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Autore: Urban BlackWolf    18/01/2020    5 recensioni
Come la vite, ogni essere umano ha un lato esposto al sole ed uno all’ombra. Un lato più caldo ed uno più freddo, che non sempre riescono a convivere, anzi, che spesso e volentieri cozzano l’uno contro l’altro creando dissonanza, una profonda lacerazione interiore che rende tutto confuso e complicato.
Come la vite, ogni essere umano porta frutto e lo dona agli altri, ma a seconda delle stagioni e delle cure ricevute, lo fa generosamente o meno.
Come la vite, ogni essere umano ha bisogno di sentirsi amato, spronato e protetto per dare il meglio di se, senza soffocamenti o costrizioni.
E come la vite che allunga i tralci verso la pianta accanto, anche gli esseri umani sono alla costante ricerca dell’anima affine alla quale potersi tendere ed intrecciare.
Genere: Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Yuri | Personaggi: Haruka/Heles, Michiru/Milena, Minako/Marta, Starlights, Usagi/Bunny | Coppie: Haruka/Michiru, Mamoru/Usagi
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Nessuna serie
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Tralci di vite

 

I personaggi di Haruka Tenou, Michiru Kaiou, Mamoru Kiba, Usagi Tzuchino (Usagi Tenou), Minako Aino (Minako Tenou), Seiya Kou e Yaten Kou, appartengono alla fantasia della scrittrice Naoko Takeuchi

Sviluppo della storia ed altri personaggi sono idea di Urban Blackwolf


 

 

 

Fratelli

 

Quando la vide, Max abbandonò totalmente quello che stava facendo. Rimasta sulla porta d’ingresso del Pub, la donna gli sorrise chinando leggermente la testa in segno di saluto. Pochi secondi e scambiandosi una calorosa stretta di mano ruppero subito il leggero imbarazzo che quello strano appuntamento stava dando ad entrambi.

“Prego si accomodi.” Disse lui lasciando il calore del suo palmo per invitarla ad entrare in quel posto che per lei era ormai divenuto familiare.

“Grazie. Mi dispiace d’arrecarvi disturbo, ma avevo bisogno di parlarvi con una certa urgenza signor Max.” Rispose resoluta.

Facendole strada verso una delle panche poste a qualche metro dal bancone, il proprietario le chiese se desiderasse qualcosa da bere. “Posso offrirvi una bibita o un caffè?”

“Un caffè lo accetterei volentieri. Non ho dormito molto questa notte e ho bisogno di essere lucida.” Ammise sedendosi guardandolo poi proseguire oltre il bancone e fermarsi davanti all’enorme macchina per gli espressi.

“Il motivo della sua insogna è forse legato a questa strana visita mattutina?”

“E’ così lampante?” Soffiò mentre il denso liquido scuro scendeva velocemente da uno degli ugelli della macchina.

“Non vi conosco affatto, ma in realtà dopo tutto quello che è successo qualche giorno fa credo di essere riuscito ad inquadrarvi abbastanza bene. Siete preoccupata. Ve lo si legge in faccia. - Prendendo un vassoio ne aggiunse cucchiaino e vari tipi di zucchero portandoglielo lentamente. - Scusate la franchezza, ma sono abituato a parlar chiaro.”

“E’ per questo che mi piacete Max. Non sopporto le persone che si nascondono dietro ad inutili giri di parole.”

Posandole la tazzina davanti si sedette anche lui attendendo il seguito. Da quando aveva riconosciuto nel viso pulito di quella donna sui trent’anni venuta una sera nel suo locale, l’affermata violinista Michiru Kaiou, era rimasto stupito della scelta fatta dalla donna di rimanere a lavorare come stagionale in casa Tenou, come non aveva ben capito perché continuasse a tenere nascosta alle proprietarie la sua vera identità, ma sta di fatto che non appena era riuscito a sovrapporre la donna che ora gli stava seduta davanti con quella raffigurata in uno dei tanti cd di musica classica che teneva religiosamente nascosti sotto al bancone, aveva deciso di farsi gli affari suoi e di guardare da semplice spettatore come quella bizzarra convivenza sarebbe andata a finire. Come amico intimo, ma esterno alla vita famigliare delle quattro sorelle Tenou, non sapeva di preciso che legame ci fosse tra la violinista e le singole componenti della masseria, ma era rimasto comunque piacevolmente sorpreso da come la donna si fosse comportata subito dopo l’incidente di Haruka. Era stata discreta, ma efficiente, riuscendo a dare il suo contributo pur non sconfinando mai nell’invadenza.

Guardandola girare con il cucchiaino il pochissimo zucchero versato nel caffè si ritrovò ad alzare le sopracciglia divertito. "Le piace leggermente amaro o ha paura di rovinarsi la linea?”

“Niente paura. Con quello che brucio giornalmente qui non potrei ingrassare neanche se lo volessi.” E si sorrisero complici.

“Non vi nascondo di essere rimasto abbastanza sorpreso quando ieri sera ho ricevuto la sua telefonata. Spero che non ci siano brutte notizie.” Chiese intuendo già la risposta.

Risposta che Michiru gli diede senza troppi preamboli. “In casa Tenou l’aria è piuttosto tesa, ma non spetta a me parlarne. Non ne ho il diritto, ma sono sicura che Haruka si confiderà con lei quanto prima.”

Raddrizzando la schiena e serrando le dita delle mani le une alle altre, l’uomo la fissò attento. Dunque la bomba era esplosa e finalmente la bionda aveva rivelato alle sorelle cosa e di quale entità fosse la credenziale che aveva dovuto dare a Giano per poter correre.

Senza lasciar trasparire alcuna indecisione la donna proseguì. “Quello che invece sono venuta a chiedervi è un favore personale.”

Lui sbatté le palpebre stupito. “Se posso…, con piacere.”

“Vorrei che mi organizzasse un incontro con l’uomo che qui tutti chiamate Giano.”

A Max sembrò di rivivere un dejavu, solo che davanti a lui non c’era il solito ghigno beffardo di Haruka, ma la solenne serietà di un’altra donna, una donna che con quel posto, quella richiesta, quell’uomo, non c’entrava assolutamente nulla. Quasi gli venne da ridere.

Trattenendosi a stento scosse la testa poggiandosi allo schienale della panca. “Michiru mi stia bene a sentire, le dico quello che già dissi ad Haruka qualche tempo fa, prima che s’imbarcasse in quella follia che le è quasi costata la vita; quell’uomo è un tipo poco raccomandabile e se con quella testa di legno non sono riuscito a spuntarla, mi dispiace, ma con lei non ho intenzione di cedere di un millimetro.”

Michiru si trovò spiazzata. Tutto si sarebbe aspettata tranne un no tanto deciso. Provò allora una contrattazione.

