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Autore: Fanny Jumping Sparrow    17/01/2020    6 recensioni
Com'è germogliato e si è evoluto il profondo sentimento di affetto, attrazione, fiducia, stima, amore che lega i nostri due sweeper preferiti? Hojo ha lasciato molti punti in sospeso, sia sull'inizio, sia sul durante che sul dopo la loro convivenza. Con questa raccolta di one-shot mi propongo di trattare alcuni missing moments, ispirati dalle tavole del manga o da episodi dell'anime, oppure di mia spontanea invenzione.
Commenti e opinioni sono sempre graditi :D
Buona lettura!)
Genere: Commedia, Introspettivo, Slice of life | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Kaori Makimura, Ryo Saeba
Note: Missing Moments, Raccolta, What if? | Avvertimenti: nessuno | Contesto: City Hunter
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Salve gente :)
Ritorno a scrivere su questo mitico fandom, spinta dalla ritrovata ispirazione per questi personaggi, proponendovi stavolta una raccolta di one-shot fra loro slegate ma tendenzialmente di successione cronologica, affrontando alcuni missing moments, con i toni della commedia e dell'introspezione.
Nello specifico questo primo capitolo mi è stato ispirato dalla brusca cesura tra l'episodio della morte del buon Hideyuki e il trasferimento di Kaori nell'appartamento di Ryo.
Ho immaginato che fra i due potesse esserci qualche altro momento di confronto e riflessione.
Non dilungandomi oltre, vi saluto ricordandovi che commenti, critiche e opinioni sono sempre graditi.
Alla prossima!)
ps. Chiedo scusa per eventuali somiglianze con altre ff già pubblicate gli scorsi anni.


I – Estranei ma non troppo

Non c’era niente di superfluo, niente fuori posto in quel modesto appartamento pulito e accogliente, arredato con gusto sobrio e funzionale. Ogni più piccolo dettaglio, dai mobili privi di fronzoli alle tende di un tenue color rosa antico, dalle foto incorniciate sparse sugli scaffali alle consunte pattine lasciate sulla soglia d’ingresso, dal fresco profumo di detersivo per il bucato all’invitante odore di cibo tradizionale, emanava una sensazione di calore e di genuinità, di condivisione di valori semplici e autentici. Ogni oggetto racchiuso tra quelle mura rifletteva un vissuto colmo di sapori, ricordi e sentimenti a lui pressoché ignoto, che gli incuteva un penetrante senso di disagio, mescolandosi al rammarico.

Non era riuscito a salvare l’unica persona al mondo con cui negli ultimi anni avesse instaurato un rapporto significativo, il suo socio, il suo migliore amico, l’unico che potesse definire tale nella sua travagliata esistenza priva di affetti duraturi.
E adesso che si trovava a casa sua, dove di rado era entrato in passato, e riusciva a percepire perfino l’aroma del suo scadente dopobarba che ancora aleggiava nell’aria, la consapevolezza che Hideyuki Makimura in realtà per lui fosse quasi un estraneo gli torceva ulteriormente le budella.
Di colpo Ryo Saeba cominciò a sentirsi uno sgradito intruso e avvertì il bisogno urgente di fuggire lontano, magari in qualche posto vicino al mare, per cercare di alleviare quel senso di impotenza e di rimorso che gli opprimeva il petto. Ma erano trascorsi minuti e non riusciva ancora a decidersi ad andare via da lì. Gli pareva che le scarpe gli si fossero inchiodate al pavimento, forse perché si sentiva colpevole per quanto era accaduto al suo collega o forse perché non voleva che la sua amata giovane sorella si sentisse completamente sola nel suo dolore. Pur conoscendo il loro forte legame, non poteva comprendere a pieno cosa significasse per lei averlo perduto così, brutalmente e prematuramente.
Non aveva termini di confronto, d’altra parte lui non aveva mai avuto una vera famiglia. Ed era stato talmente addestrato a sopprimere le emozioni da essere diventato incapace di esternarle, tuttavia pensò che fosse giunto il momento di lasciarla libera di sfogare la sua sofferenza, che la sua presenza la stesse costringendo a trattenere ciò che la sua indole femminile avrebbe dovuto manifestare naturalmente.
Il fatto che invece lei fosse rimasta così silenziosa e non si fosse abbandonata ai singhiozzi e alle lacrime gli faceva formicolare una strana inquietudine. Se fosse scoppiata a piangere, avrebbe almeno potuto tentare di consolarla in qualche modo, anche se in verità non era poi così bravo con le parole. Non aveva neanche fazzoletti a portata di mano e forse un abbraccio sarebbe stato troppo indiscreto.

