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Autore: Enchalott    21/01/2020    4 recensioni
Questa storia è depositata presso lo Studio Legale che mi tutela. Non consento "libere ispirazioni" e citazioni senza il mio permesso. Buona lettura a chi si appassionerà! :)
"Percepì il Crescente tatuato intorno all'ombelico: la sua salvezza, la sua condanna, il suo destino. Adara sollevò lo sguardo sull'uomo che la affiancava, il suo nemico più implacabile e crudele. Anthos sorrise di rimando e con quell'atto feroce privò il cielo del suo colore".
Genere: Avventura, Introspettivo, Sovrannaturale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Il Nemico
 
Adara guardò con terrore l’energia luminosa, stretta tra le dita contratte del principe, montare in un baleno e avvolgerlo completamente. Sapeva cosa stava per accadere. Rabbrividì a quello sguardo tempestoso, nel quale non albergava pietà alcuna.
Anthos l’aveva avvisata: non avrebbe più tollerato quanto giudicava una mancanza di rispetto nei suoi riguardi, in particolare l’eccessiva contiguità con Narsas. Era forse giunto per tenere fede a quella drastica promessa?
“Allontanati da lei” ringhiò il reggente, perentorio e minaccioso.
L’arciere gli restituì un’occhiata parimenti adirata e non si mosse di un passo.
“Hanno cercato di ucciderla” obiettò, adamantino “Qui, nonostante… voi!”.
“Credi che non lo sappia?” mormorò l’altro in risposta, sollevando la destra.
Il potere si impennò in una scia verdastra e colpì, scaraventando selvaggiamente il ragazzo contro la parete, strappandolo alla stretta della principessa e inchiodandolo al muro. Narsas avvertì la medesima sensazione devastante e spietata che lo aveva travolto sulla Xiomar e non tentò neppure di reagire. Ma non abbassò lo sguardo.
“No, Anthos!” gridò Adara, cercando di frapporsi tra i due “Non farlo! Se non fosse stato per lui, mi avrebbe presa! Lascialo andare! Qualunque cosa fosse quella morte invisibile che mi inseguiva poco fa, si è fermata!”.
“Ti suggerisco di farti da parte” ribatté lui, ignorandola e incrementando la presa.
Il guerriero Aethalas gemette debolmente all’aumentare della costrizione.
“Per tutte le stelle, Anthos! Non te lo lascerò fare!” esclamò lei, furibonda “Smettila! O dovrai uccidere anche me!”.
Spalancò le braccia e si mise davanti al guerriero del deserto, ricevendo in pieno su di sé il flusso violento del potere emanato dal principe. Provò sul proprio corpo l’impatto di quell’energia sterminatrice e divenne preda di un dolore indicibile, che la privò di ogni forza e di ogni volontà. Comprese cosa significasse essere l’obiettivo di una tale furia disumana, quanto fosse arduo opporvisi, quanto fosse impossibile addirittura radunare i pensieri, eppure non rinunciò a fare da scudo al ragazzo.
Lo sguardo glaciale di Anthos mutò di colpo, tuttavia l’emanazione non si interruppe.
Narsas impallidì, non riuscì neppure a urlare come avrebbe voluto, meno che mai a muoversi per impedire alla donna che amava di morire per lui. Rimase sospeso in quello stato fisico e mentale atroce, completamente sprovvisto di risorse e soluzioni.
Poi il Crescente si attivò.
Una luce intensa, cremisi, spezzò l’esalazione energetica, deviandola bruscamente verso l’alto. L’intonaco si sgretolò, piovendo in calcinacci, e il reggente fu costretto ad arretrare per evitarli. Richiamò quindi a sé il potere in un unico movimento fluido.
La sospensione fu sufficiente a Narsas per sottrarsi con sforzo a un eventuale nuovo attacco, ma non per raggiungere Adara, che piombò a terra priva di sensi.
Mentre l’arciere ansimava, piegato su se stesso a poca distanza, furente, stringendosi il petto, il principe avanzò implacabile attraverso la polvere e le si accostò per primo. Posò un ginocchio sul pavimento, allungando la mano a toccarla, le scostò i capelli dal viso e le sue dita si diressero poi a sfiorarle il collo. Sogghignò trasparente, come se avesse saputo in anticipo che lei avrebbe agito a quel modo.
“Siete… un dannato pazzo!” boccheggiò Narsas, constatando dall’espressione paga di lui che la principessa era viva “Perché non avete arrestato il colpo!?”.
Anthos sollevò la ragazza inerte tra le braccia, fissandolo con estrema ostilità.
“Perché negarle quanto ha cercato spontaneamente?”.
“Con me la vostra mascherata non funziona!” sbottò l’arciere “Sono stanco di accontentarmi delle vostre boriose esternazioni! Avete percepito immediatamente quella presenza maligna… o non sareste intervenuto tanto celermente! Così come sapevate benissimo che non ne ero io l’origine! Non è vero, principe del Nord?”.
