Fanfic su artisti musicali > Demi Lovato
Segui la storia  |       
Autore: crazy lion    12/01/2020    5 recensioni
Attenzione! Spoiler per la presenza nella storia di fatti che Demi e la sua famiglia hanno vissuto, raccontati nel libro di Dianna De La Garza "Falling With Wings: A Mother's Story", non ancora tradotto in italiano.
Nel documentario "Stay Strong", Demetria ha dichiarato di aver avuto delle ricadute dopo il ricovero. Nella seguente fanfiction ho immaginato come potrebbe essere stata una di esse.
In quella giornata di fine luglio la ragazza sente dentro che qualcosa andrà male. La sera, infatti, una metaforica tempesta si abbatte su di lei con tutta la sua forza distruttrice. Demi lotta, o almeno ci prova, ma ogni sforzo sembra vano. Non ce la fa più, il dolore è troppo violento, i suoi disturbi paiono più forti di lei perché la verità è che sconfiggere questi demoni non è solo una questione di volontà. Lottare richiede coraggio e la ragazza non è sicura di averlo. Forse, però, non tutto è perduto…
Disclaimer: con questo mio scritto, pubblicato senza alcuno scopo di lucro, non intendo dare veritiera rappresentazione del carattere di questa persona, né offenderla in alcun modo. Vale non solo per Demi, ma anche per tutti gli altri personaggi di cui ho parlato.
Genere: Drammatico, Introspettivo, Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Altri, Demi Lovato, Nuovo personaggio
Note: nessuna | Avvertimenti: Contenuti forti, Spoiler!, Tematiche delicate
Capitoli:
 <<    >>
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
I do not wanna be afraid
I do not wanna die inside just to breathe in
I'm tired of feeling so numb
Relief exists, I find it when
I am cut
[…]
I feel alone here and cold here
Oh, I don't wanna die
But the only anesthetic that makes me feel anything kills inside
(Plumb, Cut)
 
 
 
 
 
 
CAPITOLO 2.
 
