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Autore: Star_Rover    07/01/2020    5 recensioni
Un valoroso soldato nella sua impeccabile divisa che marcia con orgoglio a testa alta. Una figura imponente, un volto severo e due iridi smeraldo che caratterizzano uno sguardo intenso e impenetrabile.
Il detective Eric Dalton ricorda così il maggiore Patrick O’ Donnell. Era soltanto un ragazzino quando aveva assistito ai festeggiamenti per la fine della guerra civile, al tempo quell'uomo era apparso ai suoi occhi come l’incarnazione dell’eroe invincibile e incorruttibile.
Nell’autunno del 1936, tredici anni dopo quel primo e fatidico incontro, Patrick O’ Donnell ricompare nella vita del giovane investigatore in un modo del tutto inaspettato. Infatti è proprio il suo nome ad apparire tra le pagine di un pericoloso fascicolo.
Eric accetta il caso, ma è intenzionato ad indagare a fondo prima di portare a termine l’incarico più difficile della sua carriera, ovvero condannare l’eroe di una Nazione.
Genere: Drammatico, Storico, Thriller | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: Violenza | Contesto: Il Novecento
Capitoli:
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Già da tempo Aileen aveva dei sospetti, quando scoprì di essere incinta non seppe come comportarsi. Ovviamente era contenta di portare in grembo quel figlio tanto atteso, ma allo stesso tempo temeva che la lieta notizia fosse giunta nel momento sbagliato.
In quel periodo suo marito era quasi sempre assente, lavorava giorno e notte, spesso usciva di casa lasciando soltanto un biglietto per rassicurarla. Gli istanti trascorsi insieme erano sempre più rari e fugaci. 
Aileen sapeva che quel caso era davvero importante per Eric, non voleva causargli altre preoccupazioni e nemmeno gravarlo con altre responsabilità. Per queste ragioni decise di non rivelare subito la verità, voleva attendere il momento giusto.
La giovane era tormentata da questi dubbi quando ad un tratto avvertì dei battiti alla porta. Immediatamente si riprese da quei pensieri e si affrettò ad aprire. Davanti alla soglia comparve la figura di un ufficiale in divisa.
«Tenente McGowan, è un piacere vederla» disse Aileen con sincerità.
L’uomo sorrise: «ormai ci conosciamo da tanto tempo, non c’è bisogno di essere formali»
Lei lo lasciò entrare: «sì, certamente. Purtroppo al momento mio marito non è in casa»
«A dire il vero sono venuto apposta per parlarti di Eric. Ad essere sincero sono preoccupato per lui»
Aileen invitò l’ospite ad accomodarsi sul piccolo divano.
«Lo so, da quando ha deciso di dedicarsi a questo caso mio marito non è più lo stesso»
L’ufficiale constatò che anche lei era davvero preoccupata, non poté far a meno di notare che l’espressione afflitta sul suo volto non sminuiva affatto la sua bellezza. Il giovane tenente lasciò scorrere lo sguardo sui lineamenti delicati del suo viso, sulle labbra invitanti e il collo sottile…
Colbert cercò di allontanare simili distrazioni, fantasticare era piacevole, ma alla fine fu costretto a tornare alla realtà: la bella donna davanti a lui non era una delle sue possibili conquiste, ma la moglie di un suo stimato collega e lui era giunto in quella casa per un motivo serio e importante.
«Non voglio allarmarti, ma credo che questa faccenda potrebbe diventare davvero pericolosa»
Aileen prese la sua mano: «per favore, Eric ha bisogno di qualcuno che gli stia vicino. Tu sei l’unico vero amico al suo fianco, devi pensare a proteggerlo»
Colbert si sentì onorato nel sentire quelle parole.
«Certo, farò il possibile per tenerlo lontano dai guai» disse ricambiando la sua stretta.
Aileen si rassicurò con quella promessa, il tenente McGowan era un uomo di parola, così decise di fidarsi di lui.
 