Anthos aggrottò la fronte, irritato, ma non schivò l’ormai inevitabile confronto.
“Ovviamente” replicò algido “Avevo bisogno che la creatura oscura pensasse che io avessi erroneamente scambiato te per il responsabile. Desidero che si senta sicura di sé per mantenere il mio vantaggio. Inoltre, ho piacevolmente approfittato della contingenza per impartirti un’altra lezione. Non ce ne sarà una terza, Aethalas”.
Narsas spalancò gli occhi a fronte di quel ragionamento accorto e sottile e per la fredda manovra con cui il sovrano lo aveva messo in pratica.
“Ciò non toglie che avreste potuto evitare di coinvolgere Adara!” infuriò “O miravate a fornire un insegnamento di qualche tipo anche a lei?”.
“In un certo senso” ammise il principe, socchiudendo le palpebre “Mia moglie deve imparare in primis a non contraddirmi. Inoltre, è bene per lei apprendere il corretto innesco di Leuhan. Poiché, diversamente da quanto credi e nonostante l’esperienza vissuta al suo fianco, è già coinvolta. È lei che vogliono, non me”.
Il ragazzo dovette ammettere che il reggente non stava affatto sbagliando.
Leuhan?” ripeté poi sorpreso “Non è il dialetto di Jarlath… alludete forse al Crescente? Che significa tutto questo? Come può essere… controllato?!”.
“Mh…” ridacchiò Anthos, passando rapidamente a comunicare con l’interlocutore nell’idioma locale “È solo la forma più arcaica della parlata che tu ben conosci. Quanto al resto, sono le emozioni inconsce di Adara ad avviare il potere della mezzaluna. Ha voluto difendere la tua effimera vita, così il suo tenace desiderio è convogliato nel fenomeno cui hai assistito. Ci contavo, in verità”.
“Cosa? Si è trattato di un semplice esperimento?!” si inasprì l’Aethalas, rispondendo nella stessa lingua “Voi avete messo a rischio la sua incolumità, siete un essere indegno! E poi… come facevate a saperlo? Non è mai accaduto prima d’ora!”.
“Non davanti a te!” sferzò il principe “Con me si è verificato in svariate occasioni”.
Narsas strinse il puntale dell’arco appoggiato sul pavimento, rabbuiandosi.
“Se ciò significa che la mettete volutamente in pericolo onde sfruttarla per uno dei vostri fini ignobili, io non ve lo permetterò…”.
Il principe scosse la testa, divertito, e inchiodò gli occhi in quelli scuri del ragazzo.
“Succede ogni volta che me la porto a letto. Lo giudichi un rischio o un fine?”.
L’arciere fremette, avvampando di collera incontenibile. Non ribatté.
Anthos abbassò lo sguardo sulla principessa ancora incosciente e poi lo risollevò, implacabile e feroce oltre ogni immaginazione.
“La vorresti per te, non è vero?” domandò secco.
“Sì” rispose Narsas senza esitare, fissandolo con pari furia e senza alcun timore.
“La ami, dunque?”
“Sì”.
“Perché lo confessi a me, mentre lei non ne è al corrente?”.
“È quanto vi spetta. Se possedete una scintilla di onore, lo terrete per voi”.
“Con questo aneli ribadire la tua avversione nei miei confronti?”.
“Vi vorrei morto. Ma c’è una parte di voi che non riesco a detestare”.
“Quale? Potrei farti un favore e porvi rimedio, conoscendola”.
“Il vostro sarcasmo non è che uno sterile tentativo di difesa, che su di me non ha effetto. È quanto Adara ha inteso in voi che mi impedisce di odiarvi. Il mio cuore mi suggerisce di non farlo, perché si fida ciecamente dei sentimenti della principessa”.
“Sentimenti?” sogghignò Anthos, sprezzante “Non dire idiozie, ragazzino”.
“Siete davvero convinto che lei vi abbia sposato solo per evitare la catastrofe universale o per timore che metteste in pratica le vostre efferate minacce?” espose freddamente Narsas “Che vi avrebbe accettato comunque, se non avesse provato qualcosa, pur di infinitesimale, per voi? Ve ne siete reso conto, altezza?”.
Il principe strizzò gli occhi con tenacia e l’oro in essi scintillò più intenso che mai. La sensazione che lo aveva folgorato durante la sua prima notte con lei e che aveva attraversato palesemente anche Adara, respinta da entrambi con estrema forza, gli tornò alla mente con rinnovata lucidità. La bloccò. In fondo, più che le mere percezioni o le intenzioni astratte, a contare veramente erano le scelte effettuate nel concreto. Come la sua di non farsi abbagliare da uno stupido cedimento emotivo o quella di sua moglie di non concedergli di sé altro che il proprio corpo.
Come la tua di non farle del male. O la sua di restarti accanto a qualunque costo.
