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Autore: A_Typing_Heart    19/01/2020    2 recensioni
Ichigo Kurosaki è uno studente di una prestigiosa scuola maschile, ma nutre dei dubbi sulla strada che ha sempre considerato essere quella adatta a lui: diventare medico come il padre. Allontanandosi dalla scuola per riflettere si ritrova in uno squallido locale mandato avanti da un barista dai modi bruschi e dall'aspetto bizzarro; ma più frequenta quel posto e quell'uomo più Ichigo scopre una nuova prospettiva sulla sua vita e sulle sue scelte.
Genere: Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai | Personaggi: Jaggerjack Grimmjow, Kurosaki Ichigo, Sosuke Aizen
Note: AU, OOC | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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«Ammettilo che non era male.»
Grimmjow ignorò Ichigo ancora una volta e parcheggiò l'auto in prossimità del pub, senza dare il minimo segno di averlo sentito. Ichigo non poté evitare di sogghignare perché poteva anche non dire nulla sul caffè di tendenza dove lo aveva portato, tanto i due smoothie che si era scolato parlavano abbastanza chiaro. Si attardò a controllare il cellulare, intasato dai messaggi dei suoi compagni della squadra di calcio, e si distrasse soltanto quando sentì Grimmjow imprecare dentro il pub. Non che fosse allarmante, ma la veemenza di quel commento in una situazione in cui il locale doveva essere vuoto lo insospettirono, così scese immediatamente dall'auto e lo raggiunse all'interno. La prima cosa che notò fu la pozza di bagnato sotto la cassa.
«Aizen! Che cazzo hai combinato nel mio bar?!»
Aizen, che era in piedi appoggiato a un tavolo, lo guardò con una certa dose di disappunto.
«Questo è il mio bar.» puntualizzò. «E non ho fatto niente, è scoppiato un tubo.»
«Che cosa?»
Grimmjow fece il giro del bancone e imprecò ancora più forte. Riemerse un omino calvo in tuta da idraulico da dietro la colonna; Ichigo non aveva assolutamente notato la cassetta abbandonata aperta lì vicino e non aveva sospettato la presenza di un qualche tecnico.
«Che cazzo! Quanto ci vorrà per sistemarlo?»
«Ah... beh, dato che siete un'attività commerciale cercheremo di fare in fretta, credo che domattina sarà a posto.»
«DOMATTINA?!»
Grimmjow non era mai apparso così sconvolto agli occhi di Ichigo, era così sopraffatto che ammutolì guardandosi intorno. Impossibile dire se cercasse sostegno, se pensasse di sognare o se credesse di trovarsi in una candid camera. Si appoggiò al lavandino con la mano e Ichigo per una frazione di secondo pensò che si stesse sentendo male. Persino Aizen lo guardava con aria vagamente preoccupata.
«Ma... ma io devo aprire oggi
«Mi dispiace, ma non è proprio possibile...»
«Io devo aprire il bar oggi.» ripeté stolidamente.
«Signore, sono desolato, ma davvero non è possibile...» disse l'ometto. «Come vede è la conduttura principale... non avete acqua nei lavandini, nel bagno... non può lavare nulla, e finché non asciughiamo tutto abbiamo staccato anche i frigoriferi e la macchina del ghiaccio...»
Ichigo guardò Grimmjow chinarsi ad aprire il frigorifero e la macchina del ghiaccio, restando forse ancora più stordito di prima. Scorse il bancone con gli occhi azzurri e si accorse che le birre, le bibite e la frutta erano state tutte ammonticchiate accanto e dentro al secondo lavabo. Sembrava che l'idea di non poter aprire il suo bar, servire i suoi clienti e lavorare come faceva ogni giorno l'avesse devastato oltre quello che le parole potessero esprimere, perché persisteva in un silenzio affranto.
«Jaeger, per oggi restiamo chiusi.» sentenziò Aizen. «Torna domani mattina.»
«Ma... ma non posso... me la cavo con le tubature, posso...»
«Questi signori sono venuti qui apposta per fare il loro lavoro e sistemare il guasto.»
«Ma se mi lasci fare possiamo fare prima!»
«Jaeger. Non c'è niente che tu possa fare qui. Vai a casa, vai dove vuoi, ma non devi essere al bar oggi.»
«Grimmjow...»
Grimmjow girò la testa verso Ichigo e lo guardò come se non lo riconoscesse nemmeno.
«Grimmjow, ha ragione lui... non puoi lavorare con il frigorifero vuoto, senza acqua e senza corrente... andiamo via...»