***

Il detective Dalton riprese le sue ricerche negli archivi del carcere di Cill Mhaighneann.
L’agente O’ Neil prese dallo scaffale un altro pacco di fascicoli ingialliti e polverosi: «chi stiamo cercando esattamente?»
«Patrick O’ Donnell fu arrestato nel gennaio del 1921 dalle autorità britanniche e scontò una pena di sei mesi nel campo di Ballykinlar. Dobbiamo trovare un testimone…un prigioniero che sia stato internato nello stesso periodo e che abbia avuto modo di conoscere O’ Donnell…» spiegò Eric.
«Tutti questi repubblicani furono deportati nella contea di Down?» chiese Robert osservando i fogli sparsi sulla superficie del tavolo. 
Dalton si limitò ad annuire.
Il giovane poliziotto sospirò, si preannunciava una lunga giornata di duro lavoro.
 
Il ticchettio dell’orologio scandiva il tempo che sembrava scorrere sempre più lentamente. Quello scantinato buio e isolato era inquietante, ogni tanto si manifestava l’ombra di una guardia che passava in corridoio e si avvertiva l’eco dei passi che si avvicinavano e si allontanavano. O’ Neil mascherò uno sbadiglio, avrebbe gradito un’altra pausa per il terzo caffè della giornata, magari allungato con un po’ di buon whiskey. Mentre pensava a ciò il suo sguardo ricadde su alcune informazioni interessanti.
Immediatamente alzò la testa e richiamò l’attenzione del suo compagno.
«Che ne pensa di lui? Sean Higgins, arrestato nel dicembre del 1920 e rilasciato alla fine della guerra. Anch’egli era un soldato della Dublin Brigade, ci sono buone probabilità che si ricordi di O’ Donnell»
Il detective osservò i dati con attenzione: «in effetti è un buon candidato»
O’ Neil parve soddisfatto: «dunque proveremo a interrogarlo?»
«Potrebbe rivelarsi un testimone attendibile» concluse Dalton con aria pensierosa.
 
Colbert era deciso a mantenere la sua parola, Eric era un suo caro amico e sua moglie aveva apertamente richiesto il suo aiuto. Sapeva di non poter convincere Dalton a lasciar perdere quel caso, ma era disposto a fare il possibile per evitare che la situazione peggiorasse ulteriormente.
Il tenente ripensò alla conversazione avuta con Aileen, forse non avrebbe dovuto azzardare una simile promessa, ma in qualche modo si sentiva responsabile per la sorte dell’amico. Quando giunse nel suo ufficio trovò Dalton impegnato nelle sue ricerche.
Eric salutò il tenente con aria distratta senza nemmeno alzare lo sguardo.
«Ho scambiato qualche parola con l’agente O’ Neil, a quanto pare avete un nuovo testimone» disse Colbert avvicinandosi.
«Da quando ti interessa questa faccenda?» chiese Eric.
L’amico alzò le spalle: «si tratta di un caso importante, pensavo di poter dare anche io il mio contributo»
Dalton si insospettì: «non ho bisogno della tua sorveglianza, so gestire da solo questa storia»
«Davvero? Dunque non dovrei preoccuparmi del fatto che questo caso abbia attirato l’attenzione del G2?»
Il detective sussultò: «in questo posto le notizie si diffondono in fretta…»
«L’altro giorno ho visto l’agente Beckett uscire dal tuo ufficio. Lo conosco bene e posso assicurarti che quell’uomo sarebbe disposto a tutto pur di portare a termine una missione. Se ha deciso di ostacolare le tue ricerche troverà il modo di fermarti»
«Dunque che cosa vorresti fare?»
«Probabilmente è una follia, ma ho intenzione di sostenerti in queste indagini, hai bisogno di qualcuno che ti guardi le spalle»
Eric rifletté qualche istante, doveva riconoscere che Colbert fosse realmente esperto ed efficiente sul campo, inoltre il suo aiuto avrebbe potuto rivelarsi nuovamente utile.
«Apprezzo il tuo altruismo, ma sei davvero convinto di questo?»
Il tenente annuì con fermezza, era realmente deciso ad aiutare l’amico a risolvere quel caso, ma la sua priorità restava la promessa fatta ad Aileen.
 
