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Autore: Mari_Criscuolo    23/01/2020    1 recensioni
Leila (Ella) ha 22 anni e vive a Napoli, ma, dopo la laurea triennale in psicologia, si trasferisce a Roma, per continuare il suo percorso di studi.
Sofia, sua amica da otto anni, ha deciso di seguirla.
Entrambe mosse dalla stessa chimera: lottare per la propria felicità.
Ella ha compiuto una scelta che ha fatto soffrire molte persone.
Nonostante non ne se ne sia mai pentita, sa che ogni decisione comporta delle conseguenze e lei sta ancora scontando la pena che le è stata imposta.
È convinta di essere in grado di affrontare ogni difficoltà la vita le metterà sul suo cammino, perché l'inferno lo ha vissuto, deve solo trovare il modo di non ritornarci.
Una ragazza con le sue piccole manie e le sue paure.
Una ragazza che usa il sarcasmo e l'ironia per comunicare il suo affetto e, allo stesso tempo, proteggersi da chi si aspetta, da lei, cose che non può e non vuole fare.
La sua famiglia, Sofia con suo fratello Lorenzo e, infine, un incontro inaspettato, la sosterranno nella sua scalata verso la tanto agognata libertà.
Genere: Generale, Introspettivo, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Ella stava leggendo la definizione di Modelli Operativi Interni per la quinta volta, continuando inevitabilmente a distrarsi a metà frase.
 
Il brusio di sottofondo, provocato da due ragazzi maleducati seduti nella fila di banchi davanti a lei, era paragonabile al rumore di un martello pneumatico.
 
Quel martedì mattina, lei e Sofia avevano deciso di recarsi all’università, nella speranza che l’ambiente potesse influire sulla loro mancanza di concentrazione, stimolandole a essere più produttive.
 
Ovviamente erano state così fortunate da ritrovarsi nella stessa aula studio con chi considerava l’università alla stregua di un bar il venerdì sera.
 
La mancanza di rispetto che stavano mostrando aveva acceso un fuoco nello stomaco di Ella, che stava iniziando ad espandersi, alimentato dalle tutte le parole che erano capaci di pronunciare in un secondo.
 
Se uno sguardo avesse potuto uccidere, a quel punto i solo corpi si sarebbero già trovati in due sacchi per cadaveri pronti per essere spediti all’obitorio.
 
Ella si voltò verso destra, osservando Sofia borbottare qualcosa sottovoce e dalla sua espressione infastidita dedusse potesse trattarsi di qualche imprecazione.
 
«Ci penso io, tranquilla» sussurrò Ella.
 
Da questo punto di vista, Sofia era troppo timida per anche solo pensare di chiedere loro di abbassare la voce, sarebbe stata capace di subire in silenzio fino a quando non se ne fossero andati oppure avrebbe persino cambiato aula pur di non aprire bocca.
 
Ella non avrebbe accettato nulla di tutto ció, anche a costo di prenderli a calci personalmente per sbatterli fuori.
 
«Cerca solo di non essere aggressiva» si raccomandò Sofia, rivolgendole un’occhiata supplichevole.
 
Sofia sapeva che Ella non aveva il minimo riguardo per gli altri quando sapeva di trovarsi dalla parte della ragione, ma era abbastanza sicura che, anche senza la sua richiesta, avrebbe prima tentato un approccio garbato. Tuttavia era sempre meglio prevenire che curare.
 
«Tranquilla, userò il mio charme» rispose, provando a farle un occhiolino, ma fallendo miseramente.
 
Ecco uno dei motivi per cui faceva schifo a giocare ad Assassino. Era sempre lei a beccare l’asso di spade e puntualmente gli anni di galera si accumulavano, arrivando a superare due volte gli anni che avrebbe potuto vivere.
 
«Ragazzi, scusate se vi interrompo» disse, toccando la spalla del ragazzo moro seduto di fronte a lei, per richiamare l’attenzione. «Potreste gentilmente fare silenzio? Purtroppo io e la mia amica non riusciamo a concentrarci nello studio.»
 
La richiesta di Ella attirò l’interesse anche dell’amico e, adesso, entrambi avevano i loro occhi scuri puntati su di lei.
 
Nonostante si sentisse in soggezione, osservata da persone che non conosceva e a cui avrebbe evitato volentieri di rivolgere la parola, strinse i denti, provando a ignorare il disagio provocato da quegli sguardi sconosciuti e invadenti.
 
«Si, certo» rispose il ragazzo a cui aveva picchiettato la spalla con le dita.
 