«Via dove? Non ho nessun posto dove andare se non posso stare qui.»
«Non essere melodrammatico.» tagliò corto Ichigo. «Andiamo. Se resti in mezzo ai piedi non finiranno i lavori in tempo, e non apriremo nemmeno domani. È questo che vuoi?»
«Ma io...»
«È questo che vuoi?» ribatté Ichigo a voce più alta. «Vuoi stare in mezzo ai piedi e tenere chiuso tre giorni per la tua testaccia?»
Grimmjow non riuscì a dire niente: si limitò a scavalcare la cassetta degli attrezzi dell'ometto senza fare nessun commento, non riuscì nemmeno a guardare sotto il lavello, quasi lo ferisse troppo quella vista. Non scambiò nemmeno un'occhiata con Aizen e uscì dal locale senza salutare nessuno. Ichigo fece un cenno di saluto con la testa e si affrettò a rincorrerlo fuori, pensando che l'avrebbe lasciato lì, ma non fu così. Lo trovò seduto dentro l'auto, con lo sportello ancora aperto, la cintura slacciata e le chiavi in mano.
«Grimmjow... ti senti bene?»
«Sono venuto al lavoro ogni singolo giorno... con la pioggia, con il ghiaccio sui marciapiedi, la neve... con quaranta gradi all'ombra, sempre. Ogni giorno, anche quelli festivi.» disse lui con un tono che aveva dell'alienato. «Non siamo mai stati chiusi da quando lavoro qui... nemmeno quando con Barragan il locale era vuoto.»
«Ma non è la fine del mondo, non è mica andato a fuoco.» gli fece notare Ichigo salendo in macchina. «È solo un tubo rotto, domani sarà tutto come prima... anzi, non dovrai più mettere il secchio sotto il lavandino, non perderà più.»
Dato che la prospettiva di aggiustare uno dei molti problemi del locale non sembrava rincuorarlo, Ichigo tentò una nuova strada.
«Avanti, hai un giorno libero! Finalmente hai tempo di fare qualcosa! Casa tua è una desolazione, perché non facciamo la spesa? Sai, ora viviamo in un'epoca in cui le botteghe sono diventate enormi, hanno il banco frigo e delle persone leggono i codici a barre per sapere quanto costa quello che compri...»
«Mi stai del vecchio, moccioso?»
«Se mi chiami moccioso sembri ancora più vecchio.»
«Dacci un taglio, non sono vecchio...»
Grimmjow inserì le chiavi e poi si girò a guardarlo con la stessa sorpresa di qualcuno che si vede salire in macchina un perfetto sconosciuto nel parcheggio di un centro commerciale. Ichigo, che non capiva la reazione del barista, si limitò ad aspettare che parlasse.
«Cosa fai tu sulla mia macchina?»
«Grimmjow... sei vecchio, ma non così vecchio da avere l'Alzheimer... sono Ichigo, hai presente? Ichigo Kurosaki, lavoro con te.»
«Fanculo, Kurosaki, intendevo cosa fai nella mia macchina adesso!»
«In che senso, scusa? Vuoi lasciarmi qui col bar chiuso?»
«Non torni a scuola?»
Chiarito finalmente l'equivoco nella testa di Ichigo, fece un plateale sospiro.
«Eravamo d'accordo che sarei stato da te tutto il week end...»
«Ma oggi non lavoriamo... non dovresti studiare?»
Per la prima volta forse nella sua intera vita Ichigo avrebbe voluto ringraziare Ishida per averlo costretto a infilare i libri nella borsa: non gli andava assolutamente di tornare a scuola a cercare gli angoli più improbabili per riuscire a studiare, e inoltre non degnava di una risposta i compagni della squadra sportiva da un giorno intero. Preferiva scaricarli per messaggio e lasciarli sbollire nel fine settimana... e cosa più importante ancora, preferiva avere il tempo necessario per scolorire quei lividi sul collo prima di tornare a lezione.
«Ho portato i libri, mi hai visto stamattina, no?» gli ricordò. «Da te c'è silenzio, la mia scuola adesso è un delirio, con gli esami e il torneo sportivo in vista.»
«Che fine ha fatto la biblioteca, l'hanno bruciata?»
«Ah... io... beh... io non posso andarci.»
«E perché?»