“Non ho necessità di fare ammenda” rispose infastidito, accennando ad allontanarsi “Come tu devi rassegnarti essenzialmente a due circostanze: tra me e la tua adorata principessa esiste un semplice accordo, nel quale ciò che chiami amore non ha spazio alcuno né da parte mia né da parte sua. In base a questa assenza di pathos, potresti inopportunamente giungere a sperare di poterla ancora avere per te, ma qui interviene il secondo fattore. Cioè che io non te la restituirò mai”.
Narsas raddrizzò ulteriormente le spalle, affrontando a testa alta quei termini altezzosi, carichi di una collera sottocutanea che ben comprendeva.
“Restituire?” ripeté con durezza “Vi autoaccusate di furto? I sentimenti veri non si possono rubare, soffocare o cancellare. Fingete pure di non saperlo, se preferite”.
Il reggente rise apertamente, privo di qualsiasi calore, ormai diretto altrove.
“Furto… mi piace” mormorò “È corretto, in fondo. Se non fosse stato per me, probabilmente tu e lei ora sareste insieme, legati indissolubilmente. Ma non è andata così. Rinuncia ai tuoi sogni, arciere. Lei mi serve. Pertanto la terrò con me nel mio talamo e farò l’amore con lei ogni volta che ne avvertirò il desiderio, fino alla fine dei miei giorni o dei suoi. Certo che termineranno prima i tuoi”.
Il guerriero del deserto sentì il bruciare delle lacrime di rabbia agli angoli degli occhi, ma le trattenne e si concentrò su ciò che aveva udito. Su ciò che suonava come un’inconsueta stonatura. Su ciò che forse non lo era. Paradossalmente, sorrise.
“Principe Anthos…” chiamò, infilandosi l’arco in spalla e attendendo che lui si voltasse per sputargli in faccia ciò che pensava “Avete detto “farò l’amore”? Per un attimo ho pensato che steste parlando semplicemente di sesso e di procreazione. Lieto di essermi sbagliato, ora posso rassegnarmi senza alcun cruccio”.
Il sovrano del Nord lo squadrò, indecifrabile e furente, poi sparì oltre l’arco di pietra.
 
Il tempo delle attese era finito. Non perché avvertiva i ghiacci diventare acqua e devastare con inarrestabile rovina il suo Regno; non perché quello era un indubitabile segno di quanto aveva sempre cercato di evitare e che, invece, si stava verificando come prescritto; non perché la donna che portava tra le braccia era stranamente incolume, persino da lui stesso, e non portava ancora in grembo la sua agognata discendenza; non perché si era lasciato sfuggire un misinterpretabile eufemismo davanti al presuntuoso moccioso Aethalas.
Perché la priorità era decisamente un’altra.
Il reggente depositò Adara sul giaciglio che adoperava quando, in passato, trascorreva le proprie notti solitarie sulla cima di Leu-Mòr. Nessuna più, da quando aveva sposato lei un paio di mesi prima. Nessuna utile. L’impasse lo adombrò.
Aveva fatto in modo che la porta esterna della Torre si aprisse anche per sua moglie, affinché potesse girare per la fortezza quando lo desiderava, certo che non lo avrebbe mai tradito. Non si era sbagliato da quel punto di vista, ma era stato un idiota dall’altro: l’aveva resa vulnerabile a un attacco diretto, che non aveva previsto, perché era stato distolto da altre congetture. Al contempo, si era reso attaccabile poiché, che gli piacesse o meno, concederle libera uscita era una primordiale forma di fiducia. Cioè un’odiosa debolezza.
La priorità era, dunque, recuperare il pieno dominio… a cominciare dall’esecuzione istantanea del suo nemico. Se lui fosse morto, Anthos non avrebbe più dovuto perdere tempo a proteggere la principessa e sarebbe tornato a concentrarsi su ciò che era di suo maggiore interesse, cioè come arrestare la Profezia.
Osservò la ragazza, immersa in una sorta di sonno profondo dovuto alla spossatezza derivata dall’attivazione incontrollata di Leuhan, avvolta nel mantello che le aveva regalato. Perché lo indossava tanto spesso? Tempo prima gli aveva palesato di gradire il suo profumo e Anthos si era profondamente sorpreso, non solo perché non usava nessun olio aromatico sulla pelle… con quelle parole Adara pareva aver ammesso che c’era qualcosa di lui che le piaceva, per quanto assurdo potesse essere. E ora, quel dannato arciere aveva tentato di convincerlo che lei lo avesse preso come marito per la stessa stolta ragione! Non avrebbe permesso a nessuno di confonderlo con tali insulsaggini!
Si alzò, lasciandola distesa tra le coltri di pelliccia. Non sarebbe stata in grado di uscire dalla guglia di Leu-Mòr da sola, così non l’avrebbe intralciato.
E lassù non sarebbe stata in pericolo.