Anche se aveva parlato a bassa voce, quel breve scambio di battute aveva suscitato la curiosità degli altri studenti, disseminati nei posti loro circostanti, che la stavano guardando con riconoscenza per essere intervenuta.
 
Non capiva quale fosse il loro problema, erano quelle amebe a doversi sentire in difficoltà, di certo non chi si trovava all’università per studiare.
 
La mente degli esseri umani era troppo vasta e oscura per poter capire certe dinamiche, ma, dal momento che le sfide impossibili erano la sua passione, studiare psicologia le era sembrato il modo migliore per complicarsi ulteriormente la vita.
 
Per i successivi cinque minuti nell’aula regnò un silenzio di tomba e, se si prestava attenzione, si poteva solo udire il rumore provocato dagli evidenziatori che strisciavano sulla carta.
 
Ella riuscì persino a terminare il paragrafo che stava provando a leggere da cinque minuti, senza successo, ma il momento idilliaco non durò a lungo.
 
Il sibilo insistente dei due invertebrati cafoni davanti a lei si diffuse nuovamente nell’aria.
 
Fece un profondo respiro, ripetendosi di rimanere calma e che la rabbia non avrebbe risolto nulla.
 
«Ragazzi, per favore, questa è un’aula studio, per parlare ci sta il cortile» Ella sperava che illuminarli sulle differenze funzionali tra l’interno e l’esterno della struttura li avrebbe invogliati a continuare quella loro lunga e interessante conversazione in un altro luogo.
 
«Se ti diamo fastidio, perché non cambi posto?» Quella domanda, posta con voce astiosa e atteggiamento altisonante, fece scattare in modalità on l’interruttore che Ella aveva cercato in tutti i modi di non premere.
 
«Ella…»
 
Il suo nervosismo era diventato incontenibile e nemmeno le suppliche di Sofia avrebbero salvato quei buzzurri dalla sua ira e dalla figuraccia che avrebbe perseguitato i loro ricordi per almeno il prossimo mese.
 
«Ascoltatemi bene. Se dovete stare qui a contarvi a vicenda i vostri peli pubici, vi consiglio di andare nei bagni, è molto più pratico e igienico. Ora se continuerete a infastidire me o chiunque altro in questa stanza, vi assicuro che vi farò sbattere fuori a calci dalla vigilanza. Grazie per la vostra attenzione.»
 
Ella sorrideva soddisfatta di fronte al loro sguardo sorpreso e sgranato. Avendo le capacità logico deduttive di un pesce rosso, non si aspettavano che una ragazza potesse ridurre il loro ego alla dimensione di una sottiletta.
 
Sbuffando infastidita di fronte a tanta inettitudine, si voltò verso Sofia che stava provando a nascondere le risate dietro la mano destra.
 
«Che c’è? Io ci ho provato a essere gentile» disse Ella, scrollando le spalle con finta ingenuità.
 
«Si, ho notato» rispose Sofia, scuotendo la testa divertita.
 
«Visto che la mancanza di ossigeno rischia di bruciare i miei neuroni, esco fuori a prendere un po’ d’aria. Tu vieni?» chiese Ella, alzandosi.
 
«Se riesco a finire di sottolineare il paragrafo prima che torni, ti raggiungo.»
 
«Avvisami se dovessero riprendere la loro chiacchierata»
 
Aspettò che Sofia annuisse, prima di incamminarsi in direzione della porta di emergenza che affacciava direttamente sul cortile.
 
Percorse un paio di metri, camminando in direzione di una panchina vuota.
 
Si sedette, guardandosi attorno.
 
Il sole rendeva piacevole stare all’aria aperta, nonostante l’aria fresca.
 
Questo era il periodo dell’anno che preferiva, quando caldo e freddo si mescolavano creando la temperatura perfetta.
 
Mentre osservava distrattamente gli studenti sfilare davanti a lei per poi sparire dietro l’angolo, sfilò il cellulare dalla tasca, trovando un messaggio che le fece pentire amaramente di non aver ancora cambiato numero di telefono o di non aver ancora lanciato quell’oggetto contro un muro.
 
“Ciao Ella, ho saputo che non sei stata bene. Se è stato per colpa mia mi dispiace, non era mia intenzione. Lo sai, tengo troppo a te per saperti soffrire.”
 
Trovare una notifica con su scritto “Matteo” a grandi e chiare lettere era come andare a sbattere con la testa sullo spigolo dell’anta di un mobile aperto.
 
Un dolore acuto che con il trascorrere dei minuti si dissolve lentamente, lasciandoti in dote un fantastico mal di testa che, con molta probabilità, si trascinerà per tutto il giorno.
 
“È stato decisamente a causa tua.”
 
