Matteo.
Ma,
quella notte, Sarah non sognò soltanto il suo futuro sposo.
“Te lo direi che
ho freddo,
che ho paura
e che ti ho
sempre amato.”
Michele
Zarrillo, Adesso
[1]In riferimento
all’Eccidio di Cibeno. All’alba del 12 luglio 1944, sessantasette internati
politici del Campo di Fossoli furono fucilati dalle SS al poligono di tiro di
Cibeno (Carpi), come ritorsione per l’attentato contro alcuni soldati tedeschi
a Genova. Una rappresaglia immotivata poiché condotta contro prigionieri inermi
e in un’area lontana dal luogo dell’attentato. Tra le vittime, il più giovane
aveva sedici anni.