Anthos scacciò quella considerazione, sintomo di una pecca che sarebbe svanita di lì a poco. La priorità era uccidere.
 
Percorse a ritroso la scala a chiocciola, preparandosi mentalmente all’azione in uno stato di concentrazione profonda e lontana da ogni interferenza.
Attraversò l’ala est del castello in lente falcate, come se non avesse fretta, con il lungo mantello azzurro che sventolava ad ogni passo, pari a un’ombra tenace. Sollevò il cappuccio sui capelli biondi, celando il viso imbronciato al resto del mondo e imboccando un accesso secondario e poco conosciuto.
Scese i gradini umidi e ripidi senza emanare alcuna luce, guidato solo dal proprio potere sopito, trattenuto a redine corta per non farsi incautamente intercettare. Solo dal Medaglione scaturiva una fioca luminescenza, occultata tra le pieghe dell’abito e tiepida come una seconda pelle.
Si inoltrò attraverso il passaggio tenebroso e sgradevole delle carceri di Jarlath, indisturbato, facendo balenare l’oro sfolgorante dei propri occhi, protetto dalla spessa stoffa opaca, alla fiamma discreta delle torce. Tanto silenzioso e impalpabile, che i guardiani armati quasi non si accorsero di lui e si inchinarono con terrore solo quando era ormai lontano nel lungo corridoio di roccia sbalzata.
Transitò davanti all’infilata delle celle, incurante dei lamenti e dei rantoli d’agonia dei suoi prigionieri, raggiungendo le segrete. Si diresse a una porta quasi mimetizzata con la parete, riconoscibile perché la muffa che aderiva alla sprangatura di ferro era diversa da quella che contornava il muro grigio. Non c’era serratura.
Anthos spezzò senza sforzo il sortilegio che sbarrava l’uscio, mandandolo a sbattere contro il tramezzo in un rugginoso stridere di cardini. L’urto violento risuonò improvviso nel buio, estinguendosi in una lunga eco attraverso il labirinto sotterraneo.
Il prigioniero sussultò, sbarrando gli occhi per il panico simultaneo, e non riuscì neppure ad alzarsi, rimanendo seduto a terra con le gambe liquefatte dalla paura.
“È ora che tu mi dica quanto hai tentato improvvidamente di nascondermi” sentenziò il reggente, avanzando verso di lui inesorabile.
Le labbra esangui di Shion presero a tremare e il suo silenzio stravolto non fece che esacerbare l’impazienza del suo persecutore.
“Sto aspettando” ribadì il principe, sollevandolo dal suolo senza alcun movimento.
“Io non… io non so nulla, io sono ai vostri ordini…”.
Il respiro gli si bloccò in gola: una morsa invisibile, peggiore di quelle che aveva sperimentato in precedenza, seppur priva della sostanza contagiosa che aveva percepito, gli serrò il collo e lo sprofondò contro la grata cieca al fondo della cella.
“Sì, sei ai miei ordini. Ma anche a quelli di qualcun altro. Parla, moccioso!”.
Il ragazzo impallidì ulteriormente, tremando in tutto il corpo, con le sbarre metalliche dell’inferriata che gli si conficcavano dolorosamente nella schiena.
“Lui… il Nemico… mi ucciderà…!” balbettò disperato.
“Lo farò prima io, se non ti decidi a confessare” sogghignò Anthos “Garantisco che ti farò molto più male di chiunque altro”.
“Vi prego, io…” esalò lui, in lacrime.
Poi gridò, sentendo le proprie membra torcersi all’inverosimile, al limite della sopportazione in quell’atrocità prolungata.
“Il Nemico…” sussurrò il principe, algido “Che soprannome dignitoso si è scelto Urien… sì, sapevo da tempo che stava tramando qualcosa, non ti angosciare” aggiunse poi, prendendosi gioco dell’espressione di puro terrore nelle iridi di Shion.
“Non… non lo so…” rantolò il ragazzo, perso nella sofferenza.
La stretta tenace aumentò in un esplodere di afflizione bruciante. Gridò ancora.
“Fatti aiutare a rammentare” sibilò il reggente, spietato “E’ stato il mio fedele Consigliere a tentare di uccidere Adara? L’orchya, i lupi, il ponte crollato… dimentico qualcosa? Ah, giusto, l’attacco sconsiderato di poco fa. È tua sorella, puoi anche passarci sopra nella tua infinita viltà, Shion. Tuttavia, si tratta anche di mia moglie e qui non andiamo più d’accordo, ahimè”.
“Io… non pensavo che lui volesse… se ne fossi stato a conoscenza, io… mi ha detto che voleva impedirle di raggiungere Jarlath…”.
“E come pensavi che agisse? Con un “per favore torna a casa”? Oh, sono sicuro che gli avresti detto di no, ma certo! Come quando ti ha fornito il veleno per uccidere Dionissa! Fammi riflettere… è tua sorella anche lei o sbaglio?”.