Ichigo si morse nervosamente il labbro, chiedendosi come avrebbe potuto spiegare a Grimmjow che non poteva entrare nella biblioteca della sua scuola perché una volta preso dall'ira aveva scagliato un tomo contro la bibliotecaria... che per inciso, gli aveva dato del maniaco criminale a causa dei capelli arancioni e di un piercing all'orecchio. Quello era scomparso da mesi, ma quell'episodio era rimasto incancellabile sul suo curriculum scolastico, nonostante fosse stato causato da notti insonni ed eccesso di caffeina. Il suo più grande rimpianto, comunque, restava di non aver colpito l'arrogante vecchia arpia.
«Beh...» disse infine, titubante. «In realtà è una storia lunga...»
«Bene.» disse Grimmjow allacciando la cintura con l'aria rinfrancata. «Me lo racconti mentre andiamo in quel fantascientifico posto coi codici a barre sulle confezioni.»




Ichigo alzò gli occhi dal libro di matematica e gettò un'occhiata al cellulare per verificare che ore fossero. Non si stupì del tutto di scoprire che erano quasi le sette di sera, anche se la testa gli mandò una dolorosa fitta al solo pensiero che in un pomeriggio intero non aveva neanche scalfito la montagna di studio che lo attendeva per prepararsi agli esami della sessione estiva. Sfogliò il libro con aria depressa e poi lo richiuse, lasciandovi la mano posata sopra.
Che cosa avrebbe fatto se non fosse riuscito a stare al passo con lo studio? Dopotutto aveva accettato di frequentare lo stesso istituto di Chado seguendo l'idea di diventare un medico ed ereditare l'ambulatorio del padre, l'iter molto classico della gran parte degli studenti giapponesi che avevano genitori con studi privati o aziende di famiglia. Con quell'idea in testa non aveva mai esplorato altre possibilità. Non aveva mai avuto sogni infantili come disegnare manga, fare il cantante, suonare in una band o diventare calciatore, o almeno non ne rammentava. Durante i test attitudinali della scuola aveva espresso l'intenzione di studiare medicina, seppure non sentisse una vera chiamata per quel ruolo... ma gli sembrava una scelta molto naturale, aveva due sorelle sensibilmente più piccole di lui, era abituato a trattare coi bambini, lo faceva sentire utile prendersi cura di qualcun altro, e avrebbe potuto ereditare uno studio già avviato da molti anni. Era una scelta facile e neanche poi male, aveva pensato allora. Ma ora che il liceo lo stava opprimendo con una seria dose di studio si chiedeva se non avesse fatto il passo più lungo della gamba, se non si fosse sopravvalutato.
No, si rispose fermamente. Non era forse geniale quanto Ishida, ma nemmeno Chado era geniale. Lui ci riusciva, con tempo e applicazione, e anche Ichigo sarebbe stato in grado di stare al passo. Sarebbe bastato dare un taglio alle distrazioni, abbandonare l'idea di partecipare al torneo sportivo e studiare seriamente. Se non fosse stato per...
Ichigo voltò la testa e guardò Grimmjow, che gli voltava le spalle usando per la prima volta da anni la sua cucina. Il rumore sommesso e regolare gli suggerì che doveva essere impegnato ad affettare qualcosa, forse le patate alle quali appartenevano le bucce che erano ammonticchiate in una ciotola scolorita. Nella pentola una zuppa sobboliva e mandava ovunque un delizioso profumo.
Era lui il problema principale. Aveva approfittato della cassa di bibite distrutte per lavorare con lui, per alleggerirgli il lavoro dopo quel brutale pestaggio, ma ora stava meglio. Sapeva che, se Aizen non si fosse ancora ritenuto risarcito, avrebbe potuto benissimo pagare il resto in contanti, non era messo male a finanze pur essendo uno studente. Avrebbe potuto ripagare il danno, smettere di andare al lavoro al bar e recuperare lo studio in vista degli esami. Ma Grimmjow era la sola ragione che lo trattenesse dal fare la scelta più logica per un liceale, e non perché avesse bisogno di aiuto, ormai non più... ma era Ichigo che sentiva di aver bisogno della sua presenza, perché in qualche modo gli insegnava cose che non sapeva, cose che un liceo non avrebbe potuto insegnargli.
Grimmjow si voltò e non sembrò sorpreso di scoprire che Ichigo lo stesse guardando.
«Che hai, Kurosaki? Hai una faccia tremenda.»
«Grazie.»
«No, sul serio... fai una pausa, sei su quel libro da ore.» ribatté lui, e tagliò l'ultima metà di patata. «Per studiare bene devi fare una pausa ogni trenta minuti, di cinque minuti. E devi bere di più, o ti si asciuga il cervello.»
