Anime & Manga > One Piece/All'arrembaggio!
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Autore: ___Page    22/01/2020    2 recensioni
Non era morto, la vivre card non lasciava spazio a dubbi. Continuava a bruciare, imperterrita, nella tasca dei suoi pantaloni ricongiunta al foglio originale, che avevano ritrovato abbandonato sull’isola dove quella macabra e snervante specie di caccia al tesoro aveva avuto inizio.
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«Cosa ci fai qui?»
Law si girò incredulo e lento, gli occhi che lanciavano schegge di ghiaccio, e si concesse un istante per studiarla con attenzione. Non l’aveva mai vista in vita propria e, sì okay, era consapevole di avere una faccia nota ma mica era una giustificazione per rivolgerglisi così.
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Avevano fatto qualcosa di avventato, avevano rischiato, se lo sentiva, glielo diceva l’istinto. Per fortuna lo spasmo allo stomaco era passato com’era venuto dopo pochi minuti, a tranquillizzarlo che la sua ciurma l’aveva scampata, almeno per il momento.
Genere: Angst, Azione, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Crack Pairing | Personaggi: Koala, Nuovo personaggio, Pirati Heart, Trafalgar Law
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Sentì distintamente tutto il nutrimento di ciò che era riuscito a mangiare cominciare ad andare in circolo, nelle gambe, nelle braccia e nella testa. E più tornava lucido più si accorgeva di quanto, di tutta quell’assurda storia, la cosa più surreale fosse la sua attuale situazione.
Lanciò un’altra occhiata alla bambina, accovacciata sotto al tavolo tra le sue gambe, chiedendosi se l’agalmatolite lo avesse indebolito anche nella volontà perché era assurdo che stesse davvero tollerando quella persistente creatura, nonostante le ripetute richieste di lasciarlo in pace. Le aveva anche offerto del cibo, con Cappellaio in genere funzionava, ma a quanto pareva non era per fame che non gli aveva ancora levato gli occhi grigio-verdi di dosso.  
Certo, a Law mica piaceva l’idea che ci fossero dei bambini in un luogo del genere, anche solo uno, lo riportava a Punk Hazard e non era un bel ricordo ma non era come se ci potesse fare qualcosa, soprattutto con le zero informazioni in suo possesso. Se ne sarebbe preoccupato se e quando ci avesse capito qualcosa. Per il momento era solo un fastidio di circa quattro o cinque anni e dalla parlantina sciolta.
«Perché porti il cappuccio?»
Molto sciolta.
«E tu?» gli rigirò la domanda, occhiando al cappuccio in miniatura da cui sfuggivano ciocche castano ramate, mentre si versava un ultimo bicchiere d’acqua.
«Io mi devo nascondere. Tu ti devi nascondere?»
«Può darsi» mormorò asciutto il pirata.
«E da chi?»
Inalò a fondo, vagando con gli occhi sul coltello che aveva la punta arrotondata. Erano previdenti in quel posto, nulla da ridire.  
«Dai bambini noiosi» rispose in un sibilo, lanciandole un’occhiata che non riuscì a intimorirla per niente. Indignarla, semmai.
«Io non sono noiosa!» protestò, abbassando poi subito la voce. «È questo posto, si fanno sempre le stesse cose e ci sono sempre le stesse persone, non è stimol… Stilo…»
«Stimolante» non riuscì a trattenersi Law, sinceramente e internamente colpito da quanto fosse sveglia la bambina.
«Sì quello!» si illuminò grata e i suoi occhi per un momento sembrarono brillare. «Però tu sei nuovo!»
Law la fissò un lungo attimo, prima di intrecciare le mani e appoggiarvi la fronte, scostando di pochi millimetri la sedia. Okay, era persistente e poco collaborativa, ma se si trattava di parlare non si tirava indietro e forse quella marmocchia poteva dargli qualche informazione utile. Ne sapeva sicuramente più di lui.
«Sei qui da molto?»
«Da un po’» annuì. «Siamo arrivati tutti insieme ma non mi ricordo bene bene il primo giorno»
Law aggrottò le sopracciglia. «Tutti insieme?» proseguì con l’indagine anche se temeva di sapere dove sarebbe andato a parare.
«Io e gli altri bambini»
Law trattenne un’imprecazione.
Merda, c’erano altri bambini.
Un brivido freddo gli percorse la schiena e smosse le spalle.
Perché ci dovevano sempre andare di mezzo i bambini, dannazione?!