“Io ero convinto che fosse il solito siero, quello che voi mi avete comandato di somministrarle! Quando ho compreso…”.
“Sei fuggito… bene, ho capito come sei giunto qui. Sei un tale imbecille che su questo potrei anche crederti!” sferzò Anthos “Ho smesso di bermi la fandonia degli Aethalas assassini quando ho incontrato il figlio del loro bailye… non che prima ci fossi pienamente cascato, invero. Il dubbio mi è venuto, ma siccome detesto provare incertezza, tu e il tuo mentore ne farete le spese!”.
Shion urlò con tutto il fiato che gli era rimasto, in preda alle convulsioni.
“Adesso che ci faccio caso, sto parlando solo io. Tu non mi hai ancora chiarito la motivazione fondamentale di Urien. Vuole uccidere me? Tenta di compiere la Profezia per un tornaconto personale oppure è a sua volta agli ordini di qualcuno?”.
Le lacrime di Shion gocciolarono a terra e tornarono a riempirgli gli occhi, accecandolo. Non sentiva più nulla di sé, eppure il dolore continuava ad attanagliarlo.
“Odia voi e…” boccheggiò inerme “Non ha detto perché… neanche a me che sono suo… che gli ho creduto… gli ho… obbedito!” ammise con infinito orrore.
Anthos inarcò un sopracciglio, allentando lievemente la presa energetica. Se l’ambizione del suo sfuggente braccio destro gli era chiara, il suo scopo restava invece piuttosto nebbioso. Tuttavia, un sospetto già seminato cominciò a prendere una forma molto più decisa.
“Me ne farò una ragione. L’astio altrui non mi ha mai intaccato. Semplicemente, morirà. Tu, invece, sei ancora in tempo a collaborare e a trapassare con onore. Come ti ha convinto? Perché ti ha fornito i rotoli con la Profezia? Rispondi!”.
“L’unica soluzione…” biascicò Shion, ormai fuori di sé per la tortura che stava subendo “Lui è l’unica soluzione…la salvezza per tutti…”.
“Di cosa stai parlando!?” tuonò il principe, furibondo.
“Il Nemico è… antico… il Nemico… lui era presente, in quel giorno…”.
Il reggente interruppe la coercizione all’istante e il ragazzo si afflosciò al suolo, tossendo penosamente e rigurgitando saliva e sangue tra le dita irrigidite.
“Presente?” ripeté, più per convincersene definitivamente.
Shion annuì, sollevando gli occhi nocciola cerchiati di rosso e il volto diafano e gonfio.
“Voi siete l’unico ostacolo… interposto tra il sommo Urien e il Distruttore…” ansimò faticosamente “Io penso sia così… anche se non l’ha chiarito… il Nemico cerca Irkalla per fermarlo, ma non… non è più palese come prima… se elimina il dio condannato, l’apocalisse non avverrà e…”.
“Dunque è così che ti ha agguantato” concluse Anthos “Ti ha convinto ad aiutarlo con la promessa che avresti contribuito a salvare il creato e tu, da pusillanime quale sei, hai accettato senza usare il cervello. Non ti sei tirato indietro neppure quando hai riscontrato la verità dei fatti e dei metodi, sei solo fuggito! Mi fai schifo, ragazzino…”.
“Il Nemico è potente… solo lui può arrestare la fine…”.
“Continui ad esserne ostinatamente convinto?” si meravigliò il principe con fastidio.
“Non… non lo so… lui c’era… allora, era là…”.
“Urien è un deamhan? O cos’altro?” lo incalzò ancora, furente.
Il giovane elestoryano si coprì il viso con le mani, singhiozzando.
“Non uno. Tutti” affermò una voce tetra alle loro spalle.
“Ma guarda” ringhiò il reggente, ben poco sorpreso, senza girarsi “Lupus in fabula, come nelle peggiori commedie…”.
Il Primo Consigliere sgusciò dall’oscurità opprimente del fondo della cella, ancora più nero del buio stesso, avvolto nella cappa bruna che lo ammantava totalmente.
Shion gemette e abbassò la fronte a terra alla vista dell’ombra, evidenziata soltanto dal luccichio sinistro degli occhi borgogna.
“Sapevo che non eravate uno stupido” commentò rivolto al signore del Nord “Speravo almeno che foste più… come dire… distratto”.
“Ho sempre sospettato di te, Urien, non pensare il contrario… solo mi mancava la prova regina del tuo deliberato tradimento. Puoi scostare il cappuccio e mostrare chi sei davvero, ora” affermò Anthos, inflessibile.
“Il mio volto non vi dirà nulla” ribatté la creatura “Comunque, se ci tenete tanto…”.
La stoffa pesante si abbassò sulle spalle ingobbite, rivelando la pelle grinzosa e bruciacchiata del Nemico, come se fosse stato a lungo esposto a una vampa di calore insopportabile, ricavandone un’ustione permanente e livida. Le iridi sfumate di vinaccia, prive della protezione del mantello, baluginarono ancora più crudeli e ingannatrici in quella sembianza ripugnante.
