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Autore: Mari_Criscuolo    14/01/2020    1 recensioni
Leila (Ella) ha 22 anni e vive a Napoli, ma, dopo la laurea triennale in psicologia, si trasferisce a Roma, per continuare il suo percorso di studi.
Sofia, sua amica da otto anni, ha deciso di seguirla.
Entrambe mosse dalla stessa chimera: lottare per la propria felicità.
Ella ha compiuto una scelta che ha fatto soffrire molte persone.
Nonostante non ne se ne sia mai pentita, sa che ogni decisione comporta delle conseguenze e lei sta ancora scontando la pena che le è stata imposta.
È convinta di essere in grado di affrontare ogni difficoltà la vita le metterà sul suo cammino, perché l'inferno lo ha vissuto, deve solo trovare il modo di non ritornarci.
Una ragazza con le sue piccole manie e le sue paure.
Una ragazza che usa il sarcasmo e l'ironia per comunicare il suo affetto e, allo stesso tempo, proteggersi da chi si aspetta, da lei, cose che non può e non vuole fare.
La sua famiglia, Sofia con suo fratello Lorenzo e, infine, un incontro inaspettato, la sosterranno nella sua scalata verso la tanto agognata libertà.
Genere: Generale, Introspettivo, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Il fischio dell’arbitro che annunciava la fine del primo set riscosse Ella dal suo stato ipnotico. Le parole di Cristina erano state così forti e vere da trasformare i rumori intorno a lei in un lontano brusio e i movimenti delle giocatrici erano diventati delle immagini separate che si susseguivano senza una logica.
 
Le sembrava di vivere un’esperienza extracorporea, si era talmente estraniata da aver perso persino contatto con il proprio corpo. Non sentiva nulla che non fosse il proprio respiro irregolare che aumentava di frequenza e rapidità assieme all’angoscia tumultuosa che sembrava volesse farle esplodere il cuore nel petto.
 
Quella sensazione che la stava spingendo a compiere ciò che altrimenti non avrebbe mai avuto il coraggio di fare. Liberare ciò che la divorava sarebbe stato l’unico modo per lenire quelle caotiche emozioni che le stavano facendo girare la testa.
 
Prima che se ne potesse pentire, si alzò in uno scatto felino e, sovrastando Cristiana con il suo corpo minuto, afferrò con veemenza l’avambraccio sinistro di Gabriele, tirandolo con tutta la forza fisica di cui era capace.
 
Gabriele si ritrovò in piedi e, ancora prima che la sua mente potesse registrare ciò che stava accadendo, si ritrovò a camminare in direzione dell’uscita.
 
Probabilmente, se non avesse avuto l’effetto sorpresa a suo vantaggio, non sarebbe riuscita a smuoverlo con tanta facilità.
 
«Ella, ma cosa? Dove mi stai portando?» Non solo percepiva chiaramente la confusione in quelle domande, ma sentiva altrettanto distintamente il suo sguardo e quello dei suoi amici bruciarle la schiena.
 
«Taci e cammina senza tante storie» ribatté senza il minimo tatto, mentre rafforzava la presa.
 
«Mi vuoi ammazzare? Sappi che non mi arrenderò senza combattere.»
 
Gabriele si ritrovò costretto a tirare leggermente la mano con cui Ella stringeva il suo braccio, affinché rallentasse perché, se avesse continuato a camminare velocemente, avrebbero potuto facilmente perdere l’equilibrio e rompersi l’osso del collo.
 
Non era sua intenzione allontanarsi da lei, ma la paura, che ormai pervadeva ogni cellula del corpo di Ella e che le faceva tremare le mani, la spinse a credere che Gabriele avrebbe provato a divincolarsi dalla sua stretta e, in quel caso, sarebbe stato difficile impedirgli di liberarsi.
 
Nella sua ingenuità, sperava che la pressione che stava esercitando potesse bastare a tenerlo vicino, ma era ben consapevole che, se avesse voluto, avrebbe potuto spostare la sua mano senza il minimo sforzo.
 
Persino una formica era più forte di lei, che riusciva a malapena a trasportare due piatti senza avere i dolori alle braccia.
 
«Sta zitto e muoviti.»
 
Mentre scendevano le scale per raggiungere il cortile, Ella vide distrattamente dei ragazzi seduti sui primi gradini sghignazzare al loro passaggio. Sicuramente, vista da fuori, osservare una ragazza esasperata trascinare un ragazzo, che avrebbe potuto mettersela in tasca per portarla a passeggio, doveva essere una scena parecchio esilarante.
 
