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Autore: Mari_Criscuolo    11/01/2020    1 recensioni
Leila (Ella) ha 22 anni e vive a Napoli, ma, dopo la laurea triennale in psicologia, si trasferisce a Roma, per continuare il suo percorso di studi.
Sofia, sua amica da otto anni, ha deciso di seguirla.
Entrambe mosse dalla stessa chimera: lottare per la propria felicità.
Ella ha compiuto una scelta che ha fatto soffrire molte persone.
Nonostante non ne se ne sia mai pentita, sa che ogni decisione comporta delle conseguenze e lei sta ancora scontando la pena che le è stata imposta.
È convinta di essere in grado di affrontare ogni difficoltà la vita le metterà sul suo cammino, perché l'inferno lo ha vissuto, deve solo trovare il modo di non ritornarci.
Una ragazza con le sue piccole manie e le sue paure.
Una ragazza che usa il sarcasmo e l'ironia per comunicare il suo affetto e, allo stesso tempo, proteggersi da chi si aspetta, da lei, cose che non può e non vuole fare.
La sua famiglia, Sofia con suo fratello Lorenzo e, infine, un incontro inaspettato, la sosterranno nella sua scalata verso la tanto agognata libertà.
Genere: Generale, Introspettivo, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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La partita stava per iniziare. Gli spalti grigi e polverosi erano gremiti di familiari, amici e fidanzati accorsi per dare il loro supporto ai singoli membri di ogni squadra.
 
Le voci di tutte quelle persone ammassate sulle quattro ampie gradinate, che costeggiavano i lati della palestra, si mescolavano, creando un unico forte brusio. Alle orecchie di Ella, quel vociare fastidioso sembrava aumentare di secondo in secondo, amplificato dalla grandezza della struttura che facilitava il riverbero di tutte quelle onde sonore.
 
Ella detestava i forti rumori, specialmente se continui, perché la disorientavano e, ottundendole i sensi, le facevano girare la testa pendendo il senso dell'orientamento.
 
Il fatto che fosse seduta, anche se su una superficie dura e priva di schienale, le rendeva meno difficoltoso sopportare quel caos, senza rischiare di avere un esaurimento nervoso.
 
«Sicura vada bene questo posto?» le chiese Cristina, sfiorandole delicatamente la mano per richiamare la sua attenzione.
 
Aveva osservato Ella perdersi nel guardare le travi di ferro che, saldate le une alle altre, formavano lo scheletro che reggeva il soffitto.
 
Era palese la tensione che traspariva dai movimenti meccanici del suo corpo, alla ricerca di qualcosa abbastanza interessante da poterla distrarre.
 
«È perfetto. Devo avere una via di fuga in caso succeda qualcosa e l'idea di farmi calpestare o di dover scavalcare altra gente mi manda in panico.» Ella strinse con più forza lo spigolo inferiore del gradino su cui aveva preso posto.
 
Quella era una tipica situazione che avrebbe volentieri evitato. Gli spazi chiusi con troppe persone sfuggivano al suo controllo e l'idea di essere toccata, spinta, sfiorata, schiacciata e urtata da tutte quelle mani di tutte quelle persone la portava a perdere la ragione.
 
Per tale motivo, quando era costretta a prendere parte a eventi come quello, si avvinghiava come una cozza allo scoglio, al gradino più basso ed esterno, così da avere una via di fuga in caso non fosse stata più capace di reggere l'ansia che, con la stessa stretta di un serpente a sonagli, si avvinghiava attorno al suo collo, soffocandola.
 
L'aria era già satura di sudore mischiato all'odore del legno lucido del pavimento su cui avrebbero dovuto sfidarsi le due squadre.
 
Ella spostava lo sguardo da un punto all'altro della palestra e ascoltava le conversazioni delle persone sedute sui gradini alle sue spalle, nel tentativo di distrarsi e ammazzare il tempo nell'attesa dell'inizio dei grandi giochi.
 
Ad attirare la sua attenzione furono un paio di spalle coperte da un giubbino di pelle nero, che aveva avuto il tempo di riconoscere dopo tutte le volte che lo aveva visto. Tutto in lui, dalla postura sicura alla pettinatura scomposta dei suoi capelli, era per lei inconfondibile. Aiutata anche dal fatto che era, in quel momento, l'unica persona in piedi poco distante da lei.
 