CADUTA
 
"Tagliati."
La voce arrivò all'improvviso, dolce come sempre. Demi non la sentiva da un mese e mezzo circa. La sua psicologa e la psichiatra avevano detto che stava facendo progressi, che se non si tagliava da così tanto significava che si sentiva meglio, e adesso se l'avesse ascoltata avrebbe rovinato tutto quanto.
Non devi farlo pensò. Ti ferirai soltanto.
Ma rifletterci non bastava, era come se quei pensieri non arrivassero direttamente al suo cuore e alla propria anima, come se non li sentisse sul serio.
"Se lo farai avrai altre cicatrici sul tuo corpo. Non gli hai già fatto male?" si chiese, sentendosi subito in colpa.
L’aveva deturpato troppo, ferendolo e facendosi del male. Non era abbastanza, forse?
"Ho detto tagliati" le sussurrò di nuovo la voce nella sua testa, con lentezza.
Allungava le vocali come per chiamarla in modo quasi sensuale. Demetria udiva solo le sue parole, ma la considerava comunque una persona. Se la figurava come una ragazza giovane, con i capelli biondi e gli occhi azzurri, magra e slanciata. Certo reputava difficile che una persona della sua stessa età o pressappoco riuscisse ad essere manipolativa, se non addirittura impossibile, ma l’aveva sempre vista in quel modo, non poteva farci nulla.
"No, non voglio" le rispose con convinzione, domandandosi se qualcuno la udisse e cos'avrebbe pensato di lei, ma non le importava.
"Sì che vuoi, in fondo lo sai benissimo. Hai vomitato, sei stata stupida e ora desideri in parte punirti, in parte esprimere la vergogna e la colpa che provi verso te stessa. È solo che il pensiero del dolore che potresti procurarti, della tua famiglia, dei tuoi affetti ti impedisce di fare il prossimo passo. Ma tu brami quella sofferenza, perché poi ti sentirai meglio!"
Avrebbe ferito tutti: i suoi genitori, le sorelle, Andrew e anche Joyce, Frank e Carlie, la sorella del suo migliore amico.
"Non pensare a loro, non ti amano davvero."
"Ma sei stupida? Che stai dicendo? Certo che mi amano!" sbottò.
Come poteva parlarle in quel modo orribile?
"Ne sei proprio sicura sicura? Magari ti stanno vicino solo perché sei la povera, piccola Demetria Devonne Lovato. Ti vedono come una ragazza fragilissima, insicura, che dev'essere protetta, come qualcuno che senza un sostegno non ce la farebbe, che devono aiutare per forza, come un peso" riprese la voce, tagliente.
In parte Demi non voleva crederci, non poteva essere. I suoi le avevano sempre voluto bene davvero e anche Andrew. Ma la mente non ragionava più in modo normale, ormai, non era lucida. Se lo fosse stata, sarebbe riuscita a scacciare la voce e a non pensare più a quelle cose orribili.
E se avesse ragione? Se fossi davvero solo questo per loro? Se fossi semplicemente una stupida, una persona inutile, un peso? Se non valessi niente?
In fondo che cos'aveva fatto in quegli anni? Terminato la scuola, iniziato una carriera musicale, recitato, ma la sua vita era a pezzi, fatta di segreti, di dolore celato a tutti. Si stava riprendendo, sì, ma sapeva di non essere abbastanza forte per farcela. A volte pensava il contrario, ma c'erano ancora tanti momenti nei quali si convinceva che, anche se a Capodanno in clinica aveva deciso di voler aiutare altre persone con i suoi problemi, non fosse l'esempio adatto, il modello da seguire, perché lei era sempre stata debole. Era stato difficile arrivare a quella conclusione, perché all'inizio del 2011 lei era scoppiata a piangere, corsa nella sua stanza e aveva cominciato a chiedersi cos’aveva fatto a lei stessa, dicendosi che a diciotto anni si trovava lì alla Timberline Knolls a Capodanno… Ed ora si rendeva conto che sì, anche se aveva pensato il contrario in quei mesi probabilmente non sarebbe stata meglio, non avrebbe fatto altri progressi, né