Capitolo ottavo
There is darkness ever waiting
I can feel it in the air
So I call upon my angels
Are you still there?
When the wind bends the branch to softly touch me
When the band plays your song
I feel strong enough to keep dreaming
Even when I'm all alone
Our love goes on and on…
(“Love goes on and on” – Lindsey Stirling feat. Amy Lee)
Mentre Rinaldo continuava a baciare Giovanni
con tutta la passione possibile nel giardino interno di Villa Medici, e si
tratteneva a stento dal fare qualcosa di più e solo perché non era a casa sua,
il sole era tramontato e le prime ombre della sera calavano su Firenze, ma i
due amanti non se ne erano nemmeno accorti.
Nel frattempo, nello studio di Cosimo si
stava svolgendo un dramma familiare.
Oddio, se avesse saputo cosa stavano
combinando quei due nel suo giardino, forse prima avrebbe sistemato la
situazione… comunque, il fatto era che Contessina aveva deciso di affrontare il
marito riguardo al bambino che Maddalena aspettava da lui.
“Ho davvero pensato di lasciarti, Cosimo,
dopo aver saputo che quella schiava ha in grembo tuo figlio!” aveva detto
Contessina, oltraggiata e addolorata.
“Però non te ne sei andata, alla fine”
sottolineò Cosimo, come se per lui, alla fine, un figlio in più o in meno non
significasse poi molto. Non era innamorato di Maddalena, il figlio era stato un
incidente e adesso si sarebbe occupato di dargli una casa e un’istruzione, dove
stava il problema? Non pensava certo di lasciare Contessina per Maddalena, non
gli era nemmeno mai passato per l’anticamera del cervello!
Sì, alla fine la situazione rispecchiava,
anche se al contrario, quella di Rinaldo e Giovanni e questo era piuttosto
buffo, a ben pensarci.
Contessina, però, non si divertiva per niente
e stava per replicare qualcosa in tono duro quando si udì una gran confusione,
parole concitate dei servitori, rumori, grida e alla fine sulla soglia dello
studio del Medici apparve Marco Bello che sorreggeva Lorenzo.
Cosimo impallidì e anche Contessina dimenticò
Maddalena, il figlio illegittimo e tutta la faccenda.
“Che cosa è successo?” mormorò Cosimo,
avvicinandosi ai due.
“Era una trappola” spiegò Marco Bello, scuro
in volto. “Le guardie che hanno accompagnato vostro fratello dal prigioniero
erano state comprate da Andrea Pazzi e, mentre lui lo interrogava, hanno
cercato di assassinarlo a tradimento. Per fortuna il vostro giovane protetto,
Giovanni Uberti, mi aveva avvertito di non fidarmi di Pazzi e di seguire Messer
Lorenzo per proteggerlo.”
Nel frattempo, incuriositi dalla confusione
che sembrava aver invaso Palazzo Medici, anche Rinaldo e, appunto, Giovanni,
avevano raggiunto gli altri nello studio di Cosimo. Rinaldo sembrava un po’
seccato per l’interruzione, visto che si trovava tanto bene a fare i suoi
comodi in casa d’altri, ma quando vide Lorenzo e Marco Bello feriti e
sanguinanti rimase male pure lui: la situazione gli ricordava parecchio quella
dell’imboscata a lui e a suo figlio e, a quanto pareva, Andrea Pazzi aveva
messo lo zampino anche qui!
Dal canto suo, Giovanni era inorridito. Aveva
chiesto a Marco Bello di seguire e proteggere Lorenzo perché temeva un altro colpo di scena da parte di Pazzi, certo,
ma avere sotto gli occhi i due uomini feriti gli faceva tornare in mente quello
che sarebbe potuto accadere a Rinaldo. Lui e suo figlio non avevano riportato
nemmeno un graffio grazie alle guardie medicee, ma sarebbe potuta andare
peggio, molto peggio… E, se Pazzi aveva avuto l’ardire di cercare di colpire
addirittura un Medici, cosa gli avrebbe impedito di ritentare anche con gli
Albizzi?
Intanto Marco Bello stava continuando il suo
racconto.
