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Autore: Mary P_Stark    16/01/2020    2 recensioni
Cosa succederebbe se gli dèi dell'Olimpo e gli eroi greci camminassero tra noi? Quali potrebbero essere le conseguenze, per noi e per loro? Atena, dea della Guerra, delle Arti e dell'Intelletto, incuriosita dal mondo moderno, ha deciso di vivere tra noi per conoscere le nuove genti che popolano la Terra e che, un tempo, lei governava assieme al Padre Zeus e gli Olimpici. In questa raccolta, verranno raccontate le avventure di Atena, degli dèi olimpici e degli eroi del mito greco, con i loro pregi, i loro difetti e le loro piccole stravaganze. (Naturalmente, i miti sono rivisitati e corretti)
Genere: Commedia, Malinconico, Sovrannaturale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Eolo – 1 –
 
 
 
Millenni fa – Eolide
 
 
Sorseggiando del buon vino egizio mentre il sole reclinava all’orizzonte, scomparendo nelle acque placide che circondavano l’isola di Lesvos1, Aiolos tornò con la mente agli ultimi anni della sua vita.

Boiotos, il suo gemello, era ormai lontano, signore delle terre che egli stesso aveva chiamato Beozia e che aveva conquistato in nome del loro patrigno. Pur se nella giovinezza avevano vissuto fianco a fianco come una sola entità, ora le loro vite scorrevano parallele e sembravano destinate a non incrociarsi mai.

Era un peccato, ma divenire adulti portava anche a questo genere di scelte, così come a scoprire quanto poco, a volte, gli adulti fossero onesti e corretti gli uni con gli altri.

Loro avevano pagato queste bugie molto amaramente e, pur se ora tutto si era risolto, ancora molte ferite nel suo animo, dovevano rimarginarsi.

La loro madre adottiva, Teano, li aveva accolti in gran segreto per non ammettere la sua apparente sterilità col marito Metaponto, che già l’aveva minacciata di ripudiarla, se non gli avesse dato figli.

Durante la loro infanzia, né lui né Boiotos erano stati coscienti di questo. Erano cresciuti all’ombra dell’onesto e forte re Metaponto, signore e sovrano di vasti territori a ovest della ricca Ellade, credendosi figli della bella Teano.

Per anni avevano vissuto nella tranquillità e negli agi del suo palazzo ma, quando Teano era infine rimasta incinta del re, per loro la vita era improvvisamente cambiata.

I loro fratelli minori – che, all’epoca dei fatti, lui e Boiotos avevano veramente creduto essere tali – erano cresciuti alla loro ombra, mai più forti o veloci, mai più agili o lesti.

Questo aveva irritato sempre più la subdola Teano, portandola infine a prendere una decisione tragica quanto infausta.

Divenuti adulti, i veri figli di Teano erano stati spinti dalla madre a scagliarsi contro coloro che, fino a quel momento, loro avevano considerato come fratelli. La donna aveva ammesso con loro il misfatto, ammonendoli al silenzio quanto a ricchi tesori, se loro avessero eliminato per sempre coloro che li teneva lontani dall’amore di Metaponto.

Lo scontro – risultato da subito impari – era terminato in favore suo e di Boiotos, ma questo li aveva costretti a fuggire, timorosi che il re li potesse punire per il reato commesso.

Spaventati e in cerca di un riparo, avevano infine trovato ristoro e rifugio presso una tribù di pastori, gli stessi pastori che, molti anni prima, avevano consegnato lui e il fratello a Teano perché li crescesse.

Così come erano stati un’oasi di salvezza per due neonati esposti da un nonno sconsiderato e crudele, così si erano rivelati un rifugio sicuro in età adulta, ma anche una fonte immensa di sapere.

I pastori avevano raccontato loro del giorno in cui erano stati trovati su una scogliera, esposti perché simbolo della colpa della donna che li aveva partoriti.

A quelle parole, e di fronte a una tribù in preda allo stupore, era quindi apparso Poseidone, che si era infine presentato a loro, ammettendo di fronte a entrambi loro le proprie responsabilità di padre.

Con dovizia di particolari, aveva ammesso di aver giaciuto con una donna di nome Melanippe – la loro vera madre – e di aver così scatenato le ire del padre di lei, che li aveva puniti con l’esposizione.

