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Autore: Greynax    06/01/2020    2 recensioni
Una guerra diversa, più cupa, più difficile. Uno scenario in cui l'Ordine della Fenice possiede un'arma in meno e qualche alleato in più, benché questo non riesca ad eliminare i nuovi svantaggi.
Ma, come sempre, la loro unica speranza risiede in quel sentimento che Voldemort non riesce a capire.
Genere: Generale, Guerra, Suspence | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Slash | Personaggi: Esercito di Silente, Famiglia Malfoy, Il trio protagonista, Ordine della Fenice, Severus Piton
Note: What if? | Avvertimenti: Tematiche delicate | Contesto: II guerra magica/Libri 5-7
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ferito
Harry non aveva passato una bella notte.
Prima di addormentarsi aveva a lungo rimuginato sulla sconvolgente scomodità di avere due braccia. E un collo. E troppe articolazioni di cui preoccuparsi, su un materasso che sembrava opporsi deliberatamente ad ogni tentativo di trovare un attimo di pace. Non ricordava il momento preciso in cui la lotta era finita, sapeva solo che il sonno l'aveva fatto scivolare verso un'altra battaglia, altrettanto fastidiosa e solo un po' strana.
Al risveglio aveva serrato di nuovo gli occhi cisposi nel tentativo di trattenere i brandelli del sogno, ma era stato abbastanza inutile. Gli era rimasto addosso solo un senso di disgusto, di rabbia, di... paura? Qualcosa del genere. Probabilmente Hermione l'avrebbe saputo definire meglio, ma in sua assenza Harry poteva solo optare per un inefficiente "sgradevole".
Ricordava il cigolio metallico di un'altalena, la vaga consapevolezza di un movimento ai limiti del suo campo visivo. E il rosso, qualcosa di rosso - qualcosa di pericoloso?
Si muoveva come si muoveva il vento.
No, forse questo non aveva senso. Comunque... era quella cosa il motivo per cui non era stato esattamente un incubo, ma quasi? O forse la chiazza di rosso non era importante, forse la ragione alla base di quel brutto risveglio stava in un dettaglio dimenticato...
Harry buttò i piedi giù dal letto con solo un vago accenno di frustrazione, ma mentre si trascinava verso il bagno era già passato a sentirsi stupido per quel lungo attimo di fissazione su un sogno così nebuloso. Non poteva venire da Voldemort: era troppo vago e del tutto inutile. Non sentiva il bisogno di uscire da Grimmauld Place per andare a ficcarsi in qualche trappola, per dire. Questo gli bastava, ed era tutto palesemente okay. Aveva solo dormito male.
Chiarito questo, si preparò di malavoglia ad affrontare la giornata.

L'emergenza luna piena lo colse impreparato solo per metà.
La licantropia di Lupin era qualcosa a cui evitava di pensare troppo spesso, un po' come gli esami di fine anno. Un conto era sapere, logicamente, della loro esistenza. Un altro era sentirla davvero, cosa che accadeva sempre all'ultimo secondo, quando nessun ripasso in extremis poteva salvarlo.
Solo l'atteggiamento di Sirius riusciva a distogliere Harry da una manciata di sensi di colpa - il fatto di aver appena paragonato una maledizione orribile e pericolosa a qualcosa di stupido come gli esami, o la sferzata d'ansia che gli aveva quasi fatto volare via il toast tra le mani nel ricordare quegli attimi potenzialmente letali in cui il professore si era trasformato così vicino a lui e ai suoi amici, mentre Peter coglieva l'occasione per abbandonare la nave come solo i topi sanno fare.
Lupin stava ancora cercando con un certo stoicismo di attirare l'attenzione di Sirius. Senza alzare la voce, per carità: stava palesemente tentando l'approccio della goccia d'acqua che spacca la roccia cadendo sempre nel solito punto. Peccato che l'Animagus sembrasse immune a questo metodo: mentre Remus elencava pozioni e orari di assunzioni per Piton, gufi da attendere e membri dell'Ordine da aspettare... Sirius frugava tutta la cucina alla ricerca del tabacco di Mundungus.
«C'era. Sono sicuro! Dung se lo dimentica sempre ovunque - dimentica tutto ovunque, fossi in lui mi ficcherei un paio di Ricordelle nelle mutande e farei finta di soffrire di orchite... Harry? Harry, non è che l'hai preso tu?»
«Io cosa?»