“Avevo seguito Messer Lorenzo fino al Palazzo
della Signoria e sono riuscito a confondermi in mezzo alle guardie, perciò,
quando il primo sicario ha sguainato la spada, mi sono gettato su di lui e l’ho
trafitto. Le altre false guardie ci hanno assaliti ma, a quel punto, sia io che
Messer Lorenzo eravamo pronti a difenderci. Nonostante fossimo due contro
quattro, li abbiamo ammazzati, anche a costo di qualche ferita, però, ecco…
purtroppo lo sgherro di Pazzi ha approfittato della confusione per scappare.
Deve aver preso un mantello a una delle guardie uccise e così se n’è andato
indisturbato dal Palazzo della Signoria.”
Questo tanto per sottolineare quanto, anche
allora, la sicurezza nelle carceri non fosse precisamente una priorità…
“Non importa, riusciremo a ritrovarlo, prima
o poi e, comunque, abbiamo la lettera” tagliò corto Cosimo, più preoccupato per
le condizioni del fratello e dell’amico. “In questo momento la cosa più
importante è che siate curati e che possiate riposare. Dove sono i servitori?
Che portino subito acqua, bende e tutto l’occorrente per pulire le ferite.
Contessina, chiama Emilia e mandala di corsa da un dottore.”
“Messer Cosimo, non vi preoccupate, io ho
solo qualche graffio” minimizzò Marco Bello, “e per fortuna anche le ferite di
vostro fratello non sono gravi, il sicario non ha avuto il tempo di colpirlo
come avrebbe voluto.”
Ma Cosimo non volle sentire ragioni. Anzi,
ordinò che Marco Bello fosse accompagnato in una stanza del palazzo per essere
curato, invece di rimanere negli alloggi della servitù. In breve tempo i due
uomini furono sistemati a letto, le loro ferite vennero lavate e bendate in
attesa del dottore, che arrivò presto e tranquillizzò Cosimo e tutta la
famiglia, compresa quella allargata!
Marco Bello era stato colpito ad una gamba e
a una spalla, ma le sue ferite erano veramente poco più che graffi. Insomma, si
erano fatti molto più male i sicari!
Lorenzo, invece, era stato colpito ad un
fianco, la sua ferita era più profonda e aveva perso molto sangue, comunque non
era in pericolo di vita e, con cure adeguate e riposo a letto, si sarebbe
ripreso in una settimana o poco più. Cosimo fu molto sollevato nell’udire le
parole del dottore e dovette ammettere, ancora una volta, che Giovanni ci aveva
visto giusto: allontanare Marco Bello da Palazzo Medici era stato un errore del
quale Pazzi aveva tentato di approfittare… e per poco non ci era riuscito! Non
avrebbe mai dovuto diffidare di Marco Bello che gli era sempre stato fedele.
Cosa ne sarebbe stato di lui se avesse perduto suo fratello? Lui e Lorenzo
erano diversi, certo, ma si erano sempre voluti molto bene e si completavano a
vicenda.
Cosimo dovette anche confessare a se stesso
che, in vita sua, non aveva mai fatto niente per farsi amare dagli altri, anzi
era riuscito a rovinare anche i rapporti con le persone che gli erano più care.
Il figlio Piero, che non si sentiva mai apprezzato da lui; il fratello Lorenzo,
che lui tendeva a giudicare; Marco Bello, accusato ingiustamente; Contessina,
umiliata e trattata con freddezza e che comunque continuava a restargli
accanto; perfino Maddalena, che adesso aspettava un figlio suo, un figlio
concepito non per amore ma per ripicca contro la moglie. Lui aveva rischiato di
rovinare la vita di tante persone…
Adesso, però, l’intervento di Marco Bello gli
stava dando una seconda occasione. Non doveva lasciarsela sfuggire, doveva fare
in modo di sistemare le cose per tutti e di aprire finalmente il suo cuore a
chi gli stava accanto.
Quel giorno avrebbe segnato per lui l’inizio
di una nuova vita, una vita diversa. Avrebbe comunque continuato a fare il suo
dovere per la famiglia Medici, ma senza indurire il cuore.
