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Autore: Enchalott    07/01/2020    4 recensioni
Questa storia è depositata presso lo Studio Legale che mi tutela. Non consento "libere ispirazioni" e citazioni senza il mio permesso. Buona lettura a chi si appassionerà! :)
"Percepì il Crescente tatuato intorno all'ombelico: la sua salvezza, la sua condanna, il suo destino. Adara sollevò lo sguardo sull'uomo che la affiancava, il suo nemico più implacabile e crudele. Anthos sorrise di rimando e con quell'atto feroce privò il cielo del suo colore".
Genere: Avventura, Introspettivo, Sovrannaturale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Se Irkalla avesse ragione…
 
Adara attraversò uno dei cortili interni della fortezza, badando cautamente a non scivolare sulla neve appiccicosa, depositata dalla tormenta della sera precedente.
Una disattenzione e sarebbe caduta rovinosamente, trascinando con sé anche il pulcino che teneva tra le mani, pigolante e infagottato in un panno di lana bianca.
Pensare che quella temperatura insopportabile, per Jarlath, fosse da apprezzare come un clima relativamente mite le diede un brivido aggiuntivo, nonostante il caldo mantello blu che indossava con tanto di cappuccio tirato sulla testa. Sempre lo stesso: quello che riusciva stoicamente e inverosimilmente a conservare una traccia del profumo del suo padrone originario.
In verità ne aveva altri, addirittura più pesanti o più femminili. Qualcosa in lei si ostinava a sceglierlo ogni volta che aveva bisogno di ripararsi: di proteggersi da quel luogo sottoposto all’inverno perpetuo.
Anthos l’aveva guardata prepararsi con impassibilità, inarcando però un sopracciglio quando l’aveva vista infilarsi casacca e pantaloni dal taglio maschile, a discapito delle splendide vesti conservate nel baule che le aveva fatto portare, e completare la mise proprio con quell’indumento. Ma i suoi remoti pensieri, come al solito, non erano trapelati. Neppure attraverso il sorriso scaltro che le aveva riservato.
 
La notte precedente, acconsentendo alla sua richiesta, il principe aveva spezzato il sigillo dell’anello recato da Azhulio, sedendosi sul letto, e aveva finalmente srotolato la lettera. Sul materasso era anche piovuta una piccola scheggia blu e, quando Adara si era approssimata per osservarla meglio, lui le aveva impedito di toccarla.
“Credi che anche mia madre voglia nuocermi?” aveva sbuffato lei, esasperata dalle sue continue precauzioni.
“Affatto. Ma un vetro blu non può venire da Elestorya” aveva spiegato lui” “Voglio capire il motivo per cui si trova allegato alla missiva”.
Poi aveva allargato il foglio, inclinandolo verso la luce.
“Non riuscirai a leggerlo” aveva anticipato lei “Usiamo un codice cifrato”.
“Ah sì?” aveva commentato lui, con la stessa sorpresa che avrebbe mostrato davanti alla constatazione che fuori stava nevicando “E’ per questo che mi hai consentito di aprirlo?”.
I suoi occhi dorati avevano scorso rapidamente le minuscole righe vergate con il kafri.
“La regina ti esorta a interrompere la missione e a tornare a Erinna perché ti ritiene in pericolo” recitò “Troppo tardi, direi…”.
“Riesci a capirlo!?”
“Alla perfezione” aveva ridacchiato lui, porgendoglielo “Non ho problemi a interpretare un messaggio criptato”.
La principessa aveva spalancato gli occhi nel constatare che Anthos non aveva sbagliato di una virgola, indecisa se si trattasse di cervello, di magia o di altro.
“Eudiya ha cercato di avvisarti della presenza di un nemico, lo stesso che ritiene abbia fatto sparire Shion e attentato alla vita di tua sorella. Propone due ipotesi, ma hai già appurato che io non ho nulla a che vedere con questi eventi” aveva proseguito lui “Pertanto, i suoi sospetti si concentrano in secondo grado su Irkalla reincarnato. Mi duole annunciarti che si sbaglia di grosso”.
