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Autore: Enchalott    14/01/2020    5 recensioni
Questa storia è depositata presso lo Studio Legale che mi tutela. Non consento "libere ispirazioni" e citazioni senza il mio permesso. Buona lettura a chi si appassionerà! :)
"Percepì il Crescente tatuato intorno all'ombelico: la sua salvezza, la sua condanna, il suo destino. Adara sollevò lo sguardo sull'uomo che la affiancava, il suo nemico più implacabile e crudele. Anthos sorrise di rimando e con quell'atto feroce privò il cielo del suo colore".
Genere: Avventura, Introspettivo, Sovrannaturale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Ghiaccio nel fuoco, fuoco nel ghiaccio.
 
Stelio arrestò il galoppo del destriero appena le piante rigogliose e verdeggianti di Zerf, smeraldo nell’ocra, sbucarono oltre l’orizzonte ondulato.
Dietro di lui gli arcieri Aethalas, poco propensi alla sella se non per cause di forza maggiore, esalarono il fiato, frenando a loro volta le cavalcature. Niyla e Anshar, tirarono invece senza difficoltà le redini degli animali e procedettero al passo, orgogliosamente affiancati al loro reggente.
Varsya e Zheule si fecero loro incontro, traendo un sospiro di sollievo. Il fatto che il sovrano si fosse allontanato dal campo con un pugno di uomini, con gli Anskelisia ancora in giro, non aveva incontrato del tutto la loro approvazione, ma l’intento di dare nell’occhio il meno possibile aveva strappato loro un angosciato consenso.
“Ho scorto lo strik” comunicò subito Stelio, incontrando i loro sguardi trepidanti.
“Viene da Erinna” confermò il bailye dei Thaisa “Mia figlia apprende con gioia la notizia della vostra buona salute, ma si rammarica per tutto il contorno, aggiungendo informazioni decisamente importanti e… riservate” aggiunse, indicativo.
“Da Eudiya? Perché non ha inviato Azhulio?” si sorprese il re.
Varsya scosse la testa, privo di risposte, accedendo al padiglione principale.
Sul trespolo predisposto per i messaggeri, Vermelho attendeva impettito la lettera di ritorno, confermando l’assenza inspiegabile del rapace prediletto dalla regina.
Stelio accettò con gratitudine il chae tiepido, scrollandosi di dosso la sabbia del deserto, e sedette sui cuscini variopinti per leggere la missiva.
Via via che gli occhi verdi scendevano a sbranare le righe vergate dal pugno di sua moglie, la sua espressione si faceva più incredula e incollerita. Si portò una mano alla fronte, terribilmente preoccupato, sistemandosi la sottile fascia dorata e scostando in un gesto nervoso le ciocche ramate scompigliate.
Passò la lettera a Niyla, con un sospiro angosciato.
“Mia figlia Adara sposata a quel tizzone d’inferno…” riassunse affranto “Il principe Shion prigioniero e il mio capitano della Guardia incarcerato come un criminale… quale disgrazia infamante ancora verrà a lambirci dal Regno del Nord?”.
Gli altri si mossero a disagio, condividendo interiormente le emozioni del re.
“Eudiya ha seguito le vostre indicazioni e non ha mosso l’esercitò al fine di difendere la città, maestà” riprese Zheule, mentre Anshar riceveva a sua volta la pergamena spiegazzata “Ma noi comprendiamo che, a fronte di eventi così drammatici, la priorità sia quella di portare soccorso agli ostaggi, a voi e a noi cari. Pertanto, vorremmo che voi rientraste alla capitale, penseremo noi ad occuparci degli Anskelisia in vostra vece, come stabilito”.