Le cose sarebbero cambiate, a Palazzo Medici.
Nel frattempo, mentre Cosimo stava vivendo la
sua crisi di coscienza e giungeva a
conclusioni finalmente un po’ più ragionevoli del solito, la vicenda di Lorenzo
e Marco Bello aveva riempito di orrore Giovanni. Certo, era felicissimo che
entrambi fossero sani e salvi e ringraziava Dio e tutti i suoi Santi per aver
avuto l’ispirazione di non fidarsi di Andrea Pazzi e chiedere a Marco Bello di
vegliare sul Medici… però il ferimento dei due uomini gli aveva fatto tornare
in mente l’imboscata agli Albizzi e, cosa ancora più grave, aveva scoperto che
il sicario di Pazzi era riuscito a scappare.
La cosa che temeva di più, in quel momento,
era che il delinquente in questione potesse essere stato pagato per tentare
nuovamente di assassinare Rinaldo… Davanti a quella terribile prospettiva le
sue gelosie e ripicche, chissà come, passavano in secondo piano!
E così, dopo che Rinaldo si fu congedato
rapidamente dai Medici (beh, sì, nonostante la loro cortesia nell’invitarlo al
banchetto lui non voleva perdere troppo tempo a ringraziarli!), Giovanni lo
attese nell’atrio e poi lo bloccò prima che uscisse dal portone.
“Non potete tornare al vostro palazzo
stasera” gli disse, guardandolo fisso negli occhi con espressione cupa, “e
forse nemmeno nei prossimi giorni.”
Albizzi restò spiazzato.
“Adesso sei tu a dirmi cosa posso o non posso
fare? Anzi, dovresti venire anche tu con me, è quello il tuo posto” replicò,
divertito dall’ardire del ragazzino.
Ma Giovanni non aveva alcuna intenzione di
cedere: quella non era una ripicca, non era gelosia, era un sentimento ben
diverso.
“Io non vi lascerò andare finché il sicario
di Pazzi non sarà stato catturato di nuovo. Meglio ancora, fin quando lo stesso
Andrea Pazzi non sarà incarcerato per i suoi crimini e non potrà più fare del
male a nessuno!” dichiarò. E la luce nei suoi occhi fece comprendere a Rinaldo
che ciò che lo spingeva non era la strafottenza, bensì la paura e la
preoccupazione… per lui.
“Giovanni, pensi che Pazzi voglia ancora
tentare di uccidermi?”
“Perché no? Ha già cercato di farlo una
volta, no?”
“Nel mio palazzo sono al sicuro: ci sono le guardie
della Signoria a sorvegliarmi perché non mi venga in mente di fuggire chissà
dove” gli rammentò l’uomo. “Per loro sono ancora sotto custodia, la mia
condanna all’esilio è stata solo rimandata.”
“Le guardie della Signoria, che
consolazione!” esclamò il giovane, esasperato. “Peccato che Pazzi abbia
corrotto proprio alcune di quelle guardie per tentare di assassinare Messer
Lorenzo. No, non vi lascerò uscire di qui finché Pazzi non sarà ridotto
all’impotenza!”
Rinaldo allora sorrise.
“Dunque ci tieni davvero a me, ragazzino,
nonostante tutto quello che mi hai detto” disse piano, mettendogli un braccio
attorno alla vita e attirandolo a sé. Lo avrebbe anche baciato se proprio in
quel momento non fosse intervenuto Cosimo.
Sì, vabbè, aveva deciso di essere più aperto
e comprensivo con tutti e lo avrebbe fatto, ma non intendeva cominciare proprio
guardando Rinaldo sbaciucchiarsi quel ragazzino! Si schiarì la voce e parlò in
tono sostenuto.
“Ritengo che Giovanni abbia ragione, il tuo
palazzo al momento potrebbe non essere sicuro” disse. “Puoi rimanere qui per
qualche notte, Rinaldo, farò preparare una stanza per te. Qui ci sono le
guardie fedeli alla mia famiglia e nessuno di loro è pagato da Andrea Pazzi.”