Dopo quella disastrosa serata non aveva più ricevuto né chiamate né messaggi. Era stata troppo impegnata a raccattare i suoi pezzi e a risolvere la questione in sospeso con Gabriele per porsi domande le cui risposte non sarebbero state di suo interesse.
 
Personalmente non aveva mai contemplato la possibilità che due persone potessero trasformarsi in amici dopo una rottura, ma di certo avrebbero potuto rimanere in buoni rapporti.
 
Auguri ai compleanni e alle ricorrenze, ogni tanto un messaggio per sapere come andava la vita, nulla di esagerato.
 
Purtroppo si era vista costretta a depennare questa idea dal primo momento in cui gliela aveva proposta e non perché lui gliel’avesse bocciata apertamente, ma semplicemente perché il suo microscopico cervello non contemplava l’idea che Ella lo avesse lasciato.
 
Una reazione patetica e disturbante che si ritrovava a ricordare più spesso di quanto avrebbe voluto, cioè mai.
 
“Questa volta devi credermi, non ti ho scritto con l’intenzione di rivangare il passato. Ero davvero preoccupato per te, non ti ho contattata prima solo perché volevo aspettare che potessi riprenderti.”
 
Quante volte si era ritrovata a leggere che non voleva discutere o rinfacciarle tutte le sue miserie, ma alla fine le loro conversazioni si riducevano sempre a lui che le addossava la colpa della sua infelicità, dei suoi fallimenti e di tutti i mali del mondo, riempendola di complimenti.
 
Era cattiva, manipolatrice, sadica perché godeva nel vederlo soffrire, senza cuore, una stronza, una bugiarda, una traditrice, una puttana.
 
Per lui, Ella era sempre stata tante cose e ognuna di esse aveva scavato una voragine dentro di lei.
 
Aveva provato a tappare quei buchi con tutto ciò che le persone che l’avevano supportata in quei mesi le avevano offerto: amore, protezione, stabilità, dolcezza, comprensione.
 
Non era bastato, non sarebbe bastato mai.
 
Alcuni vuoti erano destinati a rimanere tali e alcune frasi ad essere incise sulla pelle, come un marchio fatto con il fuoco.
 
“Che gentile.”
 
Ella rilesse il messaggio che aveva dato il via a quella penosa conversazione, notando qualcosa di strano, qualcosa che le fece storcere il naso e capire il motivo di tanto interesse per la sua salute.
 
“Tu come diamine fai a sapere che non sono stata bene?”
 
Dopo un paio di minuti in cui non ricevette risposta, lanciò uno sguardo allo schermo del cellulare e notò che, in effetti, il messaggio era stato letto.
 
Proprio in quel momento, apparve il nome di quel lurido bastardo.
 
La stava chiamando e, per quanto una parte di lei la intimava di non rispondere, quell’altra, molto curiosa, la spinse a premere il tasto verde per accettarla.
 
«Grazie per non avermi ignorato.»
 
«Solo perché così me la sbrigo velocemente. Ti ascolto.»
 
Ella non si disturbo nemmeno a salutarlo. Non gli doveva più niente, soprattutto il suo rispetto.
 
«Credevo che Sofia te lo avesse detto.» Il tono di finto stupore nella sua voce, ebbe su di lei lo stesso effetto della benzina lanciata sul fuoco.
 
«Detto cosa? Mi stai facendo innervosire.»
 
«Giovedì sera, mi ha chiamato.»
 
Le fu subito chiaro il motivo per cui si fosse ritirato in un religioso silenzio per quasi una settimana, tuttavia avrebbe preferito non saperlo, perché adesso si sarebbe dovuta cimentare in una spinosa discussione con Sofia, ed era troppo stanca per portare avanti litigi.
 
Era sfibrante.
 
«Ci mancava solo questa. Che ti ha detto?»
 
«Non credo di riuscire a ricordare tutti gli insulti e le minacce, ma il succo è che se ti avessi contattata di nuovo avrebbe trovato il modo per farmi molto male.»
 
Se Matteo aveva dimenticato le simpatiche parole di Sofia, allora Ella era la reincarnazione di Madre Teresa di Calcutta.
 
Tra tutti i mondi conosciuti e anche in quelli sconosciuti, non esisteva persona più rancorosa e permalosa di lui. Atteggiamento utile e maturo quando sfrutti uno stupido pretesto per rinfacciare al povero malcapitato di aver causato tutte e dieci le piaghe d’Egitto.
 
«Perché pensavi mi avrebbe raccontato della vostra amabile conversazione?»
 
«Il vostro rapporto è unico, date l’impressione di essere molto più che migliori amiche. Te l’ho sempre detto.»
 