Arrivati alla fine della rampa di scale, Ella svoltò a sinistra per lasciarsi alle spalle quegli sguardi indiscreti.
 
Ancora avvinghiata al braccio di Gabriele, si piegò leggermente in avanti, usando il corpo del ragazzo come appiglio sia per riprendere fiato, sia perché quella vicinanza la aiutava a gestire l’ansia.
 
Gabriele rimase in silenzio ad ascoltare il respiro affannoso di Ella che diventava sempre più lento e profondo, mentre la presa trascinante della sua mano si stava trasformando in un tocco delicato, che accarezzava il suo braccio muovendosi ad ogni suo sospiro.
 
«Ella, ti senti bene? Mi sto iniziando seriamente a preoccupare.»
 
Gabriele si azzardò ad allungare la mano libera e a posare il pollice sotto il mento di Ella, per farsi guardare.
 
Con tutta quella massa di capelli riccioluti che le ricoprivano il viso, nascondendolo al suo sguardo indagatore, gli era stato praticamente impossibile scorgere i suoi occhi.
 
Ormai, nel più completo stato confusionale e con i battiti del cuore che le risuonavano forti e prepotenti nelle orecchie, Ella si lasciò trascinare a riva da quella lieve carezza, che la spinse a ritrovare un minimo di compostezza.
 
Si spostò di un passo all’indietro per mettere quella giusta distanza, necessaria affinché potesse ragionare lucidamente, ma non troppa per evitare di perdersi nel mare di pensieri angosciosi.
 
Guardandolo finalmente negli occhi, respirò tutto il coraggio che aveva.
 
«No, non sto bene. Gli ultimi giorni sono stati un inferno e…So che non esiste una giustificazione per tutte le cose orribili che ti ho detto sia prima che giovedì. Insomma, avrei dovuto scusarmi invece di aggredirti, ma sono un disastro in questo genere di cose, non so mai cosa dire e finisco con il peggiorarle.»
 
Gabriele poté finalmente capire cosa stesse confabulando con Cristina in quel modo così guardingo da suscitare il suo interesse per tutta la durata del primo set.
 
«Io, invece, non avrei dovuto provocarti né risponderti in quel modo.»
 
Un passo era stato compiuto e l’argine demolito, adesso dovevano solo rimanere a galla e non annegare nella corrente.
 
Ella si chiese se fosse normale una persona tanto comprensiva, non che le dispiacesse considerate le circostanze, ma come poteva non arrabbiarsi nemmeno per cinque secondi.
 
Anche quando erano seduti tra gli spalti, era riuscita a capire che non era realmente in collera con lei, semplicemente voleva constatare se la sua indifferenza fosse realmente ciò che desiderava, se quella sua freddezza avrebbe scalfito il muro che aveva eretto.
 
A quanto sembrava, Gabriele aveva ottenuto ciò che aveva sperato.
 
«Non ti biasimo. Lo hai fatto solo perché ti ho ferito e ci sei andato anche leggero, mentre io non avevo alcuna ragione per mostrarmi così ostile nei tuoi confronti. Questa situazione è colpa mia e ho bisogno di darti una spiegazione, la meriti.»
 
Gabriele la osservava dondolarsi su sé stessa e torturarsi le ciocche di capelli indomabili che rispecchiavano esattamente il suo temperamento. Ella era un concentrato di frustrazione e stanchezza che non poteva più gestire.
 
Aveva bisogno che qualcuno raccogliesse quelle emozioni dolorose e le trasformasse in parole confortanti. Gabriele era lì e non se ne sarebbe andato, avrebbe superato i propri limiti pur di contenere ciò che stava piegando la sua Ursula, perché gli faceva mal al cuore vederla soffrire in quel modo.
 
«Non sei obbligata, non voglio forzarti a fare nulla se non sei pronta. Ero sincero quando ho detto che ti avrei dato tutto il tempo e lo spazio di cui avessi avuto bisogno.»
 
Gabriele aveva bisogno di sapere che fosse realmente convinta di ciò che stava per fare, perché leggeva in quell’azzurro profondo e spaventato che non si sarebbe limitata a porgergli delle scuse.
 
«Sai che non faccio niente a meno che non lo desideri realmente, quindi puoi stare tranquillo.»
 