“Vede Max, non le dirò cosa è stata costretta a dar via Haruka, ma le garantisco che io potrei aiutarla e se non mi crede perché non mi conosce, non conosce la mia determinazione, le chiedo almeno di darmi il beneficio del dubbio. Mi accontenti, per favore. Confido nella sua discrezione e nel fatto che per Haruka sia come un secondo padre.”

La violinista voleva forse riscattare Haruka, il suo futuro o qualsiasi cosa fosse stata costretta a scommettere? Max se la guardò mentre evidenziando le piccole rughe ai lati degli occhi, li socchiudeva rendendoli due fessure. Serissimo si ritrovò a riflettere sulla richiesta della donna. Con il denaro accumulato in anni di carriera artistica, Michiru sarebbe certamente riuscita a fare qualcosa, ma con altrettanta facilità avrebbe anche potuto perdere la cosa più importante di tutte; ovvero il suo buon nome. Come personaggio pubblico non poteva permettersi di sporcarlo avvicinandosi in prima persona ad uno come Giano.

Pur essendo la compagna del cantante Seiya Kou, che alcune voci dicevano di aver visto scorrazzare per le strade della provincia su una macchina sportiva soltanto qualche giorno prima, aveva già del miracoloso che nessuno si fosse ancora accorto di lei. Michiru doveva ringraziare il fatto che in un piccolo centro con un contesto sociale dai gusti musicali abbastanza banali, la classica non riscuotesse poi tutto il successo che aveva invece nei grandi centri e che la gente fosse più interessata ad altro che alle frivolezze del bel mondo dorato del palcoscenico.

“Vede Michiru, proprio perché amo Haruka come un padre non potrei mai portare una persona alla quale lei tiene tanto a mettersi in una situazione così scomoda, perciò …, non mi chieda mai più una cosa come questa.”

La giovane sembrò incassare il colpo rifletterci qualche secondo per poi passare a giocarsi la carta pesante che non avrebbe mai voluto tirare in ballo. Sporgendosi in avanti lo fissò intensamente per poi rivelargli quello che Haruka le aveva confessato e che poi, con dovizia di particolari, aveva appreso dalla discussione della sera precedente.

La stanza per gli ospiti che Michiru stava occupando infatti, si trovava proprio accanto al giardino d’inverno, così, pur non volendo, le erano arrivate ben chiare le voci concitate di Minako ed Usagi, quella glaciale di Giovanna e quella vinta di Haruka. Appoggiata spalle alla porta della sua camera, aveva suo malgrado ascoltato tutta la conversazione che la sera precedente aveva coinvolto le sorelle Tenou. Con lo sguardo perso al manto erboso fuori dalla portafinestra ormai immerso nelle ombre della sera, alla donna era venuta in mente una soluzione, ma per metterla in pratica aveva bisogno di tre cose; della disponibilità di Max, della golosità di Giano e di un buon tempismo. Un incastro difficile, ma non impossibile.

Sentendosi dannatamente in difetto verso la bionda, si trovò costretta ad invadere la sacralità della confessione fatta alle sorelle ed una volta detta la frase Haruka ha scommesso i suoi terreni, strinse la mascella chiedendo mentalmente perdono. Non avrebbe dovuto agire così, ma con quel muro granitico davanti che sembrava non voler capire…

“Perciò, adesso che sa la verità… mi dirà dove poterlo incontrare?”

“No.”

Colpita ancora una volta, scosse la testa vedendo sgretolarsi i suoi appigli ad uno ad uno. “Forse non mi sono spiegata bene signor Max…”

“Si è spiegata benissimo Michiru, ma vede, conosco talmente quell’uomo da garantirle che non basterebbe tutto il denaro del mondo per farlo rinunciare ad una cosa che sta puntando da anni e che le è stata addirittura donata gratuitamente su un piatto d’argento.”

Ma non essendo cresciuta in quel posto e perciò non conoscendo molte delle dinamiche innescatesi in anni fra le famiglie della zona, Michiru non afferrò quanti spunti ci fossero in quella frase.

Alzandosi dalla panca l’uomo iniziò a raccogliere gli oggetti sul tavolo. Imperturbabile non incrociò più lo sguardo di lei e come se nulla gli fosse stato detto su Haruka, ritornò dietro al bancone iniziando a lavare la tazzina. Per la prima volta dalla sera precedente Michiru non seppe cosa fare. Aveva programmato tutto sperando di riuscire ad aiutare la bionda credendo che l’osso più duro sarebbe stato Giano ed invece no, con sua grande sorpresa aveva sbagliato.

Tornandogli davanti Kaiou tentò un ultimo assalto. “Non c’è proprio nulla che io possa fare per convincerla?”

“Ritorni alla masseria signora e lasci che siano altri ad occuparsi di questa faccenda. Haruka non è sola.” E come ogni uomo abituato a parlar poco e a contrattare ancora meno, chinò la testa tornando al suo lavoro e a lei non rimase altro che salutare ed uscire dal locale più affranta che mai.

Il sole di settembre le regalò tepore e benevolenza, ma lei quasi non se ne accorse. Stizzita dal suono degli articolati che stavano producendo il classico rumore del viaggio sulla strada davanti al locale, si piantò appena fuori dalla porta di servizio guardando la macchina che Giovanna le aveva prestato per quel colossale buco nell’acqua. E ora cosa faccio? Si domandò mentre una voce la raggiungeva.

“Michiru…”

Trasalendo maledì la cattiva educazione che portava ogni individuo di quel posto a comportarsi come un gatto. “Mi hai spaventata… Cosa ci fai qui?”

“Scusami, credevo mi avessi visto.”

No, aveva altro a cui pensare. “Scusami tu, ma questa mattina non ho la testa.”

“Lo so e forse so come aiutarti. Vuoi incontrare quello che tutti chiamano Giano e Max si è rifiutato di aiutarti? Ebbene, credo che possa accontentarti io.”

 

 

Alzandosi dalla chaise longue in pelle nera che spesso usava per rilassarsi un po’, il vecchio Kiba si diresse al mobile posto proprio tra la sua scrivania e una delle due porte che davano sul suo studio, quella principale, quella che meno di un paio d’ore prima aveva visto andar via una delle creature più deliziose che quella masseria avesse mai accolto. Guardando il vecchio giradischi sorrise soddisfatto abbandonando il bicchiere di scotch che aveva deciso di concedersi per festeggiare. Non era solito bere e soprattutto prima delle sei di sera, ma quella era una giornata da ricordare e cosa poteva esserci di meglio che una piccola scappatella alla vetrinetta degli alcolici mentre deliziava le sue orecchie con dell’ottima musica? Che regalo inaspettato aveva ricevuto quella mattina, inaspettato e graditissimo. Abbandonando il vetro dalle tipiche losanghe graffiate di un granitico bicchiere da whisky, iniziò a scartabellare nella sua personalissima collezione in vinile, convinto che nessuna nuova tecnologia potesse ancora eguagliare la morbidezza ed il fascino sonoro di un trentatré giri. Per fortuna molte case discografiche continuavano a produrre una piccola percentuale di dischi.