“Come fai a dirlo?” aveva borbottato lei, infastidita dalla sua velocità di ragionamento e dall’aria boriosamente sicura di sé.
Lui aveva abbassato il foglio, squadrandola.
“Primo: tuo fratello è arrivato qui da solo. Il fatto che abbia trascritto uno stralcio del Testo Sacro del Nord non indica matematicamente un suo contatto con Irkalla. Secondo: il Distruttore non ha bisogno di usare trucchetti banali, avendo dalla sua la possibilità di disintegrarci tutti. Non può abbandonare i confini di Iomhar, è vero… ma possiede certo alternative migliori di un veleno ordinario o dell’alleanza con un moccioso fanatico. Terzo: il frammento che tua madre ha allegato al messaggio viene da Jarlath, così come il rath di cui è macchiato. Dovresti essere contenta, l’analisi che ha fatto svolgere tanto accuratamente e qui riportata assolve gli Aethalas dal tentato omicidio di Dionissa. Una prova inoppugnabile, direi”.
Adara era rimasta senza parole.
“Contenta non è proprio la definizione opportuna” aveva asserito in seguito “Shion è quasi sicuramente il Traditore del sangue o un suo adepto e Irkalla può aver lasciato in pace mia sorella solo per attentare a me. Sempre che lui e Shion non siano la stessa persona, visto che anche tu sostieni che abbia infinite risorse, pur restando segregato al Nord. Da ultimo, manca ancora l’effettivo colpevole”.
Anthos aveva abbassato il viso verso di lei e il riverbero del fuoco gli aveva lambito i tratti perfetti e concentrati.
“Oh no” aveva pronunciato con calma glaciale “Il colpevole è indubitabile a questo punto. È lo stesso che ha tentato di far passare i Guardiani del Mare per complottisti da strapazzo e che ha cercato incoscientemente di ingannare me. Quello che ha convinto tuo fratello a leggersi i rotoli di Iomhar, portandolo a credere di non avere altra scelta, se non quella di schierarsi contro di voi. Vantaggio mio, ma non del tutto. Che Shion sia Irkalla è un’idiozia: il dio conosce già la Profezia, non avrebbe avuto bisogno di farsela portare da alcuno. E poi, ti immagini un Distruttore tanto vigliacco e tremebondo da farsi comandare a bacchetta… impossibile! Sono certo, tuttavia, che il ragazzino stia mentendo o tacendo su diversi punti della storia e che questo non faccia altro che avvalorare la tesi della sua identità di Traditore. Non ritengo sia una sua iniziativa, comunque. Me ne accerterò domani stesso”.
“E’ la seconda volta che ti esprimi con convinzione. Perché non mi racconti tutto?”
“Perché tale informazione ti esporrebbe ancora di più. La regina suggerisce di cercarti degli alleati a Jarlath. L’unico che hai a disposizione, che ti piaccia o meno, sono io. Pertanto, farai esattamente quanto ti ho già raccomandato, senza discutere”.
“Mia madre intende alleati contro di te! Anche se, a tuo dire, sei estraneo a questa esecrabile vicenda, sei però responsabile del fluire inevitabile del tuo Regno verso l’apocalisse! Il che non è meno grave!”.
“Tu non puoi saperlo! Chi ti dice che la Profezia sia la soluzione esatta o più soddisfacente per tutti? Hai parlato personalmente con gli dei!?”.
Adara aveva indicato con rabbia il cilindro lavorato ancora posato sul pavimento.
“Quello!” aveva gridato poi “Accompagnata dalle sofferenze inascoltate del tuo popolo! Sono due elementi su tre! Non cercare di scagionarti con la dialettica!”.
“Non ne ho bisogno!” aveva ribattuto lui con pari enfasi e un’ombra irata nello sguardo “Non mi interessa quello che credi tu! Dall’alto di quale esperienza pretendi di conoscere realmente quanto sta accadendo!?”.
“Da quella che deriva dal dolore che avverto nelle persone! Dal rispetto dovuto agli altri! Se non ti accorgi del male che ha annerito il creato significa che sei acciecato da te stesso! O che ne fai parte e sei ancora peggiore!”