“No” sentenziò il reggente, deciso pur nel dolore “Il contatto di Dionissa a Jarlath riferisce che la principessa ha operato una scelta consapevole. Se schierassi le truppe e le inviassi a Iomhar, oltre a lasciare sguarnito il mio Regno come forse i nostri nemici si aspettano, darei a intendere che non mi fido delle decisioni di mia figlia. Adara è la Campionessa, ha preso su di sé tutta la responsabilità del ruolo. Non posso correre da lei come quando era ancora una bambina”.
“Ma mio signore…” protestò il portavoce dei Guardiani, sorpreso.
“Sbaglio o c’è tuo figlio con lei, Varsya?” lo interruppe Stelio “Qui si scrive che è rimasto con l’unico scopo di proteggerla e che, forse, ha anche scovato il Traditore. Vorresti umiliare Narsas nella sua integrità, facendogli capire che non credi in lui?”
“Questo mai!” ribatté l’uomo, commosso dall’aver appreso che il ragazzo era ancora vivo e in grado di combattere.
“Inoltre” aggiunse Niyla “La principessa veggente lascia intendere che i nostri hanno degli alleati laggiù. Diamo loro tempo e possibilità, occupandoci di Elestorya. Anche il Sud è in pericolo. Non ritengo di cadere in errore, se affermo che la fonte del buio è unica. Dobbiamo attaccare su entrambi i fronti e, parimenti, difenderci”.
Zheule annuì, convinto. Sebbene avesse tentato di dissuadere il genero per senso del dovere, era certo che l’uomo si sarebbe espresso in quei termini onorevoli.
“Suggerisco di scrivere alla regina di quanto è avvenuto ai Rhevia, manifestando i nostri sospetti sulla presenza di un potere oscuro a guida effettiva degli Angeli”.
“Sì, Dionissa ha solo accennato tale possibile evento al suo collegamento. Dobbiamo creare una catena che parte dal deserto e passa da Erinna per raggiungere Jarlath. E viceversa” propose Stelio.
I due uomini annuirono senza ripensamenti.
“Anshar?” disse il reggente.
“I-io?” sussultò il giovanissimo bailye, sorpreso per essere stato interpellato.
“Sei il portavoce della tua gente, ora. Ti ascoltiamo con il rispetto che ti è dovuto”.
“Quello che proponete è molto pericoloso, mio signore” asserì lui, riprendendosi dall’imbarazzo “Ma è ciò che va fatto. Nessuno di noi ha mai pensato che il momento decisivo per il nostro mondo sarebbe stato un peso lieve. Ognuno è chiamato a sostenere la propria parte: io porterò la mia, fiero di essere al vostro fianco”.
“Allora è deciso” sorrise il principe “I nostri sforzi si concentreranno sugli Anskelisia e sulla difesa di Elestorya. Quante sacerdotesse Kalah hai a disposizione, Varsya?”.
“Poche purtroppo. Il dono è stato restio a manifestarsi negli ultimi anni”.
“E’ già un record rispetto ai Thaisa, che ne sono ormai privi. Mia nipote è l’unica del sangue, ma come ben sapete…” interloquì Zheule, mesto.
“Le convocherò. Quale compito vorreste assegnare loro, altezza?”.
“Dovranno concentrarsi su chi sta sobillando gli Angeli. È impossibile che si tratti di un semplice essere umano, lo avete inteso anche voi”.
“Perfettamente” sospirò Anshar.
In quel momento, un guerriero Aethalas domandò il permesso di accedere alla tenda.
“Chiedono di voi, maestà” riferì “Sono in tre, da parte dei Melayr”.
 
Ayonira, la portavoce della tribù appena nominata, entrò nel padiglione accompagnata da due custodi e si inginocchiò davanti al reggente, appoggiando sul tappeto il bastone di legno con gli anelli di bronzo che portava nella destra.
Era una donna sulla cinquantina, con profondi occhi castani e una folta treccia bruna ornata di monete e sonagli. Indossava una lunga veste viola, stretta da un cinto arancio e attraversata da una stola del medesimo colore. Calzava morbidi stivali di tela chiara ricamata e sulla fronte rosseggiava la fascia caratteristica del suo rango.