***

Il mattino seguente Eric si preparò al breve viaggio che avrebbe dovuto affrontare, secondo le informazioni in suo possesso il testimone risiedeva a Drogheda, una città situata quaranta chilometri a nord della capitale. Non era un tragitto impegnativo, sarebbe stata sufficiente poco più di un’ora di treno per raggiungere la sua destinazione.
Aileen rimase ad osservarlo in silenzio, era nervosa, non aveva mai mentito a suo marito e non aveva intenzione di iniziare a nascondere la verità. Sapeva di non aver nulla da temere, eppure non riusciva a trovare il coraggio di affrontare quella questione così delicata.
Dalton si avvicinò per abbracciarla, ma lei si liberò rapidamente. Era ancora presto, ma il leggero rigonfiamento del suo ventre iniziava ad essere percepibile.
Eric si sentì in colpa, pensò che il comportamento freddo e distaccato della moglie fosse dovuto alla sua continua assenza.
«Mi dispiace, questo caso sta rubando tutto il mio tempo, non era mia intenzione trascurarti»
Aileen esitò, in quel momento pensò di dirgli la verità, ma il marito si affrettò a concludere quella conversazione.
«Adesso devo andare, ti prometto che mi farò perdonare, d’accordo?»
Lei si limitò ad annuire senza però nascondere la propria rassegnazione. Dalton la salutò con un leggero bacio e rapidamente uscì di casa.
Aileen assistette inerme alla sua partenza. Quando la porta si fu richiusa la giovane poggiò le mani sul grembo, non avrebbe potuto mantenere quel segreto ancora a lungo.
 
 
Il viaggio in treno fu tranquillo, lo scompartimento era quasi deserto. Dalton osservò i suoi due compagni con un sorriso, in effetti erano davvero una strana coppia. Robert era un semplice ragazzo del sud, nervoso e impacciato, mentre Colbert era un rampollo di buona famiglia, esuberante e sfacciato. Facevano uno strano effetto uno vicino all’altro e le loro conversazioni erano davvero esilaranti.
Una volta giunti nella cittadina di Drogheda i tre non persero tempo e si diressero immediatamente alla loro meta. Il detective bussò con esitazione alla porta di una piccola villetta di periferia, una voce atona lo invitò ad entrare, egli attese ancora qualche istante prima di varcare la soglia. Non era certo che fosse stata una buona idea intraprendere quel viaggio, eppure doveva almeno tentare. Era consapevole di star scavando in un passato doloroso e che vecchi rancori non fossero scomparsi, temeva che la sua visita non sarebbe stata gradita. Nonostante ciò Dalton si sentì in dovere di andare fino in fondo a quella storia.
Il giovane entrò in corridoio insieme ai suoi compagni, lentamente il gruppo si avviò verso il salotto. La stanza era fredda e buia poiché le finestre erano sbarrate da spesse assi di legno. La luce del sole filtrava attraverso le fessure illuminando le pareti scrostate e i mobili impolverati. Dalton mosse cautamente qualche passo per raggiungere il tavolo posto al centro della sala, lo squallore del luogo non lo turbò particolarmente, ma avvertì fin dal primo istante una strana inquietudine.