proseguito con la creazione del suo album, né dato una mano proprio a nessuno. Non era nemmeno riuscita a cenare buttando per aria tutto e poi vomitando, come poteva anche solo sperare di esserne capace? Non avrebbe mai concluso niente nella vita, perché era lei quel niente. Se Andrew l'avesse sentita le avrebbe detto che era solo pessimista, che quella caratteristica faceva parte di lei ma che sarebbe migliorata nel tempo. Demi, però, preferiva definirsi realista convinta, anzi, estremamente convinta. Si sentiva come quando era entrata in clinica, una fragile foglia quasi del tutto secca in balia di un forte e freddo vento, completamente sopraffatta dalle proprie emozioni negative, con il cuore cupo e in tempesta. Una volta uscita forse quella foglia era più verde, i sentimenti più positivi dato che pensava al futuro, ma la sua battaglia non era ancora finita. Tuttavia non pensava avrebbe avuto tante ricadute, che sarebbe stata ancora così male. E invece…
"Vedi?" tornò la voce e rise. "Te lo stai dicendo da sola. Ci sei arrivata senza che io aggiungessi nulla: sei inutile, un peso di cui tutti farebbero volentieri a meno, credimi. Beh, mi hai evitato uno sforzo, brava, grazie. Ora spero tu l’abbia capito.” Si addolcì, parlando in tono quasi materno. "Solo io, Ana e Mia siamo tue amiche, ricordatelo sempre. Ora vai, fallo. Fallo!"
L'urlo fu roboante e la terrorizzò facendole fare un salto.
La voce aveva ragione: aveva mangiato pochissimo, vomitato, spaventato a morte tutti e avrebbe solo dovuto vergognarsi per questo. Lei non era una persona, era uno schifo.
"Lo faccio" mormorò, la voce che si frantumava come un vetro che riceve un colpo delicato ma sufficiente a spaccarlo.
Si alzò sentendo le gambe molli, pareva che volessero liquefarsi da un momento all'altro. Sarebbe stato bello sciogliersi lì, pensò, trasformarsi in acqua, o ancora meglio sparire, così non avrebbe più creato problemi a nessuno. Avrebbe voluto correre sentendo l'urgenza di farsi del male, ma quasi non riusciva a camminare. La testa vorticava a velocità impressionante e dovette aggrapparsi al muro e seguirlo per non rovinare a terra.
A destra del suo letto c'era una scrivania con tre cassetti. Aprì il primo, chiuso a chiave, una che teneva sempre lei in tasca ovunque andasse in modo che nessuno lo aprisse. Beh, una volta sua madre era riuscita a prenderla, a dire la verità, quando lei l'aveva lasciata non ricordava dove, e aveva letto un suo diario precedente nel quale diceva che era grassa e aveva messo immagini di persone molto in carne e che invece era necessario che diventasse sana, incollando sotto le foto di ragazze sottopeso. Quando aveva detto a Demi quello che aveva fatto, pochi mesi prima, la ragazza all'inizio si era arrabbiata: come si era permessa di leggere i suoi segreti? Ma poi si era resa conto che l'intento dellala madre era stato quello di aiutarla, per quanto Dianna avesse sempre saputo che ledere la sua privacy non era stato un gesto carino. Dopo il ricovero Demetria aveva iniziato un diario nuovo nel quale scriveva spesso, non ogni giorno purtroppo perché a volte o si dimenticava o stava troppo male e non ci riusciva, e in cui raccontava tutto ciò che le succedeva, sia le cose belle sia quelle brutte.
Lo appoggiò sulla scrivania, prese una biro da una tazza di plastica che si trovava lì vicino… Le era stata regalata quando aveva iniziato l’asilo, pensò, dalla madre, e per un periodo ci aveva anche fatto colazione. Una volta iniziato ad utilizzarne una di ceramica l’aveva usata come portapenne, e a quei ricordi sorrise appena. Accarezzò le decorazioni in rilievo che raffiguravano due gattini, poi senza ulteriore indugio aprì il diario alla pagina del giorno giusto e cominciò a scrivere.
 