«Mi occuperò io del funerale. Di tutto quanto», mormorò evasivo, riuscendo finalmente a trarsi d’impaccio, dando le spalle alla giovane orfana che aveva promesso al fratello di proteggere e che, a sua volta, si era detta disposta ad aiutarlo a vendicarne la morte.
Aveva ammirato la sua audacia, ma non poteva permetterglielo davvero, o avrebbe infranto il giuramento che il suo amico gli aveva strappato nel suo ultimo drammatico refolo di vita. Era così giovane e innocente e tale sarebbe dovuta rimanere.
Lei mosse un passo incerto verso di lui: «Dove si trova adesso? Vorrei vederlo», bisbigliò misurata, le labbra tirate in dentro a soffocare il profondo turbamento che rendeva rallentati i suoi riflessi.
Ryo si voltò e rimase qualche secondo a osservare quel visino pallido su cui spiccavano due grandi occhi lucidi, restando meravigliato dal suo atteggiamento fermo e composto che denotava una notevole forza interiore. Ma non volle mettere ulteriormente alla prova la sua resistenza. Poteva sentire ancora il corpo crivellato di colpi del suo amico accasciarsi esanime tra le sue braccia, l’odore della polvere da sparo e del sangue rappreso misto alla pioggia che gli aveva infradiciato il lacero cappotto. No, non era il caso che quella tenera ragazza serbasse per sempre quell’immagine straziante nel suo cuore. Aveva volutamente taciuto di rivelarle troppi dettagli su come fosse stato ucciso.
«Ricordalo com’era. Anche lui avrebbe voluto così», le intimò lapidario, cercando di smussare l’asprezza del suo tono nel ricordare quella fine ingiusta.
Kaori annuì, una piccola lacrima silenziosa le sfuggì dalle ciglia, solcandole una guancia e a lui parve di poterci annegare. Doveva allontanarsi.

«Rimarrò di guardia in macchina, se mai qualche bastardo della Union Teope dovesse azzardarsi a venire a trovarti», la informò sbrigativo, iniziando a dirigersi alla porta.

«Resta … resta qui. Per favore», mormorò d’impeto la ragazza. La sua voce flebile ma decisa lo raggiunse come una lama sottile, dritta nel costato.
Ryo la guardò di sottecchi, un po’ combattuto sull’accettare o meno, sciogliendosi immediatamente di fronte al triste sorriso supplice che gli inviò. Non poteva opporsi ad esaudire quella sua richiesta dolcissima e pregna di sconforto. In fondo il suo istinto gli suggeriva che non sarebbe riuscito davvero ad andarsene, ma il suo orgoglio e la sua poca confidenza volevano che fosse lei a chiedergli esplicitamente di rimanere.
Si avvicinò discreto alla tavola imbandita da una ricca varietà di pietanze il cui aroma prelibato gli aveva già stuzzicato le narici ancora prima di aver varcato la soglia. Al centro spiccava anche una bella torta di compleanno, le cui candeline sarebbero rimaste mestamente spente. Non poté fare a meno di considerare che il suo arrivo, come una sciagura, avesse frantumato quell’atmosfera di schietta armonia domestica che regnava nella vita del suo collega e in quella della sua amata sorella. Era stato ancora una volta portatore di sofferenza e lutto. Doveva essere una maledizione, la sua.

Conosceva appena quell’uomo schivo e misterioso che condivideva con suo fratello una quotidianità scandita dalla coraggiosa lotta ai crimini che si consumavano nei bassifondi della città, eppure per qualche inspiegabile ragione la sua sfuggente presenza le infondeva sicurezza, conforto, gratitudine. In altre circostanze non avrebbe mai desiderato di restare da sola in compagnia di un soggetto così losco, ma ora sentiva che lui era l’unica persona in grado di capire quale indicibile angoscia le stesse straziando l’anima, anche se era riuscita a dissimularlo.
Purtroppo era cosciente che, svolgendo quel mestiere, Hideyuki affrontasse ogni giorno pericoli mortali e che avrebbe dovuto mettere in conto l’eventualità che, prima o poi, non tornasse più, ma la sua indole ottimista si rifiutava sempre di lasciarsi scoraggiare da quei brutti pensieri.
Strinse al petto il piccolo cofanetto con l’ultimo suo regalo, quell’anello che aveva comprato per lei chissà quando e con quali sacrifici, ricacciando un grumo amarissimo di saliva, mentre i polmoni le bruciavano al pari delle tempie.
A Saeba voleva dimostrare di essere forte, che se la sarebbe cavata anche da sola, ma non era vero, e quasi non si era accorta di averlo invitato a rimanere con lei. Le sillabe si erano fatte strada da sole, ne aveva ascoltato il suono leggermente incrinato dagli ansiti che tratteneva a fatica come se provenisse da un’altra bocca.
Il socio di suo fratello si era seduto a tavola e aveva esaminato pensieroso ogni portata da lei preparata con apparente interesse, ma non aveva osato toccare nulla. Sembrava tanto stanco e triste, nonostante il suo sguardo fosse quasi inespressivo. Doveva essere scioccato quanto lei da quanto era accaduto, non aveva neppure finto di consolarla.