Sean si presentò mostrando una certa diffidenza, la sua figura alta e snella si mosse nella penombra, un fascio di luce illuminò un viso pallido e scarno e un paio di occhi vitrei.
Dalton mostrò il distintivo: «siamo della polizia di Dublino, vogliamo solo porle qualche domanda»
«Non so per quale motivo siate qui, ma suppongo che si tratti di qualcosa di importante» commentò Higgins osservando con discrezione il tenente McGowan.
«Stiamo indagando su un caso riguardante il maggiore Patrick O’ Donnell, stiamo cercando più informazioni possibili sul suo passato. Se non sbaglio avete trascorso lo stesso periodo di prigionia nella contea di Down»
Higgins annuì: «mi ricordo bene di Patrick, a quel tempo egli era noto a tutti noi come il tenente O’ Donnell, comandante del primo battaglione della Dublin Brigade»
«Già, in effetti sono cambiate tante cose dopo il Trattato…»
Sean esitò: «io vorrei davvero rendermi utile, ma non credo di avere le informazioni che state cercando»
McGowan si intromise nel discorso: «se non le dispiace sarà nostro compito valutare l’utilità delle sue parole»
L’uomo si sentì in dovere di assecondare le loro richieste: «d’accordo, farò del mio meglio per ricordare»
Eric iniziò l’interrogatorio: «dunque lei conobbe O’ Donnell nel campo di internamento di Ballykinlar?»
Sean confermò: «per tutti noi quel luogo era noto come “La gabbia di filo spinato”. Io ero il prigioniero di guerra numero 312 della baracca 21»
Dalton rimase impressionato dalla precisione e la vividezza di quei ricordi, era evidente che Higgins rivivesse quell’oscuro passato ogni notte nei suoi incubi.
Ad un tratto Sean si rialzò: «aspettate, ho qualcosa che potrebbe interessarvi»
I tre ospiti rimasero immobili e silenziosi mentre Higgins si avvicinò a un cassetto e recuperò alcuni oggetti. L’uomo tornò con una fotografia e un piccolo quaderno.
«All’interno del campo non potevamo avere molti effetti personali, ma c’era qualche eccezione. Agli inglesi non importava se scrivevamo, anche il gaelico era permesso, nulla poteva uscire dai confini del filo spinato. La fotografia invece ha una storia interessante, un prigioniero era riuscito a procurarsi una macchina fotografica e il chimico dell’ospedale fu un buon collaboratore…quei pochi scatti sono l’unica testimonianza delle condizioni di vita degli internati a Ballykinlar»
Dalton osservò gli uomini in posa davanti a una baracca di legno, in lontananza era visibile la fitta rete di filo spinato. Riconobbe subito il signor Higgins, con più attenzione riuscì ad individuare anche O’ Donnell, il quale era praticamente irriconoscibile. Il suo fisico era provato dai lunghi mesi di prigionia, la sua magrezza era impressionante, aveva il volto scavato e gli occhi infossati. Nonostante ciò mostrava sempre un’espressione fiera e dignitosa, nel suo sguardo brillava ancora il desiderio di rivalsa.
Il detective poggiò la fotografia sul tavolo e aprì il quaderno, era un piccolo diario dove Higgins e altri prigionieri avevano impresso i loro pensieri e le loro memorie. Eric si soffermò a leggere una breve poesia.
 