Continuando a tenere premuto sulle labbra un sorrisetto beota, arrivò ad afferrare la copertina del primo disco che dieci anni prima un’artista allora ancora sconosciuta aveva pubblicato. Non che amasse particolarmente quello strumento, il violino, senza dubbio apprezzava più la lirica ed il movimento delle sue partiture che quel suono dagli acuti per lui troppo penetranti, ma grazie al padre che un po’ lo sapeva suonare, lo aveva ascoltato fin da bambino e di tanto in tanto gli faceva piacere metter su qualche disco in sua memoria.

Cosa penseresti di me se ti mostrassi il capolavoro che mi hanno portato? Dimmi padre …, ne saresti colpito, ne sono sicuro, pensò spostando lo sguardo scuro dalla copertina che stava tenendo fra le mani al quadro appeso proprio sul muro dov’era addossato il mobile. La raffigurazione di un uomo d’altri tempi gli sorrise di rimando.

Lucas Kiba solo una cosa non riusciva proprio a digerire; l’enorme imbecillità dimostrata da suo figlio Mamoru. La poca scaltrezza negli affari dimostrata dal suo unico erede gli stava stretta, anzi, stava iniziando a dargli sui nervi. Troppo onesto, troppo leale con la Cooperativa del quale facevano parte tutti i viticoltori della zona, troppo per bene per il vecchio Kiba, uomo senza peli sullo stomaco, che in trent’anni aveva saputo prendere la già fiorente vigna lasciatagli dal padre, per trasformarla in un colosso capace di ubriacare mezza Provincia.

“Mio figlio proprio non li sa fare gli affari.” Disse estraendo il vinile scelto, pulendolo con l’apposito panno per poi metterlo sul piatto.

Non appena l’inverno precedente Mamoru gli aveva detto di Usagi, il vecchio Kiba aveva dato di matto, perché altri progetti aveva in mente per lui. Poi, riflettendoci a mente fredda, aveva sperato che il ragazzo avesse visto oltre, ovvero all’acquisizione del venticinque percento che Sante ed Alba avevano lasciato alla figlia. Ci aveva sperato ed aveva accettato quel rapporto facendo sogni sull’espansione del suo impero, fino ad una sera d’inizio primavera, quando quella gran testa di legno gli aveva chiesto di avere come anticipo della sua eredità, una piccola vigna con annesso casale dimenticata ai margini della tenuta, lungo il torrente, facendo così intendere al genitore che non soltanto non avrebbe gestito i terreni della sua futura moglie annettendoli ai loro, ma avrebbe svincolato il suo da quelli della masseria Kiba. Pur se poco redditizio, perché terra acida grazie alle scorie dell’ex fabbrica di mattoni che era ora il Ciclo di Produzione dei Tenou, era pur sempre un terreno e a Lucas era venuto un colpo, capendo definitivamente ed in maniera più che concreta, come quella sorta di scisma intestino rappresentasse l’amore ed il profondo rispetto che Mamoru aveva per la sua piccola Usagi.

“Io spero solo che ora che quell’idiota ha scoperto la verità sui miei traffici privati, non faccia saltare tutto all’aria in nome della sua coscienza di bravo ragazzo. Sarebbe una follia che porterebbe affondo anche lui.” Rimuginò mentre la puntina metallica del giradischi dava vita alle prime note ricordandogli con amarezza la discussione che avevano avuto la sera precedente.

Se lo vedeva ancora suo figlio, dritto davanti a lui, pugni chiusi a mezz’aria ed un viso stralunato mentre gli chiedeva del perché si fosse buttato nelle torbide acque delle corse clandestine, del perché non riuscisse ad accontentarsi mai di quello che aveva e del perché non si comportasse come un padre ed un gestore normale.

“E’ per coprire le vincite che compri macchinari costosi facendo affidamento sul fatto che un’attività come la nostra non ne possa fare a meno?” Gli aveva urlato contro indeciso o meno se prenderlo a pugni.

Ma anche in questo Mamoru era un signore e mai si sarebbe azzardato a mettere le mani addosso a suo padre.

“E’ stato qualcuno a dirtelo o ci sei arrivato da solo?”

“Chiunque sano di mente lo avrebbe capito riconoscendo uno degli organizzatori dell’ultima corsa svoltasi l’altro giorno, come uno dei lacchè che frequentano da tempo questa casa! Da qualche anno ti accompagni a gente poco raccomandabile. Giacca, cravatta, scarpe di marca certo, ma una faccia da galera degna dei migliori film americani e poi compri, compri cose senza senso. - Andandogli sotto si era sentito quasi le lacrime agli occhi. - Riciclare denaro sporco è già di per se illegale, ma farlo mettendo in mezzo anche la nostra masseria…, è uno schifo, papà!”

Uno schiaffo era partito, ma non era stata la guancia di Lucas a riceverlo. Portandosi la mano al viso il ragazzo aveva sgranato gli occhi guardato il genitore.

“Mi hanno informato della bravata dell’accompagnarti al team di Haruka Tenou, ma lascia che ti precisi una cosa; se hai tutto quello che hai il merito è di questo povero padre imperfetto che ti sei ritrovato e di tuo nonno prima di lui, perciò non ti permettere mai più di giudicare il mio operato. Qualunque esso sia! Ma cosa credi che il vino dei Kiba sia diventato quello che è incrociando le dita e sperando che le bizze del tempo non rovinassero il lavoro di un anno? Come fanno le tue amichette dall’altra parte della valle? Grandinate, siccità, funghi, batteri, hanno sempre colpito anche noi, ma a differenza degli altri componenti della Cooperativa, noi siamo sempre stati più scaltri riuscendo, in un modo o in un altro, ad integrare il denaro perso. E’ così che si fanno gli affari ragazzo! Prima lo imparerai e meglio sarà per tutti.”

“Lo so che ti devo tutto ed è per questo che ho accettato di comprare la terra senza batter ciglio. Presto riuscirò ad essere autosufficiente e a staccarmi da te! Ora però voglio sapere una cosa; nel giro delle corse clandestine sei solo un osservatore che di tanto in tanto ci guadagna o…”

“Cosa vuoi che ammetta Mamoru? Di essere io la mente che da tempo muove tutto? In questo il tuo brillante intuito non ti ha aiutato?”

“Forse ho solo paura di una conferma a quello che ormai è lampante e che non riesco ad ammettere papà!”

Così il velo che in anni di vita condivisa aveva lentamente amplificato il divario tra padre e figlio, era caduto e per quel giovane idealista il colpo era stato durissimo. Difficilmente sarebbe riuscito ad accettare la cosa e Lucas lo sapeva bene. Lo conosceva e nel vederlo scappar via si era chiesto se quel gene ribelle così simile alla madre, sarebbe mai stato all’altezza di prendere un giorno il suo posto alla guida dell’azienda. Molto probabilmente no e attualmente il vecchio Kiba non aveva alcun piano di riserva.