Quell’affermazione poteva entrare tra le prime dieci frasi che avrebbero innescato in Ella istinti omicidi nei suoi confronti.
 
«Come dimenticare tutti quei litigi in nome della nostra strana amicizia. Adesso che ti ho lasciato è diventata unica?»
 
Un brivido di disgusto percorse la sua schiena, al pensiero di ciò che quelle discussioni avevano rischiato di provocare.
 
«Pensi che non ricordi? Credi che non mi penta ogni giorno per tutta quella gelosia?»
 
Quello non era il termine che Ella avrebbe usato, decisamente possessività sarebbe stato più appropriato per descrivere i suoi deliri ingiustificati.
 
«Sinceramente non mi interessa. Comunque, grazie per avermelo detto, non accadrà più una cosa del genere. Mi dispiace.»
 
In quel momento, tutto ciò che desiderava era picchiare Sofia con una pala per averla costretta a scusarsi con l’essere umano che meno avrebbe meritato le sue scuse.
 
Gliel’avrebbe fatta pagare. Doveva solo trovare un modo molto creativo per attuare la sua vendetta.
 
«Non ti preoccupare, non è stata colpa tua. Si è sempre comportata da mamma chioccia con te.»
 
«Questo non la giustifica. Non so quali insulti ti abbia rivolto, ma non avrebbe dovuto permettersi qualunque fossero le ragioni. Solo io posso farlo.»
 
Non sapeva quanto Sofia avesse riflettuto prima di prendere quella decisione sconsiderata, ma sicuramente il criceto che aveva nel cervello, in quel momento, era andato a farsi un sonnellino, altrimenti quel suo comportamento non aveva spiegazione.
 
Era andata bene ad entrambe che Matteo si fosse limitato a contattarla per spiegarle la situazione e non gli fosse scoppiata un’altra vena del cervello, che l’avrebbe spinto a farle rivivere l’inferno degli ultimi mesi.
 
Già nelle ultime settimane la stabilità che credeva di aver raggiunto aveva vacillato pericolosamente, se fosse precipitata ci sarebbe scappato un cadavere.
 
Quello di Sofia.
 
«Se avessi saputo, non ti avrei mai chiesto nulla.»
 
Le classiche frasi che usava per pararsi il culo prima che qualcuno ci infilasse dentro del pepe.
 
Aveva iniziato a giustificarsi fin dal primo messaggio che le aveva inviato, sottolineando che non le avesse scritto con l’intento di litigare, mettendo le mani avanti ancora prima di cadere.
 
Era palese che avesse qualcosa da nascondere e quel qualcosa erano le sue intenzioni spregevoli.
 
Voleva che litigasse con Sofia.
 
Metà delle loro discussioni si basavano sulla gelosia che provava nei confronti suoi confronti e l’altra metà era la gelosia rivolta al resto del mondo, compresa sua sorella e i suoi genitori.
 
Quando lo aveva lasciato, Matteo aveva iniziato ad accusare il mondo intero per averle fatto il lavaggio del cervello, tanto da credere che, se avesse smesso di essere amica di Sofia, sarebbe ritornato da lui.
 
Ecco che ci riprovava.
 
Non poteva affrontare per l’ennesima volta una conversazione di quel tipo.
 
Si rifiutava di accettarlo.
 
«Credo, invece, che in fondo una parte di te lo avesse sperato e immaginato, mentre digitava sulla tastiera del cellulare.»
 
Ella aveva vissuto sulla propria pelle il suo modo di ragionare. Aveva subito così tanto che sarebbe riuscita a prevedere i suoi pensieri malati, prima ancora che la sua mente bacata li partorisse.
 
«Che stai insinuando?»
 
«Tu sei per me un mistero come può esserlo un cesso otturato per un idraulico.»
 
Non poteva ripescare dalla sua enciclopedia di citazioni cinematografiche frase più azzeccata di quella.
 
«Non essere così volgare.»
 
Ella gli avrebbe rifilato volentieri una cinquina per quel tono arrogante da frate cappuccino.
 
«Solo capitan America potrebbe dirmi di moderare il linguaggio e comunque ho rubato una frase di Al pacino. Si esprime in modo molto più efficace e diretto di quanto potrei mai fare io.»
 
«Avrei capito, anche se me lo avessi detto in altri termini.»
 
«Nel dubbio ho preferito essere il più concisa possibile» ribatté con convinzione.
 