Ella ci stava provando a mantenere la calma e a trasmetterla a Gabriele che la scrutava con preoccupazione.
 
Se le circostanze fossero state diverse, sicuramente lui l’avrebbe circondata con le sue rassicuranti braccia per acquietare non solo la sua angoscia, ma per avere la certezza che ciò che sarebbe uscito dalle labbra rosee di Ella non avrebbe distrutto ciò che a fatica provava a non far crollare.
 
Quello che, però, Gabriele non poteva sapere era che Ella avrebbe accolto la sua forte stretta, anche in quell’esatto momento.
 
«Va bene. Ti ascolto» si arrese, mentre nascondeva le mani nelle tasche del giubbotto per reprimere l’impulso che l’avrebbe spinto ad abbracciarla.
 
«Però non guardarmi così, mi salire l’ansia.»
 
«Come ti sto guardando?» chiese sorridendo, di fonte allo sguardo implorante con cui Ella lo stava guardando in quell’istante.
 
«Come se stessi aspettando qualcosa.»
 
«Ma è quello che sto facendo.»
 
Gabriele pensò che, probabilmente, era stata la paura di leggere nella sua espressione un pensiero o un’emozione sbagliata, in reazione alle sue parole, a spingerla a formulare quella richiesta.
 
Forse temeva di essere giudicata, ma Ella, in quei pochi giorni, non aveva mai mostrato segni di quell’insicurezza. Sembrava sempre risoluta nei comportamenti, quando interagiva con chi non conosceva o la cui conoscenza non era gradita, ma con molta probabilità il problema poteva risiedere proprio in quello.
 
Gabriele poteva essere così importante per lei, tanto da avere a cuore il suo giudizio.
 
Questo pensiero fugace gli rubò l’aria dai polmoni.
 
«Allora non farlo. Fingi disinteresse, chiudi gli occhi, girati, fai una giravolta, non mi importa, ma non guardarmi come se fossi in attesa di ciò che più desideri a questo mondo.»
 
«Se può tranquillizzarti, desidero molto più di una confessione.»
 
«Questo non mi aiuta» rispose irritata dal vano tentativo di alleggerire la tensione con una battuta decisamente fuori luogo.
 
«Ho capito. Sto zitto e mi sforzo di guardare l’entrata della palestra.» Si arrese, voltandosi in direzione dell’angolo dove avevano svoltato poco prima.
 
Ella rivolse lo sguardo al cielo in attesa di un aiuto, ma, quando si rese conto che non sarebbe arrivato, si concentrò nuovamente sul profilo di Gabriele, i cui tratti del viso erano rigidi e ben marcati.
 
«Non credo debba spiegarti come reagisco a determinate situazioni. Ho represso tutte le emozioni, sia positive sia negative che provavo per te e per un’altra persona. Giovedì è accaduto qualcosa che ha rotto gli argini di due fiumi, che mi ero premurata di separare proprio per evitare ciò che è, invece, successo. Tutte le emozioni si sono mischiate e sono stata così stupida da dirti cose che non erano destinate a te. A meno che tu non abbia finto di essere qualcun altro o sia cambiato in questi anni in cui ci siamo persi di vista, non sei mai stato il tipo di uomo che distrugge la propria ragazza fino a farla scomparire.»
 
Quanto avrebbe voluto girarsi per guardarla negli occhi, Ella non lo avrebbe mai potuto immaginare. Gli sembrava di trovarsi in un altro luogo, quando invece era solo a pochi passi da quella voce carica di dolore e senso di colpa.
 
Era sul punto di ignorare le raccomandazioni che gli aveva rivolto ed era disposto persino a ricevere uno schiaffo ben assestato, se ciò avesse significato poterla rassicurare e alleviare la sua angoscia.
 
«Ella, so che…»
 
«No» lo interruppe, bloccando anche il suo corpo, che aveva iniziato a muoversi come una falena attratta dalla luce. «Ti prego, lasciami parlare prima che cambi idea.»
 
Il peso che le stava stritolando la cassa toracica pareva alleggerirsi parola dopo parola, bastò questa consapevolezza a incoraggiarla a continuare il suo monologo.
 