“Mi unisco con dolore al lutto che ci ha colpiti” disse con voce ferma “Vengo di persona a nome della mia gente, che è stata sfiorata dalla medesima sorte”.
Stelio le fece segno di alzarsi e di proseguire, interessato e angosciato.
“Poche settimane fa gli Anskelisia si sono accampati a est della nostra zona. Per ovvie ragioni ho dato disposizione ai miei di sorvegliarli e ho appreso con sgomento che non si trattava della solita, fastidiosa banda di predoni del deserto. Erano troppo numerosi, troppo immobili, pareva trattarsi più di un’adunanza tesa a qualche scopo. Forse, me ne rammarico, era la stessa masnada che ha poi sterminato i Rhevia… e se così non fosse, significherebbe che gli Angeli sono ancora più in forze di quanto non abbiate già espresso tramite lo strik che ho accolto”.
Anshar strinse i pugni, contenendo a stento la collera.
“Gli dei non vogliano!” borbottò Varsya, aggrottando la fronte.
“Già” annuì la bailye, grave “A scanso di equivoci ho disposto la partenza immediata dei miei, ma ho inviato un paio di yafandi sul posto, chiarendo che non avrebbero dovuto farsi notare e restare lì finché non avessero compreso cosa stavano tramando quei loschi individui”.
“Un’esortazione eccessiva” sorrise Stelio, gentile.
Sapeva che i guerrieri Melayr erano incredibilmente silenziosi e addestrati a confondersi con il deserto, quasi fossero composti anch’essi di sabbia e roccia. Combattevano con i bastoni, riuscivano a montare le aste che li componevano ad una velocità fulminea ed erano agili come acrobati.
“Necessaria” ammise la donna, tuttavia con fierezza “Ringrazio Amathira per averci salvaguardati, ma al contempo sono dieci notti che non dormo per l’agitazione. Maestà, voi mi prenderete per pazza e tu, Varsya, sosterrai che gli yafandi abbiano assunto l’erba sbagliata…”.
“Perché mai?” esclamò il portavoce Aethalas, spalancando gli occhi.
“Nel pieno della notte gli Angeli hanno spento i fuochi, lasciando ardere solo quello principale” sospirò Ayonira “Attizzato comunque al minimo. Gli yafandi hanno raccontato che è parso loro che si fosse addirittura “raffreddato” e io stento ancora a comprendere. Poi, qualcosa è uscito dalle ombre, allungandosi sulle sabbie chiare come un fantasma, e si è innalzato dal suolo, nero contro nero, come se stesse fagocitando tutta la fioca luce restante. Ho pensato che i miei guerrieri avessero avuto le allucinazioni, ma ho le prove a sostegno della loro schietta testimonianza. Quello che doveva essere il capobranco degli Anskelisia si è sprofondato a terra e ha raccolto brevi istruzioni da quella visione maligna e oscillante. Contate che gli Angeli non si inginocchiano neppure davanti a Laras! Non so che cosa si siano detti, ma una parte dei presenti si è accostata alla conversazione in corso ed è stata investita da una sorta di rituale magico. Potete darmi della sciocca donnicciola superstiziosa, guida di una tribù di pusillanimi… ma vi giuro che, per un istante, quelle persone hanno perduto la loro forma umana! I miei uomini hanno riferito quanto ora vi sto narrando con il terrore negli occhi e non sono tipi da tremare difronte a nulla, su questo sono pronta a giurare!”.
Daimar…” sussurrò Varsya con voce soffocata.
“Avete parlato di prove” affermò Stelio, sinceramente scosso dalle dichiarazioni.
“Sì” rispose la bailye, facendo cenno ad uno dei suoi accompagnatori di avanzare “Con il vostro consenso”.