Ci aveva provato a stare zitta, ma di fronte a determinati comportamenti proprio non riusciva a chiudere gli occhi e ignorarli. Sicuramente sarebbe stato fiato sprecato come tutte le volte in cui aveva provato a spiegargli i motivi della sua decisione, ma almeno avrebbe sciolto il nodo che le stava stritolando lo stomaco. «Tu pensi che io non riesca a riconoscere le tue macchinazioni meschine dietro il tuo interessamento? Sai che se c’è una cosa che odio è essere presa per il culo e tu, in un anno, non sei mai riuscito a farti entrare questo concetto in quel tuo dannato cervello.»
 
«Perché devi sempre trovare un modo per litigare? Te l’ho detto all’inizio che ti ho scritto solo per tranquillizzarmi.»
 
«Ho provato a fingere di non vedere, ma se tu insisti con le giustificazioni e le scuse poi diventa impossibile negare l’evidenza, quindi non farmi passare per la solita cattiva della situazione. Se il tuo interesse fosse stato sincero, mi avresti chiesto solo se stavo bene, senza quella premessa che sapevi avrebbe suscitato la mia curiosità. Vuoi dirmi che Sofia ti ha chiamato a mia insaputa? Bene. Fallo, ma si diretto perché non tollero che mi si tratti come una stupida.»
 
Il tono della sua voce era leggermente alterato, ma non abbastanza da attirare l’attenzione di chi le passava accanto.
 
Era furbo, molto. I suoi giochi subdoli l’avevano tenuta sotto scacco per troppo tempo, ma adesso non funzionavano più.
 
Voleva incrinare il suo rapporto con Sofia, senza che nessuno potesse poi accusarlo di aver messo zizzania tra di loro.
 
Subdolo. Manipolatore. Meschino.
 
Il vocabolario italiano non conteneva abbastanza aggettivi per descrivere quella lurida sanguisuga.
 
«Ma per chi mi hai preso?» chiese arrabbiato, ferito nell’orgoglio.
 
Il suo ego era un buco nero che avrebbe risucchiato chiunque fosse entrato in contatto con lui per più di due minuti.
 
«Oh, io penso che tu abbia superato di gran lunga questi semplici sotterfugi, ma li ripeschi ogni tanto per tenerti allenato, altrimenti perdi il tuo tocco nel fare il lavaggio del cervello.»
 
«Se avessi voluto farti litigare con Sofia, avrei potuto scriverti prima.»
 
Ella aveva immaginato una risposta del genere, classica giustificazione di chi sta mentendo. Era come volersi nascondere dietro un filo d’erba.
 
Ridicolo.
 
«Tieni a me tanto da non infliggermi un dolore subito dopo un altro, ma non abbastanza per decidere di risparmiarmelo. Ecco perché hai aspettato. Apri gli occhi una buona volta e renditi conto che amare una persona non significa tutto questo.»
 
Ella gli aveva ripetuto queste parole, rivolto questi discorsi così tante volte che ormai li aveva imparati a memoria.
 
Sarebbe stato più produttivo chiedere ad un gatto di sedersi, invece che sperare che Matteo riflettesse su quei concetti e si comportasse come una persona matura e non come un malato di mente.
 
«E cosa significa?»
 
«Immortalità e l’ho capito perché con te non ho mai provato questa sensazione, ma non è colpa di nessuno.»
 
«Quante volte ti ho ripetuto che avrei potuto cambiare e migliorare per te.»
 
Altra frase che rientrava nella lista di dieci che rendevano Ella una belva inferocita.
 
«Ma io non voglio, perché, anche se lo facessi, saresti sempre diverso dalla persona che ritengo giusta per me. Non ci sarebbe spontaneità, penseresti quello che penso io e ti faresti piacere ciò che piace a me non perché è un tuo desiderio o perché fa parte di te, ma solo per compiacermi. Matteo tra me e te si era rotto qualcosa già prima che me ne accorgessi e ho illuso me stessa credendo che, con il tempo, le cose si sarebbero aggiustate, ma non è stato così. L’amore era svanito.»
 
Per Ella valeva il detto: “chi nasceva tondo non poteva morire quadrato”, al massimo poteva diventare un’ellisse.
 
Due persone per stare bene insieme non dovevano essere simili in tutto, altrimenti la noia avrebbe ammazzato la relazione, ma nemmeno estremamente diverse, altrimenti cosa avrebbero potuto mai fare insieme.
 
Differenti e simili quanto bastava per stimolarsi a vicenda. Un rapporto prevedeva compromessi e gli spigoli di una persona potevano essere smussati, ma non trasformati radicalmente. Se si voleva cambiare di molto qualcuno, semplicemente non era mai stato quello giusto.
 
«Lo so, Ella, ma mi manchi. È più forte di me, tu sei più forte di me e di ogni mia volontà di dimenticarti.»
 