«Ma che dici?»
«È vero, me l'ha detto Kanda quando ero al liceo.»
Ichigo non riuscì a soffocare uno sbadiglio e si stropicciò gli occhi.
«Potevi dirmelo tre ore fa...»
«È vero. Scusa.»
Ichigo guardò l'altro esterrefatto, ma quello stava aggiungendo le patate alla zuppa senza badargli. Ancora abituato all'immagine dell'iracondo barista che aveva conosciuto faticava a trovare normale che parlasse con un tono pacato o che chiedesse scusa se si sbagliava. Non riusciva ad adattarsi agli sbalzi d'umore di Grimmjow; una volta gli diceva che aveva il cervello di un tacchino, altre volte lo difendeva dalle critiche degli altri. Non riusciva a capire lo schema, non sapeva se era lui a irritarlo in certi momenti o se dipendesse da tutt'altro. Grimmjow lo guardò di nuovo.
«Diventa sempre più scuro.»
«Eh?»
Ichigo capì a cosa si riferisse nello stesso momento in cui gli vide sollevare la mano e indicarsi il collo. Se lo toccò come d'abitudine, ma non c'era alcuna superficie riflettente dove potesse vedersi. Prese allora il cellulare e scrutò la propria immagine grazie alla fotocamera interna: il segno del pollice era rimasto pressochè uguale a quella mattina, ma sull'altro lato del collo era ancora più vistoso. Che fortuna, aveva davvero bisogno di un'altra preoccupazione insieme agli esami, i compiti arretrati, il lavoro che faceva di nascosto e i suoi tormenti emotivi non ancora chiariti su Grimmjow.
«Cazzo.»
«Ohi, sciacquati la bocca.»
«Ma tu dici sempre parolacce!»
«E allora?» sbottò lui. «Io sono un avanzo di galera, tu no.»
«Questo non ha davvero un senso.»
Grimmjow non rispose e sedette al tavolo, scorrendo lo sguardo sulla distesa di quaderni, libri e fogli sparsi di appunti. A Ichigo per qualche motivo venne in mente quando al bar si era messo a guardare i suoi compiti di matematica, quando aveva insultato Ishida parlando di "maestosa tracotanza", e quando quel professore aveva affermato che pochi studenti erano stati brillanti quanto lui...
«Grimmjow?»
«Cosa?»
«Senti... tu non eri male a scuola, no?»
«Meglio di te, sicuramente.»
Ichigo ignorò a fatica la frecciata e prese il quaderno d'inglese, sotto un mucchio di fogli volanti.
«Non è che daresti un'occhiata a questo?»
«Mi hai preso per una maestrina?»
«Devo consegnarlo lunedì, per favore...»
«Col cazzo.» sentenziò Grimmjow.
Non seppe dire come mai la richiesta gli fosse tanto indigesta, gli era parso più che felice di fare il maestrino dicendogli come si risolvevano gli esercizi di matematica anche quando nessuno gliel'aveva chiesto. Poi ebbe l'idea giusta, quella che forse poteva smuoverlo. Sospirò.
«E va bene... lo chiederò a Ishida... lui corregge sempre i miei compiti se glielo chiedo.»
Seppe che aveva avuto l'idea giusta quando vide lo sguardo mortifero che Grimmjow gli lanciò, ma fece finta di non notarlo e prese la borsa per riporvi il quaderno. Un momento dopo Grimmjow glielo strappò dalle mani.
«Dammi qua, cervello di tacchino.» borbottò irritato. «Quanto sei messo male se devi farti correggere i compiti? Come diavolo ti hanno preso in quella scuola?»
«L'ultimo, quello in fondo.» disse Ichigo, senza neanche degnarsi di rispondere alle basse provocazioni.
Grimmjow arrivò alle ultime pagine scritte, diede un colpetto di tosse e si accigliò. Lesse per qualche istante, poi si accigliò di più e si alzò di scatto dalla sedia, abbandonando il quaderno sul tavolo e andando verso le credenze rovinate. Ichigo lo guardò perplesso: era così malfatto che si era reso conto all'istante che era un compito inguardabile? E dire che gli pareva di andare discretamente bene in inglese.