“Io ci vedo benissimo! Non osare dubitare della mia facoltà di giudizio!”
“Se te ne rendi conto e non intervieni sei solo un freddo egoista, un arrogante che spreca nel nulla la propria esistenza!”.
“Grida più forte, forse qualcuno non ci sta ascoltando! Fallo sapere a tutti, in modo che non ci siano più ragionevoli dubbi! Dillo anche a te stessa, Adara! Stai cercando di auto convincerti del mio torto per paura che io abbia ragione! Che cosa farai quando non ci saranno più scuse e la Profezia si rivelerà in tutta la propria futilità!?”.
“All’inferno la Profezia!” era esplosa lei “L’hai detto anche tu! Se non riuscirò a intervenire moriremo entrambi! È questo che vuoi, Anthos!? Io me ne andrò con la coscienza pulita, certa di aver compiuto quanto mi era possibile! Ma tu… potrai sostenere altrettanto? Che ne sarà di te?!”.
“Quante volte ancora dovrò ascoltare questa musica?! Non tornerò sui miei passi! Non mi farò convincere dalla fiducia che tenti ingenuamente di farmi percepire!”.
“Sei un puntiglioso testardo! Ostinato! Caparbio! Inflessibile! Non vuoi nemmeno tentare di prendere in considerazione i fatti da un’altra angolazione! Neppure Amathira è stata tanto rigida nelle sue decisioni!”.
Anthos aveva spalancato gli occhi, fuori di sé, sbattendo la lettera sul letto.
“C-cosa?” aveva sbottato con voce strozzata.
La principessa si era resa conto che stavano discutendo come due adolescenti cocciuti e che non avevano svegliato l’intera fortezza solo perché Leu-Mòr era isolata dalla propria remota altezza. Non aveva più replicato, seccata.
“Adesso basta!” aveva sibilato lui, levandosi in piedi.
Lei aveva temuto che evocasse i suoi poteri, ma il principe si era semplicemente diretto verso il baule scolpito posto ai piedi del letto e lo aveva spalancato con un gesto nervoso, senza nemmeno chinarsi.
Ne aveva tratto fuori un rotolo, fasciato in una protezione di cuoio rosso decorato, ed era tornato a sistemarsi accanto a lei, deciso, sganciandone la chiusura costituita da un legaccio di pelle nera. Aveva spianato l’incarto, tenendolo fermo con la mano ed esponendolo al bagliore del camino.
Mille volte mille giorni, in un tempo senza tempo, in un luogo senza luogo, prima che la Distruzione riceva l’oltraggio di un involucro mortale. In vita, senza vita, nel gelo di un’essenza priva di sentimenti intessuti di opposte destinazioni” aveva tradotto con algida fermezza, quasi a memoria i caratteri sbiaditi che occupavano la pergamena “Stagioni replicate e uguali, altre mille scorreranno nel tartaro destinato ad accogliere l’ultimo respiro del dio punito dalla Celeste con il cuore infranto. Vedrà il primo sangue della luna, amerà e morirà nella disperazione, nella mancanza di quanto avrà bramato, assorbendo lo stesso spasimo inflitto a chi aveva giurato di amare. Sconfitto, solo, lontano dal luogo cui appartiene per genesi”. Devo continuare?”.
Adara aveva avvertito un brivido lungo la schiena. Gli scritti sacri interpretati da Dionissa non erano altrettanto crudi nel significato. Parlavano di morte e fine, ma in modo più moderato, più indolore. Aveva annuito, silenziosa.
Anthos aveva abbassato nuovamente lo sguardo sull’antico documento, all’apparenza privo di emozioni.
Dal Nord verrà la chiave, salvezza e condanna, morte dimenticata o coraggiosa offerta. Dal Nord verrà la Distruzione e avrà tre occhi di gelido ghiaccio e l’animo divorato dall’atro buio, partorito dal rancore. Camminerà imprimendo orme di morte verso il confine del Mondo, il suo esercito sarà dolore e vendetta. Lacrime disciolte in un abisso senza limite, se opporrà il sé alla dannazione: condurrà il destino prescritto al suo compimento, trascinerà con sé i mortali al miserevole nulla.