Caro diario,
oggi non è stata una bella giornata. Anzi, orribile, di merda ad essere onesti, scusa la schiettezza. Mi sento così sbagliata, con l'autostima sotto le scarpe, infelice e stupida. Sono stanca, non ce la faccio più. Ho vomitato, sono disperata e sto male, ora voglio tagliarmi. So che è sbagliato, che è un problema, ma ho bisogno di farlo. Forse posso ancora fermarmi, porre fine a tutto questo. Non che io stia pensando di suicidarmi, ma magari scrivendo una sorta di canzone, o per meglio dire una poesia che mi è venuta in mente in queste ore, potrei riuscire a calmarmi.
 
Sotto scrisse:
 
RICADUTA.
 
Così, in maiuscolo, grassetto e corsivo, per marchiare il titolo, per dargli importanza e premette tanto la penna che quasi bucò il foglio. Sapere che ne stava avendo un'altra la riempiva di tristezza e alcune grosse lacrime cominciarono a bagnarle il collo e i vestiti. Non le asciugò, lasciò che scorressero libere su di lei, stando attenta che non bagnassero la pagina. Strinse i pugni fino a sentire dolore, finché le sue nocche sbiancarono. Quella era la rabbia, una rabbia che faceva fatica a reprimere. Avrebbe voluto rompere qualcosa fatto di vetro solo per sentirlo andare in pezzi come, in quegli anni, si era frantumata la sua vita, o tirare un calcio al muro o a qualsiasi altra cosa. Ci provò, con la parete, piano per non svegliare nessuno. Ma non funzionò, non le bastò. Sollevò le maniche del pigiama in cotone. Le cicatrici erano lì, alcune vecchie, altre più fresche, ma anche quelle stavano ormai sbiancando. Le toccò come se con quel semplice gesto avesse potuto guarirle. C'erano due tatuaggi sui suoi polsi a coprire i segni. Uno diceva Stay e l'altro strong, se li era fatti a marzo.
Avvicinò i denti alle braccia e iniziò a morderle. Le cicatrici tiravano, bruciavano, i denti erano tanti spilli che, tutti insieme, ferivano la pelle. Creavano segni irregolari, simili a delle piccole onde. Dopo averlo fatto per una decina di volte, mentre la voce dell'autolesionismo urlava per la gioia e il suo cuore faceva le capriole, Demi sorrise. Stava un po' meglio, ma non era abbastanza. La sua parte razionale le disse di scrivere ancora, di provare a fermarsi prima che fosse troppo tardi e lei, con quel briciolo di raziocinio che le era rimasto, tentò di ascoltarla. Riprese in mano la biro che le era caduta e cominciò.
 
 
Tengo la lama fra le mani,
Penso che questo dolore non abbia eguali.
Voglio tagliarmi profondamente,
Così da dopo non sentire più niente,
Provare sollievo,
Almeno per poco,
Pur sapendo che la vergogna tornerà a fare il suo gioco.
 
Credevo che quei giorni fossero finiti,
Che tutti i miei malanni fossero spariti,
Ma i demoni della mia mente urlano, mi fanno male,
È impossibile farli calmare.
Sono perfino più forti
Del battito del mio cuore.
Dicono: "Sei stupida, non vali niente,"
E fino a poco fa, con la mia famiglia, fingevo di star bene veramente.
 
Ora sono qui sul pavimento del bagno,
Ho il cuore spezzato e sono sola.
Calde lacrime mi solcano il viso,
Non potrò certo trattenerle all'infinito.
 
Cerco di scrivere questa poesia,
Se così può esser chiamata,
Come ultimo tentativo di fermarmi,
Anche di fronte a una verità consolidata.
La mia mente, ormai, sembra avermi lasciata.
 
Troppi anni di dolore e problemi qui mi hanno portata.
So di non averne colpa,
Ma ora voglio davvero guarire.
Per me stessa, per aiutare i miei fan e e tanti altri, non solo loro,
Per dir loro che ci sono
Se mai vorranno scrivermi
Ma probabilmente non sono pronta a tutto ciò.
 
È come se la lama
Fosse persona, persona viva.
"Fallo!" urla, “e starai meglio di prima.”
Non lo voglio, lo giuro,
Ma dentro sono rovinata,
E se qualcuno mi guardasse da vicino,
Potrebbe notarlo dalla mia faccia disperata.
O forse no, perché nascondo tutto dietro a un sorriso,
Uno che odio, come me stessa,
Come tutto questo,
Mentre in silenzio attendo che la fine arrivi presto.
 
Così lascio andare il diario e la penna,
E mentre il sangue inizia a scorrere
Penso:
Ci sei ricaduta, sei uno schifoso pezzo di merda.
 