Se non lo avesse conosciuto per il codardo che era, troppo per arrischiarsi a fare il recidivo, Law avrebbe pensato a Caesar. Ma più si guardava intorno meno gli sembrava il suo stile e, in effetti, più si guardava intorno e…
«Dove sono gli altri bambini?» domandò, più scettico di quel che avrebbe voluto suonare. Non era come se volesse mettere in dubbio le parole della bambina ma se la presenza di altri ragazzini fosse stata solo un prodotto della sua fervida immaginazione Law l’avrebbe già considerata una vittoria. Ci sperava, che gli avesse mentito.   
«Da un’altra parte, nella zona kinker… kinter… k-kin…» aggottò le sopracciglia la piccola, in uno sforzo immane di ricordare la parola corretta.
«Kindergarten»
«Sì! Ma io vengo qui tutti i giorni, tanto non si accorge nessuno» affermò con un sorriso mefistofelico a cui a Law venne quasi voglia di rispondere con un ghigno.
Persistente e temeraria, la creatura.  
«Dovresti stare attenta» le fece notare invece, e si sarebbe anche raccontato che era banale buon senso, il suo, se solo la marmocchia non avesse pensato bene di trasformare quel ghignetto storto in un vero sorriso, luminoso e solare.
«Ma io sto attenta!» si mise ben dritta con le spalle. «Nessuno si accorge di me e Kay ha detto che è quello l’importante»
«Kay?» tornò serissimo e analitico all’istante, Law «È una tua amica?» Si guardò intorno attento a non dare nell’occhio quando la bambina annuì e poi scostò la sedia, quel tanto che serviva per piegare di più il busto ma senza rischiare di esporla a occhi indiscreti. «Puoi portarmi da lei?»
La bimba si mise più dritta e annuì di nuovo. «Agli ordini, capitano. Seguimi» scivolò sotto il tavolo e Law fissò per un attimo il vuoto, cercando di metabolizzare che la creatura lo aveva chiamato capitano e poi gli aveva dato un ordine e di non pensare a quanto buffa fosse quell’uscita e, forse, quasi anche divertente. D’altronde non c’era niente da ridere in quella situazione e comunque era meglio non perderla di vista se voleva cavare almeno un ragno dal buco. Aveva la netta impressione, che per lui significava essere praticamente certo, che quella “Kay” non fosse affatto una bambina.
Con la coda dell’occhio osservò un fulmine bianco schizzare tra le gambe degli altri pazienti o detenuti che fossero, probabilmente entrambe le cose, e contò fino a cinque prima di alzarsi con calma e seguire gli agili movimenti della piccola a debita distanza.
Doveva dargliene atto, schizzava a una tale velocità da un tavolo all’altro che se lui non avesse saputo che era lì, difficilmente l’avrebbe notata. Sembrava capace di teletrasportarsi e certamente era molto, molto brava a nascondersi, complice anche il fatto che era lunga più o meno come la gamba di un uomo di statura media. In mezzo a tutto quel bianco era facile per lei confondersi e Law faceva anche affidamento sulla stupidità degli inservienti. Insomma non ci volevano delle cime per tenere prigioniere delle persone in un bunker e probabilmente all’esterno la sorveglianza era ben più massiccia.
Scartò tra un paio di tute bianche, passò dietro un gruppetto che si intratteneva giocando a carte, sbraitando e imprecando a ogni punto dell’avversario e infine si fermò, fingendo di ammirare un disegno che una donna stava abbozzando su un blocco, mentre individuava una delle tra le finestre verso cui la bimba si era lanciata, lasciandosi inghiottire dalla maggior penombra, illuminata però, in quella nicchia particolare, da una piccola ma potente fonte di luce.
Strascicando appena i piedi, le mani nelle tasche della tuta, Law si avviò flemmatico verso la nicchia, scrutando con interesse la ragazza che diventava sempre più visibile, illuminata appunto dalla luce che stava usando per leggere. Si chiese perché fare tutta quella fatica per leggere relativamente al buio e si stava già per rispondere da solo, con un supposto bisogno di starsene isolata dal caos che anche lui si stava lasciando alle spalle, quando si accorse che in realtà la ragazza non era per niente concentrata sulla propria lettura, ma continuava a lanciare attente occhiate verso il salone. Era ancora qualche metro quando la vide chinarsi appena e prendere a parlare con, ne era certo, la marmocchia.
Accelerò il passo, ora impaziente di trovare qualche altra risposta.
«…’ovo paziente! Ha detto che voleva conoscerti e… Eccolo!» si illuminò la marmocchia e Law era ormai abbastanza persuaso che, per avere quattro anni, ne sapesse già abbastanza di quel luogo da non temere che tutto quell’entusiasmo l’avrebbe fatta scoprire.