A ciò, era seguito l’inganno di Teano, che si era rivolta ai pastori per chiedere aiuto e li aveva presi con sé per non ammettere con il re le sue mancanze.

Di fronte alle pressanti domande di entrambi, Poseidone aveva infine raccontato loro della fine di Melanippe che, per causa loro, era stata imprigionata dal padre, rea di aver giaciuto con un dio.

A quelle parole, lui e Boiotos avevano lasciato la tribù di pastori e lo stesso dio dei Mari, accorrendo nel regno del loro nonno materno al fine di liberare la loro vera madre.

Il fatto che Poseidone avesse lasciato sola l’amante a sopportare una punizione non meritata, abbandonandola a se stessa per anni e anni, li aveva così angustiati da non volerlo più rivedere.

Dopo aver liberato la donna e averle detto la verità sulla loro identità, avevano preso con loro la madre, ben decisi a portare giustizia fino in fondo. Determinati, quindi, erano tornati al cospetto di re Metaponto per smascherare la perfida Teano che, ripudiata per i reati commessi, era stata sostituita dalla dolce Melanippe.

A quel punto, per ringraziare Metaponto della grazia ricevuta e per aver deciso di prendersi cura di Melanippe, lui e Boiotos si erano spinti a est per conquistare terre in suo nome.

Potendo contare sui poteri divini di Poseidone – pur non avendolo mai ringraziato per tale grazia – i due fratelli avevano mantenuto la parola, e ora Metaponto poteva governare su molte più terre rispetto al passato.

Sorridendo tra sé, Aiolos levò la coppa non appena il sole andò a svanire all’orizzonte e mormorò: «A te, Metaponto, che sai rendere felice mia madre. Tua sia l’Eolide, d’ora innanzi. A me, invece, sia la libertà di vivere come meglio credo.»

Era stato divertente galoppare verso le terre a oriente e spingersi laddove non era mai stato, ma trovarsi entro le quattro mura di un palazzo lo rendeva nervoso, quasi i suoi piedi dovessero continuare a muoversi.

Forse, dopotutto, il suo dono di governare i venti, governava anche la sua vita, spingendolo a muoversi sempre e comunque, non trovando mai requie per se stesso.

Boreas, uno dei quattro venti ai suoi ordini, scelse quel momento per giungere al suo cospetto e, sistemandosi la chioma bionda con un passaggio negligente della mano, sorrise al suo signore ed esclamò: «Perché quello sguardo triste, Aiolos? Hai dunque già perso interesse per le tue conquiste? Eppure, mi sembra che l’ultima battaglia sia stata epica.»

Aiolos gli sorrise in risposta, replicando: «Sai bene che il mio è uno spirito libero, e le mura di una casa – per quanto essa possa essere bella – non mi tratterranno mai a lungo.»

Boreas rise di fronte a quella risposta, replicando malizioso: «Neanche le cosce morbide di una donna, potrebbero trattenerti?»

Aiolos rise con lui e, nello scuotere il capo, asserì: «Trovo i miei divertimenti senza problemi, quando li cerco, e sono sempre appaganti ma no, neppure una donna potrebbe trattenermi dal lasciarmi andare alle correnti.»

«Allora viaggia con noi, mio signore, lasciati trasportare dalla nostra forza, dacci la possibilità di dimostrarti quanto possiamo essere potenti e fieri, se lasciati a noi stessi» lo incitò a quel punto Boreas, battendogli una mano sulla spalla. «E’ encomiabile che tu voglia donare agli uomini dei venti favorevoli per i viaggi e l’agricoltura, ma questo limita noi e limita te, che rischi di diventare né più né meno che un servitore di mortali, invece di un dio potente e da venerare.»

Aiolos gli sorrise comprensivo, ben sapendo quanto, trattenere la forza di Boreas e dei suoi fratelli, li rendesse nervosi e inquieti. Erano fatti per galoppare le tempeste, per domare gli uragani e per scatenare fortunali, non per muoversi diligentemente sotto il suo giogo. I mortali, però, avevano necessità di venti benevoli, non di tempeste distruttive e violente.

«Sai bene perché vi trattengo» sottolineò Aiolos, tornando serio in viso.