 
Scrivere la aiutò a sfogarsi, a sentirsi un po’ più leggera anche se non quanto avrebbe voluto, ma il bisogno di farsi male era sempre lì, presente, attaccato a lei come una seconda pelle. Doveva farlo. Ora.
Sua madre aveva nascosto tutti i coltelli o gli oggetti taglienti. Andare in cucina a cercarli sarebbe stato troppo rischioso, se avesse fatto rumore l'avrebbero scoperta. Fu allora che si rese conto di dover fare una cosa che la sua parte razionale, sempre meno presente, reputava ingiusta e schifosa. Ma Demetria bramava quel dolore, i mostri che abitavano dentro di lei da anni scalpitavano per averlo, per sentire le emozioni negative farsi meno intense e mischiarsi con il sollievo, un sollievo composto di lacrime e sangue. Doveva farlo, o forse avrebbe avuto un attacco di panico dal quale non era sicura che sarebbe riuscita a riprendersi.
A passi lenti uscì dalla sua stanza, lasciò la porta socchiusa, oltrepassò la camera di Dallas e si avvicinò a quella di Madison fino a toccare la maniglia. Ma non ebbe il coraggio di entrare. No, per quanto lo volesse, per quanto i suoi demoni urlassero fino a farle venire un'emicrania epocale e avessero ragione, lei semplicemente non poteva entrare, aprire il suo astuccio e prendere quel temperino. Prima di tutto perché l'avrebbe rubato, e secondo perché poi Madison si sarebbe sentita in colpa, forse pensando che era stato a causa sua se la sorella maggiore, che adorava, si era tagliata. Non era giusto farle passare anche questo. Come era anche solo arrivata a concepire un'idea simile? Lei amava la sua sorellina!
"Sai che non ti arrenderai adesso. Lo vuoi ancora. Trova un altro modo."
La voce era tornata, la spronava in tono deciso. E allora Demi pensò che forse nessuno avrebbe mai saputo, se fosse stata abbastanza attenta. Wi tolse le ciabatte e le prese in mano, poi volò giù per le scale cercando di fare il meno rumore possibile, se le infilò di nuovo e notò che, sul tavolo del salotto, si trovava proprio un temperino. Era in mezzo ad altre cianfrusaglie, carte, scontrini, e forse nessuno se n'era accorto. Ma lei aveva visto quel contenitore di plastica colorata e semitrasparente e le sue mani si allungarono facendo cadere a terra un paio di scontrini. Tremò di piacere nel momento in cui se lo ritrovò fra i palmi e poté stringerlo, e ancora di più quando dirigendosi in bagno e accendendo la luce vide meglio la piccola lametta al suo interno. Sembrava pulsare proprio come un cuore, pareva un richiamo. Svitò con fatica la vite che teneva incollata la lametta all’involucro di plastica e tutto il suo corpo ebbe un brivido, in parte di paura e in parte di piacere ancora più intenso, al contatto con quel piccolo oggetto freddo. Era tanto sottile che avrebbe potuto spezzarlo con poco sforzo, e anche lei era così, fragile. Prima del ricovero, ogni volta che si era tagliata non aveva mai avuto paura. Era stato un suo modo per gestire tutte le sensazioni che provava causate da quanto le succedeva all'esterno, in particolare vergogna e senso di colpa, e non l’aveva mai considerato un problema, pur sapendo che era sbagliato. Ora, invece, una minuscola parte del suo cervello si rendeva conto che ciò che stava facendo era pericoloso e lo temeva. Se avesse spinto troppo a fondo avrebbe potuto essere la fine e lei non voleva morire. Forse era il caso di finirla lì. No, no. La parte razionale era ormai troppo piccola per raggiungerla davvero, lei non sarebbe mai riuscita a fermarsi ora che era così vicina. Altre volte l’aveva fatto, ma o non aveva avuto la lametta in mano ed era stata in grado di controllare i pensieri o, se si era ritrovata con un oggetto tagliente fra le dita, aveva smesso dopo un piccolo taglio o ancora prima di cominciare. Tuttavia ora non sarebbe potuta andare così, era troppo tardi. Se non avesse gestito l'ansia che ancora le stringeva il petto e le faceva dolere la testa così tanto da desiderare di sbatterla contro il muro, sarebbe esplosa. Iniziò a camminare avanti e indietro per la stanza muovendo braccia, gambe, fianchi, tutto il corpo. Sentiva l’urgenza di muoversi e non riusciva a stare ferma, ma si bloccò dopo poco, prima di quanto si sarebbe aspettata. Il suo petto si alzava e abbassava a un ritmo irregolare, i respiri spezzati l'unico rumore che si udiva nella stanza. Girò tre volte la chiave in modo da sentirsi più protetta.