Just a line dear Comrade
Your memory to recall
The time you spent in prison
With the Boys from Donegal
I want you to remember me
To all the boys from Cork
Who made the name of Erin ring
From Paris to New York
I want to be remembered
To comrades one and all
Who fought to free old Ireland
From Cork to Donegal. [1]

 
Dalton si commosse nel leggere quelle parole, inevitabilmente pensò ai sacrifici e alle sofferenze che i suoi connazionali avevano sopportato per liberare l’Irlanda.
«Sappiamo che la sua fu una tragica esperienza, ma abbiamo bisogno di sapere la verità»
Higgins osservò la fotografia con aria afflitta: «io…vorrei davvero aiutarvi, ma quando conobbi Patrick le cose erano molto diverse…»
«Siamo disposti ad ascoltare la sua versione dei fatti»
Sean sospirò: «d’accordo, suppongo cha sia giunto il momento di affrontare il periodo più oscuro del mio passato. Patrick giunse nel campo di Ballykinlar durante il mio secondo mese di internamento, quando lo vidi per la prima volta credetti che non avrebbe resistito a lungo in quella prigione…»
 
***

Patrick O’ Donnell venne arrestato nel gennaio del 1921 a seguito del fallimento dell’attentato alla caserma di Arbour Hill. I militanti dell’IRA catturati dalle autorità britanniche furono rinchiusi nelle prigioni del carcere di Cill Mhaighneann per essere interrogati e condannati.
O’ Donnell non tradì i suoi compagni, sopportò ogni umiliazione senza mai cedere e senza rivelare alcuna informazione al nemico. Gli inglesi lo sottoposero alle torture più atroci, dai violenti pestaggi passarono poi a metodi più crudeli. Per una settimana Patrick giacque nella sua cella con il volto tumefatto, le unghie strappate, le costole incrinate e il corpo cosparso di lividi. Gli ufficiali si stancarono presto di avere a che fare con un prigioniero così restio a collaborare, così si occuparono in fretta della sua condanna. Appena il ferito si fu ripreso dall’ultimo pestaggio fu destinato al primo convoglio diretto alle caserme di Abercorn.
Patrick O’ Donnell, ancora ignaro del suo destino, venne prelevato dalla sua cella e insieme ad un gruppo di altri suoi compagni si ritrovò su una camionetta diretta alla stazione. I prigionieri irlandesi furono caricati su un treno merci e deportati al nord senza alcuna spiegazione.
Patrick aveva già vissuto la dura esperienza delle prigioni britanniche, ma non in quelle condizioni, ferito e gravemente malnutrito.
Il treno si fermò in una stazione sconosciuta nel mezzo della campagna della contea di Down. Gli irlandesi furono spinti giù dal vagone e strattonati dai soldati, i quali si limitarono a dare ordini ignorando domande e proteste. I prigionieri dovettero marciare per tre miglia, la meta a loro sconosciuta era il campo di internamento di Ballykinlar, situato lungo la costa di Dundrum, non molto distante dai villaggi di Downpatrick e Newcastle.
Patrick a stento riusciva a reggersi in piedi, le gambe tremavano e rischiavano di cedere ad ogni passo. Il giovane aveva anche le mani ammanettate e i polsi doloranti.
A metà strada O’ Donnell inciampò perdendo l’equilibrio, cadde in avanti ritrovandosi in una pozza di melma. Il giovane intravide un paio di stivali ben piantati al suolo, un inglese lo spronò a rialzarsi.
Patrick rimase immobile, era troppo avvilito per muoversi.
«Non mi hai sentito? Avanti, in piedi!» insistette l’ufficiale.
Egli non reagì.
L’inglese iniziò a spazientirsi, così lo colpì ad un fianco con un calcio, l'irlandese gridò contorcendosi per il dolore.
«Alzati!» ripeté con più impeto.
O' Donnell dovette ricorrere a tutte le forze che gli erano rimaste per spingersi sulle ginocchia. Si rialzò barcollando, quando tornò in piedi avvertì nuovamente il fucile premuto contro la sua schiena.
«Bene, e adesso cammina!»
Per il resto del tragitto l’inglese si limitò a ribadire gli ordini, intimandolo a procedere lungo la strada.
Quando finalmente i prigionieri giunsero ai confini del campo si ritrovarono ad attraversare un’ampia area deserta delimitata da fitte reti di filo spinato. Patrick avvertì un brivido, il silenzio in quel luogo era inquietante. Per la prima volta vide altri prigionieri del campo, i quali vagavano come ombre e fantasmi tra le baracche di legno.
Così Patrick O’ Donnell divenne il prigioniero di guerra numero 327, assegnato alla baracca 21. La notte del suo arrivo al campo fu collocato in una stanza fredda a buia, nelle capanne non erano presenti nemmeno le brande, i prigionieri furono costretti a sdraiarsi sulla paglia umida.
Patrick trascorse la sua prima settimana nell’ospedale del campo, dopo l’estenuante marcia e la prima notte al gelo dovette affrontare i deliri della febbre. In quel momento O’ Donnell pensò che fosse giunta la fine e che quelli sarebbero stati davvero i suoi ultimi giorni. Trascorse lunghe notti in preda alle allucinazioni e ai tremori, mentre il suo corpo continuava a soffrire e deperire.
La guerra però non era finita e il suo spirito non si era ancora spezzato, questa forza interiore non lo abbandonò nemmeno in quel terribile periodo di agonia.
Lentamente il giovane si rimise in forze, almeno per quel che bastava agli inglesi per considerarlo idoneo a tornare insieme agli altri prigionieri.
Fu così che avvenne il suo primo incontro con Sean Higgins. Il suo compagno lo vide tornare all’interno della baracca in condizioni pietose ed ebbe il buon cuore di prendersi cura di lui. Da quel momento tra i due si instaurò una sincera amicizia, nata principalmente dalla necessità di sostenersi a vicenda per sopravvivere.
 