«Il tabacco. Non ti giudico, eh. Insomma, nel caso... figurati. A cose normali sarei decisamente solidale. Però lo sai che non posso uscire da questa dannata casa e...»
«Minerva mi ha sconsigliato di continuare con la Bevanda della Pace. Te l'ho scritto, insieme al resto, quindi mi raccomando. Non abbiamo ancora capito con cosa sostituirla, ma la cosa più importante è non dargli niente che contenga Pietra di Luna...»
«Ehm, no» riuscì a bofonchiare Harry in risposta al padrino, infilandosi a fatica tra la voce roca di Sirius e quella mite di Lupin, ciascuno impegnato a parlare praticamente da solo. Con lo stomaco un po' stretto si buttò, alla cieca, in un tentativo di far convergere le due conversazioni a senso unico.
«Perché avete dovuto, ehm, smettere con la Bevanda della Pace?»
«Perché è rischioso, Harry. Ad abusarne c'è il rischio di sprofondare in un sonno irreversibile...»
«E che gran perdita sarebbe.»
«...in più provoca una forte sonnolenza. Il che poteva anche essere positivo, durante i primi giorni. Ma adesso sarebbe meglio se Severus riuscisse a stare sveglio più di qualche minuto di fila...»
«Che Merlino ce ne scampi.»
Non era precisamente questo l'effetto che Harry sperava di ottenere. Sirius stava finalmente rispondendo a Lupin, okay, ma non riusciva a capire come fosse possibile punzecchiare in maniera così maligna una persona così stanca (preferiva concentrarsi sulla postura floscia del lupo mannaro, senza pensare troppo a come Remus sembrasse tutto denti mentre parlava, come li scoprisse con la smorfia rigida di chi sta per mordere e non per pronunciare qualche parola innocua).
Fu sulla scia di quell'ansia strana che Harry aprì di nuovo bocca.
«Vorrei aiutare anch'io» affermò, con una sorta di testardo candore, cercando di incrociare lo sguardo di Lupin.
L'attimo di totale silenzio e immobilità che seguì lo fece quasi pentire di aver parlato. Il sorriso più morbido del lupo mannaro lo rincuorò, l'occhiata basita e quasi allucinata di Sirius lo affossò di nuovo - e fu così che la sua nuova priorità fu quella di concludere la conversazione il prima possibile e, magari, scoprire se fosse possibile far Evanescere un intero essere umano. Se stesso o gli altri due maghi, a questo punto non sapeva più bene cosa augurarsi.
Purtroppo, nessuna di queste opzioni sembrava praticabile.
«Harry...» iniziò Lupin, a voce bassa, con una mano appena protesa verso la sua spalla e poi subito ritratta.
«Non voglio coinvolgerti in questa cosa. È già abbastanza sgradevole per un adulto, e tu hai già così tanto a cui pensare...»
Gli sembrava di risentire Hestia Jones, ma per fortuna l'imitazione della donna ebbe vita breve.
«Non voglio che tu ti addossi le parti più pesanti, diciamo, ma in effetti sarebbe utile se tu passassi un po' di tempo con Severus. Sembra che con i Paciock le visite abbiano aiutato, almeno parzialmente, a restituirgli un vago contatto con la realtà.»
«Ehm. Sssì. Ho... visto. Nel senso, la madre di Neville sembrava - a suo modo...»
«Esatto, Harry» annuì Remus, incoraggiante, anche se l'ostinato silenzio di Sirius stava diventando di una pesantezza agghiacciante.
«Ma ricordati sempre che la situazione non è buia come quella dei Paciock. Quindi, a maggior ragione, speriamo di ottenere qualche miglioramento sostanziale. La cosa più importante è non lasciarlo solo, senza stimoli. E se davvero te la senti...»
«Certo» disse Harry, subito, in una sorta di atto di ribellione - anche se evitò accuratamente lo sguardo del padrino per il resto della colazione.

«Ti faccio strada» annunciò Sirius qualche ora dopo, con un brio un po' inquietante, soprattutto considerata la crisi di mutismo e di broncio che l'aveva preceduta. Harry lo seguì trascinando i piedi. Il parquet consunto scricchiolava appena sotto le suole morbide delle sue scarpe da ginnastica, il corridoio angusto era reso ancora più opprimente dalla carta da parati già cupa in partenza e ulteriormente scurita da grosse macchie di umidità.
I passi più rumorosi del padrino, la vitalità rabbiosa dei suoi movimenti, stonavano come una risata a un funerale.