Dal Nord verrà la chiave, redenzione e sanzione, assenza d’amore o sacrificio dello spirito. Dal Nord verrà la Distruzione e avrà tre occhi di amare lacrime e l’animo dilaniato dall’amore conosciuto nell’ultimo fiato vitale. Leverà le mani a difesa di ciò che non è, spezzando il confine del Mondo, affiancato dall’assenza di quanto desidera, vana illusoria speranza. Lacrime tardive in un creato privo del sé, evaporerà nel nulla senza lasciare memoria e traccia, compiendo il fato prescritto in una scia di cocente dolore”.
Adara aveva indugiato sul viso bellissimo del principe di Iomhar, sforzandosi di scorgervi un qualunque indizio sul suo reale stato d’animo. Su che cosa transitasse attraverso la sua mente agile e profondamente intelligente nel pronunciare a voce alta quelle lettere antiche e tanto perentorie. Ma lui l’aveva fissata a sua volta con quegli occhi ambrati e indecifrabili, facendole mancare il respiro, in una vicinanza che, malgrado le intenzioni de entrambi, valicava quella fisica.
“Piangi?” aveva mormorato lui, come se non avesse atteso altro.
“N-no…” aveva negato lei, respingendo a forza il magone eccedente.
“Meglio. Sono tutte idiozie, ora le hai ascoltate come desideravi”.
La ragazza aveva scosso la testa, spaesata ma decisa a risolvere la questione. Avrebbe dovuto comunicare quanto ascoltato a Dionissa, ma non avrebbe potuto appoggiarsi a Màrsali oppure il reggente avrebbe compreso che la veggente stava agendo contro di lui in segreto e che non aveva perso davvero la sua chiaroveggenza. Non poteva metterla in pericolo, chiederle di farsi smascherare pur di rivelare a sua sorella che quella parte di Testo Sacro parlava di una chiave.
“Non possono essere tutte falsità, Anthos” aveva affermato, ormai priva della precedente rabbia “Rispetto alla parte custodita al Sud, che sicuramente hai letto, qui si parla di una possibile risoluzione. Tutto è composto in alternanza, come se ci fosse una scelta da compiere. Tu sai qual è? Sai che cosa dobbiamo fare?”.
“Mh” aveva sogghignato lui, beffardo “Una scelta che pesa su Irkalla, non sui mortali, se presti attenzione. È il Distruttore a essere chiamato in causa, tutti gli altri possono solo essere spettatori, divinità comprese. Un’idea ridicola e contraddittoria. Se Amathira ha sofferto per l’annientamento del creato tanto esageratamente da condannare il suo crudele amante, perché avrebbe poi lasciato nelle sue mani la scelta di un secondo possibile sterminio? Questa è un’ulteriore prova al fatto che sia tutta un’immensa presa in giro. Non me ne importerebbe niente in ogni caso. La mia risoluzione, terza alle due alternative prescritte, va oltre e possiede il pregio di bloccare l’obbligo forzato che prevede che il mondo si astenga da qualsivoglia intervento. Io sarò l’unico vincitore, puoi giurarci”.
“Perché non cerchi Irkalla? Con i tuoi poteri non dovrebbe essere tanto ostico. Hai detto che non lo temi, perché non fai in modo che prenda in considerazione la soluzione che solo tu hai intravisto?”.
“Non capisco perché il Distruttore ti interessi tanto! Ogni volta che ne parli, lo fai apparire come una forza positiva o come una vittima innocente…”.
Adara aveva scorto una luce vibrante nel suo sguardo, come se la posizione di Irkalla in ciò che stavano affrontando, in fondo all’anima, tangesse anche lui.