Gabriele si voltò parecchie volte prima di incrociare i loro volti familiari e, quando le ebbe riconosciute, si avvicinò con calma verso di loro.
 
Ella non si lasciò sfuggire nemmeno uno dei movimenti del suo viso, riuscendo a scorgere sia il leggero incurvarsi all'insù delle sue labbra carnose, sia la sua mano sinistra che si stringeva in un pugno lasciando trapelare tutta la sua tensione.
 
Quando lo sguardo di Ella ricadde su di essa, lui se ne accorse e la nascose prontamente della tasca del suo jeans, come se quel gesto le potesse impedire di percepire il suo stato d'animo.
 
Con la coda dell'occhio, Ella vide Cristina picchiettare la mano nel posto libero al suo fianco, per invitarlo a sedersi vicino a lei.
 
«Sono felice che sia riuscito a venire. Sofia sarà felicissima di sapere che non ti sei perso la sua performance» disse Cristina non appena Gabriele si sedette.
 
«Non potevo mancare. Mi sto impegnando a mantenere le promesse.»
 
Ella sapeva che quella giustificazione aggiuntiva non poteva riferirsi solo all'averle degnate della sua presenza o forse, la sua, era solo una mera illusione dettata dalla speranza che non la odiasse del tutto, dopo ciò che era accaduto.
 
«Perché sei venuto?» La domanda risuonò nitida tra i mormorii indistinti che minacciavano di sovrastare la sua voce, ma l'intonazione era stata troppo brusca perché la risposta del suo interlocutore potesse risultare gentile.
 
«Secondo te?»
 
«Hai già cambiato idea?» Chiese Ella, per nulla intimorita dalla piega che stava prendendo la conversazione.
 
Non era mai stata brava a scusarsi e sebbene sapesse che avrebbe dovuto farlo, proprio non riusciva ad accantonare quella parte di lei che le diceva di fuggire, per permettere al suo orgoglio di ingoiare il senso di colpa.
 
«Non sono qui per te, ma per vedere Sofia giocare. Mi vuoi allontanare e sto rispettando la tua decisione, ma questo non mi impedisce di riallacciare i rapporti a cui ho rinunciato tempo fa. Adesso, puoi anche continuare ad ignorarmi, io farò lo stesso, non temere.»
 
Nonostante la freddezza della risposta di Gabriele, Ella era consapevole che fosse felice di vederla. Non potevano nascondersi dopo che avevano rivelato i propri sentimenti e, sebbene ferisse entrambi quella distanza, ormai erano completamente trasparenti e sapevano che se uno di loro avesse ceduto l'altro l'avrebbe seguito, trascinato dalla marea di sentimenti che riempiva lo spazio vuoto tra i loro corpi.
 
«Sei proprio un'idiota» commentò Ella con voce seccata.
 
Cristina, che fortunatamente si trovava tra loro, sbuffò rassegnata di fronte all'incapacità della sua amica di essere cordiale e vagamente matura.
 
«Tu invece sei perfetta. Reprimi così tanto i tuoi sentimenti che quando esplodi fai tabula rasa di tutto ciò che hai intorno, poi sarei io lo stupido.»
 
«Potevi scegliere un posto qualunque, invece di sederti qui.»
 
Questa affermazione tradì i sentimenti di Ella, che si ritrovò a combattere tra il desiderio di mordersi la lingua e quello di urlare per la frustrazione.
 
«Cristina mi ha fatto segno di salire per sedermi vicino a lei. Cosa c'è? Ti dà fastidio sapere che non sono qui per te?»
 
Gabriele sapeva di aver centrato in pieno il motivo di tutta quella ostilità e dovette sforzarsi di nascondere un sorriso compiaciuto di fronte alla consapevolezza che, in realtà, Ella non pensava realmente ciò che gli aveva urlato quel giovedì.
 
Sicuramente lui aveva contribuito ad innescare la sua rabbia, ma adesso aveva almeno la certezza che non voleva realmente che lui la ignorasse.
 
Aveva bisogno di spazio e di tempo per accettarlo, ma desiderava anche lui nella sua vita.
 
In ogni caso non avrebbe ceduto, sebbene lui lo vedesse e lo sapesse, Ella sicuramente ancora non era pronta ad ammetterlo, quindi avrebbe atteso pazientemente quel momento.
 
«L'unica cosa che mi infastidisce è vedere la tua faccia ogni volta che mi giro.»
 