Sul suo mento campeggiava l’incisione nera di un triangolo a testa in giù.
“Il tuo aspetto disgustoso, invece, racconta più di quanto pensi” sogghignò il reggente, provocandolo “Per esempio, quel tatuaggio suggerisce la possessione da parte di tutto ciò che è male, provando quanto hai affermato prima. Sei un misero e rivoltante coacervo di deamhan, Urien. E lo sei perché senza i poteri oscuri di cui ti sei reso involucro risulteresti un semplice umano privo di magia!”
“Umano?! Questo lo pensate voi!” esclamò l’essere avverso, in un’esplosione di collera “Sarà proprio la vostra vanagloria a decretare la vostra sconfitta!”.
“Vorresti farmi credere che prima eri altro rispetto a un comune mortale?” rise Anthos, tutt’altro che impressionato “Quindi, sei per giunta un individuo privo di orgoglio… che si è sottomesso alle forze maligne per provata incapacità personale?”.
“Sottomesso!?!” tuonò Urien, furibondo “Io domino e controllo! Io, unico nell’universo, sono stato in grado di scoperchiare Yfrenn-amrri e sopravvivere a quanto vi ho trovato! Io governerò la Profezia, neppure Irkalla potrà arrestare la mia ascesa, gli sottrarrò la facoltà decisionale e per voi, creature mortali, non ci sarà scelta! Adorerete me come unico e assoluto signore! Io sono il dio del Nulla!!”.
Il principe inarcò un sopracciglio, ma non parve curarsi dell’infausta notizia appena pronunciata dall’avversario, come se avesse appena completato il mosaico mentale con l’ultima fondamentale tessera mancante.
“Non esiste una divinità del genere, non avrebbe senso” rispose poi, caustico “È un titolo che ti sei attribuito in autonomia, nella tua mente folle. Il Distruttore ti riderà in faccia… se sopravviverai a me, ovviamente”.
Il Nemico scoppiò in un’ilarità roca, che rimbombò per la volta bassa delle carceri.
“Tu, che pretendi di personalizzare la Profezia a tuo piacimento, sarai il primo a morire” sibilò come una belva che si prepara alla contesa “Tu con la donna che ti sei scelto, a scanso del presunto potere di Leuhan. Voi e le intriganti veggenti dei Due Regni non avete ragione di sussistere. Smetterete di ostacolarmi, siete solo degli insetti incollati su una tela di ragno e da esso, da me, verrete divorati!”.
Leuhan?” considerò il reggente, abbandonando forse per la prima volta l’espressione distaccata che aveva mantenuto “Dunque conosci la lingua antica? Chi eri, Urien, prima di affondare te stesso nel pozzo delle ombre?”.
“Proibita!” ruggì in risposta l’essere demoniaco “Interdetta ai mortali, non arcaica! Chi sei tu, Anthos di Iomhar, per comprenderla?”.
Il giovane si limitò a sorridere con disprezzo, senza esaudire la richiesta pressante. Lo sguardo violaceo del Nemico cadde sul Medaglione che lui portava al collo.
“Oh, capisco…” flautò malevolo, scoprendo i denti ingialliti “Quell’amuleto ti conferisce i poteri di cui vai tanto fiero… E osi criticare me per averli bramati e ottenuti! Sei solo un arrogante ipocrita! Per un attimo ho pensato che fossi tu il Distruttore e dunque di aver scovato finalmente il mio vero obiettivo. Peccato, dovrò impegnarmi ancora un po’ a tal fine. La buona nuova, invece, è che contro di me non hai speranza. Rinuncia ad opporti e giurami fedeltà!”.
“Mh, fammi pensare…” rimandò Anthos, sarcastico “Ti autodefinisci il dio del Nulla e nulla effettivamente vali senza le doti superiori di cui per natura manchi. Per realizzarti hai dovuto per forza acquisire le tue facoltà attraverso un mediatore, cioè Yfrenn-amrri, il che denota una disperazione tale da rinunciare addirittura alla propria identità pur di prevalere. Devi essere un dissennato, invidioso e bisbetico essere immortale, quindi… in più nutri un profondo rancore per Irkalla, che probabilmente non sa neppure che esisti. Tu, Urien, o come diamine vuoi farti chiamare, sei il Traditore reincarnato. Quello intravisto dalla principessa Dionissa, che hai tentato di eliminare per prima in quanto abile chiaroveggente. Quello che ha teso la trappola a Amathira millenni fa, insospettato. E sei commovente nella tua stupidità. Io non mi alleo con gli imbecilli, lo sai bene”.
“Fai silenzio!!” esplose lui, furibondo.