Boreas si accigliò, borbottando: «Gli umani non ti venerano come dovrebbero. Hanno doni per il sommo Zeus o per la bella Afrodite. Si genuflettono in nome della geniale Athena quanto per il forte Ares e crudele, ma per te? Quali doni recano a te, che più di tutti dovrebbero rispettare? No, mio signore, meritano di imparare a chi deve essere concesso il vero rispetto.»

Aiolos gli sorrise pieno di affetto, batté una mano sulla sua spalla e asserì con tono quieto: «Non cerco glorie come alcuni miei parenti amano invece fare. Mi basta vivere in serenità, amico mio. Cheta il tuo livore, perciò, poiché non v’è bisogno di dimostrazione alcuna.»

Boreas reclinò il capo, apparentemente domato da quelle parole bonarie, e Aiolos terminò dicendo: «Non c’è bisogno di gesti eclatanti per sentirsi paghi, amico mio. Mi basta sapere che mia madre è felice accanto a un uomo giusto, e che le genti possono sfamarsi grazie a ciò che i venti portano loro. Quanto ai doni che tu decanti… che me ne farei, Boreas?»

Ciò detto, se ne andò con passo tranquillo, lasciando Boreas a rimuginare sulle parole del suo signore.

Trovava ingiusto che ad Aiolos non venissero riconosciuti onori degni del suo nome, e il fatto che lui stesso non si rendesse conto di questo scorno, rendeva più che mai necessario un cambio di rotta.

Nulla dicendo ad Aiolos, quindi, si recò dai suoi fratelli Euros, Nótos e Zéphyros per metterli a conoscenza delle sue decisioni.

In loro, trovò il pieno plauso alle sue idee e di comune accordo decisero che, una volta per tutte, il mondo degli uomini avrebbe conosciuto il vero valore di Aiolos… e la pericolosità di una sua eventuale mancanza.

Che imparassero sulla loro pelle cosa voleva dire avere dalla propria parte un dio benevolo che, grazie al proprio tocco, portava pace e prosperità laddove avrebbe potuto esserci solo distruzione.

Boreas osservò le luci dei villaggi sull’isola di Lesvos, ghignò perfido e dichiarò: «Vivono sereni e senza pensieri perché Aiolos, con la sua benevolenza, porta a tutti loro venti agevoli per la pesca, piogge dolci trasportate dal vento e nessuna tempesta a rovinare le messi. Ma è tempo che capiscano che, tutto ciò, ha un prezzo che finora non hanno pagato.»

«Aiolos merita rispetto» assentirono gli altri fratelli.

Ciò detto, uscirono silenti dal palazzo in Eolide che Aiolos aveva conquistato, così da dimostrare agli incauti umani quanto fragile e impermanente fosse la loro esistenza.
 
***

Le feste di Dioniso erano sempre splendide e, pur se ritrovarsi addormentati in una delle sue stanze – e circondato da ninfe di indubbio splendore – non fosse per lui una novità, Aiolos trovò però strano che fosse il sommo Zeus a svegliarlo.

Che ci faceva, lì? Aveva a sua volta partecipato? Non se n’era reso conto ma, dopo i molti otri di vino bevuti per festeggiare, non aveva più le idee chiare, perciò tutto poteva essere.

Quando infine riuscì a mettere a fuoco il volto ombroso e barbuto del Padre degli dèi, esclamò: «Ehi, zio! Che succede? Va a fuoco il palazzo di Dioniso?»

«No, ragazzo. Qualcosa di molto peggio, a ben vedere» borbottò Zeus, afferrandolo a un polso per sollevarlo dal letto e trascinarlo via con sé.

Aiolos lo lasciò fare, trattenendo per sé i commenti aspri che, con qualsiasi altra divinità, avrebbe usato – dopotutto, qui si parlava del sommo Zeus – e, seguendolo lungo uno dei corridoi del palazzo di Dioniso, si limitò a domandare: «E’ forse successo qualcosa a mio fratello?»

«Non direttamente, ma forse anche lui avrà qualcosa da dirti, dopo che io stesso ti avrò fatto una predica coi fiocchi» brontolò Zeus, facendolo infine uscire dal tempio, ove la luce del sole ferì gli occhi fiacchi di Aiolos.