Agitò la bacchetta verso la maniglia della camera di Regulus senza neanche un'occhiata alla targa affissa dal fratello, poi la spalancò di scatto, con una specie di brusca spallata.
«Buooongiorno Mocciosus!» latrò, felice e sguaiato quanto un irlandese durante la scorsa Coppa del Mondo. Lo stato d'animo di Harry, invece, si avvicinava di più a quello del proprietario del campeggio.
Non riusciva a vedere molto. Un ammasso stropicciato di lenzuola sfatte, quello inferiore aveva lasciato scoperto un angolo di materasso nudo. Sopra, un piede. Una caviglia ragionevolmente pelosa, poi di nuovo il bianco ingrigito del lenzuolo accartocciato. Il resto del corpo si intuiva male, reso strano dalle pieghe del lenzuolo e dalla posizione incomprensibile assunta dagli arti, buttati di qua e di là in angolazioni scomode ed insensate. Indugiò per un attimo sulla curva spigolosa della spalla, coperta dal tessuto liso di una veste che gli sapeva un po' di Lupin. Poi tornò a guardare il volto del professore, premuto a una strana angolatura contro la testiera del letto. La bocca semiaperta, un'impronta di saliva essiccata che dall'angolo sinistro andava verso il mento.
No.
Di nuovo sul piede. Aveva unghie lunghissime, c'era da dire. Zia Petunia si sarebbe morsicata via le dita dallo stress, se Harry si fosse fatto vedere con le unghie in quelle condizioni.
Inspirò. Di nuovo la testa.
No.
Era la cosa più profondamente sbagliata che avesse visto fin'ora, e per quanto poteva vedere non c'entrava neanche niente con la sua idea di tortura, punizione o qualsiasi cosa i Mangiamorte avessero pensato di fargli. Era solo...
Gli veniva in mente la parola "umiliante". Se la rigirò per un attimo nella mente, stuzzicandola come una piccola ferita in bocca con la punta della lingua. La parola calzava abbastanza bene. E quindi, insomma, andava abbastanza male.
Distolse di nuovo lo sguardo su una palla rigonfia di bende abbastanza sudice e - dio, era la sua mano? Cos'aveva che non...
«Col senno di poi, in effetti, mi sa che l'ho peggiorato. Il che non era mica facile.»
La voce di Sirius riscosse Harry con la stessa efficacia di un Bolide lanciato a meno di dieci centimetri dal proprio orecchio.
«Uh?» riuscì a mugolare, soltanto. Felice di guardare Sirius e non Piton, almeno per mezzo secondo, soltanto finchè non si rese conto che l'espressione del padrino non gli piaceva del tutto.
«I capelli. Ho pensato, be', così è più igienico. No?»
Harry inghiottì l'ultima inspirazione di botto quando Sirius piazzò con fermezza la mano sulla testa di Piton. Le sue dita sembravano molto bianche contro il nero dei capelli mutilati in ciocche cortissime, irregolari. Come scampoli del piumaggio infantile di un pulcino, tinti di pece e incollati a casaccio sul cranio. A tratti si vedeva addirittura la cute, appena scurita da un'idea vaga di ricrescita.
Scacciò con rabbia il ricordo istantaneo della propria testa rasata, con quell'assurda frangia superstite per coprire la cicatrice.
«L'hai fatto tu?» riuscì a chiedere Harry, in un tono abbastanza alienato da poter forse suonare come indifferente.
«Una mia idea, già. Finchè era lui a lavarsi - o a non lavarsi, più probabile - poteva fare anche un po' quello che voleva. Ma adesso che tocca a noi tanto valeva semplificarci il lavoro» spiegò l'altro, con parte dei denti scoperti in una specie di smorfia e lo sguardo fisso sul volto sgraziato di Piton
Sirius contrasse le dita, gli spostò la testa come se stesse maneggiando un pallone da basket, scollandogli la guancia dalla testiera del letto. Quando il professore aprì gli occhi Harry fece un salto indietro, con un solo pensiero: la fuga. Perché questo era peggio di quando aveva ficcato il naso nel Pensatoio. Non sapeva mettere precisamente il dito sul perché e come fosse peggio, ma lo era.
Sirius sembrò notare il movimento brusco del ragazzo, perché rise piano. In maniera non del tutto gentile.
«Tranquillo. Le finestre sono aperte, ma dietro non c'è niente.»
