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Autore: Miharu_phos    17/01/2020    1 recensioni
“Vedi Riccardo? Adesso non fa più male come prima. Basta solo abituarsi al dolore e prima o poi riuscirai a non sentire più niente. Te lo prometto”
Dove Riccardo cerca di aiutare il povero Gabriel ma finirà per essere trascinato a fondo insieme a lui.
Genere: Angst, Dark, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai | Personaggi: Kirino Ranmaru, Shindou Takuto
Note: OOC | Avvertimenti: Contenuti forti, Tematiche delicate, Violenza
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Gabriel era intrappolato nell'abbraccio asfissiante della madre.

 

Il suo naso sanguinava e la bocca gli faceva talmente male che era quasi certo di essersi spezzato un dente per la botta.

 

-La mamma non lo ha fatto a posta, lo sai vero piccola mia? La mamma ti vuole bene-

 

Sua madre piangeva mentre lo cullava, con lo sguardo allucinato e pentito.

 

-Che cosa gli hai fatto?! Tesoro lascialo andare, sta sanguinando!-

 

Il marito della donna aprì lentamente le sue braccia possessive, così da poter liberare il ragazzino che subito scappò a chiudersi in camera.

 

-Tesoro Gabriel è un maschio, è un ragazzo e non può andare a scuola con la gonna. Ti prego lascialo in pace- aveva detto l'uomo con voce calda, mentre sua moglie lo fissava senza smettere di scuotere la testa.

 

-È stato uno sbaglio, non volevo colpirla! Ti prego fai tornare qui la mia bambina!-

 

Il padre sospirò, lasciando da sola la donna e chiudendosi la porta alle spalle nonostante le sue proteste.

 

Provò a bussare alla porta del figlio senza ottenere risposta, così vi si affiancò, accarezzando la maniglia.

 

-Gabi papà va a lavoro, per favore dà un'occhiata alla mamma, hai capito? Cucina per lei e fai un po' di faccende in casa, se puoi. Torno domattina, ho il turno di notte...-

 

Gabriel ascoltò tutto mentre se ne restava accucciato sul letto, a fissare la finestra.

 

-Ho capito!- aveva gridato, senza ricevere ulteriori raccomandazioni.

 

Prese il suo minuscolo specchio ed osservò le nuove contusioni che gli decoravano il viso già tumefatto.

 

"Io ti odio" biascicò, scoppiando a piangere.

 

"Perché non posso avere una madre normale? Perché non posso essere un cazzo di bambino normale?!"

 

Si voltò, osservando la stupida gonna che giaceva sul proprio letto; per l'ennesima volta sua madre aveva cercato di obbligarlo ad indossarla, nonostante le sue proteste.

 

Il padre si spaccava la schiena portando avanti due lavori, pur di riuscire a pagare le cure a sua moglie, gravemente malata di mente fin dall'incidente di tredici anni prima.

 

E a Gabriel toccava fare la spesa, cucinare e fare le faccende in casa, oltre a dover badare a quella donna che in tredici anni lo aveva cresciuto a suon di botte e insulti.

 

"Dovevi motore tu, non lei! Dov'è la mia bambina, ridatemi la mia bambina!"

 

Quelle urla isteriche ancora risuonavano nella povera mente tormentata del ragazzino, che a causa dell'ambiente in cui era obbligato a vivere non aveva mai avuto amici, considerandosi da sempre al di sotto degli altri.

 

Era stata sua madre ad insegnargli che la sua vita era stata solo un errore; durante il parto solo uno dei due gemelli era sopravvissuto e, purtroppo per Gabi, si era trattato di lui e non della bambina tanto amata e desiderata che sua madre aveva sempre voluto.

 

Da allora la donna era totalmente impazzita, ed il povero Gabriel aveva dovuto tirarsi su praticamente da solo, fra gli aiuti sporadici e arrangiati di zie, nonne, cugini.

 

Suo padre era una vittima, si era ritrovato totalmente intrappolato in una famiglia che neanche voleva, ma se ne era preso le responsabilità, lo aveva fatto per suo figlio e per il poco amore che conservava nei confronti di sua moglie, in ricordo dei tempi felici che avevano preceduto la nascita di Gabriel.