«Quando rimani solo ti rendi conto di quanto faccia male la solitudine. Credi che ti calzi a pennello, ma è così aderente, così stretta che non riesci a respirare. Fingi, perché devi stare bene, senti di non avere scelta. Le crisi isteriche e il panico che provi in tutti i modi a nascondere, perché sarebbe impossibile da spiegare e da capire. Non importa quanto possa fare male perché sappiamo che la colpa è solo nostra. Veniamo feriti solo perché siamo noi a permetterlo, così stringiamo i denti e andiamo avanti nel disperato tentativo di lenire l’angoscia. Un’angoscia provocata dall’idea che se gli altri vedessero il nostro dolore, subiremmo un’umiliazione che sarebbe più ingestibile della sofferenza stessa.»
 
Ella aveva buttato quelle parole così velocemente che Gabriele si ritrovò confuso alla ricerca di un significato nascosto.
 
Si era chiusa in sé stessa per molto tempo, aveva allontanato gli altri mentre i sentimenti che non dovrebbero mai essere affrontati da soli la avevano divorata dall’interno.
 
Gabriele, alla fine, capì che la sua non era semplice paura, ma terrore di lasciare che il resto del mondo entrasse in contatto con lei.
 
«Perché mi stai dicendo questo?»
 
Aveva bisogno di comprenderne il motivo, un’urgenza fisica quasi dolorosa che doveva soddisfare, perché tutta quell’oscurità aleggiante attorno alle parole di Ella lo stava portando sull’orlo della pazzia.
 
«Guardami.»
 
Il corpo di Gabriele reagì ancor prima che potesse consapevolmente registrare quella che gli parve essere una supplica.
 
«Mi serviva solo per rompere il ghiaccio, ma adesso ho bisogno che mi guardi negli occhi e imprimi nella tua mente ogni singola parola.»
 
La scintilla di vitalità, che rifletteva il carattere combattivo di Ella, era stata oscurata dal velo trasparente che rendeva i suoi occhi lucidi. Il bianco candido si era colorato di rosa, rendendo l’azzurro chiaro delle sue iridi più scuro. Era come guardare nell’abisso della sua sofferenza, un libro aperto di emozioni contro cui Ella aveva smesso di combattere e che stava provando, come meglio poteva, a trasmettergli.
 
Non voleva piangere.
 
Percepiva i suoi sforzi di trattenere le lacrime, ma le parole erano troppo forti e dolorose perché potesse evitarlo.
 
«Ella…»
 
Gabriele si ritrovò spettatore di una scena così spaventosa da lasciarlo senza parole.
 
«Io l’ho vissuto. Ho sofferto l’umiliazione, sono stata calpestata e non ho fatto nulla per impedire che ciò accadesse. Ho permesso a un uomo di ferirmi, di distruggermi, di dirmi ciò che avrei dovuto fare nella mia vita. Mi sono lasciata manipolare senza rendermene conto.»
 
Quelle lacrime, che si erano accumulate negli angoli dei suoi occhi spenti, si incastrarono tra le ciglia mischiandosi al nero del mascara e, ad ogni battito, precipitavano, macchiando le sue guance pallide.
 
Gabriele seguiva la scia di quelle bisce e i solchi scuri, che segnavano il loro passaggio, erano gli stessi che stavano tingendo di nero il suo cuore.
 
«Ecco perché sono così» Non c’era vergogna nella sua ammissione, ma solo rimorso per la sofferenza che gli aveva causato. «La gentilezza è stata la mia debolezza. Mi sono fidata ciecamente e sono stata fatta a pezzi, ma ho saputo dare una nuova forma a quelle schegge e sono in piedi. Adesso sono stanca e arrabbiata, ma perfettamente consapevole di ciò che potrei fare se solo volessi. Potrei calpestare ogni cosa pur di tenermi al sicuro, qualunque cosa pur di non commettere lo stesso errore dell’ultima volta. Ho smesso di rimproverarmi per come sono, ma giovedì ho perso il controllo e ti ho gettato addosso il mio dolore per alleggerire un peso che non riuscivo più a trascinare da sola. Le mie ferite sono diventate tue e non era giusto che accadesse, ti ho coinvolto in qualcosa da cui avrei voluto proteggerti.»
 
La sofferenza che questa ammissione causò a Gabriele fu peggio che ricevere un pugno nello stomaco.
 
Era riuscito ad intuire qualcosa l’ultima volta che si erano visti eppure, sentirselo dire apertamente, essere costretto a metabolizzare che Ella, colei che non aveva mai smesso di amare, era stata piegata alla volontà di qualcuno che non fosse la propria, era come vivere ripetutamente il terrore di un incubo dal quale non si sarebbe mai potuto svegliare.
 