“Le righe che hai letto” aveva sospirato lei, triste “Non raccontano nulla sulla sofferenza, sulla collera o sulla vendetta di Amathira. Inchiodano lui ad esse, tanto che ci ritornano filtrate attraverso la sua percezione. Se io fossi il Distruttore, mi sentirei solo, iniquamente umiliato, privato della possibilità di comunicazione… e sarei preda di un’ira smisurata, che mi porterebbe a scegliere senza remore una nuova apocalisse, anche solo per affermare la mia necessità di essere considerato uno dei Superiori, non un mortale. Ciò che gli è stato imposto non è giusto. Non lo è da qualunque parte lo si osservi. A costo di sembrare irriverente, non posso che avvertire un’estrema empatia per lui. Vorrei trovarlo, parlargli, chiedergli perdono se nessuno, al presente, ha considerato il fatto che potesse essere lui la vittima sacrificale. Vorrei domandargli di mostrarsi grande e misericordioso, sarebbe uno schiaffo a ciò di cui è stato accusato, la vera dimostrazione che è stata Amathira a cadere in errore. Vorrei provare a non farlo più sentire abbandonato…”.
Il giovane aveva stretto le palpebre, teso, riavvolgendo il foglio ingiallito e risistemandolo nella custodia. Nessuna reazione sul suo viso ombreggiato dalla chioma folta e disordinata, nessun commento a parole tanto accorate. Solo un lungo silenzio, come se fosse fuggito anni luce lontano da lei.
“Sei fuori di senno…” aveva commentato poi, tagliente.
“Anthos…”.
“Attenta a ciò che desideri” aveva sancito lui con crudezza “Potresti pentirtene”.
“Aiutami a trovarlo…”.
“No”.
“Perché pensi di non riuscirci e non ami fallire?”
“Potrei farlo apparire anche ora. Non è quanto voglio”.
“Temi che possa appropriarsi del Medaglione?”.
“Cosa? Che diamine ti salta in mente?”
La Distruzione avrà tre occhi di ghiaccio” aveva citato lei, sforzandosi di rammentare le parole esatte “Pare la carta d’identità del tuo gioiello… Non pensi che potrebbe avere a che fare con Irkalla?”.
Anthos aveva abbandonato l’espressione di lieve sorpresa e si era messo a ridere, scuotendo il capo, evidentemente divertito dalla supposizione.
“Penso che tu ne sappia poco di divinità. Secondo l’iconografia arcaica, il Distruttore ha un segno sulla fronte, una sorta di cerchio mezzo bianco e mezzo nero diviso a metà. Si allude a quello, non alle tre gemme del mio Medaglione”.
“Oh…” era arrossita lei, imbarazzata “Scusami, non ne ero al corrente. Però, che c’entrano il bianco e il nero con il ghiaccio?”.
Il principe aveva inarcato un sopracciglio, forse infastidito da tutte quelle richieste pressanti, ma aveva risposto senza mostrare stanchezza.
“Potremmo parlarne con cognizione di causa solo dopo aver incontrato il suo sguardo. Raccontarlo in giro a quel punto, però, diventerebbe arduo”.
Lei aveva fissato le sue iridi penetranti e malinconiche.
“Allora assomiglia un po’ a te”.
“Irkalla?!” era sbottato lui, tra il sarcasmo e la meraviglia “Questa non l’avevo ancora sentita! La aggiungo all’elenco delle ingiurie che attualmente non sto prendendo in considerazione! Aspettati il conto, prima o poi, Adara. L’unica cosa che il Distruttore ed io abbiamo in comune è l’assurdo fatto che tu voglia “salvarci” entrambi!”.
“Era un complimento nelle mie intenzioni” aveva precisato lei, risentita.
Lo sguardo di Anthos aveva avuto un luccichio intenso e misterioso. Non aveva dato seguito al dialogo e aveva gettato il Testo nel baule, sigillandolo. Poi si era steso sul letto, appoggiandosi ai cuscini.
“Devo dormire per qualche ora” aveva ammesso “Faresti meglio a riposare anche tu. Domani porterai quel pulcino a Bryok, nell’ala ovest dei cortili esterni. È il nostro addestratore di strik, saprà prendersene cura. Qui non può stare”.
La principessa aveva osservato con affetto il piccolo rapace nero-blu, sistemandosi a sua volta sotto le coperte.