Levando una mano per frangere i raggi solari, così da proteggersi gli occhi pesti, il dio dei venti mise quindi a fuoco la piazza antistante il tempio dionisiaco e lì, sgranando gli occhi cerulei, esalò: «Ma cosa… perché i miei sottoposti sono stati imprigionati?!»

Zeus lo fissò pieno di rimprovero, mentre un silente Poseidone stava di guardia ai prigionieri e molte altre divinità si stavano radunando nella piazza per comprendere cosa stesse succedendo.

Ignorando bellamente lo sguardo inquisitorio del sommo Zeus, Aiolos mosse i primi passi per raggiungere i suoi amici, imprigionati in quattro enormi giare dal cui stretto collo a imputo fuoriuscivano solo le loro teste.

I quattro venti erano stati imbavagliati e bendati e, l’una all’altra, le quattro giare erano state unite da pesanti catene dorate, quasi sicuramente opera di Efesto.

Aiolos, però, non raggiunse mai i suoi amici, trattenuto a un braccio da Zeus che, lapidario, dichiarò: «Il tuo unico compito era quello di tenere a bada i loro caratteri impetuosi e selvaggi, e invece non ti sei minimamente curato di trattenerli dalla loro sete di distruzione, e ora ci ritroviamo con intere popolazioni ridotte alla fame dai loro gesti inconsulti, vedove in lacrime perché hanno perso figli e compagni in mare, o città distrutte dai marosi sollevati dai tuoi generali.»

Aiolos fissò senza proferir parola i volti inermi dei suoi amici e, crollando in ginocchio, tornò con la memoria alle parole di Boreas, che avevano gridato vendetta contro gli umani e la loro superficialità.

«Non… non avevo capito» riuscì ad articolare Aiolos, passandosi le mani sul viso.

«La Beozia è stata spazzata da venti di burrasca così tremendi da aver disseminato morte e distruzione ovunque…» aggiunse Zeus, torvo in volto e freddo nei toni. «… e ora tuo fratello Boiotos sta tentando di porre rimedio a tale scempio, ma persino per un semidio come lui, sarà difficile sistemare tutto. Ti manda a dire di non mettere piede nelle sue terre per chiedere perdono, perché non te lo concederà. Il Fato ti scelse come dio dei venti al posto suo, poiché solo tu ereditasti immortalità e poteri, ma ora vedo bene quanto, questa scelta da parte del destino, sia stata errata e infelice.»

«Sommo Zeus… zio, io…» tentennò Aiolos, fissandolo penitente e pieno di dolore. «Volevano solo che le persone comprendessero quanto bene porto loro… sono sicuro che non è stato fatto con intenti malvagi.»

«Quanto bene porti alla gente, Aiolos?» ironizzò Zeus. «Beh, credo che ora lo abbiano capito, per merito di coloro che tu consideri amici. Dimmi, sei orgoglioso di loro? Sei lieto delle loro gesta? Sarai felice di sentire il tuo nome affiancato dalla paura e dalla rabbia delle genti?»

«Sono miei amici» sottolineò soltanto Aiolos, risollevandosi in piedi per meglio affrontarlo.

«Beh, i tuoi cosiddetti amici ti hanno reso davvero un pessimo servizio, e ora pagheranno per la distruzione che hanno portato, rimanendo confinati per l’eternità in quelle giare, e verranno loro tolti i poteri perché solo tu possa gestirli. Sarà un compito arduo, perché l’energia da loro emanata è davvero enorme, ma anche tu devi pagare per la tua superficialità» dichiarò Zeus, lapidario.

Aiolos, però, si ribellò a quella scelta ed esclamò: «Loro possono aver peccato di ingenuità, te lo concedo, sommo Zeus, ma non puoi confinarli a vita in quelle giare! Con o senza poteri, i loro sono spiriti liberi e moriranno di inedia, rimanendo confinati a quel modo!»

Zeus se ne infischiò, voltando bellamente le spalle al nipote per dire al fratello Poseidone: «Conducili nelle grotte segrete che io e te abbiamo pattuito e, nel farlo, togli loro i poteri per porli nelle mani di tuo figlio. Altro non devo dire.»