Lo vide aprire un cassetto storto e prenderne fuori qualcosa che aveva una fantasia nera e verde. L'osservò senza capire mentre tornava a sedersi al tavolo e solo quando estrasse un paio di occhiali capì che la cosa nera e verde era una custodia di stoffa. Sbalordito oltre ogni dire lo vide infilarsi gli occhiali con la montatura a rettangolo arrotondato in verde metallizzato e riprendere a leggere sul quaderno di inglese. Per tutto il tempo della lettura Ichigo non si degnò nemmeno di cercare di interpretare la sua espressione per capire cosa pensasse del suo scritto: non fece altro che contemplare la surreale visione di un uomo con capelli azzurri, tatuaggi e occhiali da vista.
«Beh, non è male.» commentò alla fine Grimmjow posando il quaderno. «Il tuo problema è che usi linguaggi piuttosto semplici... non sono sbagliati, ma sembra scritto da un ragazzino... per esempio...»
Non tolse gli occhiali e allungò la mano per recuperare la matita, e prese a scribacchiare sulle pagine, mettendo una sbarra su alcune parole e scrivendovi sopra un sinonimo più ricercato. Ichigo sentì appena la metà di quello che gli stava spiegando, nonostante volesse a tutti i costi stare concentrato: la subdola fantasia che Grimmjow fosse davvero un suo professore lo distraeva in maniere che non aveva mai creduto possibili.
«Kurosaki... mi ascolti o no?»
«Ah, sì. Sto ascoltando.»
«Non sembra.»
«No, davvero, sto ascoltando...»
«È per gli occhiali?»
Grimmjow li sfilò guardandoli come se non li avesse mai visti prima. Sembrava quasi sorpreso di scoprire di averli sul naso.
«Sono strano con questi? Non li ho messi più dopo che ho smesso la scuola.»
«Ti servono per leggere?»
«Sì.»
«Ma al bar sei riuscito a leggere anche senza occhiali.» obiettò Ichigo, prendendoglieli dalle mani e osservandoli. «Quando avevo fatto male quei compiti di matematica.»
«Beh... i numeri li scrivi più grandi delle parole.»
«Davvero? Non ci avevo mai fatto caso...»
Spinto da un'infantile curiosità, Ichigo infilò gli occhiali verdi. Gli erano leggermente grandi alla misura delle stanghette, ma sul naso gli erano comodi. Non lo aiutavano affatto a vedere meglio cosa era scritto negli appunti, anzi, li sfocavano un po'. Non erano soltanto occhiali che ingrandivano le parole, servivano a correggere un difetto di vista.
«Ti stanno bene.» commentò Grimmjow guardandolo. «Sembri quasi uno studente serio.»
«Come sarebbe a dire? Io sono uno studente serio!»
«Che lancia libri alla bibliotecaria, marina le lezioni, esce di nascosto da scuola e lavora anche se le regole del suo liceo lo vietano... in un bar malfamato, poi...»
«Non è un bar malfamato, è solo vecchio e malmesso.» protestò Ichigo, decidendo di ignorare deliberatamente tutte le altre affermazioni. «Un po' come te.»
Il mostro di vanità che dormiva dentro Grimmjow alzò la testa e mandò una fiammata di avvertimento.
«Dov'è che sarei malmesso, eh? Io mi mantengo benissimo!» ribatté Grimmjow. «E se avessi un'uniforme potrei presentarmi a scuola e sembrerei uno studente come te... beh... con dei capelli che danno meno nell'occhio, magari...»
Si passò le dita fra i capelli, che nonostante fossero accuratamente pettinati in su cedettero a quel passaggio con una morbidezza inaspettata. Ichigo, che credeva che fossero praticamente plastificati in quella pettinatura, se ne stupì molto. Si chiese se potesse osare toccarli anche lui e dopo qualche secondo di brutale conflitto interiore alzò la mano e la avvicinò. Grimmjow gli lanciò un'occhiata intensa, ma non disse nulla e Ichigo sfiorò i capelli azzurri con la punta delle dita. Si sentiva come se stesse cercando di accarezzare una tigre.
«Sono dei bei capelli.» disse allora, sentendoli morbidi e lisci. «Non ti costa un sacco questo colore?»
«Costerebbe parecchio, sì.» ammise Grimmjow. «Se dovessi andare da un parrucchiere ogni volta che inizia a vedersi il colore vero spenderei mezzo stipendio così.»
«E allora come fai?»
«Lo faccio io... il mio vecchio capo mi procura quello che mi serve a un buon prezzo e faccio da solo.»
«Il tuo vecchio... capo?»
«Sì, quello del salone all'angolo della strada.» disse, indicando col pollice la direzione. «Ci passi davanti quando vieni al bar venendo da scuola, no?»