Il giovane Melayr trasse dalla spalla un fagotto, accuratamente avvolto nella stoffa e legato saldamente. Lo appoggiò a terra, inchinandosi, e sciolse l’involucro colorato.
“Gli yafandi hanno atteso sino al mattino seguente che i predoni levassero le tende e poi, vincendo il comprensibile sgomento, hanno ispezionato la zona in cui erano accampati” continuò lei “Parlando di un fuoco freddo, non avrebbero potuto trovare migliore definizione…”.
“Oh per le sacre dune!” esclamò Zheule, osservando l’oggetto esposto.
Si trattava di un semplice ciocco di legno, probabilmente tratto dal falò acceso dagli Anskelisia: era riarso, tuttavia era attraversato da una bruciatura da gelo. Il colore, la consunzione, le spaccature particolari non potevano indicare altro: un freddo innaturale e improvviso.
Ayonira annuì, seria.
“Mi hanno riportato che l’apparizione demoniaca, così la penso, è sparita esattamente come è comparsa, letteralmente assorbita dall’oscurità. Non ho perso un attimo di tempo, sono corsa a mostrarvi ciò che vedete e a condividere con voi la preoccupazione profonda che ne deriva”.
“Una decisione accorta” convenne Zheule “Che ci pone difronte a un problema più perverso rispetto al previsto, ma che risponde almeno a una delle questioni irrisolte di cui ci siamo fatti carico. Non ci sono state defezioni dalle nostre tribù. Gli Anskelisia sono aumentati perché probabilmente hanno ricevuto rinforzi da quella creatura misteriosa sorta dal buio. Temo che i nuovi membri degli Angeli non siano neppure umani: spiegherebbe nel contempo le tracce rinvenute sui corpi dei Rhevia”.
“Credete veramente che si tratti di Daimar!?” proruppe Anshar, visibilmente scosso “Ho sempre pensato che si trattasse di una leggenda!”.
“Puoi chiamarli come vuoi, giovane bailye” intervenne Varsya, terreo “Esseri maligni, ombre, adepti dell’oscurità… il risultato non cambia. Possiamo combattere contro lame e frecce, ma i Daimar sono purtroppo al di fuori della nostra portata”.
“A meno che non riusciamo a individuarne la fonte e a bloccarla” suggerì Stelio, pensieroso “In ogni caso, mi rifiuto di alzare bandiera bianca a priori. Sono il reggente del Sud ed Elestorya non vedrà la mia resa. Mai! Il male descritto da Ayonira proviene da lontano, tutti siamo persuasi che l’origine di esso sia il Nord. Vermelho deve partire immediatamente, è imperativo che Eudiya avvisi la nostra figlia minore degli sviluppi appena rilevati!”.
La portavoce dei Melayr, aggrottò le sopracciglia faticando a seguire il passaggio appena proposto dal sovrano.
“Mia nipote Adara ha raggiunto Jarlath come previsto…” venne in suo soccorso Zheule “…e ha sposato il principe Anthos. Solo lei può aiutarci a scoprire da quale tetro abisso venga rigurgitata l’oscurità che ci ha invasi”.
“Il reggente... di Iomhar?” balbettò la donna, sconvolta “Che il sacro Imis’eli possa salvaguardare la principessa! E che gli dei la proteggano!”.
 
 
Irkalla sollevò il viso al cielo bianco di neve, fiutando l’aria come una belva predatrice che ha appena intercettato la traccia prescelta per il pasto.
Oscurità.
La percepiva chiaramente: stagnava come l’aria malsana di una palude infestata sulle mura massicce della capitale del Nord, incombendo persino sulla fortezza con sfacciata ostentazione. Si era concentrata negli ultimi giorni, come se stesse raccogliendo le energie per scagliare la propria offensiva; oppure nel vano tentativo di spingerlo a uscire allo scoperto per avvolgerlo nelle proprie indissolubili spire.