Harry ci mise più di qualche istante a dare un senso alle sue parole. Una volta capito che era una metafora gli toccò di ragionarci ancora un secondo. E, quando ebbe finito, si sentì ancora peggio di prima.
Sirius spostò la mano, ripulendosela con molta enfasi contro la stuffa ruvida dei calzoni. Tra le sopracciglia di Piton era comparsa qualche ruga in più, ma non aveva un'espressione precisa sul volto. Con un po' di immaginazione si poteva forse dire che sembrava una persona con un gran malditesta che cerchi di dare un senso a qualcosa sentito di sfuggita, magari in una stanza piena di chiacchericcio.
Harry si irrigidì di nuovo quando il professore si mosse. Stese un ginocchio, allungò il braccio destro, ancora più lontano dal resto del corpo. Riuscì a vedere la punta delle dita sbucare dall'ammasso gonfio di bende che gli copriva la mano. Del medio, dell'anulare. Da qualche parte, sotto tutti quegli strati di garza, dovevano esserci anche le altre.
«Bene. Questo è quanto» disse Sirius, con le mani ficcate in tasca e la schiena ben dritta.
«Che dici, scendiamo? Sarà un secolo che non mi faccio una bella partita a Sparaschiocco, e mi sa che oggi Remus non è proprio dell'umore...»
Harry stava per acconsentire. Ma la voce del padrino aveva un che di petulante, e c'era qualcosa di non meglio definito che gli fece fare un'improvvisa inversione di marcia, quando già aveva la bocca aperta per dire un "sì".
«Ehm, no. No, preferisco - preferisco rimanere qui ancora un attimo. Remus ha detto che, ehm, che è una cosa utile.»
«Ah, be'» borbottò Sirius, senza più traccia di allegria. «Se l'ha detto Remus.»
Si chiuse la porta alle spalle forse con un po' più di forza del normale, e già al cigolio dei cardini Harry si era più o meno pentito dei suoi nebulosi buoni propositi. Buttò un'altra occhiata verso il professore. Gli occhi erano sempre aperti, ma vacui... vacui come quelli di Cedric, dovette ammettere con se stesso, tra un'inspirazione saltata e una strizzata allo stomaco. Ma almeno lui era vivo, anzi, continuava a muoversi. Senza fretta ma sempre un po' all'improvviso, scalzando ancora di più il lenzuolo dal materasso, aggrovigliandosi in posizioni evidentemente scomode.
Probabilmente avrebbe dovuto farci qualcosa. Sarebbe stato un gesto gentile.
Però non aveva tutta questa gran voglia di avvicinare le mani - e, soprattutto... poteva? Rischiava di fargli del male?
Forse sarebbe stato il caso di parlargli. Non sembrava davvero consapevole di avere visite, è vero, ma...

Alla fine, Harry passò semplicemente una mezz'ora a rigirarsi tra le mani una foto che aveva trovato nella stanza. La squadra di Quidditch di Serpeverde, con Regulus Black ben riconoscibile, nella stessa posizione in cui si era ritrovato Harry le poche volte che avevano fatto una foto tutti insieme. Si costruì una fantasia complicata e forse plausibile su come Grifondoro avrebbe potuto sconfiggere quel vecchio assortimento di giocatori, basandosi solo su corporatura e faccia degli avversari. Ogni tanto si chiedeva se qualcuno di loro fosse stato al cimitero. Se qualcuno avesse quasi ucciso i suoi amici all'Ufficio Misteri.
Intanto, Piton continuava a rigirarsi nel letto e a respirare piano.

Il resto della giornata aveva tutte le carte in regola per rivelarsi un vero e proprio inferno. Harry scese in cucina con la testa incassata tra le spalle, alzate quasi fino alle orecchie, pronto a subire qualsiasi occhiata, attacco o frecciatina.
Soprattutto, però, si sentiva stupido. Temeva di non essersi comportato come avrebbe voluto Remus - e di sicuro non si era comportato come voleva Sirius. E Piton, se avesse potuto reagire a quella visita? Meglio non pensarci. Harry era abituato a convivere con l'idea fissa della propria mortalità, ma aveva come il dubbio che la sua fine potesse essere meno dolorosa con Voldemort che con Piton. Se si fosse ricordato di quella visita. E se si fosse ripreso, c'era anche da mettere in conto questo piccolo dettaglio.
Alzò lo sguardo su Sirius, come a dirgli "va bene, fai del tuo peggio". A sorpresa, però, Sirius fece del suo meglio.
  
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