Le tensioni all’interno del campo esplosero con il progredire della guerra, il regime britannico raggiunse l’apice della propria brutalità nel marzo del 1921.
Era una piovosa mattina di primavera, O’ Donnell e Higgins stavano trasportando delle casse nel magazzino delle caserme sotto l’attenta sorveglianza dei soldati britannici. Patrick affondava nel fango ad ogni passo, il suo carico era troppo pesante per il suo fisico ormai ridotto allo stremo delle forze. Nonostante ciò il giovane continuò ad avanzare imperterrito, consapevole che se si fosse arreso prima di giungere alla meta i suoi aguzzini non avrebbero perso l’occasione per punirlo.
Stavano attraversando i confini del campo quando all’improvviso avvertirono delle urla. Patrick si fermò, probabilmente stava davvero accadendo qualcosa di insolito poiché anche le guardie si voltarono ad osservare la scena. Un ufficiale stava puntando la sua Webley contro un prigioniero, il quale era inginocchiato a terra, a capo chino, inerme e tremante sotto la pioggia scrosciante.
Patrick e Sean si scambiarono uno sguardo preoccupato, anche gli altri testimoni non osarono muovere un muscolo, restando paralizzati e atterriti.
All’improvviso un botto echeggiò nel silenzio, l'inglese giustiziò il prigioniero con un solo colpo alla testa. L'ufficiale constatò la morte del condannato, poi ripose l’arma e si allontanò senza mai voltarsi. Il corpo senza vita dell'irlandese restò riverso in una pozzanghera sporca di sangue.
O’ Donnell avvertì gli occhi lucidi, aveva ormai imparato a reprimere la rabbia, dentro di sé sentì soltanto un profondo dolore. Quell’episodio turbò anche le guardie, le quali ordinarono agli altri prigionieri di tornare al loro lavoro, affrettandosi ad abbandonare il luogo del delitto.
 
O' Donnell si ritrovò spesso a ripensare all'accaduto, trascorreva intere notti insonni oppure cadeva vittima di incubi e allucinazioni. Ricordava il cadavere del suo compagno, a volte il volto di quello sconosciuto prendeva le sembianze di Martin Savage, risvegliando in lui il dolore e il senso di colpa per la sua perdita. Patrick si risvegliava urlando dal terrore, ormai era convinto che presto anch'egli avrebbe condiviso il loro triste destino.
Higgins tentava di rassicurarlo, la loro unica speranza era confidare nell’imminente fine della guerra.
 
Nonostante le esplosioni di violenza e il rigido regolamento che i condannati erano costretti a rispettare all’interno del campo si era creato anche un rassicurante equilibrio e i prigionieri vivevano quotidianamente nella loro piccola società. Gli irlandesi disponevano di tempo libero e all’interno delle baracche avevano organizzato diverse attività, ovviamente sempre sotto il controllo delle autorità.
Nel campo era presente anche una scuola dove i giovani ribelli provenienti dalle campagne avevano potuto istruirsi, imparando a leggere e scrivere in inglese e gaelico. O’ Donnell si receva spesso in quella baracca per parlare con Seamus O’ Reilly, uno scrittore repubblicano che durante la sua prigionia si era reso disponibile come insegnante in quella scuola improvvisata.
O’ Reilly possedeva alcuni libri e Patrick chiedeva periodicamente in prestito i suoi preziosi volumi per combattere la noia e distrarsi dalla dura realtà. Inoltre apprezzava dialogare con un uomo così colto, pur non comprendendo sempre a fondo i suoi discorsi.
I prigionieri avevano anche istituito un’organizzazione politica all’interno del campo, un vero e proprio Consiglio aveva il compito di negoziare con le autorità britanniche per migliorare le condizioni dei detenuti. Ogni baracca aveva il suo rappresentante, Patrick O’ Donnell fu eletto Capo della numero 21, ben 18 voti a suo favore su 25, egli era riuscito facilmente a conquistare la fiducia e la stima dei suoi compagni.
In questo modo ebbe l'occasione di constatare che non tutti gli ufficiali di guardia al campo erano spietati e brutali. Alcuni inglesi si dimostrarono disponibili al dialogo e accettarono anche di valutare le richieste dei condannati.
I prigionieri ottennero il diritto di scrivere una lettera a settimana, ma dovevano provvedere da soli a procurarsi carta e francobolli. Patrick riusciva sempre a trovare il modo per spedire la sua preziosa busta. Le missive erano tutte destinate a Elizabeth Keating, una giovane attivista del Cumann na mBan[2], nonché fidanzata e promessa sposa di O’ Donnell.  
Tutte le lettere erano censurate dagli inglesi, quindi egli non aveva modo di apprendere nulla di ciò che stava accadendo all’esterno del campo, né di fornire precise informazioni sulla propria condizione.
Ciò non era molto importante, Patrick pensava solo a sopravvivere fino al giorno della sua liberazione e quelle lettere erano il suo unico conforto.
 