Prese la lametta con le dita della mano sinistra, poi la strinse solo con il pollice e l'indice e questi, freddi forse più di essa, ebbero un sussulto. Cadde a terra, ma la raccolse in fretta desiderando quel piccolo oggetto in maniera quasi ossessiva. Si lavò le mani con acqua e sapone e lo disinfettò con dell’alcol trovato nella cassetta del pronto soccorso per evitare che infettasse i tagli, fece ancora più attenzione dato che era caduto. Poi passò piano quella lametta sul polso destro, creando una sottile linea rossa. Premette più forte, facendola scivolare in orizzontale, da un lato del polso. Il dolore sembrò propagarsi per tutto il braccio come una stilettata. Le uscì un gemito strozzato e dovette trattenersi, con uno sforzo non indifferente, per non urlare. Il sangue uscì prima sotto forma di gocce, poi di piccolo rigagnolo. Il taglio che si procurò non era molto profondo o lungo, e si trovava in un punto in cui non aveva ancora mai inciso la sua pelle e la propria carne. Forse non sarebbe mai diventato una cicatrice, o magari sì e sarebbe stato un ulteriore segno che le avrebbe marchiato per sempre la pelle.
“Sei grassa” le dicevano i bulli a scuola.
Pensandoci si guardò allo specchio e si vide enorme. Si vergognò di essere così, del suo corpo, com’era successo tante altre volte. L’avevano anche apostrofata con nomi come puttana o puttanella e una sua compagna le aveva detto di uccidersi e aveva poi fatto firmare a tutti una petizione, una scommessa sul suo suicidio. Si tagliò ancora, lì vicino, ma stavolta la ferita fu più lunga e fatta applicando un po' più di forza mentre le lacrime, per il dolore fisico e psicologico, le arrivavano alle labbra con il loro sapore salato e poco gradevole. Il suo corpo fu scosso da un violento tremore, sentiva il petto pesante e le risultava difficile respirare. Il sangue gocciolava nel lavandino assieme al suo pianto e i due si mischiavano quasi fossero stati una cosa sola. Il rosso era più visibile delle lacrime, però quel colore scarlatto la faceva sentire più leggera. L’odore era nauseabondo, ma represse un conato e la nausea che cresceva e cresceva come una bolla nel suo stomaco. Iniziava a sentirsi meglio, più libera. Il peso che le gravava sul cuore era molto meno difficile da portare, ora, e poté trarre un lungo sospiro. Per un attimo si sentì in pace. Per un momento, un solo, singolo istante, non pensò più a tutte le cose brutte accadute quel giorno o nei mesi o negli anni passati. Non riusciva a riflettere nemmeno su cose belle, la sua testa era vuota ma almeno, come il cuore e l’anima, finalmente priva di dolore. Voleva più tagli, più sangue, più sofferenza fisica, più sollievo, perché sentirsi così era bellissimo, provare quella calma quasi innaturale, irreale, la faceva stare bene. Eppure sapeva che quello era un anestetico, un sedativo che avrebbe fatto effetto per pochi minuti, che alla fine non sarebbe cambiato niente, anzi, e che tagliarsi serviva solo a rendere intorpidita e confusa la mente e più sopportabile il dolore psicologico per un po’. Ma non importava, non poteva fare altrimenti. Demi si morse le labbra per non urlare, perché il dolore di quei tagli per quanto poco profondi era forte. La pelle e la carne bruciavano, tiravano, formicolavano. Se quelle ferite avessero fatto le croste, il prurito sarebbe stato insopportabile. Dopo il primo taglio ce ne furono altri perché l'autolesionismo è così, è una dipendenza, ti fa venire voglia di averne ancora e ancora e non riesci a fermarti, o ce la fai solo quando ti senti appagato. Con quei quattro tagli il suo respiro si stava regolarizzando, tornando quasi alla normalità, ma non era abbastanza. Doveva punirsi ancora perché era così sbagliata, grassa, inutile, stupida. Doveva capire meglio che non valeva un cazzo. Doveva sentirsi ancora in colpa, vergognarsi di più di se stessa, del suo fisico, di quel che aveva fatto. La voce dell'autolesionismo, anzi, le voci perché a volte erano di più, anche se sembravano tutte uguali, continuavano a sussurrarglielo nella testa.
I tagli erano un grido d'aiuto, ma il fatto che lei non lo chiedesse a parole rendeva tutto un controsenso. Perché a volte le risultava così difficile? Forse perché ora stava meglio e temeva che l’avrebbero sgridata, e pensava anche che se i giornalisti fossero venuti a saperlo avrebbero scritto articoli con titoli come:
 