Lei non era fatta per rimanere rinchiusa in una gabbia, nemmeno se fosse stata lei stessa a saldare le sbarre, figurarsi essere imprigionata da un'altra persona.
 
L’avrebbe uccisa lentamente, in una lenta agonia alla disperata ricerca di uno spiraglio di libertà.
 
«Ella, ho ventitré anni, ho vissuto abbastanza per sopportare anche il dolore altrui.» Stanco di quella distanza che ancora li separava, Gabriele ignorò qualsiasi buon senso, preferendo seguire l’istinto, che, in quel momento, gli stava urlando di avvicinarsi a lei. «Sto cercando di rispettare la tua volontà per dimostrarti che voglio essere al tuo fianco, entrare nella tua vita e non lasciarti. Prendere parte della tua sofferenza, di ciò che ancora ti fa ferisce non mi spaventa, mi terrorizza invece vederti chiudere in te stessa e crollare sotto il mio sguardo impotente.»
 
Ella lo ascoltava attentamente e, nonostante la consapevolezza della sua incauta vicinanza, non si oppose all’invasione del suo spazio personale. Con solo pochi centimetri a dividerli, Gabriele cercò lo sguardo titubante di Ella e, quando lo trovò, riprese a parlare con un tono di voce più tenue. «Ti nascondi dietro all’idea di volerci proteggere dalla tua vita, quando in realtà l’unica persona che vuoi tenere al sicuro sei tu. Hai paura che riporre fiducia in me significhi diventare di nuovo debole e non posso biasimarti, perché anche io ti ho delusa e ti ho ferita, ma se continuerai a diffidare di tutti verrai schiacciata dal peso della solitudine.»
 
Gestire tutta quella verità e quella vicinanza stava diventando incredibilmente difficile. Lo sguardo di Ella vagava sul viso di Gabriele. Un velo di barba appena visibile, che sapeva avrebbe amato sfiorare con le dita e sentirne il leggero pizzicore, faceva da cornice a un paio di labbra carnose che sarebbero state sicuramente più morbide di quanto avesse mai immaginato.
 
La mascella contratta e la fronte corrugata dalla preoccupazione.
 
Alla fine indugio nei suoi occhi caldi e confortanti, che stavano provando a carpire dai suoi qualcosa che, evidentemente, ancora non erano riusciti a trovare.
 
Si prese il suo tempo per rispondere e ne lasciò a lui per rielaborare la situazione.
 
«Lo so, per questo motivo sto provando ad aprirmi, anche se ciò che ti ho detto non è lontanamente vicino alla quantità di argomenti che dovrò sviscerare. Troppi eventi, troppe emozioni e troppi sbagli mi hanno condotta dove mi trovo adesso, quindi ci vorrà del tempo, ma per me questo è già un grande passo. Voglio dimostrare a me stessa che ciò che mi è successo non mi impedirà di lasciarmi andare ancora.» Ella abbassò il viso, interrompendo lo scambio di sguardi che legava il filo di tutti quei sentimenti. Respirò per trovare coraggio e, prima che Gabriele potesse intervenire impedendole di parlare, alzò gli occhi per guardarlo di nuovo e ammise il suo desiderio più profondo, quello che l’aveva tormentata per giorni. «Non voglio più avere paura. Non voglio avere paura di te.»
 
Un sorriso spontaneo increspò le labbra di Gabriele. Dopo tutto ciò che era accaduto, mai avrebbe creduto che Ella gli avrebbe rivolto una frase con un tale carico emotivo.
 
Spinto dalla magia del momento, che non sapeva quanto sarebbe durato, posò, con tutta la delicatezza di cui era capace, la mano destra sulla guancia di Ella, eliminando con il pollice le tracce lasciate dalle lacrime.
 
Il movimento era così piacevole che Ella si ritrovò a chiudere gli occhi per godersi il più possibile quelle carezze, che chissà quando si sarebbe concessa nuovamente di ricevere.
 
Il sorriso di Gabriele si allargò, piacevolmente sorpreso dalla reazione di Ella al suo tocco.
 
Immobili, erano riusciti a ritagliarsi un momento di pace in mezzo alla tempesta di emozioni che impazzava intorno a loro e, per non affogare, l’uno era diventato lo specchio dei sentimenti dell’altro.
 