 

Il ragazzo si tamponò le ferite, sussultando per il dolore.

 

Non era preoccupato per i danni ricevuti, ormai ne aveva fatto talmente tanto l'abitudine che non gli importava più quando veniva picchiato.

 

Il suo pensiero invece andò a Riccardo, quel ragazzino della sua classe che si era tanto interessato a lui da quando si era trasferito nella sua nuova scuola.

 

"Se scopre anche questi pretenderà delle spiegazioni" pensò il ragazzino, osservando il proprio labbro spaccato con un sospiro rassegnato.

 

Aprì il suo zaino, tirando fuori i libri che gli avevano regalato i professori.

 

Le cure per la mamma erano costose, ed il padre aveva già parlato con gli insegnanti, chiedendo loro un aiuto e delle agevolazioni nei confronti di suo figlio, che non avrebbe potuto permettersi tutto il materiale scolastico come gli altri bambini.

 

Dopotutto quella era già la terza scuola che Gabriel cambiava, da quando aveva cominciato le medie.

 

"Stai zitto e non parlare con nessuno, me lo devi promettere piccolo hai capito? Torna subito a casa dopo le lezioni e chiedi aiuto se qualcuno ti infastidisce. Questa volta andrà bene"

 

Le promesse di suo padre cominciavano già a dissolversi nel vento, leggere ed inutili come gli erano state propinate.

 

Tanto Gabriel lo sapeva che sarebbe successo anche alla Raimon, succedeva sempre, in ogni dannata scuola.

 

In qualche modo si veniva a sapere di sua madre ed il ragazzino veniva preso di mira, finché la sua vita non era resa impossibile.

 

Gabriel ormai era spezzato dall'interno, era cresciuto da solo, circondato solamente da sguardi di disprezzo e commenti derisori.

 

Succedeva sempre così; qualcuno tentava di approcciarsi a lui, ma trovava un muro di insicurezza di fronte a se ed inspiegabilmente, invece di dargli il tempo di aprirsi, cominciava a pensare che fosse strano.

 

Le occhiate erano già cominciate nella nuova classe, così come i commenti ed i risolini.

 

E Riccardo non era stato da meno, per quanto volesse dimostrare il contrario.

 

Gabriel non era timido; era solo diffidente, era solo ferito, spaventato, insicuro.

 

A lui sarebbe piaciuto così tanto avere un amico, almeno uno.

 

Ma chi sarebbe mai voluto diventare amico di uno come lui? Era un utopia, lui lo sapeva.

 

Non che ci sperasse più, in ogni caso.

 

Gabriel aveva imparato ad accettare la vita così come gli veniva imposta; le botte di sua madre, gli insulti dei compagni, la solitudine.

 

Ormai era apatico; dire che tutto questo non gli provocava più alcun dolore sarebbe sembrato esagerato, eppure era così.

 

Si era talmente incattivito in tutti quegli anni da essere diventato ormai inscalfibile, totalmente immune a tutto il male che gli veniva propinato.

 

Si limitava ad esistere e sopportare, giorno dopo giorno, senza più speranze, senza aspettative, senza sogni.

 

Non c'era decisamente spazio per i sogni nella sua vita; non ce n'era mai stato.

 

Gabriel uscì dalla sua stanza dopo aver deciso che neanche quel giorno avrebbe svolto i compiti.

 

A cosa sarebbe servito?

 

I professori sapevano che aveva "problemi familiari" perciò non avrebbero preteso nulla da lui.

 

Rubò una sigaretta dal pacchetto della madre e andò a nascondersi in giardino, invaso dal ciarpame che come al solito sarebbe toccato a lui ripulire; lì non lo avrebbe disturbato nessuno.

 

Si stese sotto un'albero e cominciò a fumare.

 

Non gli piaceva per niente, anzi gli faceva proprio schifo a dirla tutta.

 

Quello che gli piaceva però era poter giocare con la sigaretta e con la sua pelle, già fin troppo martoriata.

 

Non sapeva neanche lui perché lo faceva; non che gli piacesse provare dolore, non era un masochista.

 

Ma almeno riusciva a provare qualcosa che non fosse vergogna, tristezza, o rammarico.

   
 
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