Poseidone si limitò ad assentire e Aiolos, irritato per la mancanza di polso del padre, oltre che per le decisioni del sommo Zeus, afferrò un braccio dello zio ed esclamò: «Liberali, ti prego, e ti prometto che non sfuggiranno mai più al mio controllo. Saranno confinati entro terre che io sceglierò, e a cui dovranno tornare ogni giorno, pena la perdita dei loro poteri per mano mia. Non toglierò mai loro il guinzaglio, ma permetti ai miei amici di vivere al di fuori di quelle gabbie. Te ne supplico.»

Il Padre degli dèi lo fissò pieno di furore, restio ad accettare contrattazioni che non venissero da lui ma, di fronte allo sguardo di sincero pentimento di Aiolos e al suo desiderio genuino di salvare gli amici, sbuffò e disse per contro: «Al prossimo errore, ne pagherai tu stesso le conseguenze. La tua divinità deriva dal sangue potente di mio fratello ma, se mi deluderai ancora, o uno dei tuoi amici lo farà al posto tuo, allora non vi saranno ulteriori perdoni. Nipote o meno che tu sia, sarai condannato con durezza.»

Aiolos assentì a più riprese, piegandosi penitente a baciare il dorso della mano di Zeus e, mentre il Padre degli dèi faceva svanire le giare di contenimento per liberare i venti, dichiarò a gran voce: «Efesto costruirà delle catene per tutti loro, e tu le governerai. Scegli con coerenza cosa fare, poiché tutto dipende dalla tua forza di volontà.»

Ciò detto, svanì al pari degli altri e Aiolos, crollando in ginocchio accanto ai suoi amici – svenuti e distesi sul selciato di fronte al tempio dionisiaco – sentì su di sé tutto il peso delle parole dello zio.

Non avrebbe più potuto fallire, o permettere a uno dei suoi amici di farlo, o per tutti loro sarebbe arrivata una pesante punizione da sopportare. Forse la morte stessa.

Efesto lo raggiunse claudicante, rimasto fino a quel momento silente e ombroso, osservò irrispettoso i venti e dichiarò: «Ti costruirò delle catene e dei collari per ognuno di loro, così che si ricordino che sono i tuoi servitori, e non delle divinità tue pari.»

Ciò detto, svanì in una nuvola di potere color cenere, e ad Aiolos non restò altro che raggiungere i propri amici e piangere per la loro sorte.

Era stato ingenuo a non rendersi conto della profondità del risentimento di Boreas. Se avesse prestato maggiormente orecchio alle sue proteste, forse quel guaio non sarebbe mai nato, nessuno sarebbe morto a causa di un suo errore, e Boiotos non si sarebbe adirato con lui.

Carezzando il capo di Boreas, steso a terra ancora privo di conoscenza, Aiolos pianse in silenzio e, in un mormorio roco, ammise: «Non sono stato accorto. Avrei dovuto comprendere i vostri sentimenti, così come le vostre repliche, invece ho dato per scontato che foste felici, e ora sono costretto a tarpare le vostre ali per un mio errore.»

Eris scelse quel momento per apparire e, con passo felpato e movimenti erratici, lo raggiunse per sussurrare al suo orecchio: «Dimmi, dio dei venti… ti lascerai solo andare allo sconforto, o farai anche qualcosa? Perché, per ora, l’unica azione di cui mi sembri capace, è quella di bagnare il selciato con le tue lacrime.»

Aiolos la scacciò con un gesto del braccio e, nel guardarla con livore crescente mentre la dea rideva divertita di fonte al suo dolore, lui sbottò dicendo: «Ho fallito, è vero. Ma non sono un debole! Riuscirò a dar loro una vita onorevole, anche con queste restrizioni.»

Eris rise delle sue parole, giocherellò con una ciocca dei suoi neri capelli con fare negligente e distratto, quasi che il fervore di Aiolos non la toccasse minimamente, e replicò: «Belle parole, le tue. Ma già una volta hai commesso un errore. Chi mi dice che non ne commetterai un secondo?»

«Anche per il solo gusto di farti un dispetto, ciò non succederà» le gettò in faccia Aiolos, trasmutando se stesso e i suoi amici per non essere più oggetto dell’interesse di Eris.

La dea si limitò a un sorrisino soddisfatto e, non avendo più nessuno da punzecchiare, se ne andò. Dopotutto, il suo compito era stato svolto egregiamente, e forse Aiolos non l’avrebbe davvero delusa.
 