Mentre i recentissimi ricordi fluttuavano ancora nella sua mente, alla porta bussò la cameriera che annunciava l’ennesima visita della mattina. “Signor Kiba, c’è il signor…”

“Lasciami passare. Non è il caso che mi si annunci.” E Lucas si vide piombare nella stanza un uomo, per usare un eufemismo, abbastanza adirato.

“Che cazzo hai fatto!?” Esplose standogli addosso con tre falcate.

“Non potete… Signor Kiba, vuole che chiami la sicurezza?” Chiese lei preoccupatissima.

“No, grazie. Può andare. - Rassicurò alzando un poco il braccio. - Max è un vecchio amico, che so come prendere. Ci lasci ora.”

Mentre l’anta andava pian piano chiudendosi i due si fronteggiarono quasi viso a viso. Dalla corporatura molto simile si ritrovarono occhi negli occhi, alla pari, senza che nessuno, almeno fisicamente, potesse sovverchiasse l’altro.

“Come mai sei tanto agitato?” Lucas terminò anche l’ultima goccia ambrata abbandonando il bicchiere accanto al giradischi.

Solo in quel momento, distratto forse dal gesto, Max si accorse del disco che stava girando sul piatto. Per qualche secondo ne ascoltò le note riconoscendone poi l’artista.

“Questa è una composizione giovanile…” Bisbigliò più a se stesso che all’altro, che colpito da tanto orecchio gli fece i complimenti.

“E bravo il nostro Max. Vedo che nonostante tu stia gestendo da anni quel buco coatto pieno di bifolchi, di classica ancora te ne intendi.”

“Vorrei farti notare che tra i bifolchi di cui parli, ce ne sono molti che conosci benissimo, come per esempio tuo figlio.”

Andando alla scrivania, Lucas ci si appoggiò incrociando le braccia al petto. “Poveraccio, Mamoru non è assolutamente fatto per gli svaghi della città. Invece che discoteche e locali di un certo tipo, preferisce passare le sere di libertà tra i figli dei braccianti. Tutto il contrario dei suoi cugini, che invece la vita se la sanno godere.”

“Indubbiamente ha preso i lati positivi dalla madre.” Se ne uscì l’altro affondando il primo colpo.

Colpo che andò talmente a segno da tramutare in un istante il ghigno beffardo di Lucas in una smorfia di sfida.

“Bada Max… Dimmi piuttosto perché ti sei permesso di piombarmi in casa senza preavviso.”

“Un preavviso? Davvero Lucas? Vuoi da me un preavviso? Eccolo. - Sbattendo il pugno sul mobile fece saltare la puntina interrompendo la musica. - Sapevo che nei piani per espandere la tua proprietà era inclusa anche la terra delle sorelle Tenou, ma arrivare ad accettare il quarto di Haruka per farla partecipare ad una delle tue schifosissime corse clandestine…, mi sembra una porcata veramente troppo grossa anche per te mio caro Giano, o forse vuoi che ti chiami… fratello?!”

Lucas non si scompose anche se ogni volta che Max lo chiamava fratello gli faceva ribollire il sangue nelle vene. Avere avuto rapporti con una domestica poteva anche starci, ma suo padre non avrebbe mai dovuto essere tanto incauto da farci anche un figlio, uno che con le leggi attuali, in ogni momento avrebbe potuto reclamare parte dei beni dei Kiba.

Per alcuni istanti nello studio non si avvertì altro che il sibilo incostante del piatto che ancora stava continuando a girare ormai senza il sonoro. “Vai al sodo, non ho voglia di perdere tempo.”

“Il sodo è che tu renderai il contratto con il quale Haruka ti ha ceduto i suoi terreni e tutti faremo finta che non sia successo niente, che non abbia partecipato ad una corsa e che non si sia quasi spezzata l’osso del collo.”

Abituato alla difesa con la stessa arguzia e maestria con il quale conduceva i suoi attacchi, l’altro alzò leggermente le spalle. “Si, ho saputo dell’incidente. Mi è dispiaciuto, ma vorrei rammentarti che non sei nella condizione di reclamare NULLA per la tua figlioccia. Quella donna ha dato via ciò che era suo e lo ha fatto con coscienza, sapendo perfettamente a cosa sarebbe andata incontro se non avesse vinto.”

“Era con l’acqua alla gola e tu te ne sei approfittato. Se fossi in te mi toglierei quell’espressione arrogante dalla faccia e tirerei fuori quello per il quale sono qui!”

“E io ti ripeto che è tutto perfettamente legale. Il suo notaio ha avvallato l’atto, lei è maggiorenne, perfettamente capace d’intendere e di volere, ergo…, levati dalle palle Max, o ti faccio buttare fuori a calci!”

Invece di sentirsi intimorito l’altro fece un passo in avanti estraendo l’asso che da più di venticinque anni teneva in tasca.

“Ho accettato il volere di mia madre quando da ragazzo mi diceva di stare lontano da quell’uomo al quale lei, povera domestica, aveva dovuto sottostare pur innamoratissima, perché un figlio fuori dal matrimonio avrebbe sporcato l’immagine della grande famiglia Kiba. Ho accettato e con gratitudine, l’unione fra lei e colui che poi mi ha adottato, il padre di Rose. Ho accettato di vivere lontano da qui, lontano da te, mio fratello maggiore. Ho accettato di non avere accesso a tutto questo; ai terreni, ai conti bancari, al rispetto, perché i miei genitori sono sempre riusciti a darmi tutto, ma ora, arrivati a questo punto, ti posso assicurare Lucas che non accetterò più che TUO figlio continui a vivere non sapendo chi è il suo vero padre.”

Tutto d’un tratto Lucas si fece serio. Sapeva che Max, il figlio che suo padre aveva avuto da una relazione extraconiugale con una delle loro domestiche, non stava alludendo a Mamoru, ma ad un altro ragazzo, nato qualche mese dopo che sua moglie Erica aveva abbandonato il tetto coniugale.

“Tu vorresti rovinare la vita di quel ragazzo per salvare Haruka Tenou?!”

“Questo è solo uno dei cento motivi perché Yaten dovrebbe sapere che sei suo padre!”

Lucas ebbe un brivido anche se cercò comunque di mantenere quell’atteggiamento da uomo sicuro che non l’aveva mai abbandonato neanche nelle situazioni più disgraziate. “E lo faresti dopo più di due decadi non avendo in mano uno straccio di prova?”

“Ventisette anni, per essere esatti! E la prova potrebbe fornirla il sangue di Mamoru, anche perché so che tu non avresti mai le palle per fare il test del DNA.”

“Stai bleffando ed è un terreno sul quale contro di me non puoi vincere Max.”