Ichigo fece mente locale, ma quando raggiungeva il bar dalla scuola incrociava solo un enorme salone molto chic all'angolo dove c'era il semaforo, sempre pieno di clienti, con i parrucchieri e gli apprendisti nelle loro sgargianti uniformi blu elettrico. Alzò gli occhi su Grimmjow.
«Vuoi dire... vuoi dire il salone con quel logo blu e oro?»
«Il Sapphire. Sì. Lavoravo lì, prima di lavorare per Barragan.»
Ichigo sbatté più volte le palpebre senza sapere cosa dire. Suo malgrado sorrise.
«Stai dicendo che facevi il parrucchiere?»
«No, l'apprendista.» disse lui, che evidentemente non trovava nulla di buffo in quella notizia. «Quando mi hanno rilasciato ero troppo giovane per lavorare in un posto che serviva alcolici, avevo diciassette anni, quindi sono andato a lavorare lì... poi, quando ne ho compiuti venti, sono andato a lavorare per Barragan...»
«E perché?»
Grimmjow non rispose subito come Ichigo si aspettava. Guardò la luce appesa al soffitto e ponderò la questione per diverso tempo, grattandosi il mento. Ichigo si chiese se qualcuno gli avesse mai fatto quella domanda, se lui ci avesse mai pensato.
«Non lo so. Mi piaceva anche il lavoro che facevo prima.» ammise. «Ma forse allora credevo che un posto buio e pieno di gente sgradevole fosse più adatto a me, rispetto a un salone di lusso tirato a lucido pieno di persone del tutto normali che facevano cose innocenti come farsi tagliare i capelli.»
«E ti sei mai pentito?»
Grimmjow emise un sospiro, come se sostenere quella conversazione fosse una cosa sfiancante per lui.
«Sì, in realtà... quando Barragan ha perso tutto ed è arrivato Aizen me ne sono pentito... diciamo che Barragan teneva aperto il locale come punto di scambio per cose... poco chiare.» disse Grimmjow. «Non gli importava che fosse tutto pulito, che ci fossero bicchieri, non avevamo nemmeno lo spillatore... era davvero una squallida bettola, c'era sempre poca gente e io lavoravo poco, anche se dovevo stare lì tutto il giorno... l'arrivo di Aizen ha cambiato le cose... insomma... l'hai visto anche tu che mi minaccia continuamente di licenziarmi, sapendo a cosa vado incontro se succede.»
Ichigo annuì. Non ritenne saggio svelargli che Aizen lo faceva solo per smuovere la sua voglia di fare.
«Lavoravo da solo, e con il cambio di gestione è arrivato un cambio di clientela... la prima volta che mi sono trovato davanti alla folla del week end, come è successo a te, non sapevo più cosa fare, e non avevo nessuno più esperto che mi dicesse a cosa dare precedenza, o cosa dire... francamente è stata la terza sera più brutta della mia vita.» commentò Grimmjow cupo. «E ho deciso che non sarebbe successo mai più... ho trovato sempre più modi per semplificarmi la vita e ho imparato ad avere gli occhi ovunque e usare le mani come se ne avessi otto. Era sopravvivenza, per me, o riuscivo a farlo o tornavo in prigione.»
«Ora sei diventato bravissimo, Grimmjow. Non ti perdi mai e non sbagli mai.»
«Beh, sei anni di esperienza ogni giorno fanno il loro lavoro.»
Qualcosa nel cervello di Ichigo si inceppò mentre stava per dirgli di non minimizzare quello che era riuscito a diventare. Richiuse la bocca senza aver parlato. Aveva detto di aver lavorato nel salone fino ai venti anni, quando aveva potuto lavorare al bar per Barragan. E aveva appena affermato di essere stato forgiato da sei anni di esperienza. Questo significava...
«Tu hai ventisei anni?!»
«Beh, ventisette... Non te lo avevo detto?»
«Hai dieci anni più di me?!»
Grimmjow lo guardò perplesso, forse non riuscendo a cogliere il motivo di così tanta sorpresa, poi esibì un sorriso dei suoi più irriverenti.
«Oh, non li dimostro, vero? Non sembro poi così vecchio, eh?»
Ichigo aprì la bocca più volte senza riuscire a dire niente. Si rese conto di essere l'assurda parodia di un pesce rosso, ma ciò non lo turbava nemmeno lontanamente come il rendersi conto che un barista ventisettenne aveva una specie di infatuazione per lui. Non che lo potesse negare nemmeno prima; gli sembrava che quel bacio sul collo e quelle carezze di qualche giorno prima non lasciassero alcun dubbio, ma per qualche ragione pensare che tra loro c'era una così grande differenza di età lo lasciava di sasso. Non si era aspettato un divario di dieci anni, e ciò lo deluse, come se qualsiasi tipo di rapporto fosse diventato impossibile fra di loro. Si sentì quasi come se si trovasse davvero ospite a casa di un suo professore.