“Vorrei contattare Dionissa. Non posso lasciarla all’oscuro di ciò che mi hai tradotto. Posso domandare a Bryok un messaggero alato, previo il tuo consenso?”.
“No” aveva borbottato lui “Troppo azzardato. Lo faremo domani in un altro modo, dopo che avrò estorto a tuo fratello le argomentazioni che sta nascondendo”.
“Ti prego, non fargli del male!”.
“Ah, ma guarda!” aveva sogghignato lui “Io devo andarci piano, mentre il tuo caro Aethalas è autorizzato a ucciderlo senza esitazioni?”.
“Narsas non lo torturerebbe come lasci intendere tu! Se tutte le prove saranno ancora contro Shion, se davvero è il Traditore del sangue come pare, non mi opporrò alla sua esecuzione. Ma voglio che sia dignitosa!”.
Anthos aveva spostato lo sguardo dal soffitto buio a lei. Qualcosa di simile al rispetto gli era balenato negli occhi chiari. Poi l’aveva attirata tra le braccia.
“Non hai detto che eri stanco?” si era lamentata lei, respingendolo.
“Ed è così. Non ho però detto che avrei dormito in un angolo”.
Le aveva allacciato le braccia intorno al corpo, passandole il suo calore.
“Non avrei mai pensato che litigare brutalmente con te fosse tanto appagante” aveva sussurrato, ironico e bruciante “Tanto quanto fossi riuscito finalmente a penetrarti”.
 
Adara avvampò al ricordo, salendo gli ultimi gradini del torrione tarchiato destinato al ricovero degli strik.
Fu raggiunta dall’odore selvatico degli animali e dai loro stridii inconfondibili. Il pulcino pigolò in risposta, agitandosi nell’involto. Un uomo snello di una quarantina d’anni, che teneva sul polso un esemplare candido picchiettato di marrone, si voltò nella sua direzione. Quando la riconobbe, si sprofondò in un inchino ossequioso.
“Siete voi Bryok?” domandò lei gentile.
“In persona, altezza reale” rispose lui, sempre prostrato rispettosamente.
Aveva i capelli color cannella raccolti in una coda corta dietro la nuca e gli occhi erano grigioverdi, cordiali sulla carnagione chiara. Non era armato e portava una casacca bruna dotata di molte tasche, simile a quella che usavano gli allevatori di Elestorya. Nessun attrezzo che avrebbe potuto servire a costringere i rapaci con le cattive maniere a obbedire ai comandi.
“Alzatevi vi prego” sorrise lei “Vorrei affidarvi questo piccolino. La scorsa notte ha bussato alle mie finestre e il principe suggerisce di iniziare subito a insegnargli le basi per farlo diventare un messaggero”.
“Un magnifico pulcino, maestà” commentò l’uomo, visibilmente sorpreso dalla dichiarazione “Accadono cose inspiegabili a Leu-Mòr, come sempre” si lasciò sfuggire.
“Già…” sospirò la ragazza, certa che lui stesse alludendo al fatto che lo strik non fosse ancora in grado di volare.
“Che nome volete assegnargli?”.
Adara esitò. Il reggente le aveva vietato di ribattezzarlo Azhulio, insistendo sul fatto che non fosse lo stesso animale e adirandosi per il suo scarso convincimento. Aveva anche aggiunto che cambiare appellativo le avrebbe risparmiato la nostalgia per lui. Forse, non aveva tutti i torti.
“Anthos ha proposto Gormal. Va bene anche per me”.
Bryok dovette sbigottirsi ancora. Gli risultò strano che qualcuno osasse riferirsi al reggente di Iomhar con tanta familiarità, anche se si trattava di sua moglie. Inoltre, il piumaggio del volatile era scuro, mentre quella parola, nel dialetto locale, significava “azzurro cielo”. Forse era dovuta alle sfumature cangianti del pulcino.
“Ne avrò cura, sul mio onore” rispose educatamente.