Bleffare? Non poteva farlo perché era la semplice, complicata e tristissima verità. “Non ricordi tua moglie? Erica Kou, una gran bella donna, innamorata persa di te come prima di lei lo era stata mia madre di nostro padre. La donna che un giorno ti diede un ultimatum minacciarti che se avessi continuato ad evadere le tasse e a frequentare certa gentaglia di città, lei ti avrebbe denunciato facendoti togliere la patria potestà su vostro figlio Mamoru?”

“Non vi riuscì!”

“Certo, perché nostro padre, mi dispiace dirlo, ma allora molto più potente di quello che sei tu ORA, alzò un casino tale d’avvocati che quella povera donna dovette rinunciare a suo figlio non sapendo ancora che da te ne stava aspettando un’altro.”

Kiba scoppiò in una fragorosa risata. “O Max, quanto sei ingenuo. La pagammo! Ed anche profumatamente.”

L’altro sembrò stupirsi. “E’ questo che nostro padre ti disse?! Che Erica accettò del denaro in cambio della rinuncia a qualsiasi rivalsa genitoriale su Mamoru?”

“Esattamente! Comunque a parte questo, sai come si dice, no? Madre certa, padre ignoto.”

“Ma andiamo Lucas, hai quasi settant’anni e non riesci ancora ad ammettere che lo sfascio del tuo matrimonio dipese solo ed esclusivamente dalla tua condotta?! Erica amava Momoru più di se stessa e non avrebbe mai potuto accettare un solo centesimo da nostro padre. Ma la cosa che mi fa capire ancor di più quanto siete stati oscenamente deplorevoli è il fatto che di fronte alla famiglia di Erica, ai genitori, ai fratelli, ai nipotini Seiya e Stella, vi siate sempre comportati come i più amorevoli dei parenti. Li facevate venire qui in estate ed aiutavate i gemelli elargendo svariate somme di denaro per farli studiare negli Stati Uniti. E tutto questo per azzittirvi la coscienza e per apparire agli occhi della nostra comunità, quelli che non siete mai stati, cioè brava gente.”

“Sono sempre i parenti di Mamoru.”

“Ma finiscila con questo perbenismo da paese. Ti ha sempre fatto comodo che la gente pensasse a quanto siete stati buoni e generosi con la famiglia di Erica, ma di lei, di tua moglie, della sua fine e di suo figlio, non vi è mai importato nulla!”

“Una moglie dovrebbe seguire il marito in tutto e invece mi si è rivoltata contro come una serpe ed io non potevo non schiacciarle la testa come meritava.”

“Era una donna giusta ed onesta e gliene hai sempre fatto una colpa. Quando la cacciaste da qui, i miei genitori l’accolsero in casa e fu mia madre a badare a lei fino a quando non fu sufficientemente pronta ad affrontare la vita con Yaten. Ma non si riprese mai del tutto dal rimorso per aver abbandonato Mamoru e il suo suicidio non è stato che l’ultimo atto di una storia drammatica alla quale anche tu hai preso parte.”

“Non puoi imputarmi colpe che non ho! E non puoi pretendere che consideri quel ragazzo figlio mio!”

“O… di colpe ne hai e stai pur sereno, perché Yaten è cresciuto bene anche senza il padre, anzi, sono convinto che mia madre dicesse il vero quando m’impediva di venirti a trovare, quando affermava che voi Kiba siete marci dentro! Ma anche mia sorella Rose aveva ragione nel dirmi che non era giusto che Yaten crescesse senza conoscere la verità, che Mamoru non sapesse che quel ragazzo di tre anni più giovane che molto spesso giocava a calcetto con lui, era suo fratello minore.”

“Rose, la tua sorellastra, voleva solo assicurarsi un posto alla mia tavola.” Osò dire facendogli restringere la giugulare.

“Non permetterti!”

“Non m’interessa con chi quel ragazzo sia cresciuto, se ti consideri uno zio pur non sapendo che lo sei veramente, come non credo sia una cosa tanto drammatica se Mamoru non sappia della sua esistenza, ma ti avverto Max, se veramente conosci la tossicità del sangue che mi scorre nelle vene, sai anche che se rivelerai a mio figlio una cosa come questa o accamperai per Yaten pretese su ciò che è mio, te ne farò pentire per il resto dei tuoi giorni.”

“Io non minaccerei sapendo che il manico del coltello è ed è sempre stato nelle mie mani. Non credo che Mamoru te la farebbe passare tanto liscia se venisse a conoscenza della vera fine di sua madre, di avere un fratello e del fatto che da sempre suo padre sapesse di entrambe le cose.” Max avvertì dallo sguardo dell’altro un violento senso di rabbia, ma anche di frustrazione. L’aveva in pugno.

“Da anni Yaten è a conoscenza che per un crollo nervoso sua madre ha posto fine alla sua vita e non credo che accetterà mai del tutto la cosa, ma ti chiedo Lucas; come la prenderebbe Mamoru? Ha sempre creduto che Erica sia scappata dietro ad un altro uomo abbandonandovi, il che ha sempre fatto di te il buono della situazione, ma se le carte sul tavolino di questa storia gli rivelassero un’altra verità? Ovvero che quella donna è stata umiliata, cacciata e defraudata di un figlio fino ad arrivare all’annientamento psicologico, come la prenderebbe? Quale ruolo andresti a ricoprire? Quello del buono o del… bastardo?”

“Non rimarresti illeso neanche tu! Avresti tutti e due i ragazzi contro.”

Max scrollò le spalle. “Sono pronto ad accettarne le conseguenze, ma vedi, mentre Rose ed io abbiamo tirato su Yaten a pane ed amore, Mamoru non ha avuto la stessa fortuna. Non lo hai mai considerato alla tua altezza ed ha torto, perché è mille volte più in gamba di te, ma ora che è un uomo e lo sente, lo percepisce ogni giorno la differenza che c’è tra voi due, non credo che sarebbe tanto pronto a perdonarti per essere cresciuto senza una madre ed un fratello.”

“Tutto questo per quel maschio mancato di Haruka! Tu sei pazzo!”

“L’aver preso per il collo Haruka o il fatto che Mamoru la scorsa primavera abbia dovuto comprarsi un terreno che alla tua morte gli sarebbe comunque spettato di diritto, sono solo le ultime due gocce in un otre ormai colmo da anni. Mi dispiace solo di non avere avuto il coraggio d’intervenire prima. Rose lo avrebbe fatto. Comunque in una cosa hai ragione; la figlia di Alba e Sante ha molte più palle di te, fratello mio.”

Staccandosi finalmente dal piano della scrivania dov’era stato inchiodato fino a quel momento, Lucas andò a versarsi un altro bicchiere di whisky. “Non posso farlo. Non posso restituire a Tenou il contratto di cessione.”

“Allora non mi sono spiegato.”

Versandosi da bere tracannò il liquido tutto d’un fiato. “Ti assicuro che meglio di così non avresti potuto.”