Un violento fascio di luce rossastra, evocato dalle labbra sottili e distorte, fuoriuscì dalla sua mano adunca, tesa verso il principe. Questi lo scostò con un semplice gesto del braccio, mandandolo ad infrangersi contro la parete della segreta.
Shion urlò, rattrappendosi ulteriormente.
“Dovrai fare di molto meglio” commentò il reggente, sprezzante “Detto questo, vuoi pronunciare tu il tuo vero nome o te ne vergogni a tal punto da seppellirlo nell’oblio?”.
“Il mio nome sarà l’unico a essere articolato nelle angosciate preghiere degli uomini, quando avrò ultimato la mia atroce vendetta. Tutti gli altri immortali saranno dimenticati, diverranno il Nulla che hanno imposto a me!”.
“Sono quasi intenerito dai tuoi capricci” sferzò Anthos, duro, stringendo le palpebre.
Il secondo attacco sfrecciò terribile attraverso lo spazio angusto della cella, diretto alla deliberata offesa appena proferita. Il reggente lo fermò con il palmo aperto, mentre il Medaglione emanò la sua luce azzurrata: significava che il Nemico aveva iniziato a fare sul serio.
La battaglia vera e propria non si fece attendere. Urien pronunciò una nuova formula e scagliò un’altra offensiva, incarnata in un immane potere cremisi, che invase l’aria con l’atro buio dal quale era scaturito. Come il rovescio dell’esistente. Il reggente sollevò indice e medio della destra congiunti e fermò il raggio di energia maligna. A sua volta rispose al colpo, inviando all’indietro la luce rossa e potenziandola con la propria forza sopita.
L’assalto di ritorno sfiorò l’avversario, che tuttavia riuscì a schivare, oscillando nel proprio sussistere come se fosse costituito di fumo.
Anthos aggrottò la fronte, ponendo la mano aperta sul Medaglione, che iniziava a scaldarsi sul suo petto: se il Nemico era in grado di rendersi evanescente, la gravità della situazione andava presa in seria considerazione.
Il bagliore scarlatto comandato da Urien convogliò ancora verso di lui, dividendosi in due all’ultimo e sfiorandogli una spalla. Il giovane avvertì il bruciore maligno dell’energia e fece appena in tempo a evitare che lo cogliesse con più precisione.
Si ammantò di una sorta di barriera spirituale, conscio che non avrebbe retto molto in quelle condizioni, mentre il rivale disponeva dell’illimitata carica maligna di tutti i deamhan residenti nel buco che aveva scientemente allargato a proprio favore.
Concentrò le proprie facoltà, canalizzando la mente in un’unica direzione, imponendo al proprio devastante potere di colpire senza farsi ingannare dalle illusioni di cui la creatura composta di buio disponeva. Non si mosse per non concedere indizio alcuno al Nemico, lasciò che la luce verde proveniente dal suo io profondo lo abbracciasse, permise al Medaglione di vibrare il suo accorato allarme sulla sua pelle nuda e poi profuse l’attacco da ogni direzione, circondando inesorabilmente l’antagonista con il proprio potere.
L’emanazione distruttiva compì il suo dovere e si sfracellò su Urien: questi non riuscì ad evitarla completamente e si difese con un istante di ritardo. Grugnì come un animale, colpito dall’esplosione che gli lacerò la manica della tunica, esponendo agli sguardi altrui una parte del braccio magro e ossuto celato all’interno.
Sotto la pelle livida si intravedevano i segni scuri della possessione maligna brulicare come serpenti annidati. La ferita iniziò a sanguinare copiosamente.
“Nonostante tutto, resti fatto di putrida carne mortale” sentenziò il principe, irato.
“Esattamente come te” rispose la creatura oscura “Ma a differenza tua, io posseggo un’essenza divina e non posso essere sconfitto!”.
Rispose all’offensiva senza esitazioni, mentre la stoffa bruna si impregnava di linfa rossastra, allargando le braccia, richiamando il male e calamitando a sé le proprie energie, baluginando di uno spaventoso alone vermiglio e nefando.
Anthos si preparò alla difesa, avvertendo l’amuleto gemmato ardere con impeto. Lo ignorò, sollevando le mani ed evocando ancora una volta la propria energia interiore per scongiurare eventuali danni.
Il fascio purpureo lo attraversò, provocandogli una sensazione di profondo ribrezzo, come se fosse riuscito a sporcargli il sangue con la sua essenza macabra e infame. Lo allontanò da sé con uno sforzo immane, trattenendolo tuttavia tra le dita, rendendolo simile ad una sfera a due colori, in cui i flussi energetici cozzavano rabbiosi tra di loro. Prese ad ansimare per lo sforzo e si sentì quasi venire meno, ma non si arrese. Ingrandì il cerchio di potere, sotto lo sguardo atterrito del Nemico, fino quasi a non poterlo più controllare. Ancora e ancora, fino a che avvertì di non poterlo più trattenere. Percepì il bordo del gioiello del Nord ustionargli il petto, come era già accaduto in precedenza, ma resistette al dolore.