Si abbandonò a un sogghigno di compatimento: sfidare il dio della Distruzione… quale presunzione il solo immaginarlo da parte di una piccola, odiosa mente umana!
Socchiuse gli occhi, assimilando poi una nuova sensazione sulla pelle, nella silenziosità attutita dell’inverno eterno di Iomhar.
Preghiera.
Accorata, sincera, intensa.
Permise che l’implorazione lo attraversasse, come era uso fare: nessuno invocava mai specificamente la Distruzione, ma lui ascoltava sempre le suppliche dei mortali. Persino ora che si trovava costretto nella loro medesima, umiliante forma.
Le sue labbra si composero in un sorriso accennato e triste.
In qualche occasione li accontentava… ultimamente più spesso del solito. Si interrogò sulle proprie ragioni per l’ennesima volta, fornendosi la medesima risposta.
In alcune preghiere esisteva un amore senza confini e quello era l’unico modo che il dio aveva per rapportarsi ad esso: esaminarlo da vicino, studiarlo, comprendere quali poteri avesse, quale forza riuscisse a generare. Se davvero sarebbe riuscito a fargli male come prescritto.
Da quando era stato maledetto, quella condizione era l’unica che avesse pienamente accettato, per favorire una vendetta che, invece, non era stata programmata: l’emarginazione dell’anima, il distacco dal contingente nonostante le emozioni che non riusciva a impedirsi sporadicamente di provare. Che non avrebbe dovuto provare.
Irkalla osservò una scia di orme fresche nella coltre candida scesa sul suolo.
Un’unica persona, nei millenni innumerabili della sua esistenza, aveva osato rivolgergli una timida supplica, mascherata in guisa di un dubbio, poi di una speranza generica rivolta al futuro, mai diretta. Ma quelle parole erano state pronunciate esclusivamente per lui e gli erano transitate per le ossa e la carne, raggiungendo la sua intelligenza immortale, prendendolo alla sprovvista.
Poi era accaduto ancora… e ancora una volta… e di nuovo, senza paura, senza rabbia, senza nessun intento personale e con più fiducia… e lui aveva teso i sensi a quell’invocazione, quasi stranito, turbato, inquieto… poiché quella voce di donna era riuscita a strapparlo dall’isolamento risoluto, a sganciarlo dall’immagine abietta che di lui si era creata e alla quale si era quasi rassegnato, a farlo sentire meno… solo.
Divino Irkalla, voi che rappresentate il ciclo eterno dell’esistenza, che annientate senza distruggere e ricreate senza che nulla vada perduto, meglio di tutti comprendete il cuore umano dal profondo della vostra sconfinata essenza… abbiate la grazia di mostrare la misericordia che ingiustamente non vi si attribuisce. Aiutatemi, mio signore eccelso, aiutatemi a toccare il nucleo di un’anima sfiorata dal male, il cuore di un cuore devastato dalla sofferenza, datemi la forza… non per me vi supplico, ma per lui, per un uomo che mi è vicino, per un uomo che non deve andare perduto. Salvateci, divino Irkalla, confido in voi, confido nel dolore che oso pensare condiviso con noi mortali e perdonatemi. Perdonate se ardisco rivolgermi a voi, se ho la sfacciata presunzione di assegnarvi i sentimenti di una semplice creatura e non di un altissimo creatore…”.
Lei, la giovane sposa del signore del Nord. Folle e temeraria, ma non remissiva. Un minuscolo imprevisto in un fato già scritto. Per qualcuno, l’unica speranza.
Tempo prima, l’aveva esaudita senza che lei se ne avvedesse. Ora, non avrebbe più dovuto ascoltare oppure… oppure…
Un’interferenza nell’etere spezzò quelle riflessioni amare, precedendo di qualche istante il materializzarsi di una presenza.
Perché i Superiori non lo lasciavano fluttuare in pace verso il suo destino?
Il Distruttore si voltò, esacerbato e accigliato, per incontrare un volto sconosciuto.