Albizzi parve innervosirsi: non aveva nessuna
voglia di farsi ospitare dal Medici per poi doversi sentire riconoscente, se fosse stato per lui
avrebbe preferito rischiare di affrontare i sicari di Pazzi al suo palazzo. Sì,
Rinaldo Albizzi era sempre il solito arrogante, orgoglioso e testardo!
Però poi gli venne in mente che, se fosse
rimasto a Palazzo Medici, avrebbe potuto tentare di riavvicinarsi a Giovanni,
che non aveva nessuna intenzione di seguirlo a Palazzo Albizzi. La
preoccupazione per lui sembrava averlo reso più malleabile, poteva essere la
volta buona per farsi perdonare e far accettare a quel ragazzino impertinente
il fatto che lui avesse una figlia e tutto il diritto di vederla.
“Va bene, resterò qui per qualche notte, ti…
beh, ti ringrazio, Cosimo” disse quel
grazie come se fosse stata una bestemmia…
“Spero comunque che Andrea Pazzi sarà presto incriminato e che non dovrò più
approfittare dell’ospitalità della tua famiglia.”
“Pazzi ha i giorni contati” affermò Cosimo,
consapevole dell’importanza di quella lettera che Lorenzo gli aveva dato e che,
nella confusione degli eventi che si erano succeduti, non aveva ancora letto.
Così anche Rinaldo rimase a dormire a Palazzo
Medici che ormai, a quanto pareva, era divenuto un porto di mare!
Quella stessa notte, però, Giovanni, turbato
e sconvolto dagli avvenimenti della giornata appena trascorsa, ebbe un
terribile incubo: sognò di trovarsi ancora in quella foresta, con Rinaldo e
Ormanno, accerchiati dai mercenari ma senza le guardie medicee a proteggerli.
Lui non poteva fare niente, era bloccato, era come se non fosse davvero
presente e vedesse la scena davanti ai suoi occhi come un macabro e orrendo
spettacolo. Vide gli Albizzi cadere sotto le frecce e i colpi di spada dei
mercenari e tentò di muoversi, di gridare, ma non poteva. Poi la scena cambiò:
Giovanni si trovava lungo una strada di Firenze, sentiva tante persone muoversi
attorno a lui, ma non riusciva a vederle, vedeva soltanto un carro trainato da
due cavalli… e sopra quel carro c’erano i cadaveri ormai freddi di Ormanno e
Rinaldo.
Quella vista atroce fu troppo per il ragazzo,
che lanciò un grido e si svegliò di soprassalto, con il cuore che gli
martellava nel petto e un’angoscia indicibile che lo soffocava. Pallido e
tremante, si alzò lentamente dal letto, guardandosi intorno e riacquistando, a
poco a poco, lucidità. Non era successo niente, era stato solo un incubo,
quella era la sua stanza a Palazzo Medici e Rinaldo stava bene, anzi,
probabilmente era tranquillamente addormentato nella stanza in fondo al
corridoio… e anche Messer Lorenzo e Marco Bello sarebbero presto guariti.
Sì, ma le riflessioni non bastavano a
calmarlo davvero. Giovanni doveva
vedere Rinaldo, doveva constatare con i suoi stessi occhi che era sano e salvo,
che nessuno gli aveva fatto del male. Uscì silenziosamente dalla stanza e
attraversò il corridoio, tenero e buffo in quel camicione da notte che gli
arrivava ai polpacci e i piedi nudi, ma non gli sarebbe importato nemmeno se
qualcuno lo avesse visto. Giunse alla camera di Albizzi e, pian piano, per non
fare rumore, aprì la porta, scivolò dentro la stanza e la richiuse.
Si avvicinò al letto di Rinaldo senza quasi
respirare. Stava davvero bene? Era abbandonato sui cuscini e sotto le coperte e
somigliava fin troppo a quell’orribile scena che aveva visto, a quell’uomo
morto sopra un carro… Solo che l’uomo sul letto aprì gli occhi e lo guardò,
sulle prime sorpreso, ma poi intenerito da ciò che aveva davanti, un ragazzino
scalzo e smarrito in una camicia troppo grande per lui.