Governò il globo abbagliante, composto di intenti stridenti e opposti, riuscì ancora una volta a potenziarlo a rischio della propria incolumità e si preparò a scagliarlo contro lo sfortunato contendente.
La pietra blu scuro del Medaglione si spaccò a metà con uno schianto secco.
Anthos percepì il contraccolpo terrificante e ne prese coscienza con sgomento. Non si lasciò distogliere dal terribile evento e diresse l’energia che aveva accumulato contro Urien, mirando a disintegrarlo definitivamente. Era la sua unica possibilità, soprattutto dopo ciò che era appena accaduto, oppure avrebbe dovuto...
La creatura malvagia creò una sorta di scudo, respingendo l’attacco con le mani, ma il potere padroneggiato dal principe prevalse. La precaria difesa vacillò come una fiammella nella tormenta e poi si estinse.
Il Nemico fu investito da quella furia devastante, gridò come una belva caduta in una rete alla quale era impossibile sottrarsi, iniziò a provare il dolore incandescente di quell’energia che lo stava gradualmente dissolvendo.
Ululò nel vano tentativo di uscire dalla traiettoria, ma era ormai in trappola. Individuò rapidamente la propria unica scappatoia, imprecando contro la forza straordinaria e insospettabile di quell’attacco dirompente. Il suo corpo deforme esplose in mille pezzi, riducendosi in fumo grigio, schizzando brandelli bruciati di carne e viscere in ogni direzione, lasciando viscide scie rossastre sul pavimento e sulle pareti.
Il principe si lasciò cadere a terra, stremato, osservando i segni raccapriccianti che colavano dai muri e dal soffitto, simili a glifi, in quel mondo sotterraneo improvvisamente tinto di sangue maligno.
Il Medaglione gli pendeva inerte dal collo, seguendo il ritmo concitato del sollevarsi e abbassarsi del suo petto. Cercò di placare l’affanno del proprio respiro, osservando con angoscia la fenditura tagliente che attraversava la Gemma del Cielo e la spezzava irrimediabilmente a metà.
“Maledizione…” ringhiò, senza fiato.
Poi, all’improvviso, l’aria si fece cupa e pesante. Qualcosa in lui gli comunicò che non era ancora finita. Si preparò a estrarre l’ultima fatale carta. Quella che non avrebbe mai voluto adoperare… non si sarebbe lasciato uccidere per nessuna ragione. Tantomeno da quel Traditore, a costo di esporsi per davvero.
L’essenza fumosa che impregnava l’ambiente si concentrò in una nube sottile, che prese ad aleggiare come una sostanza gassosa e inquinante.
Si concentrò e palesò la propria vittoria in un roteare famelico d’ombra.
Shion sussultò, gorgogliando.
Le sue pupille divennero vacue, come se non fosse più cosciente, e il suo corpo prese a contorcersi, in preda ad una costrizione che non poteva assolutamente essere respinta. Il vapore nero lo invase, riempiendogli la bocca e il naso, scese dentro di lui facendosi spazio, annichilendo tutto ciò che era la personalità fragile del ragazzo, relegandola in un recesso annidato in un luogo interiore ormai irraggiungibile per chiunque. Lo annullò con spietata crudeltà.
Anthos sbarrò gli occhi, comprendendo immediatamente quanto stava accadendo. Lo sguardo di Shion riacquistò limpidezza e le sue iridi nocciola sfumarono in un borgogna scuro e infido. Era diventato il Nemico e il Nemico era diventato lui.
Il reggente realizzò di aver commesso un grave errore di valutazione: il giovane elestoryano era da tempo in mano al Traditore, tanto da macchiarsi della medesima colpa. Era una sorta di involucro non più presente a se stesso, tenuto in vita da Urien, che l’aveva salvato dalla freccia di Narsas con quell’unico scopo: prenderne sede.
Cercò di figurarsi il motivo di tale scelta, a prescindere dal fatto che quello del ragazzo fosse l’unico corpo disponibile alla creatura maligna in quel frangente. Di casuale non esisteva nulla però, ne era certo.
“Se credi di essere al sicuro, sbagli” ringhiò “Distruggerò anche quella crisalide, non me ne importa nulla del moccioso. Non riuscirai più ad incarnarti, neppure in uno scarafaggio. È la fine che meriti per aver fatto cadere il cosmo e aver sfidato me”.
“Questo lo pensi tu” restituì immediatamente il nuovo e antico Nemico, con un sogghigno baldanzoso “Perché ignori il fatto che io possegga… questo!”.
Trasse dall’ampia manica un oggetto, che luccicò nella penombra. Se lo portò alla fronte e avanzò in modo che fosse pienamente distinguibile.
Anthos impallidì vistosamente e arretrò. Si diede la ragione della scelta di Urien.
Il Diadema del Sud.
   
 
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