Poi osservò la bellissima principessa straniera allontanarsi e non poté fare a meno di provare una stretta al cuore, sapendola ostaggio del malvagio individuo che teneva in pugno le loro vite. Eppure, quella fanciulla non sembrava triste. I suoi occhi bruni erano carichi di calore e di dolcezza. Aveva sentito raccontare che aveva aiutato alcuni abitanti di Jarlath e che non mancava mai di intercedere a favore dei prigionieri e dei condannati. Forse, era davvero come si diceva in giro: era la speranza che tutti loro avevano richiesto agli dei nelle loro disperate preghiere.
 
Adara uscì dal porticato della torre ovest e sollevò lo sguardo al cielo plumbeo, punteggiato di fiocchi pigri e minuscoli.
Iniziò a provare una sensazione sgradevole, che si condensò in un movimento rabbioso del Crescente: qualcuno la stava osservando, percepiva una presenza estranea alle proprie spalle. Si girò, ma non incontrò che la scalinata deserta.
Avanzò attraverso il cortile rapidamente, affondando nella neve, con il cuore che accelerava i battiti, in preda al senso di pericolosa e oscura vicinanza e al bruciore che le attanagliava il ventre. Le sembrò di udire dei passi ovattati che la seguivano, ma ancora una volta non distinse nulla, né orme né estranei.
Le sentinelle sugli spalti erano rilassate e non mostravano segni di preoccupazione.
Rientrò nella fortezza, con il fiato corto, percorrendo il salone principale a lunghe falcate, quasi di corsa, senza rispondere all’inchino dei soldati posti all’ingresso con la consueta cortesia. Qualcosa di buio la stava tallonando, invisibile e minaccioso, come un artiglio gelido e letale che tentava di ghermirla, senza più preoccuparsi di celare la propria efferata intenzione. Si girò ancora.
Nessuno. Non vide nessuno.
La paura la inondò come un’alluvione quando ripensò alle numerose volte in cui qualcuno aveva tentato di ucciderla durante il viaggio per Jarlath. In quelle occasioni non si era mai trovata da sola, invece in quel momento quel tetro palazzo pareva non dare segni di vita e le guardie preposte alla sua difesa apparivano pienamente ignare. Che fossero tutte sotto incantesimo? O era semplicemente la mezzaluna tatuata a far sì che lei sola avvertisse quel rischio tangibile?
Ricominciò a correre, senza capire bene dove si stesse dirigendo, terrorizzata, imboccando i corridoi labirintici della reggia nel tentativo di seminare l’ostinato inseguitore. Perse l’orientamento nel dedalo poco familiare dei passaggi semibui e la certezza di avere qualcuno alle calcagna si fece più prossima. Si sentì sfiorare da un’essenza maligna e gridò, sperando che qualcuno la soccorresse, che le dicesse dove si trovava, che la sottraesse alla caccia mortale in cui era la preda.
All’improvviso, un paio di braccia la afferrò saldamente, bloccandole la fuga. Urlò.
“Adara!”.
“Narsas!” esalò lei, riconoscendo alla debole luce della torcia più vicina il volto del giovane guerriero “Siano ringraziati gli dei!”.
“Che cosa sta succedendo? Stai tremando!”.
“Qualcuno… dietro di me… cerca di prendermi, è perverso e invisibile…”.
“Come? Io non vedo anima viva…”.
Nonostante l’espressione sorpresa, il ragazzo si sfilò l’arco dalla spalla e incoccò una freccia, mirando alle ombre e al possibile non essere che sfruttava il buio per celarsi. La principessa gli si strinse al fianco, visibilmente turbata, spingendo lo sguardo in tutte le direzioni. La sensazione di essere braccata perdurò ancora qualche istante e poi si esaurì. Il Crescente si placò in un picco discendente.
Trascorsero alcuni minuti di immobilità e attesa spasmodica, prima che l’Aethalas decidesse di abbassare l’arma e la guardia, approssimandosi il più possibile alla luce.
“Non lo percepisco più…” mormorò lei, in una scia di panico sconvolgente.
L’arciere la cinse con fare protettivo, sollevandole il viso ancora pallido e tirato.