Forse la confusione che provava si manifestava sul suo viso, perché anche Grimmjow cambiò espressione.
«Perché quella faccia, Kurosaki? Cosa c'è che non va nella mia età?»
«Niente... cosa non dovrebbe andare bene? Niente...»
«Hai una faccia strana... come se avessi paura.» commentò Grimmjow, posando il mento sulla mano e osservandolo con curiosità. «Ti spaventa che io sia così tanto più grande di te?»
«La cosa che mi spaventa è che uno della tua età viva accampato in un garage e mangi come un ragazzino, sì.»
Ichigo si alzò e nel disperato tentativo di sottrarsi a quelle domande si avvicinò alla pentola a controllare la zuppa. Si prese qualche momento per mescolarla con un consunto cucchiaio di legno e dato il silenzio si illuse di essere scampato al pericolo.
«Kurosaki, lascia stare quella zuppa, parliamo di questa cosa.»
«Questa cosa cosa?»
«È per il modo in cui ti ho trattato quella sera?»
«Quale sera?»
Ichigo si rese conto che il tono precipitoso della sua domanda tradiva il fatto che avesse capito di che cosa stessero parlando. Prese un respiro cercando di calmarsi e smise di rimescolare una zuppa di patate ancora crude. Non aveva senso scappare. Non aveva nessun altro a cui chiedere per fare chiarezza nei suoi pensieri, nessun altro di cui si fidasse abbastanza da scoprire una ferita così delicata.
«Sì... è anche per quella sera.» ammise infine. «Non riesco a capirti, Grimmjow, e non capisco nemmeno cosa penso io. Sono confuso, e tu mi confondi sempre di più.»
«Te l'ho già detto che capirmi non è cosa facile, e poi sei un ragazzo, mica è facile capirci qualcosa a quell'età.»
«Ora parli come un quarantenne.»
«Diciamo che la vita mi ha fatto invecchiare dentro.» tagliò corto Grimmjow con una punta di irritazione malcelata. «Ora smetti di fissare quelle patate e siediti qui.»
Ichigo abbandonò la confortante pentola delle patate e andò a sedersi, ma avrebbe preferito potersi perdere nella contemplazione della zuppa. Almeno le patate non avevano quegli occhi azzurri e intensi.
«Sappi che non starò seduto qui a parlare con te di sesso come se fosse quella conversazione tra padre e figlio.»
«Non credo che tu abbia bisogno di quella conversazione.» ribatté Grimmjow. «E poi come potrei fartela io? Non ho praticamente mai avuto un padre, figurarsi se mi parlava di cose del genere.»
Ichigo lo guardò per un momento, ma solo uno, prima di sospirare e fissare un evidenziatore. Era azzurro anche quello, ma non era così difficile guardarlo.
«Sono nervoso.»
«Sì, lo vedo, ma perché?»
«Sono confuso, non capisco che cosa vuoi da me.»
«Io credo che tu sia nervoso perché sai che cosa vorrei da te.»
Ichigo si irrigidì suo malgrado. Improvvisamente sentì la gola molto secca e desiderò avere un po' d'acqua.
«Sono sicuro che sai che cosa vorrei, sono stato esplicito nel mostrartelo... anche troppo... vero?» disse ancora lui. «Tu non ti sei accorto della differenza di età, ma io lo sapevo che frequentavi il liceo, sapevo che non avevi più di diciotto anni... avrei dovuto tenerlo a mente. Mi dispiace se questo ti ha spaventato.»
«Non è... questo... ho superato da un pezzo l'età del consenso, e poi non te l'ho nemmeno dato.»
«Lo so, per questo ho smesso, io non sono un tipo insistente.»
«Smesso? Smesso dove?» replicò Ichigo, un po' più aggressivo di quanto volesse. «Mi hai baciato sul collo solo ieri!»
«Ah... quello... quello non era... non l'ho fatto apposta, mi è venuto così.» si giustificò Grimmjow, alzando le mani. «Giuro, non era per provarci.»
Ichigo raggranellò un po' di coraggio e lo fissò negli occhi. In quel momento però sembrava essere lui quello in difficoltà e con lo sguardo sfuggente, e questo gli fece pensare che fosse in imbarazzo.