“E tu chi saresti?” domandò, sprezzante, squadrando l’incauto nuovo arrivato.
Il giovane sorrise a quel benvenuto tanto brusco, come se non ne avesse contemplato uno diverso. Aveva gli occhi verde scuro, dotati di una brillantezza silvestre e i capelli neri, raccolti in una treccia che sfiorava il suolo.
Irkalla notò la striscia dorata che gli ornava la fronte e aggrottò le sopracciglia: era un simbolo di regalità, eppure era certo di non avere mai visto quello che non pareva affatto un comune mortale. Anche se, in effetti, gli ricordava qualcuno.
“Non puoi riconoscermi, celeste Irkalla” rispose il ragazzo con modestia, sistemandosi il lungo mantello rosso, ulteriore simbolo di nobiltà, su una spalla “Sono Kalemi, spero che almeno il mio nome non ti sia troppo estraneo”.
“Kalemi?” ripeté il dio, meravigliato “L’ultimo erede di Almaktti?”.
Aveva perso il conto delle ere trascorse, ovvio che quel bimbo in fasce avesse ormai raggiunto la sua piena maturazione. Sospirò lievemente.
“Sì” sorrise lui, senza scandalizzarsi per il fatto che il Distruttore avesse omesso il titolo dovuto al rango di suo padre “Tu sei il mio tutore”.
“Capisco. Sei venuto a chiedermi di rinunciare al compito di protezione che il sovrano eccelso mi ha conferito millenni orsono? Ormai, sei un adulto…”.
“No” ammise il dio, tranquillo “Non sono qui per discutere le scelte dei miei genitori e neppure per mancarti di rispetto”.
“Allora?” fremette Irkalla “Per conoscere l’aspetto di chi ha perduto il diritto di accedere al regno degli immortali? Per compatirmi? Per indurmi a rinunciare?”.
“Nossignore. A differenza di mio padre, io osservo ciò che accade e possiedo il pregio esclusivo di non essere stato coinvolto nei fatti al tempo della maledizione. Ero appena venuto alla luce, non posso essere tacciato né di alleanze né di inimicizie”.
Il Distruttore sorrise alla premessa, con un insolito moto di simpatia per il suo pupillo.
“Hai un ottimo curriculum, Kalemi” commentò “Detto ciò, che cosa ti porta da me?”.
Il ragazzo chiese con un gesto il permesso di accomodarsi e sedette. La luce piovve sui suoi abiti bianchi, ricamati sul colletto alto e sui risvolti delle maniche con motivi floreali argentati. Gli orecchini ad anello tintinnarono lievemente mentre si appoggiava allo schienale, posando una mano affusolata sulla cintura di seta scarlatta e accavallando mascolinamente le gambe.
“Tutti mi dicono che assomiglio a te nel carattere” riprese.
“Sai bene che non puoi essere mio figlio” sogghignò Irkalla, incrociando le braccia.
“Nessun dubbio” rise il giovane “Ma queste osservazioni, pronunciate con vari umori dall’interlocutore di turno, mi hanno spinto a voler conoscere gli eventi di cui sei stato sfortunato protagonista… senza considerare il fatto che sei ancora il mio custode”.
Il Distruttore versò il vino in due coppe e constatò che la piega dimensionale prodotta dall’arrivo del suo ospite era assolutamente perfetta. Il ragazzo sapeva il fatto suo.
“Non difetti né di eloquenza né di abilità personale” si complimentò.
“E neppure di intelletto, senza risultarti presuntuoso” aggiunse Kalemi, soddisfatto.
“Alla tua, sommo principe e dio di…?” brindò Irkalla, sollevando il calice “Non riesco a immaginare quale incarico ti sia stato assegnato…”.
“Nessuno, per ora” spiegò lui senza polemica “Una vera fortuna, azzarderei”.