“Neppure qui il male rinuncia al suo scopo omicida. Ho pensato che non avrebbe sfidato apertamente i poteri del principe sul suo territorio. Errore mio. Evidentemente, qualcuno o qualcosa teme grandemente la tua presenza per spingersi a tanto. Non permetterò che tu resti sola neppure un secondo, Adara. Non mi interessa quello che pensa tuo marito, se crede di poter allentare la vigilanza, io non transigerò più”.
“Io non riesco a capire” sussurrò la ragazza “Perché mi considerano tanto pericolosa o importante? Ormai Anthos ha letto la Profezia, io non ho poteri e sono un semplice ostaggio tra queste mura. Un trofeo da mostrare e basta”.
“Credo che il nostro nemico non si curi affatto dei testi sacri” affermò lui “Quanto al fatto che tu sia una prigioniera come le altre, lasciami dissentire. Tu sei la regina, Adara. Il reggente ti ha sposata nell’incredulità generale e, a prescindere dal bieco fine che ha addotto, non ti ha arrecato alcun male sino ad oggi. Anzi, potrei addirittura azzardare che tu in fondo gli piaccia. Chiaramente, qualcuno non approva l’influenza che potresti avere su di lui o quanto si potrebbe instaurare tra voi con il tempo”.
“Ma che dici, Narsas…” arrossì lei “Anthos non prova nulla per me e non è intenzionato a darmi ascolto. Non si fida di nessuno e non mi degna della sua considerazione. Neppure in mille anni riuscirei a smuoverlo dalle sue arroccate posizioni. Come ti è venuta in mente un’idea tanto assurda?”.
“Mi è bastato osservarlo con attenzione”.
Gli occhi scuri dell’Aethalas ardevano al riflesso delle fiamme, più roventi del fuoco stesso. Il suo sorriso era gentile e indulgente, quasi rassegnato. Era certo di ciò che stava affermando, per quanto suonasse insensato, come se riuscisse a vedere oltre l’apparenza. La principessa scosse la testa, poco convinta.
“Ti sbagli. Non riesco nemmeno a comprendere che cosa gli passi per la mente. È vero, in lui potrebbe esistere uno spiraglio di umanità, ma se dovessi puntare su quello per convincerlo a non ignorarmi, sono sicura che lo chiuderebbe all’istante solo per partito preso. Non so che cosa tu abbia notato di così eclatante. Io mi sento completamente inerme in sua presenza”.
Narsas abbassò il viso e le scostò una lunga ciocca dalla guancia, con dolcezza.
“Solo un idiota potrebbe convincersi che tu sia disarmata e Anthos non rientra in questi canoni. Ho visto come ti guarda. Ti ritiene alla sua altezza e, a suo modo, ti rispetta. Ma c’è di più, credimi. Le sue labbra possono mentire e negare, non così il suo sguardo. Nonostante i poteri spaventosi è un pur sempre uomo”.
“Questo non cambia nulla. Tu non lo conosci…”.
“Anch’io, come lui, sono un uomo”.
Adara lo fissò, cercando di cogliere appieno il senso di quelle parole che la invitavano a non arrendersi, a confidare in sé e rinnovavano, ancora una volta, la fiducia colma di speranza che il guerriero del deserto riponeva in lei.
“Non parlare per enigmi, Narsas, almeno tu…” rilanciò, turbata.
I tratti esotici del ragazzo si ammantarono di tristezza. Fece per rispondere, ma tutte le torce della sala si accesero contemporaneamente, illuminandola quasi a giorno.
Il principe di Iomhar avanzò a passi lenti dalla penombra della volta di ingresso dell’ala est, ora perfettamente riconoscibile.
Le sue iridi dorate brillavano di furia e mestizia sull’espressione fredda e carica di disprezzo. Qualcosa di lui, tuttavia, sfuggiva al consueto autocontrollo e faceva gelare il sangue nelle vene. Rabbia pura e insostenibile. Vera. Profonda.
“Anthos…” mormorò la principessa, guardandolo con meraviglia.
Lui non rispose e sollevò la mano. Tra le sue dita scintillò un’energia verde e micidiale.
   
 
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