“Dunque!?” Abbaiò tornando a perdere quella sorta di lucidità che l’aveva accompagnato per tutta la conversazione.

“Non posso ridare ad Haruka niente, perché semplicemente non è più in mio possesso.”

“Hai venduto il suo quarto?” Chiese disorientato.

“Esatto. I suoi terreni, come quelli di Usagi, sono i più redditizi di tutta la tenuta Tenou e come hai detto tu li ho sempre avuto nel mirino, ma ho ricevuto un’offerta alla quale non potevo proprio dire di no.”

“Quanto ti hanno dato?!”

“Abbastanza per convincermi che un pezzo di terra con un vigneto sopra non possa competere con un oggetto come questo.” Abbandonando il bicchiere Lucas aprì una delle tante ante che componevano il mobile estraendone una custodia di raso scuro.

 

 

Due ore prima

 

Michiru svoltò a sinistra seguendo le indicazioni del giovane uomo seduto accanto a lei.

“Avresti dovuto farmi strada con la tua macchina invece di lasciarla sul retro del pub.”

“Ti assicuro che non è affatto un problema.“

“Proseguo fino al bivio?”

“Si. Ti sarai fatta l’idea di uno che si nasconde nell’ombra per sentire i discorsi degli altri, ma ho visto la macchina di Giovanna ferma davanti al pub e volevo scambiare quattro chiacchiere con lei.”

La violinista sorrise non distogliendo gli occhi dalla strada. “E’ capitato anche a me di trovarmi accidentalmente in una situazione simile e per giunta pochissime ore fa, perciò non fartene una colpa. Quello che invece mi sorprende è sapere che tu conosca la vera identità di questo fantomatico Giano.”

Guardando fuori dal finestrino Mamoru disegnò una strana smorfia sul bel viso segnato da due insolite occhiaie. “In effetti fino al giorno della gara brancolavo nel buio, come tutti, poi…”

“E’ per questo che non sei riuscito a chiudere occhio?”

“Si nota così tanto?”

“No, tranquillo. Credo sia soltanto una questione empatica. Anche io questa notte ho subito le stesso strazio. La lancetta della sveglia a ticchettarmi nelle orecchie mentre le civette fuori sembravano divertirsi alle mie spalle.” E questa volta Michiru riuscì a strappargli una sorta di risatina isterica.

“Al bivio immettiti a destra.” Indicò lui usando l’indice.

“A destra? Ma su quella strada non si trovano solamente le masserie Tenou e Kiba?”

“Esatto. Svolta e segui la strada.”

Dubbiosa eseguì prendendo spunto da quell’incontro per ringraziarlo di una cosa. “Quando tua cugina Bravery ha dato quella rivista ad Haruka so che c’eri anche tu e perciò sai anche chi sono. Non ho ancora avuto l’occasione di ringraziarti per essere stato tanto discreto.”

“Figurati, anzi… scusa per non averti riconosciuta, ma a dispetto di mio padre, io di classica non ne so niente e della vita di Seiya ancora meno.” Se ne uscì sincero.

“Non c’è nulla da scusarsi. Non sai quanto per me sia stata una salvezza riuscire a vivere qualche settimana lontano dal clamore delle scene o dalla vita frenetica di una grande metropoli.”

“E da Seiya?”

“E da Seiya. - Confermò rallentando in prossimità della masseria Tenou. - Mamoru…, dove stiamo andando?”

“Non volevi incontrare Giano?”

Ancora più confusa la violinista tornò a concentrarsi sulla strada. Dato uno sguardo al cannellone che l’aveva vista uscire meno di un’ora prima, proseguì con la testa piena di domande. Due chilometri scarsi e si ritrovò davanti alla tenuta dei Kiba.

“Cosa ci facciamo davanti casa tua? Dimmi che non è come penso.”

“Purtroppo si Michiru, è come pensi.”

“E’ stato il signor Max a dirtelo?”

“Figuriamoci, per quanto riguarda certi argomenti Max è una tomba. No, ho semplicemente fatto due più due arrendendomi all’evenienza che mio padre sia una di quelle brave persone che lucra e scommette evadendo le tasse. Sono stato cieco per troppo tempo, ho voluto esserlo, perché chi vorrebbe scoprire certe verità sul conto del proprio genitore?”

Si sentiva dannatamente in colpa nei confronti dei lavoratori della sua azienda, della sua Usagi e di Haruka, che aveva sempre mal digerito quell’unione forse anche per colpa di suo padre.

“Dovrò avere un confronto anche con lei.” Disse sfinito.

“A chi ti stai riferendo?”

“Ad Haruka. Sai, una volta, dopo una bevuta più spinta del solito, prese a vantarsi sul fatto che sapesse chi fosse Giano. Allora pensai ad una presa in giro, alla solita goliardica Tenou, invece alla luce di quanto ho visto il giorno della gara, alla sicurezza con la quale è riuscita a destreggiarsi in questa storia e al fatto che Max le sia sempre stato incollato addosso come a volerla proteggere, non tanto dalla gara, ma da quello che c’era dietro, non faccio fatica a credere che quella testarda sapesse dei traffici di mio padre già da diverso tempo. Ho sempre pensato che il non volere accettare l’aiuto dei Kiba dipendesse dal suo orgoglio o dal fatto che non vedesse di buon occhio la mia relazione con Usagi, invece credo che le motivazioni della sua acredine verso di me, verso noi Kiba, siano dipese dall’essere riuscita a capire, Dio sa come, quanto marcio ci sia nella mia famiglia. E se fossi stato più accorto, forse avrei potuto impedirle di commettere alcune scelte sbagliate. - Alzando una mano verso la strada che si apriva dietro al cancello, le fece cenno di proseguire. - Ma ora andiamo. So per certo che il signore del maniero a quest’ora è nel suo studio.”

“Mamoru…”

“Ti prego, non guardarmi con pietà. Ormai quello che è fatto è fatto.”

Come dirgli che la sua non era pietà, che per Michiru il fatto di non essere riuscito ad aprire subito gli occhi, non fosse un’accusa di complicità, ma l’ovvia reazione di un figlio?

Ingranando la prima la donna sospirò soffermandosi ancora qualche istante in quegli occhi molto simili a quelli di Seiya. “Ricordati solo una cosa; i figli non sono sempre lo specchio dei genitori e l’amarli arrivando a non volerne accettare i difetti, non è una colpa Mamoru.”

Un grugnito e lui tornò in quella sorta di bozzolo nichilista ed asfittico che lo stava avvolgendo da quando aveva parlato con Lucas.