«Potrei spendere tutte le parole del mondo per rassicurarti, ma non servirebbe, perché tu sei Ella e sei testarda, schiva, incredibilmente arrogante e tremendamente sfacciata» ammise guardandola, senza mai smettere di sorridere.
 
«E io potrei mettere tra noi una distanza enorme per allontanarti, ma non servirebbe, perché tu sei Gabriele e sei cocciuto, fastidiosamente paziente e odiosamente carismatico» rispose Ella, ricambiando quel sorriso contagioso.
 
Le lacrime sembravano essere diventate un ricordo lontano, così come le sue paure, cancellate dalle carezze rassicuranti del ragazzo che aveva di fronte.
 
«Pensa te, abbiamo almeno un punto in comune» commentò sarcastico.
 
I difetti di Ella non erano considerati tali da Gabriele e, allo stesso modo, i tratti di quest’ultimo, che Ella aveva provato a connotare negativamente, erano per lei, in realtà, una boccata di aria fresca nella sua vita stressante.
 
«È per via di quel punto che adesso siamo qui a parlare. Andiamo d’accordo quanto basta per stare bene insieme, ma non troppo per stancarmi di te.»
 
«Andiamo d’accordo perché io ho un livello illimitato di sopportazione per la tua irascibilità.»
 
«Guarda che ho anche molti lati positivi» ribatté Ella, spostandosi istintivamente di un passo all’indietro e incrociando le braccia sotto il seno.
 
L’aria fredda eliminò ogni traccia di calore lasciata da Gabriele sulla sua guancia e quella sensazione di vuoto la fece pentire immediatamente di essersi allontanata.
 
«Tipo?» chiese curioso.
 
Gabriele sapeva bene quali fossero i pregi di quella ragazza così esasperante, eppure non poté fare a meno di sfidarla.
 
«Sono simpatica.»
 
La riposta di Ella suscitò un’esplosione di ilarità da parte di Gabriele, che non riuscì a trattenere.
 
«Va bene, lasciamo perdere. Sarà meglio entrare, prima che inizino a pensare che ti abbia ammazzato.»
 
«Aspetta!» Gabriele afferrò rapidamente il polso destro di Ella e, con una leggera pressione, la fece voltare, prima che mettesse troppa distanza tra loro, distanza che alla luce di quanto era accaduto non avrebbe sopportato.
 
Ella, confusa da quel rapido e inaspettato movimento, non si accorse subito che il palmo della sua mano sinistra si era poggiato poco sotto la clavicola di Gabriele. Solo quando percepì un cuore che batteva forte e deciso capì che la sua mano si era animata di vita propria.
 
A quella distanza troppo ravvicinata, fu costretta ad alzare leggermente la testa all’indietro per poter ricambiare lo sguardo del ragazzo.
 
Se Ella avesse fatto anche solo un minimo movimento, i loro nasi si sarebbero inevitabilmente sfiorati e non poteva ancora permettere che accadesse.
 
Non era pronta.
 
«Cosa?» chiese con voce più acuta di quanto volesse.
 
Ormai tutto era completamente fuori ogni suo controllo.
 
«Dillo, Ella. Dimmi cosa vuoi» la incitò Gabriele e la scintilla di speranza che Ella vide brillare nei suoi occhi allontanò da lei ogni dubbio e riserva rimasta nei suoi confronti.
 
Era impaziente e lo sentiva chiaramente attraverso la sua mano tremante che ancora le avvolgeva il polso; attraverso il cuore che aveva iniziato a pompare sangue più velocemente; attraverso il suo sguardo carico di speranza.
 
«Voglio te, nella mia vita.»
 
La confessione di Ella si disperse nel silenzio del cortile, aleggiando tra le fronde degli alberi i cui primi germogli venivano scossi dalla leggera brezza di fine marzo.
 
Solo loro due, in quello spazio vuoto e immenso, uniti da quell’unica frase che aveva aperto ad entrambi una porta rimasta chiusa per troppo tempo.
 
L’enorme sorriso che Gabriele le rivolse, carico di una felicità piena di insinuazioni, fece capire a Ella l’ambiguità di ciò che aveva detto.
 
«Oh, ma dai! Non fare quella faccia, intendo come amici. Nella mia vita, come amici» disse indietreggiando velocemente per rimarcare la convinzione delle sue parole e mettere a tacere ogni pensiero superfluo e irragionevole.
 