Non riusciva proprio a darsi un contegno, sputando parole degne di una bambina di cinque anni. Dopo tutte le esperienze che stava cercando di lasciarsi alle spalle, si era convinta di aver acquisito un certo grado di maturità emotiva, ma dalle sue risposte infantili e da quel bisticcio bambinesco che si ostinava a trascinare, probabilmente doveva rivalutare le sue conclusioni.
 
«Questa faccia te la sogni la notte» rispose Gabriele, cerchiando con il dito indice la forma del proprio viso nell'aria.
 
Non era una grande consolazione, ma almeno i bambini seduti al fianco di Cristina erano due.
 
«Sognavo. A differenza tua, io so distinguere bene il passato dal presente.»
 
Ella sapeva che avrebbe potuto comportarsi meglio di così, ma proprio non ci riusciva.
 
Non voleva ancora accettare i propri sentimenti. Sapeva cosa avrebbe dovuto fare per mettere fine a quella situazione ridicola, tuttavia, il solo pensiero di ammettere ad alta voce cosa volesse in quel momento della sua vita, la spaventava fino a confonderla, trasformandola in una bambina che rincorre l'amichetto che le ha tirato le trecce solo per attirare la sua attenzione.
 
«Guardate chi sta arrivando. Finalmente potrai conoscere il resto della truppa.»
 
L'intervento disperato di Cristina fermò il cane che stava cercando inutilmente di raggiungere la propria coda per darle un morso.
 
«Una gioia immensa» mormorò Ella a sé stessa.
 
«Scusare il ritardo, ma è stato praticamente un miracolo riuscire a trovare parcheggio» disse Luca mentre si sedeva vicino a Gabriele.
 
«Tranquilli, siete arrivati giusto in tempo. Dovrebbero iniziare tra cinque minuti» lo tranquillizzò Cristina, sorridendogli cordialmente.
 
«Tu devi essere Gabriele.» Lo sguardo di Luca, si spostò sul nuovo ragazzo che lo separava da Cristina.
 
«Si.»
 
«Piacere di conoscerti, io sono Luca e lui è Lorenzo, il fratello di Sofia.»
 
Gabriele non ebbe il tempo di ricambiare il saluto, perché fu preceduto da un commento di Lorenzo che a Ella parve del tutto fuori luogo.
 
«Abbiano sentito molto parlare di te in questi giorni.»
 
«Interessante sapere di essere diventato il pettegolezzo dell'anno.»
 
Suo malgrado, Ella non riuscì ad interpretare il tono di voce con cui Gabriele aveva risposto, ma il suo atteggiamento sembrava leggermente infastidito e non poteva di certo biasimarlo.
 
Era praticamente sulla bocca di tutti coloro che Ella conosceva e il disagio che vedeva riflesso nel profilo rigido e nella mascella contratta di Gabriele bastò ad agitarla.
 
«Lorenzo dovresti farti i sacrosanti fatti tuoi.»
 
L'unica soluzione efficace per distrarli da Gabriele risiedeva nella capacità di Ella di attrarre, con la sua rinomata e tanto apprezzata gentilezza, l'attenzione su di sé senza il minimo sforzo.
 
«E tu dovresti prenderti dieci gocce di Lexodan, magari riusciresti a rilassarti un po'.» La risposta di Lorenzo non si fece attendere ed era anche abbastanza scontata da prevedere.
 
«Non è necessario, basta che la smettiate di parlare. Le vostre voci stanno rubando ossigeno prezioso ai miei polmoni.» Ella spostò i capelli con un calcolato movimento di spalle, facendoli ricadere tutti sulla schiena, in modo che la potessero vedere sventolarsi teatralmente le mani vicino al viso e sbattere le ciglia per donarsi un'aria spavalda ed eccentrica.
 
«Ragazzi, vi supplico godiamoci la giornata. Guardate! Stanno entrando.» L'esclamazione entusiasta di Cristina li riportò all'ordine, spingendo i loro sguardi verso l'entrata degli spogliatoi.
 
«Concentriamoci su Sofia» disse Ella, quando la vide sfilare con le altre componenti della sua squadra.
 
I suoi capelli erano corti, ma abbastanza lunghi per poter essere raccolti in una piccola coda alla base del collo. I suoi occhi, che osservavano attentamente l'allenatore, erano seri e concentrati sulle ultime indicazioni dispensate prima dell'inizio della partita.
 