“Perché? Non ti aggrada onorare il tuo ruolo di essere superiore?”.
“Affatto. L’essere libero da impegni mi ha regalato il tempo necessario a intraprendere indisturbato tutte le ricerche che ho inteso svolgere”.
“Su di me?”.
“Sì. Non solo”.
Irkalla si sedette, abbandonando la tensione che caratterizzava tutti i suoi incontri, sovrannaturali e non. Decise, ancora una volta, di ascoltare. Qualcosa nelle iridi verdi e limpide del ragazzo lo spingeva a credergli.
“Dopo la dannazione promulgata da Amathira, come puoi immaginare, ciascuno ha reagito a suo modo; se n’è parlato per secoli e ogni essere immortale ha espresso la propria opinione più o meno velata. So che alcuni di noi sono scesi nel mondo presente per cercarti, ma che ti hanno individuato solo di recente”.
“Ho consentito che fosse possibile” rivelò il Distruttore, sdegnoso “Non so se è stata una scelta saggia in effetti”.
“Per quanto mi concerne, sì. Ma ti invito a stare attento, Irkalla. Qualcuno ti cerca e non per parlarti. Vuole che tu sparisca dal giro dell’esistente perché ti odia”.
“Ne sono consapevole. Suppongo tu sia giunto a una soluzione non ipotetica, se ti sei preso la briga di raggiungermi. Di questo ti ringrazio in anticipo”.
“La tua opinione è corretta. Oltre alla dea del Cielo, c’è solo un altro di noi che non ha più dato notizia di sé da quell’infausto giorno. Lei per annunciata scelta, lui per ignote ragioni che si concretizzano in un’indicazione di palese colpevolezza, considerando di chi si tratta”.
“Fammi indovinare” ringhiò il dio della Distruzione, con uno scintillio adirato negli occhi terrificanti “Ishkur?”.
“Precisamente. All’inizio ho pensato che avesse seguito la sorella, timoroso che l’antipatia da lui suscitata in una cospicua parte del pantheon gli potesse costare cara, data l’assenza di Amathira. Poi ho capito che, invece, aveva seguito te”.
“C-cosa?” sbottò Irkalla “Questa è un’assurdità! Chi mai vorrebbe reincarnarsi in un mortale per dimorare in un regno di ghiaccio imperituro come Iomhar, per giunta!?”.
“Domanda da mille punti. È quanto mi sono chiesto io in primis. Così mi sono messo sulle sue tracce e devo ringraziare Valarde e Elkira, che a loro modo hanno contribuito, se ho scoperto la verità. Un dio, pur senza titolo e poteri, che si sottopone ad una forzata metempsicosi deve avere uno scopo ferreo, univoco e una volontà altrettanto incrollabile. Sappiamo per certo che Ishkur brama un ruolo che gli è sempre stato negato da mio padre, che ben conosce la sua follia e la sua smodata ambizione. Tu, che possiedi la facoltà di annientare il creato, evidentemente sei il suo obiettivo da sempre. Eliminandoti, potrebbe riuscire a diventare il nuovo Distruttore: a quel punto risulterebbe il dio più potente dell’intero cosmo e nessuno di noi sarebbe mai in grado di arrestarlo, neppure il sovrano. Vendicherebbe il disonore dal quale si ritiene essere stato macchiato sin dalla genesi”.
“Finché è senza poteri, no…” commentò Irkalla, duro, iniziando a comprendere la situazione con estremo raccapriccio.
“Vedo che mi segui” assentì Kalemi “Quindi, il suo secondo proposito dovrebbe essere stato quello di acquisire le energie necessarie a realizzare i propri immorali fini, atto non semplice per un dio in veste mortale, come concorderai”.
“Tranne in un caso” mormorò Irkalla, levandosi in piedi e stringendo i pugni con ira accecante “Scoperchiare Yfrenn-amrri”.
