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Autore: Lupoide    23/01/2020    6 recensioni
[Storia partecipante al contest Esercizi di stile indetto da LadyPalma sul Forum di EFP]
La storia ripercorre il commiato dopo la morte d'un canarino affrontato con tre registri diversi.
Quali differenze emergono affrontando la stessa trama con tre registri diversi? Questi imprimono anche sfumature emotive diverse? Possibile che il "come" formuliamo un pensiero influenzi il pensiero stesso?
Il mio personale tentativo di rispondere a queste domande ha prodotto questa storia.
Genere: Introspettivo, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Il mio personale buongiorno al mondo è un profondo sospiro con la testa ancora affondata nel cuscino. Con i movimenti lenti ancora dettati dal sonno, tiro giù un piede dopo l’altro per alzarmi. Stiracchiandomi, poi, inizio il concerto di ossa che scricchiolano in cui mi esibisco ogni mattina.

Tutti i giorni immagino la stessa scena, un piccolo inchino al pubblico davanti a me e che ora mi concede l’ovazione che merito. Questo, come accade solitamente, mi apre un sorriso in faccia che mi accompagna fino in cucina, Mi chiedo se troverò mai qualcuno che sia demente come me. Mettendo la vecchia moka sul fuoco mi rendo conto del silenzio che aleggia all’interno dell’ambiente.

Mi volto verso la gabbietta, appesa vicino alla porta finestra del balcone, e vedo che Dodo non è appollaiato sul suo trespolo. Che strano.

Avvicinandomi, un brivido mi percorre la schiena. Ci ho pensato solo ora alla fine che può aver fatto quel povero canarino. La mia paura fa scopa con il corpo supino dell’uccellino, le zampette puntano verso l’alto e i suoi occhi sono spenti dalla morte, sicuramente giunta durante la notte. Chissà per quale motivo, chissà cosa gli è successo, chissà se gli ha fatto male.

Sinceramente? Mi ero affezionato a lui il giusto. Nel senso che l’avevo preso un paio d’anni prima in un negozio d’animali probabilmente spinto da un bisogno di alleviare la solitudine di casa unito a quello di prendermi cura di qualcuno. Andare a vivere per conto mio era stata una scelta di pancia e ogni tanto faceva capolino quell’ansia che pareva echeggiare nel silenzio di un’abitazione vuota. Eppure non ero riuscito a legarmi troppo a quel piccolo uccellino, forse sarà che i nostri contatti erano pochi e distaccati durante la giornata. Giusto un po’ di attenzioni quando gli cambiavo l’acqua e aggiungevo qualche seme alla sua piccola mangiatoia.

- Cazzarola… - questa è la mia unica manifestazione di dolore.

Non è un evento tragico, non storcerà a tal punto la mia giornata da riportarmi il pensiero sempre qui, però mi fa un certo effetto guardare quel piccolo corpo rigido davanti ai miei occhi.

Una leggera scrollata di spalle, come a simboleggiare di esser già passato oltre, sancisce la fine di questo lutto. Mi porto una sigaretta alla bocca mentre penso all’unica vera domanda: il corpo lo potrò gettare nell’umido?



Il mio personale buongiorno al mondo è un mentale vaffanculo lanciato direttamente nell’aria afosa del mattino. I fumi dell’alcool della sera precedente mi annebbiano il pensiero inquinato di sogni; la bottiglia giace ancora affianco al letto, vuota. O piena d’aria. O dei vaffanculo sopracitati che potrò elargire ai disgraziati con l’ego traboccante che mi toccherà incontrare anche oggi, incravattati e inamidati. Nel vorticare di questi pensieri pieni di postumi e sonno, vengo distratto dalla turgida erezione che preme contro i miei boxer.

- Piccolo bastardo… Già sveglio, eh?

La mano corre lenta sotto lenzuolo e arriva fino alla base del mio organo sessuale per impugnarlo saldamente.

Ho sempre pensato che la masturbazione fosse una piccola dimostrazione d’amor proprio e ormai questi liquidi sfoggi d’autoerotismo sono entrati a far parte del quotidiano.

Sto per terminare. Lo sento. Mi guardo attorno ma non vedo nessun tipo di fazzoletto, pezzo di carta o simili. Ho sempre attribuito particolare importanza a quello che è l’ultimo pensiero che mi induce all’orgasmo perché penso possa darmi una sorta di identità sessuale. Sì, lo so che è stupido ma ognuno ha le proprie convinzioni, no? In questo caso è il girone degli accidiosi all’inferno. Posto che mi sto meritando sin dalle prime luci dell’alba oggi visto che non ho voglia di alzarmi neanche per procurarmi un pezzetto di carta igienica. E ho persino il bagno in camera.

- Cazzo… - mi lascio sfuggire tra i denti mentre mi vengo direttamente nella biancheria. In un attimo mi sento umido, sia addosso che sulle lenzuola che mi circondano. Okay, è giunto il momento di alzarsi, fare colazione e poi una doccia veloce. Oggi ho un colloquio di lavoro. Finalmente.