Sentendosi da lei osservato con una certa indiscrezione si decise finalmente a spiccicare un noncurante: «Ti dispiace?», ammiccando alle cibarie che giacevano intonse da quando ore prima aveva apparecchiato.
Kaori cercò di mettere a suo agio quell’ospite taciturno, anche se lei stessa provava una certa soggezione nel parlargli, temendo di sembrargli sciocca o inopportuna: «Ma no. Mi spiace solo che ormai si è tutto freddato, ma se hai la pazienza di aspettare un paio di minuti, posso riscaldarlo», si premurò di reagire, accingendosi a ravvivare i fornelli, ma si fermò notando con la coda dell’occhio che lui aveva già inforcato due bacchette e si era avventato sul primo piatto di ramen, con la voracità di chi non toccasse cibo da giorni.
La ragazza si sedette di fronte a lui, appoggiando il mento su una mano: «Hideyuki mi aveva accennato che sei un buon gustaio …» si lasciò scappare sottovoce, imprimendosi un’espressione sbalordita quando gli vide spazzolare in pochi secondi anche due porzioni abbondanti di sushi e sashimi, chiedendosi se riuscisse almeno a sentire il sapore di ciò che stava divorando.
«Perciò hai cucinato per un reggimento?», masticò Ryo, inghiottendo rumorosamente in un solo boccone un grosso onigiri. Si pentì subito dopo di quell’ironica osservazione, giacché era evidente che la ragazza avesse profuso tutto il suo amore e la sua abilità nel preparare quella squisita cena, magari pensando anche ad allietare il suo palato, sapendo che sarebbe stato loro ospite a quella che avrebbe dovuto essere una tranquilla festicciola.
«È che la tensione mi apre sempre l’appetito», si discolpò lievemente imbarazzato, malgrado lei non sembrava essersi offesa più di tanto, porgendole, per scusarsi della sua ingordigia, una bacchettata di riso al curry, con un mezzo sorriso incoraggiante.

«A me invece si chiude lo stomaco», rifiutò gentilmente la sua offerta Kaori, cominciando ad avvertire una leggera nausea pervaderle le viscere nel notare degli schizzi cremisi sul suo spolverino sforacchiato, che non aveva neanche avuto l’accortezza di togliersi prima di sedersi a tavola e cominciare a mangiare. Qualche minuto prima si era limitato a dirle che aveva già “sistemato” il mafioso mandante dell’omicidio di suo fratello, ed ora le fu più che chiaro cosa intendesse con quella laconica frase. La disinvoltura con cui riuscisse a condurre quello stile di vita la fece rabbrividire.
Lo sweeper non insistette perché si unisse a lui in quel lauto pasto, pur ammonendola: «Però rammentati che quegli stronzi là fuori ci stanno cercando. Devi mantenerti in forze, in caso dovessimo essere costretti a scappare da un momento all’altro», asserì sorseggiando un bicchiere di birra. «Mica posso portarti sempre sulle spalle».

Ryo si mozzicò la lingua non appena ebbe finito di pronunciare quella battuta, temendo di aver sproloquiato, mentre la ragazza strabuzzava i begli occhi castani, stranita e intimorita: «Come?»

Le sue guance s’infiammarono all’istante, ma poi si disse che lui non poteva ricordarsela sul serio, erano passati più di cinque anni e all’epoca di quel loro primo incontro neanche aveva capito che fosse una femmina, scambiandola per tutto il tempo per un ragazzino. E lei era certa di non aver fatto nulla per dargli motivo di dubitarne … però adesso le venne il sospetto che magari, mentre era svenuta in macchina, potesse aver visto qualcosa ... Ad ipotizzare quella possibilità, Kaori si sentì invadere dalla vergogna e dalla rabbia, ritrovandosi a tremare sensibilmente.

«Me l’ha raccontato Hide, che a volte ha dovuto portarti lui sul groppone, perché eri troppo esausta per camminare sulle tue gambe», proruppe con accento macchiato di scherno Ryo, sbirciandola da dietro la scodella di udon, speranzoso di essere riuscito a districarsi da quel non voluto equivoco.