Demi Lovato si taglia di nuovo: ricaduta o richiesta di attenzione?
 
Da una parte voleva nascondere tutto, dall'altra desiderava disperatamente che qualcuno si accorgesse di qualcosa.
Chissà se i suoi avevano capito che aveva vomitato, prima. Dovevano averlo intuito, in ogni caso. Pensò a Buddy, il Cocker Spaniel bianco che i suoi genitori le avevano regalato all'età di cinque anni. Avevano vissuto tantissimi momenti meravigliosi insieme, che né lei né nessun altro della sua famiglia avrebbe mai dimenticato. Chissà se lui si sarebbe accorto di qualcosa, dei suoi lamenti sussurrati, se sarebbe venuto a grattare sulla porta per entrare. Le sfuggì un singhiozzo, così forte che temette di aver allertato i suoi genitori, ma attese e non accadde nulla. Buddy era morto a dodici anni. Dianna l’aveva lasciato libero, quel giorno di settembre, come faceva spesso, visto che lui non si allontanava mai. Purtroppo, però, era successo e un’auto l’aveva investito. Non c’era stato nulla da fare: il cagnolino era morto poco dopo, fra le braccia della donna che lo stava portando, mentre piangeva assieme a Demi, verso la macchina, nel disperato tentativo di farlo salvare dal veterinario. Era stato un dolore devastante, tutti avevano pianto per mesi dopo la sua perdita perché si erano sentiti come se fosse morto un membro della loro famiglia, cosa che Buddy era diventato a tutti gli effetti. Per Demi non era stato solo un amico ma un fratello o, addirittura, quasi un figlio. E ci avevano sofferto così tanto che Dianna non aveva più voluto animali, non se l'era più sentita e per quanto le figlie fossero state in disaccordo, alla fine avevano accettato la decisione della madre comprendendo il suo dolore. Buddy non c'era più, nessuno l'avrebbe aiutata se non lei stessa, nessuno le sarebbe stato accanto in quel momento. Ma non aveva la forza di fermarsi, vedere quel rosso gocciolare le dava sollievo, con un altro taglio riuscì a sentire di meno il dolore per la scomparsa del suo cane.
Ma Buddy non vorrebbe questo, non desidererebbe che tu ti facessi del male pensò la ragazza.
Ormai era troppo tardi, e comunque non riusciva a riflettere su ciò che volevano gli altri, ma solo su quello che la parte malata della sua mente bramava con tutta se stessa. Era stanca, non ce la faceva più,.
“Lasciatemi qui a soffrire per sempre” mormorò. “Lasciatemi in pace.”
E dopo un sesto taglio, per un momento si vide immobile in quel bagno, per giorni, fino all’ora della sua morte per fame, sete o dissanguamento, anche se i tagli non erano tanto profondi da ucciderla. Non voleva morire, ma non ce la faceva nemmeno a vivere, non così. Quella non era vita ma sopravvivenza, e nei giorni orribili faceva schifo. Non la voleva più. Non voleva più niente. Le voci e i suoi pensieri erano stati più forti di lei, li aveva sentiti battere e battere nella testa come martelli fino a farla esplodere e avevano unito al dolore psicologico quello fisico. Ma anche se i tagli non erano profondi si era spinta molto in là, si disse; perché quando è la vita a ferire troppo, forse non c’è molto che si possa fare. Lei quella sera aveva provato a lottare contro i suoi disturbi, fallendo. Spesso in quei mesi aveva pensato che sarebbe guarita davvero. Che stupida. Si accasciò con la testa quasi dentro il lavandino e rimase lì, con il respiro lento e pesante, mentre l’odore del sangue le riempiva le narici. La foglia secca si era staccata dall’albero e ora il vento la stava trasportando. Forse era tutto finito, per lei.
 