La moka è ancora mezza piena del caffè che ho preparato ieri, o mezza vuota per tutti i pessimisti del mondo, così che non devo neanche prepararne di nuovo. Mi basta versare il liquido in una tazzina non troppo sporca poggiata sul lavandino e il gioco è fatto. L’amaro del caffè in bocca è un ottimo contesto per la sigaretta che lo segue in bocca mentre mi dirigo verso il bagno. Scoregge al gusto di chicchi tostati, il titolo della poesia di oggi.

Il silenzio della cucina però mi trattiene prima della deiezione mattutina. Torno sui miei passi e cerco Dodo con lo sguardo. Ah, vecchio canarino, non hai passato la notte, eh? Beato te. Almeno ti sei tolto questo supplizio di arrivare a fine giornata ogni volta. Sbuffando il fumo denso direttamente all’interno della gabbietta mi ritrovo a pensare alla mortalità umana e animale. Buon dio, siamo come marionette nelle mani del destino e, troppo spesso, non ci rendiamo neanche conto di quanto siano sottili i fili con cui esso ci tiene sospesi. Me compreso. Dovrei cercare di far qualcosa della mia vita prima che sia troppo tar… Un’altra scoreggia spezza il momento di filosofia spicciola. Forse sarà meglio dedicarmi prima a questo stronzo che a quanto sono stronzo.



Il personal buongiorno che riservo al mondo è il disio d’aprir l’occhi e affrontar la giornata con spirito allegro, così com’è abitudine mia da ch’ero fanciullo e compresi la caducità dell’esser umano. Per un pugno di secondi rivolgo un moto di profonda gratitudine al sole che trapela dalle veneziane e che anche oggi è giunto a far capolino in codesta stanza. Alzandomi di buona lena, poi, m’avvio a passo sostenuto verso la cucina cercando di dar battaglia al sonno che ancora alberga le mie palpebre nel tentativo di farle calar nuovamente. Caffè, dolce nettare ch’ogni giorno funge da balsamo al tedio del sonno, vorrei dedicare un sonetto al gusto con cui mi approccio alla moka. L’attesa che mi separa dalla bevanda calda è soffice e ovattata, par quasi di poterla toccar con mano, addivenendo tangibile nell’acquolina che mi si crea in bocca tant’è spasmodica siffatta bramosia. Quand’ecco che, finalmente, il dolce suon di traboccante gorgoglio riempie l’ambiente di aromatico odor tostato. Questo pone fine al dissidio interiore dettatomi dalla pigrizia che suole accompagnarmi nei primi minuti di veglia, allontanandomi definitivamente dalle carezze del cuscino e d’un giaciglio caldo.

Il solenne silenzio attrae, poi, la mia attenzione. Par quasi liturgico, come nella navata d’una cattedrale se non in orario di messa. Volgo lo sguardo direttamente alla gabbia cui abita il mio compagno di colazioni: Dodo, il canarino che quotidianamente incastona di canti l’atmosfera dell’ambiente. Nell’avvicinarmi lentamente, l’immagine del suo corpicino si dipinge come olio su tela nella mia immaginazione, trovando poi riscontro nella realtà e nella rigidità della morte che deve averlo colto senza preavviso. Immediatamente divengo preda per il dolore che, pervasomi da cotanta visione, mi muove il cuore a compassione.

Fato beffardo.

Il calar delle tenebre ti fu fatale, mio piccolo coinquilino. Non nascondo che una singola lacrima mi bacia il volto, bagnando e salando la profonda convinzione che move il corpo mio in qualsiasi momento: ogni vita è cara a un’altra vita. Non sentirò più l’aria dello zelante cinguettio tuo che portava allegria nelle mattinate comuni in cui solevamo scambiare futili chiacchiere nel lambire i confini della razionalità che contraddistingue la specie cui appartengo. Le dolci parole che ti riservavo eran rivolte ad allietar la tua prigionia. Ma le sbarre ora rimangon solo che dorati monoliti funebri e celebranti, come un mausoleo funebre. Libero, finalmente.

Com’è vero ch’ogni vita è cara a un’altra, forse lo è di più che è cara alla morte, sicché l’accarezza perpetuamente con tocco lieve e intangibile anche quando sotto lo sterno non batte più il cuor.

A me non resta che alzare la tazzina a mo’ d’ultimo saluto e mandar giù un altro sorso amaro e salato di questa bevanda.

L’ultimo caffè insieme.

A te, piccolo amico mio.




N.d.A.

Ho scelto questo pacchetto perché mi sembrava quello più divertente da scrivere, è così è stato effettivamente. Ho cercato unire i tre registri diversi allacciandomi all’ultima nota di ognuno (realistico → pessimistico, pessimistico → romantico e infine romantico) così da passare per un unico filo conduttore in tutta la storia. Spero che la storia vi abbia intrattenuto e intanto ringrazio chiunque le abbia dedicato qualche minuto d’attenzione per leggerla.



  
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