Non esisteva nient'altro che non fossero lei e le sue compagne di squadra, perché per Sofia non era solo una partita, ma una sfida contro sé stessa che non poteva perdere. Il suo personale modo per dimostrare di non essere una fallita, al contrario dell'idea di tutti coloro che le remavano contro ogni giorno.
 
«E sul suo culo.»
 
Per un istante il cervello di Ella non riuscì a elaborare la voce che aveva pronunciato quelle parole, ma, quando ne capì la provenienza, rimase alquanto sconvolta.
 
«Hai capito Biancaneve» commentò lasciandosi sfuggire una lieve risata, che non si disturbò a coprire con la mano.
 
«Non è colpa mia se il pantaloncino glielo alza e glielo stringe in quel modo. Dovrebbe essere illegale. Guardalo, è perfettamente rotondo!» si giustificò, indicando con la mano la figura della sua fidanzata.
 
In quegli attimi di distrazione, in cui Ella aveva perso di vista la sua amica, Sofia si era spostata sotto rete per battere il cinque a tutte le componenti della squadra avversaria, che si trovavano nell'altra metà del campo da gioco.
 
«Scene non adatte ai deboli di cuore» rispose, scuotendo leggermente il capo divertita dalla ritrovata sfacciataggine di Cristina.
 
Avrebbe dovuto chiederle di darle un preavviso prima di pronunciarsi in commenti tanto audaci per i suoi standard, specialmente se non arrossiva mentre parlava, di sua spontanea volontà, di questi argomenti sconvenienti.
 
«Hai mai pensato di immortalare il suo culo in una fotografia e incorniciarlo? Potresti appenderlo in camera tua, sicuramente saprebbe darti sollievo nelle notti solitarie» Era giunto il momento per Ella di verificare fino a che punto Cristina era disposta ad arrivare, non poteva trattenersi.
 
«Ella!» esclamò, irrigidendosi sul posto e distogliendo l'attenzione da Sofia, che stava prendendo posizione sotto rete alla destra del palleggiatore.
 
«Eh no, cara. Hai iniziato tu, adesso non fare la puritana. Ci deve essere qualche vantaggio nell'avere come fidanzata una giocatrice di pallavolo e che ha, per di più, il ruolo di opposto.»
 
«Vedo che hai ampliato il tuo vocabolario di termini sportivi» constatò, dimostrandosi compiaciuta nella speranza di distrarre Ella dai suoi pensieri contorti e imbarazzanti.
 
«Ho sempre conosciuto il suo ruolo nella squadra. Il problema è che non lo riesco a distinguere dagli altri perché dimentico facilmente queste cose, così me lo sono fatto rispiegare e ho scoperto che l'opposto deve possedere una buona forza nelle mani per colpire d'attacco e deve avere una resistenza elevata perché agisce più degli altri giocatori.» Ella sfoggiò con fierezza i dieci minuti trascorsi su Wikipedia, dal momento che le spiegazioni elargite da Sofia erano state dimenticate a metà mattinata. Proprio non ce la faceva.
 
«Interessante spiegazione.»
 
Ella vide il sollievo ammorbidire i tratti tesi del viso di Cristina. Illusa di aver evitato la trappola in cui credeva sarebbe caduta, aveva abbassato la guardia e, ora, non restava che osservare come avrebbe incassato il colpo inatteso.
 
«Tra cinque minuti già l'avrò dimenticata, però almeno ho capito perché sei sempre felice e tranquilla. Tutta quella forza e resistenza serviranno anche a qualcos'altro.»
 
«Ella... sbaglio o l'idea di partenza era quella di porgere delle scuse a Gabriele?» chiese in un sussurrò per evitare che il diretto interessato ascoltasse la domanda e si interessasse alla risposta.
 
«Stai cambiando argomento e ti stai perdendo il culo appuzzato della tua ragazza.»
 
Ella non poté fare a meno di sorridere, consapevole di meritarsi questo colpo basso.
 
«Non ti preoccupare posso sempre ricuperare più tardi. Ora parla!» insistette Cristina, incitandola a scucire la sua bocca fastidiosamente sigillata.
 
«Ma hai visto il suo atteggiamento?» Il tono isterico della voce di Ella era stato fortuitamente coperto dal suono penetrante e acuto del fischietto con cui l'arbitro aveva sancito l'inizio del primo set.
 