 
 
NOTE:
1. in “Stay Strong” Demi racconta che, quando è arrivata alla Timberline Knolls, non voleva stare meglio e pensava che la sua carriera fosse finita. A Capodanno, dopo una crisi di pianto, ha capito di voler aiutare persone che avevano avuto il suo stesso problema.
2. In “Simply Complicated” la mamma di Demi ha detto di aver trovato una copia del suo diario con quelle foto e che si sentiva in colpa perché la figlia si era ammalata e che le altre erano comunque state influenzate da lei e dal suo desiderio che aveva di essere magra e perfetta.
3. Per la questione dell’ansia, ho unito sensazioni che prova Demi nella realtà (mancanza di respiro, bisogno di muoversi) ad altre che sento io (giramenti di testa, pesantezza al petto) e comunque anche a me manca il fiato. Nel terzo capitolo descriverò l’ansia e un attacco di panico per come io li vivo, dato che lei su quest’ultimo non è andata molto nel dettaglio.
4. La poesia è stata scritta da me, per questo ho riportato il testo intero. L’originale è in inglese, ringrazio Emmastory per averla tradotta in italiano su mia richiesta. L’ho pubblicata nel mio profilo ma avevo comunque intenzione di metterla anche in questa storia. Mi è parso più giusto lasciarla in italiano in modo che tutti potessero capirla, dato che è importante.
5. In un’intervista con Robin Roberts a “20/20” Demi ha detto riguardo l’autolesionismo:
"It was a way of expressing my own shame, of myself, on my own body. I was matching the inside to the outside. And there were some times where my emotions were just so built up, I didn't know what to do. The only way that I could get instant gratification was through an immediate release on myself."
 
Traduzione:
“Era un modo per esprimere la vergogna di me stessa, sul mio corpo. Stavo facendo corrispondere l’interno con l’esterno. E c’erano volte in cui le mie emozioni erano così represse che non sapevo cosa fare. L’unico modo in cui potevo avere un’immediata gratificazione era attraverso un sollievo istantaneo su me stessa.”
 
Poco dopo, quando le è stato chiesto se ha mai pensato di uccidersi, ha aggiunto:
“I don’t think I was ever trying to kill myself. But I knew that if I’d ever gone too far I wouldn’t care.”
 
Traduzione:
“Non penso di aver mai provato ad uccidermi. Ma sapevo che se mai fossi andata troppo in là non mi sarebbe importato.”
 
Qui, però, non pensa quest’ultima cosa. Non vuole morire e nemmeno andare troppo a fondo.
6. L’episodio della scommessa sul suo suicidio e i modi in cui la chiamavano sono, purtroppo, reali. Ho preso queste informazioni da “Simply Complicated”.
7. Demi non pensava che tagliarsi fosse un problema, prima di andare in clinica. Lo faceva per affrontare ciò che sentiva, per provare meno vergogna e senso di colpa per quello che le veniva detto, per stare meglio.
8. Buddy è inventato. Demi ha avuto un cane con lo stesso nome, ma questo non è lui. Si tratta di uno di cui io e la mia amica Emmastory abbiamo parlato nella storia “Cronaca di un felice Natale”. Demi ha veramente avuto un Cocker Spaniel, ma si chiamava Trump e, siccome allora non lo sapevo, ci siamo inventate un altro cane.
   
 
Leggi le 5 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<    >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Fanfic su artisti musicali > Demi Lovato / Vai alla pagina dell'autore: crazy lion