A differenza della masseria Tenou dopo circa cinquecento metri al primo cancello se ne aggiunse un secondo, più moderno, dotato di telecamere e video citofono, unica entrata ad un alto muro di cinta dotato di perimetrale. Mamoru lo aprì con un telecomando estratto dalla tasca dei pantaloni, facendo un cenno di saluto al guardiano seduto poco oltre. Michiru si guardò intorno iniziando a notare parecchie dissonanze rispetto alla tenuta dove stava attualmente vivendo. Tralasciando la sicurezza, tutto sembrava meno rustico e famigliare.Mancavano le curatissime aiuole di Usagi, la musica assordante dello stereo di Minako, i panni ad asciugare di Giovanna e le macchine agricole di Haruka. Era tutto molto silenzioso, quasi asettico e di quell’aria pittoresca che aveva fin da subito catturato il cuore di Michiru, non c’era assolutamente traccia.

Parcheggiarono accanto ad un paio di auto di grande cilindrata scendendo all’unisono. Michiru chiuse lo sportello soffermando lo sguardo al bianco latte dei muri che facevano di quel complesso più una villa che una struttura rustica.

“E’ diversa dalla casa delle sorelle Tenou, vero?” Chiese lui avvicinandosi.

“In effetti.”

“Vuoi che ti accompagni?”

“Non offenderti, ma è meglio che questa cosa me la sbrighi da sola.”

“Per il fatto che sia suo figlio?”

“Si e potrebbe essere doloroso.”

“Lascia però che ti metta in guardia.”

“Su cosa?!”

Posandole una mano sulla spalla scosse la testa convinto. “Sul fatto che ad ascoltarti troverai un muro di cemento armato. Qualunque cifra Haruka sia stata in grado di racimolare per gareggiare alla corsa, non gliela restituirà mai.”

Anche lei sorrise, ma con convinzione. Povero Mamoru, non sapeva nulla del quarto di Haruka. Evidentemente Usagi non gliene aveva ancora parlato ed una volta saputolo si sarebbe sentito ancora peggio.

“Forse saprò essere convincente. Con il lavoro che faccio sono abituata a farmi ascoltare da uomini con un certo potere.”

“Come vuoi. Allora vieni, ti accompagno dentro.”

“Grazie, però prima devo prendere una cosa nel portabagagli.”

Così lui attese facendole poi strada in quella che era la sua casa da quando era venuto al mondo. Ambienti molto curati e ricchi di bellissimi oggetti, ma lontani anni luce dalla villa sfarzosa dove vivevano da separati in casa Michiru e Seiya, tanto che mentre ne oltrepassava la stanza d’ingresso, la donna avvertì un certo pudore. Per avere quella villa ai margini di uno dei quartieri più in della città, aveva letteralmente massacrato l’allora compagno, portandolo allo sfinimento come solamente una donna sa fare. A lui quella struttura a due piani dalla calce chiara non era mai piaciuta, la trovava troppo classica e dispersiva per i suoi gusti. Riservata, certo, ma troppo grande per una coppia e poco pratica per due anime frenetiche come le loro. Parco, piscina olimpionica, stanze per gli ospiti che con molta probabilità non sarebbero mai state occupate da nessuno. Una metratura abnorme assolutamente inutile visto che per gran parte dell’anno erano lontani per lavoro. Ma Michiru aveva tanto insistito e lui avrebbe tanto voluto riempire quegli ambienti con un nuvolo di figli, che alla fine aveva ceduto accontentandola. Ora, camminando lentamente al fianco di Mamoru, la violinista stava irrazionalmente tirando le somme di una vita passata alla quale cercava giornalmente di non pensare.

La venderò quanto prima. Non mi serve più tutta quella roba, dovessi andare a vivere in un monolocale, pensò lei mentre la voce del giovane la riportava lentamente alla sua missione.

“Io mi fermo qui. Se serve mi troverai nello spiazzo. - Disse guardandola con gentile reverenza parlando poi direttamente alla cameriera. - Annunci a mio padre che la signora Michiru Kaiou desidera parlargli. Sono sicuro che la riceverà subito.”

<>”Certamente.”

“Grazie Mamoru.” Lo saluto’ lei seguendo poi la ragazza oltrepassando l’ampio ambiente della sala da pranzo, gettando un’occhiata al camino in pietra da una parte e le scale che presumibilmente portavano alla zona notte, dall’altra.

Arrivate davanti ad una massiccia porta in noce, la cameriera bussò attendendo la voce del padrone di casa. “Signor Kiba, mi scusi, ma c’è una visita per lei.”

“Chi è?” Una voce ovattata arrivò alle due e prontamente la ragazza rispose.

Qualche secondo di silenzio, poi la porta si aprì e Lucas Kiba si trovò davanti agli occhi Michiru che con un piccolo movimento del capo lo salutò sfoderando un bellissimo sorriso.

“Signor Kiba… Mi perdoni l’improvvisata.”

“Per tutti i Santi! Ma è proprio lei?!” Esordì scioccato.

“Si, almeno così dicono.”

Liberando la domestica con un cenno, si spostò da un lato per lasciarla passare. “Devo ammettere che non mi sarei mai aspettato una così gradita ospite, ma prego, si accomodi e perdoni il disordine, ma la mattina ne approfitto per sbrigare le pratiche più noiose.”

“Grazie, le ruberò pochissimo tempo.” Sentendosi studiata come ogni qual volta riusciva a far colpo su un uomo, Kaiou non si scompose affatto, anzi, forte della sua femminilità ed esperienza lo guardò dritto in viso sostenendone lo sguardo scuro.

“Io non so veramente cosa pensare; sono un grande estimatore della musica classica, lo sa? E devo ammettere che le foto sulle copertine dei vinili in mio possesso non rendono assolutamente giustizia alla sua bellezza.”

“Vinili?” Chiese lei soprassedendo al complimento. Come essere umano non sarebbe riuscito a darle vibrazioni positive neanche se fosse stato una brava persona, figuriamoci dopo aver scoperto della sua doppia identità.

“Si, ho una modesta collezione che vanta anche il suo primissimo album.”

“Addirittura?” Non troppo alto, robusto, leggermente stempiato, un viso accattivante, ma null’altro.

“Mi sono stupito quando qualche anno fa ho saputo da mia nipote Bravery, che suo fratello gemello aveva allacciato una relazione stabile con la grande Michiru Kaiou e le ho tirato le orecchie, perché avrei voluto conoscerla anch’io.”

“Negli anni nei quali Seiya ed io siamo stati una coppia, non ho mai avuto il piacere di conoscere Bravery personalmente, perciò non se ne faccia un cruccio signor Kiba.”

“Lucas… La prego. - Spostando leggermente una delle due sedie di fronte alla scrivania, la invitò a sedersi mentre faceva altrettanto andando dalla parte opposta. - Perché sta parlando al passato?”

“Semplicemente perché non ho più nulla a che spartire con suo nipote.”

Lui sembrò dispiacersene. “Non ho rapporti con quel figliolo, perciò perdoni la mia invadenza.”

A prescindere dai suoi traffici, Michiru dovette ammettere che fosse un tipo piuttosto educato. Ci sapeva fare e questo la mise in allerta come la luce di un faro nella nebbia.