E poi anche la sua amica, adulta come da lui predetto appunto, non sembrava preoccuparsi della sua indole poco discreta. Certo, c’era da dire che forse il motivo era che era troppo intenta a fissare lui come fosse stato un essere con tre teste, occhi spalancati e labbra strette. Un’ondata di fastidio lo pervase. Si cominciava davvero bene.
«Kay, lui è…» la bambina si accigliò. «Non mi hai detto come ti chiami!»
Law sollevò un sopracciglio. «Nemmeno tu» le fece notare il pirata, senza realmente smettere di tenere d’occhio Kay. Che aveva da fissare, santo Roger?!
«Io sono Leilanee, tutti mi chiamano Laine però! E tu…»
«Cosa ci fai qui?»
Law si girò incredulo e lento verso Kay, gli occhi che lanciavano schegge di ghiaccio, e si concesse un istante per studiarla con attenzione. Capelli castani raccolti sulla nuca con qualche ciocca in disordine intorno al viso, occhi blu e occhiali da vista che forse usava solo per leggere, forse no. Fatto sta che Law non l’aveva mai vista in vita propria e, sì okay, era consapevole di avere una faccia nota ma mica era una giustificazione per rivolgerglisi così.
«Da quanto sei arrivato?»
«Scusa un attimo, tu chi…»
«Ora non è il momento»
Dita tra le dita, Law si ritrovò strattonato in avanti senza preavviso, verso la nicchia con la panca, che non era affatto una nicchia con la panca ma una vecchia finestra murata con un davanzale abbastanza ampio da potercisi mettere comodi e su cui si ritrovò in effetti seduto, la luce per la lettura a rischiarare abbastanza penombra da guardarsi in faccia.
«Ti hanno fatto esami, prelievi, ti hanno visitato?»
Law aprì la bocca ma la richiuse di scatto quando si accorse che stava per perdere il controllo perché no, dopo quattro settimane a tenere sulla corda un gruppo di persone organizzato e preposto alla sua cattura non aveva intenzione di perdere i filtri per una ragazzina impertinente. Senza dimenticarsi dell’altra, di ragazzina impertinente, che cercava di arrampicarsi sul davanzale con scarso successo e alla fine, con un sospiro e vedendoci una scusa perfetta per prendere tempo e calmarsi, Law si chinò per aiutarla, spingendola in su da sotto il sedere.
«Niente di tutto questo, sono appena arrivato, mi hanno scortato alla mia stanza e poi hanno chiamato per la cena»
Kay annuì e perse lo sguardo nel vuoto, riflessiva e Law sentì la pazienza venire meno ogni secondo che passava. Il fatto che ora lei sembrasse pure preoccupata, francamente non aiutava.
«Che posto è questo?» chiese autoritario. Era andato lì per fare domande non per rispondere. «È chiaro che ne sai più di me e forse più di quanto ne dovresti sapere»
«Quindi non ti sei fatto catturare di proposito» sentenziò Kay, dopo aver soppesato le sue parole. «Non è come Punk Hazard»
«Cosa…»
«Tesoro, dimmi»
Law quasi si strozzò con la saliva e fu la sola cosa che gli impedì di protestare, prima di rendersi conto, e darsi conseguentemente del deficiente, che quel “tesoro” non era ovviamente rivolto a lui ma a Laine, attaccata al braccio di Kay e chiaramente vogliosa di chiedere qualcosa, anche se non osava, per non interrompere il colloquio dei grandi. Come facesse a esserne così sicuro, Law non lo sapeva, ma nemmeno aveva dubbi.
«Lo conosci?»
«In un certo senso» Kay l’accarezzò sul visino, sorridendole. «Puoi chiamarlo Doc»  
Law non amava restare all’oscuro. Non tollerava di non capire le cose. Stava per farlo caldamente presente se non che l’universo non voleva proprio collaborare per lasciargli almeno un briciolo di pazienza quella sera.
«Che state facendo voi due?!»
Venire interrotto era un’altra cosa che non sopportava e Law avrebbe volentieri sfogato il proprio fastidio sull’inserviente che li osservava da dietro il casco, mani sui fianchi e gambe divaricate, e si atteggiava a grande autorità quando a occhio non gli arrivava nemmeno alla spalla. Ma l’istinto fu più forte e, senza bisogno di pensarci, scivolò impercettibilmente verso Kay, e Kay verso di lui, per nascondere Laine, accovacciata dietro di loro.
«Allora?!»