A chi non lo avesse conosciuto, quelle parole avrebbero potuto far sospirare, riempire il cuore di amore e gli occhi di gioia, ma tutto ciò che Ella provò fu una sensazione di sporco, che le provocò un intenso desiderio di lavarsi per ripulirsi da quelle parole false e schifose.
 
«Matteo mi dispiace, ma nel bene o nel male dovrai fartene una ragione.»
 
Specialmente all’inizio, Ella era sempre dispiaciuto essere così dura con lui, perché lo aveva amato realmente e non si era mai pentita delle sue scelte, nonostante le conseguenze a cui avevano portato.
 
Dopo tutto ciò che era accaduto, il bene che aveva continuato a provare per lui dopo la rottura era svanito e adesso non pensava più ad un modo carino per indorargli la pillola, anzi, preferiva ficcargliela in gola per fargliela ingoiare senza l’ausilio dell’acqua, magari ci si sarebbe strozzato prima o poi.
 
«Non hai mai avuto nessun ripensamento?» la sua voce era incerta, perché in cuor suo conosceva la risposta.
 
«Perché ti ostini a farti del male?»
 
«Rispondimi, per favore.»
 
Ella non poteva mentire, perché farlo avrebbe significato dargli speranza e non avrebbe commesso due volte lo stesso errore.
 
«No. Abbi un po’ di amore per te stesso e vai avanti come sto cercando di fare io.»
 
«Come?»
 
Ella era giunta alla conclusione che Matteo soffrisse di un disturbo dipendente di personalità. Non riusciva a vivere senza una persona al suo fianco e, quando qualcuno di importante entrava nella sua vita, si legava a essa in maniera morbosa.
 
«Non lo so. Vai in palestra, fai un viaggio, incontra nuove persone, stringi amicizie.»
 
«Tu stai facendo tutto questo? Hai incontrato nuove persone?»
 
Nella mente di Ella iniziò a lampeggiare un allarme rosso, per la piega che stava per prendere la conversazione.
 
«Si.»
 
«E ti piacciono?»
 
«Abbastanza da voler approfondire la loro conoscenza.»
 
«Quindi… si, insomma, tu stai anche cercando qualcuno che prenda il mio posto?»
 
Eccolo.
 
Ella lo stava aspettando alla fine della corsa, mentre lei aveva già fatto venti giri di pista.
 
«Matteo, non siete doppioni di figurine che posso sostituire a mio piacimento, se una si rovina. Non sto cercando nessuno che prenda il tuo posto, perché l’amore non è una caccia al tesoro. Non è qualcosa che si può ottenere solo se la si desidera. Se arriva non posso farci nulla, ma levati dalla testa queste stronzate.»
 
«È arrivato?»
 
Non avrebbe risposto alla sua domanda.
 
Doveva rimanere fuori dalla sua vita. Il più lontano possibile dalle persone che la popolavano, rendendola piacevole e più accettabile.
 
Sarebbe rimasto al di là dei confini che aveva tracciato anche a costo di sentirsi dire le cattiverie più infamanti.
 
«Mi dai sempre più conferma che tu non sei innamorato di me ma solo dell’idea che rappresento. Se da solo non riesci a stare bene, trovati un’altra ragazza. Che ne so, vai su un sito di incontri.»
 
«Tu non sei sostituibile.»
 
Se glielo avesse detto qualche settimana prima, gli avrebbe risposto che tutti potevano essere rimpiazzati, ma dopo quanto accaduto con Gabriele, si era resa conto che il vuoto lasciato da una persona non potrebbe mai essere riempito dalla presenza di un’altra.
 
«Nessuno lo è. Devi solo trovare la persona quella che non ti faccia pesare le mancanze che fanno parte del tuo passato.»
 
La porta da cui Ella era uscita si aprì, rivelando la figura di Sofia che si incamminava nella sua direzione.
 
«Matteo, adesso devo andare. Ho una questione da risolvere. Ripensa a ciò che ti ho detto. Concentrati sulla tua vita e lasciami andare» disse bruscamente, chiudendo la comunicazione senza aspettare che ricambiasse il saluto.
 
Se lo avesse fatto, probabilmente sarebbero stati altri quindici minuti al telefono per dirgli che doveva mollare l’osso perché, ormai, tutta la carne che lo avvolgeva l’aveva già scorticata e non era rimasto più nulla da divorare.
 
Sofia vide da lontano Ella posare il cellulare nella tasca destra del cappotto. Quando fu a pochi passi da lei, osservò con attenzione la sua espressione contrita, ma ciò che la stupì fu il suo sguardo, nel quale non c’era la minima traccia di rabbia, ma solo una profonda tristezza.
 