“Posso offrirle qualcosa?”

“No, grazie. Come ho già detto non voglio farle perdere troppo tempo, perciò verrò subito al dunque. La mia visita le starà certamente sfarfallando delle domande ed io non sono solita cincischiare quando si tratta di affari.”

“Affari?” Chiese ancor più stupito.

“Non l’annoierò raccontandole del come sia arrivata in questa località o del perché stia attualmente vivendo alla masseria Tenou, ma a prescindere dalla stima che ha o meno per la mia musica signor Lucas, sono venuta qui da lei perché mi preme avere una cosa che le appartiene e sono disposta a pagare il giusto.” Al sentire il cognome delle sue vicine, lo vide cambiare espressione e capì di essere riuscita a catturarne l’attenzione.

Si guardarono nuovamente negli occhi, poi una fragorosa risata inondò tutta la stanza, mentre corrugando la fronte lei ne chiedeva il motivo.

“Mi perdoni per l’uscita poco elegante signora, ma devo ammettere che non avrei mai creduto che Haruka si riducesse a tanto.” Dunque voleva giocare a carte scoperte.

Cercando d’ignorare il profondo fastidio che quella frase sulla bionda le aveva procurato ai nervi, Michiru accettò la partita. “Signor Lucas, prima di continuare vorrei che fosse ben chiaro che Haruka e le sue sorelle non sanno assolutamente nulla di questa mia visita e se lei accetterà quello che sto per proporle, vorrei la sua parola di gentiluomo che non verranno MAI a saperlo.”

“L’ascolto.”

“So da fonti più che attendibili che lei sia venuto in possesso di parte dei terreni della masseria Tenou.” Michiru aveva scelto con cura quella frase che di fatto, non indicava ne che fosse lui l’organizzatore delle corse clandestine, ne l’accusava di chissà quale reato.

“Sta continuando a stupirmi signora Kaiou. - Prendendo un sigaro da una scatoletta d’argento dimenticata sul piano della scrivania, lo alzò leggermente per chiederle il permesso di accenderlo. - Posso?”

“Faccia pure.” Dopo aver individuato la spalla, lo vide tagliarne l’estremità usando abilmente una lama.

“Riconosco sempre un buon affare e quello di accettare la terra della signora Tenou lo è stato.”

Accettare, pensò Michiru rabbiosa. “Vede, anche io credo di avere un certo fiuto per gli affari ed è per questo che vorrei che me li cedesse. In cambio di una cospicua contropartita…, s’intende.”

“Mi faccia capire bene; lei vorrebbe acquisire parte delle vigne della famiglia Tenou?”

“Precisamente.”

“Non sono il tipo di persona che si affeziona alle cose, come ho sempre ascoltato un’offerta, ma lasci che le faccia una domanda; perché una donna come lei vorrebbe entrare in possesso di un pezzo di terra in un buco sperduto come questa località?”

Michiru alzò le sopracciglia fingendo ingenuità. “Trovo che possedere una vigna porti più vantaggi di una buona recensione. Sono molti i personaggi famosi che hanno usato questo tipo di escamotage per farsi pubblicità. O forse è solo un vezzo di una donna che nonostante tutto è ancora molto romantica.”

Lui tornò a ridere, anche se questa volta lo fece con più garbo. “Un vezzo che potrebbe risultare molto costoso signora Kaiou. Sa, quei terreni confinano con parte dei miei e ampliare la produzione della mia azienda vinicola è un obbiettivo che ho da tempo. Perciò mi perdoni, ma non credo che potrò venirle incontro.”

Michiru aveva già calcolato quella mossa. Era scontato che un venditore come lui avrebbe fatto di tutto per alzare il prezzo di un’ipotetica offerta. Doveva perciò ingolosirlo ed essendo un amante della musica classica questo non poteva che giocare a suo favore.

“Credo di avere la contropartita giusta, signor Lucas.” Afferrando la maniglia del piccolo contenitore di raso che aveva portato con se e che aveva abbandonato accanto alle gambe, lo posò sul piano per poi aprirlo.

Da quando grazie ad uno sponsor era riuscita ad averlo ad un prezzo ragionevole, non se n’era mai separata. Non la legava niente a quell’oggetto se non la necessità di esprimere al meglio la sua musica. Poteva benissimo privarsene e per arrivare al suo scopo lo avrebbe ceduto anche al più gretto degli uomini.

Con un’ultima occhiata ne accarezzò le venature laccate ringraziandolo mentalmente per tutti gli anni nei quali l’aveva fedelmente servita, poi senza un ben che minimo rimpianto girò la custodia porgendola all’uomo.

“Se è un buon intenditore saprà anche quanto questo oggetto valga, sia in termini di denaro, che di prestigio.”

Ed in effetti appena letta la placca all’interno della custodia il vecchio Kiba cambiò colorito schiudendo leggermente le labbra.

“Sul fondo troverà la polizza assicurativa e le carte che ne attestano l’autenticità. Francamente non so quanto possa valere una vigna, ma credo che questo oggetto soddisfi una qualsiasi richiesta economica. O sbaglio forse?”

 

 

Due ore dopo

 

Riconoscendo l’involucro di uno strumento Max aggrottò la fronte.

“Vedo dalla tua espressione che hai perfettamente capito di cosa stiamo parlando. Mi ha sempre stupito il fatto che pur non avendo mai ascoltato nostro padre suonare, tu abbia comunque ricevuto un certo amore per la classica.” Canzonò Lucas sorridendo vittoriosamente.

“Un violino?!”

“Non un semplice violino, ma il VIOLINO per eccellenza. - Estraendo con cura lo strumento lo mostrò afferrandolo delicatamente per il manico. - Un paio d’ore fa ho ricevuto la visita di una donna incredibile che ha voluto stipulare con me uno scambio equivalente. In tutta onestà non credo che i terreni della tua protetta valgano tanto quanto questo, ma sta di fatto che ora è LEI ad averne pieno possesso.”

Max socchiuse gli occhi non appena letta la targhetta dorata che riportava il nome della ormai storica casa costruttrice.

“E’ uno Stradivari.” Disse pianissimo mentre Lucas confermava orgoglioso.

“Dei primi del diciannovesimo secolo e se aggiungi che è stato in possesso della grande Michiru Kaiou, ne converrai che per un collezionista vale ancora di più.”

“Ecco perché stavi ascoltando il suo primo disco.”

“Un tributo allo strano senso per affari di quella splendida dea. - Spostando gli occhi dallo strumento a quelli di Max stirò un sorriso vittorioso. - Ora fratello mio … sai dove puoi metterti le tue verità!”

 

 

 

 

Note dell’autrice: Beautiful a me fa un baffo hahaha

Se volete che vi disegni un albero genealogico… Credo di avere esagerato.

Ciau

   
 
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