I giochi potevano iniziare.
 
«Ti ricordo che sei stata tu ad avvicinarlo.» Le fece notare Cristina, utilizzando i suoi consueti modi pacati.
 
«Lo so e l'ho fatto per informarmi cortesemente del motivo della sua presenza.»
 
Ella era sempre vigile, non abbassava mai la guardia e quel suo modo di essere le aveva sempre creato difficoltà ad interagire con il resto del mondo.
 
Se una persona le faceva percepire brutte sensazioni, lei o diventava taciturna e indifferente o rispondeva in modo pungente, ma in entrambi i casi risultava antipatica. E come per le leggi della scienza, cariche negative non diventano mai positive, ma queste ultime possono sempre diventare negative, allo stesso modo Ella vedeva i rapporti umani.
 
«Lasciati dire che la tua capacità di essere gentile fa schifo.»
 
«Credimi, lo so» ammise in un lungo sospiro di sconforto.
 
«Non gli hai dato nemmeno il tempo di respirare l'aria intorno a te che subito lo hai azzannato alla gola come un mastino. So che sei in modalità difensiva, ma così ti fai più male che bene, perché l'ho visto nei tuoi occhi quanto ti dispiacesse sentirlo così distante. Metti da parte l'orgoglio santo cielo!» La forte esclamazione di Cristina, attirò inevitabilmente l'attenzione dei ragazzi seduti al suo fianco.
 
Lo sguardo di Gabriele si spostò su Ella, indugiando sulla sua figura più tempo di quanto lei si sarebbe aspettata. La stava scandagliando con curiosità ed Ella avrebbe giurato di vedere anche della preoccupazione riflessa in quelle iridi castane.
 
Mise fine a quello scambio silenzioso di pensieri, prima che le domande che ronzavano tumultuose nella mente di Gabriele trovassero la risposta nell'espressione colpevole che Ella sapeva avesse dipinta sul viso.
 
Trascorse qualche altro istante prima che smettesse di bruciare per le attenzioni che Gabriele le stava rivolgendo.
 
Sospirò sollevata, prima di riprendere il discorso con Cristina.
 
«Si è presentato qui pur sapendo che mi avrebbe trovata.»
 
«E quindi? Non dovrebbe farti piacere vederlo?»
 
«Si, ma...»
 
«Ma niente. Dieci minuti fa ho visto la tua maturità scivolarti sotto i piedi.» Cristina la stava rimproverando e, per quanto la infastidisse profondamente, aveva perfettamente ragione.
 
Ella rimase in silenzio, scavando nella sua mente alla ricerca di qualcosa di intelligente con cui poter ribattere, qualcosa che le dimostrasse che non aveva sbagliato tutto, qualcosa che potesse lenire il senso di colpa che si espandeva rapidamente dentro il suo corpo.
 
Alla fine, non riuscì a trovare nulla che la potesse giustificare.
 
Tutti soffrivano, ma quella non era una motivazione sufficiente per ferire ingiustamente su chi non lo meritava.
 
Certamente Gabriele aveva giocato un ruolo importante della sua esplosione, ma avrebbe potuto parlargli, invece di urlargli contro cose che non meritava e che non lo riguardavano nemmeno.
 
«Capisco che scusarsi possa essere difficile per te, perché costringe a mostrare i propri punti deboli e ad ammettere di essere vulnerabili, ma prova per un momento a pensare quanto potresti sentirti più rilassata se lasciassi andare la paura. Se gli darai le dovute spiegazioni e gli dimostrerai di essere realmente disponibile a un qualunque tipo di rapporto, vedrai che tutto si aggiusterà. Gabriele è comprensivo e non credo sia arrabbiato con te, vuole sono farti capire che lui è lì anche se tu sei diffidente.»
 
Sentir dire da qualcuno cose che lei aveva solo pensato, che aveva temuto di ammettere per difendersi da quei stessi sentimenti che era sempre più difficile arginare, le fece comprendere quanto fosse codarda, così tanto da fuggire ancora prima di provarci.
 
«Forse non sono così coraggiosa come ho sempre pensato» sussurrò, come se stesse ammettendo le sue colpe e per la prima volta riuscisse a vederle con chiarezza.
 
«Lo sei, devi solo essere spronata.» Sorrise Cristina, rivolgendo nuovamente lo sguardo sulla ragazza che le aveva rubato il cuore.
 
 
   
 
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