I nervi della ragazza parvero rilassarsi e anche la sua aura ostile si stemperò: «E cos’altro ti ha raccontato di me?», incrociò le braccia lanciandogli un’occhiata timida e permalosa, le labbra imbronciate, le pupille sagaci e un adorabile rossore ad imporporarle le gote.
Il consumato seduttore, cui bastava sfoderare uno sguardo da duro per far crollare ai suoi piedi miriadi di donne, sentì sgretolarsi per un attimo tutta la sua determinazione. La sorellina del suo amico era diventata anche più graziosa di quanto già non lo fosse da adolescente, ma lui doveva comportarsi da ineccepibile protettore, non poteva permettersi di lasciarsi fuorviare da certi pensieri fuori luogo.
«Niente di particolare», glissò scrollando le spalle con naturalezza, tacendole quanto spesso Maki, commovendosi dietro le sue lenti spesse, avesse tessuto le sue lodi, descrivendola come una ragazza sveglia, affettuosa e responsabile, col difetto di essere solo un po’ troppo caparbia e precipitosa, impensierendolo per certe situazioni azzardate in cui si era cacciata talvolta.

«E lui di me cosa ti ha detto?», le domandò con un involontario sorrisetto sornione ad accendergli quegli occhi neri e liquidi come inchiostro.
Kaori gonfiò le guance, facendo uscire uno sbuffo annoiato: «Niente di interessante», mentì svelta, mantenendosi sul vago, esattamente come aveva fatto lui, pur rimarcando con il suo tono la sua estraneità e il suo disinteresse nei suoi riguardi.
Maki, quando lei, dopo aver scoperto che lavoravano insieme, gli aveva esposto i suoi dubbi circa quella frequentazione, sistemandosi gli occhiali sul naso l’aveva sempre rassicurata descrivendolo come un uomo leale e di sani principi, un professionista serio e affidabile, all’occorrenza spiritoso, che aveva un unico grande tallone d’Achille, ossia le donne, alle quali non riusciva proprio a resistere, rendendosi spesso molesto.
Per quanto effettivamente fosse proprio un bel tipo e avesse un modo di fare abbastanza intrigante, lei giurò a se stessa che di certo non ci sarebbe mai cascata. Innamorarsene era fuori discussione, specialmente se avrebbero dovuto lavorare insieme.

«Ma dimmi …. Il fidanzato ce l’hai?»

Saeba ruppe quella già palpabile tensione scagliando distrattamente quella domanda così personale, senza una ragione comprensibile.
Per poco Kaori sputò l’acqua che aveva appena bevuto: «Eh? Perché ti interessa?», esclamò allarmata, alzandosi di scatto come se la sedia sotto il suo sedere scottasse.
Lui la scrutò intensamente, impassibile come un pezzo di ghiaccio: «Rispondimi», la incitò secco, tirando fuori dal taschino dell’impermeabile la pistola e appoggiandola sul tavolo.
La ragazza fremette alla vista di quel lucente pezzo di metallo, sdegnata oltretutto dal sentore che quel bell’imbusto, nonostante ostentasse serietà, ci stesse provando anche con lei e addirittura la minacciasse per farla sbottonare.

«No, non ce l’ho!», gridò quasi, in preda all’agitazione, «Non ho più nessuno», balbettò poi rattristata, abbassando la fronte.

Ryo si alzò, dirigendosi verso una poltroncina che aveva adocchiato, su cui si sistemò, sempre con la sua Phyton in pugno: «Ottimo. Una potenziale vittima in meno a cui badare», sostenne riacquistando la sua proverbiale professionalità, che conferì ai suoi lineamenti l’apparenza di una maggiore durezza e maturità.
Kaori tornò a respirare con maggiore calma, insultandosi mentalmente per essere stata così suscettibile. Avrebbe dovuto imparare a fidarsi di più di lui, in fondo lo aveva già fatto la prima volta in cui l’aveva tratta in salvo, lo aveva potuto vedere in azione, sapeva quanto fosse abile e ligio al dovere, malgrado la pessima fama che lo accompagnava.
E poi era pur sempre stato il partner di suo fratello. Non era un completo estraneo.

La sua attenzione finì improvvisamente sulla torta di compleanno, che neanche il suo affamato ospite aveva osato assaggiare, e di nuovo un magone le strinse la gola. La testa pulsava e girava, cominciava a sentire le ginocchia cedere allo stress di quella lunga e orribile giornata, che avrebbe tanto voluto cancellare e dimenticare.

«Adesso va’ a riposare», la esortò benevolmente Ryo, accorgendosi che era rimasta in piedi ma vacillava, come se stesse per svenire da un secondo all’altro.
«Ci proverò», bisbigliò lei, congedandosi con un composto cenno di assenso.

Ryo allungò il collo, vedendo svanire speditamente la sua figura aggraziata tra le ombre del corridoio, chiedendosi con un certo scombussolamento se sarebbe stato opportuno tenerla accanto a lui come protetta e rimpiazzo del suo perduto collega, o se invece non avrebbe fatto meglio a considerarla soltanto una delle tante clienti di passaggio.


   
 
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