“Cosa c’è, Giovanni? Non riesci a dormire?”
gli chiese, in un tono insolitamente affettuoso.
E quella fu la goccia che fece traboccare il
vaso. Giovanni scoppiò a piangere disperato, tutta la paura, la rabbia, la
tristezza, la preoccupazione di quei giorni lo travolsero e lo portarono ad un
pianto dirotto. Rinaldo riuscì appena a capire qualche parola spezzata tra i
singhiozzi.
“Ho sognato… voi… non riuscivo a salvarvi nel
bosco… e poi vi vedevo… vedevo il vostro corpo… io… volevo sapere che stavate
bene… io…”
Giovanni non piangeva spesso ma, quando succedeva,
non era in grado di gestire le sue emozioni e non riusciva a frenarsi. Rinaldo,
però, comprese lo stesso e, sentendosi scaldare il cuore per l’affetto che quel
ragazzo così imprevedibile gli dimostrava, lo prese tra le braccia e lo portò
nel letto con sé.
“Giovanni, io sto bene, è stato solo un
incubo” gli disse con dolcezza, accarezzandogli il viso, asciugandogli le
lacrime e baciandolo sulla fronte e sulle guance morbide. “Non è successo
niente, tu mi hai salvato… e ora sei mio e staremo sempre insieme. Non mi
perderai mai, hai capito, sciocco ragazzino insolente?”
Mentre il pianto di Giovanni si calmava, la
tenerezza lasciò il posto alla passione. I baci si fecero più appassionati e
intensi, Rinaldo lo accarezzò con desiderio su tutto il corpo, incollandosi a
lui, volendo esplorare ogni centimetro della sua pelle per sentire che era
davvero lì, che non gli sarebbe più scappato. E, del resto, il ragazzino non
voleva andare più da nessuna parte, anzi si perdeva tra le braccia di Rinaldo e
nei suoi baci, pensando che il suo uomo stava bene, che non lo avrebbe mai
perduto. Si rendeva sempre più conto che non avrebbe potuto sopportare di
essere separato da lui, che ormai il suo destino era legato per l’eternità a
quello dell’uomo, nonostante i dissidi e le litigate per via di sua moglie e
della figlia neonata. Nulla era paragonabile a ciò che provava quando lo aveva
con sé e Giovanni capiva che i suoi erano solo stupidi capricci se paragonati
al dolore assoluto che avrebbe provato se Rinaldo fosse morto davvero. Intanto
l’uomo continuava ad accarezzarlo, a percorrere tutto il suo corpo con mani
avide, mentre lo baciava ancora e ancora, con sempre maggior desiderio, senza
riuscire a saziarsi di lui. Poi lo possedette, senza staccare le labbra dalle
sue, con ardore e intensità, sentendo che Giovanni lo assecondava e soffocava i
gemiti di piacere contro la sua bocca. Portò il ragazzo al culmine della
passione e ancora oltre per poi esplodere con lui nell’estasi totale che lasciò
entrambi sfiniti e ansimanti.
Alla fine, tuttavia, Rinaldo non si
accontentò dell’amplesso e sentì il bisogno di tenere ancora stretto tra le
braccia Giovanni anche dopo aver soddisfatto l’urgenza del desiderio. Il corpo
caldo e tenero del ragazzino si avvinghiò a lui disperatamente, avvertendo
ancora la necessità di perdersi tra le sue braccia, di smarrirsi completamente
nel suo abbraccio avvolgente e dimenticare le terribili immagini che aveva
visto in sogno. Doveva sentire che Rinaldo era lì, che non gli sarebbe accaduto
mai nulla, che sarebbero rimasti insieme per sempre.
Non lo avrebbe lasciato solo mai più, pensò,
spaventato all’idea che Pazzi avrebbe potuto farlo aggredire dai suoi sicari
anche quando si trovava in campagna per vedere la figlia, mentre lui, a
Firenze, faceva il principino offeso.
No, non poteva rischiare una simile perdita. Da quel momento in poi, avrebbe
seguito Rinaldo dovunque fosse andato.
E nessuno glielo avrebbe portato via, mai.
Fine capitolo ottavo