Il ragazzo assentì, passandosi una mano tra i capelli corvini, con un sospiro prolungato, indice del suo alto grado di preoccupazione nonostante l’aria pacata.
“Il pozzo delle ombre” tradusse “Sede di tutto ciò che è deamhan. Oscurità e male”.
“Questo spiegherebbe ogni cosa. Era il tassello che mi mancava” ruggì il Distruttore.
“La percepisci anche tu, allora…” asserì il ragazzo.
“Pienamente. Pensavo fosse dovuta alla fine del mondo, invece…” ammise il dio punito “Purtroppo, le mie doti divine sono ridotte in questa forma e non ho collegato tra loro gli eventi. Maledizione! È come se fossi stato cieco!”.
“Perché ti sei imposto il Sigillo…” constatò Kalemi con un sorriso triste.
“E non ho sbagliato!” tagliò corto Irkalla “Finché è attivo, il dannato Ishkur non può trovarmi con nessun artificio magico e neppure con il supporto di tutti gli spiriti maligni dell’universo! Pensare che l’ho voluto per evitare le veggenti dei Due Regni… puah!”.
“Capisco. Comunque, non è per una minore virtù che non sei riuscito a individuare il tuo ormai palese nemico. Neppure noi ce l’abbiamo fatta. Per assorbire i poteri dall’oscurità, si è offerto in pasto al male stesso. Ne è stato divorato e dunque non è più riconoscibile né nell’aspetto né nell’essenza”.
Il Distruttore socchiuse le palpebre, fissando il paesaggio candido con un sogghigno.
“Ti vedo confidente” asserì il ragazzo, alquanto sorpreso.
“Lui non sa chi sono io” mormorò Irkalla “Ma io penso di conoscere la sua nuova forma. E questo è decisamente un vantaggio”.
“Davvero?”
“Oh sì. Non avevo inteso che lui fosse… lui! Perdona il bisticcio”.
Kalemi posò il calice e si affiancò al suo tutore, ammirando lo scenario innevato. Una giovane donna dai lunghi capelli castani attraversò di corsa uno dei cortili della fortezza di Jarlath, visibile dal luogo remoto in cui si trovavano, che era e non era.
“Ti interessa quella fanciulla?” domandò poi, seguendo lo sguardo del Distruttore.
“Non provo attrazione per nessuna creatura umana, femmine comprese” ribatté questi, asettico “Perché me lo chiedi?”.
“Perché anch’io, come te, ascolto le preghiere dei mortali”.
“Hanno ragione a sostenere che mi assomigli, allora!” rise Irkalla “Come custode, potrei saggiamente suggerirti di smettere di origliare, ma è giusto che sia tu a scegliere. Comunque, ammetterai con me che si tratta di una donna singolare”.
“Già” concordò il divino principe, più allegro “La pretenderai per te prima della fine?”.
“Chi lo sa… Lo domandi per una ragione in particolare?”
“No, perdona la mia scortesia… sto solo cercando i termini adatti a rivelarti la mia seconda, fondamentale scoperta”.
“Sarebbe?” borbottò il dio della Distruzione, adombrandosi.
“Ecco, io… io penso di aver capito dove si è rifugiata Amathira” gettò fuori Kalemi.
“Avvincente…” commentò Irkalla, algido “Ma non me ne può importare di meno”.
“Ma come…? Sei serio?”.
“Serissimo. E detesto ripetermi”.
Lo sguardo penetrante del Distruttore fu sufficiente a far desistere il giovane dal suo intento: fuoco puro, rovente in quell’eternità intessuta di gelo assoluto.
Poi il buio s’innalzò come una marea fuori controllo. Le due divinità percepirono l’insorgere di una forza oscura e maligna, libera da vincoli e bramosa di uccidere, che rivestì il palazzo come un nero artiglio d’acciaio.
“Patetico…” sibilò Irkalla, allontanandosi rapidamente dalla finestra.
   
 
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