***

Le piccole isole a nord della più imponente Trinacria sarebbero state l’ideale, per loro. Pacifiche, tranquille, sufficientemente lontane dalla civiltà ma, al tempo stesso, abbastanza vicine al mondo dei mortali, così da non sentirsi del tutto fuori dal mondo.

Lì, avrebbe costruito una casa per tutti loro, Efesto le avrebbe rese idonee a contenere il potere dei venti e, al tempo stesso, le avrebbe fatte divenire dei magneti che li costringessero a tornare ogni volta.

Da parte sua, avrebbe vigilato sulla loro sorte, sarebbe stato al loro fianco e avrebbe fatto in modo che quella casa non apparisse loro come una gabbia, quale invece sapeva essere. Avrebbero vissuto al meglio delle loro possibilità e, forse, con il passare dei secoli, la collera di Zeus sarebbe scemata fino a permettere loro di recuperare un po’ di libertà.

«Non devi pensare che non abbia avuto a cuore la tua sorte» esordì una voce alle spalle di Aiolos, mentre egli si volgeva di scatto per scoprire chi avesse parlato.

Accigliandosi quando vide la figura imperiosa di Poseidone, il giovane dio sbottò dicendo: «Mi hai dato giustappunto questa idea, invece! Non avresti potuto difendermi, di fronte alle accuse dello zio?»

«Erano giuste accuse» sottolineò Poseidone, sfidandolo a replicare in tal senso.

Aiolos non sopportò quello sguardo per più di qualche istante e, nel tornare a scrutare il mare dall’altura su cui si trovava, borbottò: «Ugualmente, avresti potuto essere dalla mia parte, per una volta. Per tutta la vita mi hai lasciato a me stesso, ci hai lasciati a noi stessi, e neppure per nostra madre ci sei stato. Non avresti potuto tentare di redimerti, in questo frangente?»

«Chi credi abbia impedito a Zeus di eliminare i tuoi amici venti?» replicò per contro il dio, facendolo sobbalzare per la sorpresa. «Per Zeus, sarebbe stato molto più semplice colpirli con le sue saette e mettere fine sul nascere a qualsiasi protesta, invece io l’ho pregato di risparmiarli perché so quanto tieni a loro. Quanto essi siano, per te, una sorta di famiglia.»

Aiolos assentì in silenzio, ancora torvo in viso e Poseidone, nell’avvicinarsi al figlio, gli batté una mano sulla spalla per poi aggiungere: «E’ raro che Zeus conceda una seconda occasione, perciò sii accorto e gestisci bene questo dono che ti è stato fatto. Io ti rimarrò accanto per aiutarti, se lo vorrai, ma sarai comunque tu ad avere la responsabilità di tenere a bada Boreas e gli altri.»

«Le catene sono proprio…» tentennò il giovane dio, scrutando il profilo duro del padre con espressione dolente.

«… necessarie? Sì. Anche soltanto per mettere in chiaro nella loro testa dura un paio di concetti. Se il tempo dimostrerà il loro pentimento, forse si potrà intercedere per loro perché vengano eliminate ma, fino a quel momento, esse rimarranno.»

Aiolos assentì turbato, prima di domandare: «Rimarrai davvero, stavolta? O mi abbandonerai come abbandonasti Melanippe?»

«Anch’io imparo dai miei errori, figlio» ammise il dio, stringendo con più forza la mano sulla spalla di Aiolos.

Il dio dei venti credette alle sue parole e, con il peso dell’errore a tenergli compagnia, eresse quindi la nuova casa per sé e per i suoi amici. Forse, dopo questa lezione di umiltà, sarebbe stato in grado di comprendere meglio le cose che lo circondavano, e di saper porre rimedio ai problemi prima del disastro.

 
 

 
1 Lesvos: è l’attuale isola di Lesbo, che si trova dinanzi alle coste turche, dove è situata anche l’antica Eolide.



N.d.A.: un breve accenno al passato di Aiolos (ho preferito il nome greco al più conosciuto Eolo) per farvi capire che tipo fosse lui, come fossero i venti al suo comando e perché si trovino "imprigionati" alle Eolie.
  
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