Mia adorata Lizzie,
non voglio mentirti, devo ammettere che la situazione è alquanto drammatica e difficile da sopportare.
Tutti i giorni sono uguali in questo dannato inferno. Qui non esiste nulla oltre al filo spinato, non riceviamo alcuna notizia e non vediamo mai nessuno dall’esterno.
Mi rassicurano solo i nuovi detenuti che ci raccontano il progredire della guerra.
“Noi continuiamo a combattere”, queste parole mi riempiono il cuore di orgoglio e speranza.
Non so quando potrò tornare a casa, spero di rivederti al più presto.
Con affetto,
il tuo Paddy.

 
Tra estenuanti giornate di lavoro, settimane di precaria tranquillità e momenti di disperazione Patrick O’ Donnell trascorse nel campo di Ballykinlar sei lunghi mesi di prigionia. I detenuti avrebbero dovuto lasciare il campo dopo la firma del Trattato, ma trovandosi oltre il confine dell’Ulster britannico dovettero attendere ancora qualche settimana prima di poter varcare il filo spinato ed essere caricati su un treno per Dublino, nonostante tutto, come uomini liberi.
 
***

Higgins terminò il suo resoconto con evidente commozione.
«Patrick O’ Donnell è stato l’uomo con cui ho condiviso le atrocità di quell’inferno. Non posso dire nulla di male nei suoi confronti. Era un vero irlandese, un fedele compagno e soprattutto un caro amico»
Robert rimase sorpreso nel sentire quelle parole, fino a quel momento aveva sempre creduto nella colpevolezza di O’ Donnell, ma a quel punto faticava a credere che quel giovane patriota potesse essere la stessa persona che aveva ucciso suo padre.
Dalton parve soddisfatto da quell’interrogatorio: «la ringrazio signor Higgins, il suo contributo è stato davvero importante»
«Sono cambiate tante cose da allora…ma mi creda, per chi è sopravvissuto a Ballykinlar una parte di sé resterà per sempre imprigionata nel filo spinato»
Il detective osservò il suo volto segnato dalla sofferenza e dal dolore.
«Il popolo irlandese è grato per il vostro sacrificio» disse in piena sincerità.
Sean alzò lo sguardo: «ricordo la tragedia di Fenit, sinceramente detective, io non credo che Patrick abbia potuto commettere un crimine così atroce»
Eric tentò di confortarlo: «in ogni caso sono certo che O’ Donnell sia sempre stato onesto nei suoi confronti»
Higgins prese un profondo respiro.
«Se Patrick è davvero colpevole è vostro dovere fare giustizia» ammise con rassegnazione.
Dalton lo guardò negli occhi: «le prometto che faremo il possibile per scoprire la verità»

I tre abbandonarono le strade di Drogheda con aria assorta e pensierosa, ognuno era tormentato dai propri dubbi.
Il primo a parlare fu il tenente McGowan: «a quanto pare il nostro sospettato ha avuto davvero una vita difficile»
Dalton scosse la testa: «a questo punto non so cosa pensare, abbiamo a che fare con un soldato che durante la guerra ha ucciso a sangue freddo e senza rimorso, ma anche ad un uomo che ha saputo affrontare le conseguenze delle proprie azioni. Se ripenso alla testimonianza del sergente McCarthy mi sembra di trovarmi davanti a due persone completamente diverse»
«Erano diverse anche le circostanze, forse O’ Donnell rimase profondamente traumatizzato dagli orrori della guerra, tanto che dopo il Trattato ha perso il senso della realtà e non è più stato in grado di valutare la gravità delle proprie azioni» constatò O’ Neil.
Il detective rimase impassibile: «la tua è una valida considerazione, ma per ora non possiamo ancora giungere ad alcuna conclusione»
Robert si limitò ad annuire, stava iniziando a comprendere i metodi di indagine di Dalton e pian piano stava avvertendo di essere sempre più vicino alla verità.
 


 
 
Note
[1] Nota scritta da John Bonner, prigioniero nel campo di Ballykinlar.
[2] Organizzazione repubblicana femminile.
   
 
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