Sofia si rese conto che avrebbe preferito di gran lunga la sua ira più crudele, invece di quel dolore che traspariva da ogni curva del suo viso pallido e delicato.
 
«Ti ha detto tutto» disse in un sospiro, mentre si sedeva nel posto libero accanto a lei.
 
Ella sapeva di essere un libro aperto per chi la conosceva e, d’altronde, non aveva motivo di nascondere le proprie emozioni in quel momento e voleva che le comprendesse più di quanto avesse compreso le conseguenze delle sue azioni discutibili.
 
«Davvero hai pensato, anche solo per un attimo, che non lo avrebbe fatto? Diamine Sofia, ti ricordi di chi stiamo parlando? Perché non me lo hai detto?» La voce di Ella era più pacata di quanto Sofia si aspettasse.
 
Quando Ella non alzava il tono di voce, significava che non era arrabbiata e se c’era un’emozione che la spingeva a comportarsi in quel modo apparentemente pacato, quella era la delusione.
 
Solo prendendo consapevolezza di quella sua reazione, Sofia si rese conto di quanto avesse sbagliato.
 
«Ella, io volevo solo…»
 
«Proteggermi, lo so» la interruppe, non riuscendo a tacere. «Capisco il motivo, ma non ne avevi il diritto. Agendo alle mie spalle non mi aiutate, perché sono io a pagare le conseguenze dei vostri atti di altruismo, sono io che devo ascoltare le sue stronzate per telefono, sono io che mi devo scusare per sbagli che non ho commesso e sopportare che mi venga rinfacciato il passato.»
 
La verità di quelle parole si scontrò con le motivazioni che avevano spinto Sofia a impugnare il telefono dell’amica, facendole vacillare.
 
«Cosa ti ha detto?»
 
«Non è importante. Il punto è che dovete smetterla di prendere decisioni che riguardano la mia vita senza nemmeno scomodarvi a consultarmi. Sono adulta e conosco i miei limiti.»
 
«Si, l’ho proprio notato giovedì quando ti ho raccattato da terra mentre ti contorcevi dal dolore. Tu non chiederesti aiuto nemmeno se ti trovassi spiaccicata sotto la ruota di un camion.»
 
Sarebbe stato ridicolo se Ella avesse provato a smentire tale affermazione, perché era pienamente consapevole del blocco che la spingeva a rifiutare chiunque provasse ad avvicinarla.
 
«Sarei morta anche prima di poterci pensare.»
 
Anche nei discorsi più seri, non riusciva a evitare di sparare stronzate, solo per il gusto di rendere la conversazione più interessante.
 
«Ella, sono seria» la riprese Sofia
 
«Anche io. So che lo hai fatto con tutte le buone intenzioni di questo mondo, ma non posso non dirti nulla. Le persone di cui mi fido si contano sulle dita di una mano, non riesco ad accettare l’idea che anche tu possa essere capace di tradirmi.»
 
Sapeva che lo aveva fatto in buona fede, che non glielo aveva detto solo perché non voleva fornirle altri spunti su cui fondare nuove paranoie, ma ancora non poteva giustificarla.
 
«Non pensavo potessi sentirti così.»
 
«E a cosa hai pensato? Ammetti che una parte di te ha inviato la chiamata perché volevi toglierti tutti i sassolini dalla scarpa.»
 
«Ti assicuro che assomigliavano più a degli scogli. Non riuscivo più a vederti ridotta in quello stato, sempre per colpa sua. Ti ho guardata morire lentamente per mesi, senza poter fare nulla che non fosse dire qualche stupida battuta per vedere un tuo sorriso spuntare di tanto in tanto. La ragazza forte che ho conosciuto si era talmente logorata da diventare uno spettro, quindi avevo parecchie cose da dirgli. Me ne pento? Assolutamente no. Mi pento di averlo fatto alle tue spalle? Assolutamente sì.»
 
Ella era fin troppo consapevole del fatto che Sofia fosse stata spinta dalla disperazione. Il suo dolore si ripercuoteva su chi la circondava, portandoli a compiere gesti stupidi e avventati, per tale motivo non li voleva coinvolgere e faceva il possibile per tenerli a distanza, ma era impossibile.
 
L’unico modo per riuscirci sarebbe stato rinchiudersi nella sua stanza, blindare le finestre e distruggere la chiave, ma così facendo sarebbe morta.
 
Decisamente una bella situazione.
 