«Quindi non ci pensi più?»
«A te? In quel modo?»
Grimmjow inclinò lievemente la testa, e Ichigo si chiese se non stesse ponderando una bugia.
«Beh... diciamo che se ci penso cambio argomento.»
Ichigo lo fissò con quella che sperava essere un'espressione di disapprovazione.
«Sei... ohi, ti ho sempre davanti, ti ho pure in casa mia, mica è facile far finta che non ti ho visto!»
«Ti faccio davvero così tanto effetto? Perché mi sembra di non essere niente di speciale.»
Grimmjow fece roteare pigramente la matita fra le nocche e la osservò fino a che non gli sfuggì rotolando sul tavolo. Senza più distrazione prese un respiro profondo, ma non lo guardò.
«Non è stato tanto il tuo aspetto.»
«E allora... cosa?»
«Tu... non mi conoscevi, ma sembrava che ti importasse di me. Mi hai chiesto come mi chiamavo, e sembrava... beh, sembrava che il modo in cui Aizen mi aveva parlato ti avesse infastidito. Sembrava che ti importasse di un perfetto sconosciuto in un bar squallido.»
Ichigo ricordò bene l'avversione che gli era uscita istintiva verso Aizen, e sapeva che aveva cercato di parlare con il barista per qualcosa di diverso dall'aspettare la fine del piovasco. Avrebbe potuto solo osservarlo, o ascoltare il battibecco dei due bevitori di birra, ma non l'aveva fatto. Forse era stato davvero spinto dal fatto che gli dispiacesse per il trattamento che gli era stato riservato?
«Quando sei tornato ho pensato che forse avevi deciso di fare un altro tentativo... non so esattamente cosa credevo che pensassi, non avevo le idee chiare... quando poi sono arrivati loro, mentre eri da me, a quel punto ho creduto per un momento che fossi della banda. Ho creduto che li avessi portati tu a casa mia.»
«Ma Grimmjow, come hai potuto pensarlo?»
Lo feriva che lo avesse ritenuto uno di una banda criminale tanto vile da cercare un ex membro e consegnarlo a chi aveva un conto in sospeso con lui, ma dovette realizzare la cosa: allora erano estranei, Grimmjow aveva avuto ogni ragione per pensare che quella sgradita visita non fosse casuale.
«Non ti conoscevo... ma tu hai cercato di... aiutarmi. Nessuno della loro risma mi avrebbe assistito dopo un pestaggio. Non gli era importato di me nemmeno quando ero uno di loro e sono rimasto intrappolato svenuto in una macchina accartocciata, nessun nuovo arrivato della banda sarebbe rimasto a badare a me. Nessuno ha mai badato a me, nessuno ha mai provato ad aiutarmi, prima che arrivassi tu.»
«C'è da dire che tu non lo rendi facile, ringhiando insulti a chi ci prova.»
«Un animale ferito dall'uomo non sa che il prossimo che incontrerà potrebbe essere diverso da quelli prima. Crede che siano tutti uguali, e pensa che deve difendersi.»
«Ma tu non sei un animale... lo sai che non tutte le persone sono uguali.»
«Adesso lo so.»
Ichigo non riuscì a reprimere un sorriso. Non si era mai pentito di essere rimasto, non aveva mai pensato che avrebbe fatto meglio a lasciare che quel barista ex galeotto se la vedesse da solo con i poco raccomandabili membri della banda. Era ancora convinto di aver fatto il meglio che poteva, secondo la scelta migliore che aveva. Nemmeno quando si era spaventato e innervosito per le attenzioni disturbanti di Grimmjow si era mai pentito, e dopo quella confessione così genuina era sicuro che non se ne sarebbe pentito per tutta la sua vita, succedesse anche il più irrimediabile dei guai.
Grimmjow però parve improvvisamente corrucciato.
«Kurosaki?»
«Che c'è...?»
«Hai tre colori nell'astuccio... perché nei tuoi appunti usi solo l'azzurro?» gli domandò, ed esibì nuovamente il sorriso irritante. «Non sarà mica il tuo colore preferito? O forse ti fa pensare a me?»
Ichigo, che se n'era accorto da solo e che un po' si sentiva colpevole per questo, si alzò bruscamente per tornare a rimestare la zuppa.
«Se vuoi saperlo, è l'evidenziatore che odio di più. Lo uso per finirlo in fretta.»
L'espressione di Grimmjow si rabbuiò.
   
 
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