Ella avrebbe anche potuto credere a quanto lei stessa aveva appena detto, ma Gabriele non lo avrebbe mai fatto, nemmeno per un istante.
 
«Mi sta bene» assentì, scrollando le spalle.
 
«Anche perché non hai molta scelta.»
 
«Per ora.» Due semplici parole, che avevano il valore di una promessa, ebbero il potere di scuoterla.
 
«Non tirare troppo la corda» lo rimproverò, puntandogli contro l’indice.
 
«Va bene, Ursula» si arrese, gongolando fiero per come l’aveva chiamata.
 
Ella poteva solo pensare di esserselo meritato, tanto che avrebbe potuto accettare anche di essere chiamata strega, dopo l’uscita infelice di giovedì.
 
«Il mio nuovo soprannome?» chiese fingendo disinteresse. Non gli avrebbe di certo dato la soddisfazione di ammette quanto le fosse piaciuto, ricambiando al suo sorriso.
 
«Mi sembra più appropriato. Mi ostinavo a vederti come la ragazza ancora ingenua a cui avevo voltato le spalle.»
 
«Va bene, ma fai attenzione a non abusare della mia pazienza.»
 
Gabriele inarcò un sopracciglio, evidentemente curioso di sapere di quale pazienza stesse parlando Ella.
 
«Divertente» commentò, rifilandogli il sorriso più falso del suo repertorio.
 
«Allora, grande strega del mare qual è la sorte che attende questo povero marinaio?»
 
Avevano parlato, Ella si era liberata confessando i propri peccati, ma era giunto il momento di guardare in faccia la realtà e capire come mettere in pratica tutto ciò che gli aveva detto.
 
«Che ne pensi di uscire una sera?»
 
In altre circostanze Ella non avrebbe probabilmente preso l’iniziativa, sia perché si sentiva a disagio nell’instaurare nuovi rapporti, sia perché non era mai stata una sua priorità uscire con qualcuno che non fossero i propri amici, ma la loro relazione, che si trascinava da tempo, era finita in modo strano e iniziato in modo ancora più assurdo.
 
Questa riflessione e forte dei sentimenti che sapeva Gabriele provasse per lei bastarono a farle trovare il coraggio per porgli quella domanda.
 
A Ella non piaceva essere prevedibile e la reazione di Gabriele le conferì un certo grado di soddisfazione.
 
«Un appuntamento? Sono stupito, ma molto interessato alla tua intraprendenza» rispose compiaciuto per i risvolti estremamente positivi a cui stava portando quel confronto.
 
«Sono stanca di aspettare, e comunque è una serata tra amici. Non farmi pentire della decisione.»
 
Più Ella si premurava di specificare la natura del loro rapporto, più il sorriso di Gabriele si allargava, tanto che, se avesse continuato, avrebbe rischiato una paralisi facciale.
 
«Domani?»
 
«Vai di fretta?» L’impazienza di Gabriele la fece sorridere.
 
Sarebbe stato impossibile non essere contagiati da quella gioia che trapelava da ogni lineamento del suo viso, sembrava un bambino la mattina di natale.
 
«Ti ho preso in parola. Anche io sono stanco, abbiamo aspettato fin troppo.»
 
«Vorrei, ma domani sera lavoro. Gli unici giorni liberi sono il giovedì e la domenica.»
 
Gabriele passò una mano tra i suoi capelli, tirandoli all’indietro. Quel movimento, che compiva tutte le volte che rifletteva su un problema, catturo la luce del sole che si rifletteva sulle singole ciocche, donando loro diverse sfumature di castano.
 
«Sottopongo un’idea al tuo prezioso giudizio. Domani passo a prenderti a lavoro e ti riaccompagno a casa, invece, giovedì trascorriamo insieme un’intera serata. Che ne pensi?»
 
«Penso che stacco all’una e mezza di solito e farti venire solo per parlare quindici minuti sarebbe assurdo» rispose scuotendo la testa, bocciando la sua proposta.
 
Per quanto le sarebbe piaciuto, non lo avrebbe costretto a scendere a quell’ora di notte per trascorrere insieme solo pochi minuti.
 
«Trovo che sia più importante la qualità del tempo speso e non la quantità, in più non mi spaventa fare tardi la sera perché, a essere sinceri, le ore notturne sono quelle che preferisco.»
 