«Parliamo» rispose Kay, calma e determinata «Non mi risulta sia contro il regolamento»
«Parlare no. Fare altro sì» precisò l’inserviente, con una nota minacciosa nella voce che non sortì l’effetto desiderato. A meno che l’effetto desiderato non fosse che Kay chinasse il capo, socchiudesse gli occhi e soffiasse roca:  
«Oh se avessimo da fare altro, non lo faremmo di certo qui. Io le cose le faccio fatte bene oppure niente»  
E per quanto a Law non sembrasse esattamente la migliore delle strategie, dovette ammettere con se stesso che sapeva il fatto suo, la ragazzina, quando l’inserviente sobbalzò a disagio e si allontanò borbottando parole incomprensibili.
«Frustrazione sessuale. Funziona sempre» sentenziò Kay, tornando al tono pratico di poco prima. «Ad ogni modo stiamo attirando troppo l’attenzione, meglio proseguire domani»
«Non mi serve un soprannome» sentenziò Law, lapidario. Non aveva intenzione di farsi dare direttive, non senza neanche sapere da chi le stava ricevendo e, no, conoscere il suo nome, ammesso poi che fosse quello vero, non significava sapere chi fosse.
«Che cos’è un soporone?»  
«Soprannome. È un modo per chiamare una persona senza usare il suo nome»
«Ah come un mignolo?»
Law si girò appena verso Laine e la scrutò qualche secondo. «Intendi “nomignolo”»
«Non è la stessa cosa?»
«Quasi» ribatté asciutto Law, prima di tornare a trapassare Kay con gli occhi, che lo fissò di rimando e prese un profondo respiro.
«Ora non è…»
«Il momento. Sì ho capito. Ma facciamo che non decidi più tu quando è il momento di fare cosa, okay?» sibilò, gli occhi lampeggianti. «Cosa ne sai di Punk Hazard e di questo posto? Io devo uscire da qui, devo tornare dai miei uomini e ci sono dei bambini da salvare!» espirò pesantemente dal naso, e si stava giusto ricomponendo che rischiò di perdere di nuovo la calma quando Kay schiuse le labbra in un appena udibile “Oh” per poi incresparle in un sorriso.
«Laine, ho un favore da chiederti» Kay ruppe finalmente il silenzio tra loro, che si stava facendo assordante. La piccola si girò all’istante verso di lei, attenta a non perdersi una parola. «Devi tornare di là e parlare con gli altri bambini, mi serve un resoconto dettagliato. Cos’avete mangiato, che giochi sono stati fatti, quali libri sono stati letti. Ogni cosa, d’accordo?»
«D’accordo» annuì Laine, senza esitare. «Domani ti racconto tutto tutto. Buonanotte» si sporse a darle un bacio sulla guancia e Law si stava già scostando per farla scendere quando si ritrovò il collo circondato da due minuscole braccine. «Buonanotte Doc» scoccò un bacio anche a lui prima di scendere agilmente dal davanzale e lanciarsi in una nuova sessione di nascondino.
«Nonostante la poca disciplina della divisione, ti stupirebbe comunque scoprire quanto è facile mettere le mani sui resoconti del G-5. Soprattutto per un rivoluzionario abituato a infiltrarsi»
Law riportò lentamente l’attenzione su Kay ed era ormai certo che si sarebbe potuto autoconvincere senza fatica che fosse tutto un sogno, se solo non fosse sembrato tutto così reale.
«Il mio vero nome è Koala e non credo tu abbia bisogno che ti spieghi come faccio a sapere chi sei. Ma è meglio che Laine resti all’oscuro delle nostre vere identità»
Law annuì secco. Ora si cominciava a ragionare, dopotutto era una richiesta comprensibile e soprattutto non era un ordine.
«E cosa sei riuscita a scoprire?»
«Domani» ribatté ma anche quella suonava come una proposta, una domanda quasi. «Stiamo davvero attirando troppa attenzione. Domani ti dirò tutto»
«Ammesso che mi lascino muovermi libero come stasera»
«È un rischio che dobbiamo correre e poi, alla peggio, verrò a cercarti» si rimise in piedi Koala e non aveva affatto l’aria di scherza, nonostante ancora sorridesse.
«Ehi» la richiamò Law prima che si allontanasse, restando seduto sul davanzale, busto piegato in avanti e dita intrecciate. «A che ti serve il resoconto che hai chiesto a Laine?»
Koala ruotò un po’ di più il busto verso di lui. «A tenerla impegnata, sentirsi utile e farle credere in qualche modo che sia una specie di gioco» spiegò allargando appena le mani. «Buonanotte Doc» lo salutò anche con un cenno del capo, prima di riprendere ad allontanarsi, lasciandolo lì da solo a metabolizzare ciò che aveva scoperto.
E sì, certamente era una situazione abbastanza schifosa, Law se ne rendeva ben conto. Ma, a quanto sembrava, non doveva fare tutto da solo e non era detto non ci fosse un modo per uscirne senza sporcarsi di merda.
 
  
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