«Spiegami perché ogni volta che penso che le cose stiano finalmente andando per il verso giusto mi ritrovo di nuovo al punto di partenza. Spiegamelo, perché davvero io non lo capisco.» Ella sospirò, rivolgendo quelle parole più a sé stessa che a Sofia. Passò una mano tra i capelli per tirare indietro le ciocche che le erano ricadute davanti agli occhi, ostacolando la visuale.
 
«Non immagini quanto mi dispiaccia. Non volevo ferirti, scusami.»
 
Ella era delusa più da sé stessa che da Sofia. In realtà non era arrabbiata con lei, perché sentiva che presto o tardi una situazione del genere si sarebbe verificata.
 
Ce l’aveva con sé stessa, perché in quei mesi non era riuscita a risolvere nulla.
 
Era la legge di Murphy: “se qualcosa può andar male, lo farà”.
 
In pratica era la regola che governava la sua intera esistenza.
 
«Quante volte ti ho risposto che non volevo lo chiamassi per dirmi di starmi lontano? Quante Sofia? Più persone entrano in questa storia, più persone si faranno del male e io non ho intenzione di guardare mentre se la prende anche con voi.»
 
«Sai che così non uscirai mai da questa situazione. Dici di fidarti di me, allora lascia che ti aiuti, lascia che le persone che ti amano ti proteggano. Non farci sentire impotenti.»
 
Da quando erano iniziati i problemi con Matteo, sapeva che avrebbe dovuto mettere in pratica le parole che Sofia non faceva altro che ripeterle e forse era giunto il momento di accantonare le paure, iniziandosi ad aprire con chi stava provando disperatamente a riconquistare la sua fiducia.
 
D’altronde come avrebbe avuto la certezza di potersi fidare, se non dava a nessuno una valida occasione per dimostraglielo.
 
Gabriele avrebbe potuto essere il suo punto di svolta, sia nel bene che nel male.
 
«Così mi aiutereste?»
 
«Se non fossi così testarda non saremmo mai arrivati a questo punto.»
 
«Forse sì o forse se avessi preso provvedimenti più seri, avrei potuto scatenare in lui una reazione peggiore. Sofia, in queste situazioni non c’è un modo migliore o peggiore di agire, devi solo scegliere se vuoi morire per mano di una pistola o un coltello, ma la fine sarà la stessa.»
 
«Non ti azzardare a dire certe cose» Sofia la rimproverò, guardandola con occhi spaventati.
 
Non poteva negare di aver temuto più volte di fare una brutta fine e Sofia ne era a conoscenza, ma adesso quell’ipotesi si era allontanata dai suoi pensieri, anche se nei giorni bui capitava ritornasse a farle visita.
 
Ella capiva il motivo di quella reazione, così allungò una mano, posandola sulla sua coscia per tranquillizzarla.
 
«Era una metafora, conto di vivere ancora a lungo» rispose rivolgendole un sorriso.
 
Beh, non dire più queste cose in mia presenza.»
 
I loro sguardi si incrociarono, per cercare conforto nelle emozioni l’una nell’altra.
 
«Sono stanca di essere sempre delusa e arrabbiata, ma è la cosa che mi riesce meglio.» Ella poggiò la testa sulla spalla di Sofia, piegandola di lato.
 
«Stai facendo il suo gioco» rispose e, allungando il braccio sulle spalle di Ella, posò la mano tra i ricci morbidi.
 
«Lo so, ma sei stata tu a dare inizio a questa nuova partita nel momento in cui hai fatto partire la chiamata.»
 
Era dura da accettare, ma era la verità e negarla non avrebbe risolto il problema.
 
«Quindi? Per quanto tempo hai intenzione di ignorami?»
 
Ella si sottrasse dalle carezze rassicuranti dell’amica, alzandosi in piedi.
 
«Dammi un paio d’ore per metabolizzare la questione e vedrai che stasera riprenderò a darti fastidio come sempre.»
 
Sofia sapeva che Ella aveva solo bisogno di un po’ di tempo per stare sola e perdonarsi per ciò che era accaduto e per ciò che era convinta sarebbe successo.
 
«Quando sei pronta, sai dove trovarmi.»
 
Sulla scia di quelle parole, Ella voltò le spalle a Sofia per ritornare in aula e recuperare la borsa e i libri.
 
Si rese contò che vivere era come giocare a poker.
 
Alla prima mano era stata bluffata da Matteo, aveva puntato troppo e aveva perso.
 
Adesso aveva un’altra mano da giocare ed era decisa a rischiare di nuovo perché, se il passato le aveva insegnato qualcosa, era che dal male poteva nascere sempre qualcosa di buono, il trucco stava nel guardare il quadro generale dalla giusta prospettiva.
 
 
   
 
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