La volontà di resistere di Ella era ridotta ai minimi termini e se, da come poteva vedere, gli avrebbe fatto davvero piacere vederla, chi era lei per impedirglielo.
 
«Non ti arrendi, vero?»
 
«Mai.» Gabriele le si avvicinò, incapace ormai di starle lontano più di mezzo metro.
 
«In questo caso, approvo la tua mozione. L’indirizzo te lo do più tardi, adesso torniamo dentro, altrimenti ci perderemo tutto il secondo set» lo incitò, voltandogli le spalle.
 
«Conosci anche queste parole, e io che pensavo non capissi niente di ciò che vedevi» commentò, raggiungendola in poche falcate.
 
«Una delle poche, ma sto cercando di migliorare il mio gergo sportivo. In ogni caso, grazie per la bella considerazione.»
 
«Hai molte altre qualità, come la modestia, l’irascibilità, la finezza, l’indole tirannica e sovversiva.» Istigare il lato combattivo e sarcastico di Ella era uno dei passatempi preferiti di Gabriele.
 
«Se continuerai a farmi tutti questi complimenti, mi farai arrossire» rispose reggendogli il gioco.
 
In quegli anni aveva sempre ripensato a quella complicità distrutta dal tempo, eppure non aveva mai lontanamente capito quanto profondamente le fosse mancata, almeno fino a quel momento, quando l’aveva finalmente ritrovata.
 
Una domanda squarciò la sua mente, oscurando la serenità di quegli attimi.
 
Si ritrovò inevitabilmente a chiedersi quanto, tutto quello, sarebbe durato.
 
«Domani sera avrò ben quindici minuti per riuscirci.» La voce di Gabriele la riportò alla realtà, spingendola ad accantonare i dubbi per godersi il momento.
 
Un passo alla volta, un respiro alla volta, una battaglia alla volta.
 
Era questo che Ella si ripeteva ogni volta che si sentiva sopraffatta dal peso del mondo.
 
«Pensi ti possano bastare?» chiese provocatoria.
 
«Assolutamente no, ma sono i limiti che diamo al nostro tempo a rendere preziosi gli attimi.»
 
La profondità e la spontaneità con cui Gabriele aveva pronunciato quella frase costrinsero Ella a fermarsi in prossimità della porta, che li separava dall’interno della palestra.
 
Si ritrovò ad essere d’accordo con quanto aveva detto, ma solo in parte.
 
«Questa frase me la devo appiccicare sul frigorifero.» Non poté fare a meno di essere sarcastica.
 
«Tu sì che sai come distruggere la magia di un momento» la riprese Gabriele, incrociando le braccia.
 
Ella osservo attentamente la sua reazione dispiaciuta per il commento infelice. La osservava con gli occhi di un cane bastonato ed Ella non riusciva proprio a rimanere seria di fronte a quella espressione.
 
Un sorriso incurvò gentilmente le sue labbra, addolcendo ulteriormente i tratti del suo viso.
 
Lei gli aveva dato la sua tristezza e lui gli aveva donato il suo conforto, adesso provò a trasformare il suo dispiacere in piacevole stupore.
 
Ella si avvicinò e questa volta fu lei a sfiorargli il viso. Partì dal mento leggermente ispido al tatto, per poi risalire tracciando il contorno dell’angolo destro delle sue labbra e, infine, giungere ad accarezzare la guancia, dove lasciò l’ultima traccia per poi riportare la mano lungo il proprio fianco.
 
Quel tocco delicato duro solo qualche secondo, ma a Gabriele parve trattenere il respiro per una vita intera.
 
«Sono le persone con cui condividiamo il nostro tempo limitato a rendere preziosi gli attimi, quindi, ogni secondo di ogni minuto di ogni ora speso con te sarà una dichiarazione a cui, probabilmente, non presterai attenzione e quelle parole che tanto desideriamo troveranno la voce per rafforzare quei fili sottili e impercettibili lasciati in sospeso tra noi.»
 
La pericolosa verità di quella riflessione toccò il cuore di Gabriele, che si ritrovò a ricambiare l’intenso sguardo che Ella gli stava rivolgendo.
 
«Visto? So anche come ricrearla.»
 
Fu così che uscì di scena, lasciando Gabriele impietrito a fissare un vuoto che solo la figura di Ella avrebbe potuto colmare.
 
 
   
 
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