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Autore: Calia_Venustas    27/01/2020    2 recensioni
[IN PAUSA FINO AL PROSSIMO AGGIONAMENTO DI KHUX]
C'è qualcosa che il Maestro dei Maestri non può confessare a nessuno, nemmeno a Luxu. Qualcosa che se i suoi apprendisti dovessero scoprire metterebbe a repentaglio tutto quello in cui credono. Il Maestro sa di essere nel torto, ma sa anche di essere troppo orgoglioso per ammetterlo.
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Una storia sull'origine del Maestro dei Maestri e dei Veggenti sin dall'inizio del loro apprendistato fino all'epilogo di KH3. A partire dal capitolo 18 scorre in parallelo una seconda trama che ha per protagonisti Soggetto X e Luxu, ora nei panni di Xigbar, alle prese con i retroscena degli eventi successivi a Birth By Sleep.
[Coppie: Luxu/Ava, Luxu/Maestro dei Maestri, Invi/Ira, Ava/Gula, Soggetto X/Isa, Lauriam/Elrena]
Genere: Avventura, Drammatico, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Shonen-ai | Personaggi: Nuovo personaggio, Organizzazione XIII, Vanitas, Ventus, Xigbar
Note: Lime, Missing Moments | Avvertimenti: Contenuti forti, Furry, Spoiler! | Contesto: Altro contesto, Più contesti
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✭ THE LOST EMPIRE ✭

I saw the end.
I saw the ending at the start.
Though I never said a word aloud,
I knew it in my heart.
All I ever wanted was to make the smiles real.
I felt that was worth the hurt and time it took to heal.
[Lantern in the Night -
Rachel Rose Mitchell]


L’espressione del Re s’era fatta cupa e imperscrutabile. Raccogliendo il lungo scettro in legno scolpito, si alzò in piedi e la sua figura nerboruta assunse un aspetto estremamente autoritario nonostante l’evidente debolezza delle sue vecchie membra.

“Qualunque cosa tu stia cercando, non la troverai qui.” disse risoluto, usando il tono aspro di chi è abituato a comandare. La sua voce era come carta vetrata.

Perbias abbassò il capo in un gesto sorprendentemente umile “Con il dovuto rispetto, Vostra Altezza-”

“Non mettere alla prova la mia pazienza, Straniero. Ti sto dando l’occasione di ritirarti, ma vedo che non hai alcuna intenzione di approfittare della mia magnanimità.”

“Con il dovuto rispetto,” ripeté Perbias imperturbabile, sollevando nuovamente lo sguardo “mi trovate in disaccordo. Se voi foste in grado di vedermi, capireste che le probabilità che io sia uno ‘straniero’ sono molto labili.”

“Mia figlia è i miei occhi. Conosco il tuo aspetto e so cosa stai insinuando. Vuoi sapere se appartieni al nostro popolo-”

“A dire il vero, no.” rispose il Maestro cogliendo un pò tutti alla sprovvista, soprattutto Kida. “Certo, sarebbe un bel colpo di scena, una gran bella rimpatriata ma… tutti veniamo da qualche parte. E il vostro Mondo non è per me più speciale di altri semplicemente perché si è inabissato migliaia di anni fa.”

Luxu sbattè le palpebre senza credere alle proprie orecchie. Dopo il racconto strappalacrime sulla sua infanzia, l’apprendista s’aspettava che il Maestro si sarebbe lasciato andare al sentimentalismo e invece, ancora una volta, Perbias aveva disatteso le sue aspettative. Che stesse fingendo o meno, di certo sapeva come apparire distaccato se la situazione lo richiedeva.

“La verità è che non è facile sorprendere chi, come me ed i miei apprendisti, viaggia continuamente di Mondo in Mondo. Ho visto luoghi ben più strani di una città sotterranea.” fece una pausa, cercando di interpretare l’espressione indecifrabile del Re “La sola cosa che non ho mai incontrato nel resto dei miei viaggi, sono persone a conoscenza del Keyblade. Perciò, è questa la domanda che vi pongo. Che cosa sono i Keyblade, esattamente?”

“E perché sono stati proibiti?” incalzò Kida andando a spalleggiare lo straniero in quella raffica di domande così scottanti. L’uomo dai capelli blu sembrava deciso a svelare il medesimo mistero che l’aveva tormentata per tutti quegli anni e lei non poteva lasciarsi sfuggire un’occasione simile. “Padre, vi supplico.”

Nel ritrovarsi con le spalle al muro, Re Kashekim realizzò finalmente con che razza d’individuo avesse a che fare. Il cosiddetto ‘Maestro’ era molto più astuto di quanto gli avesse dato credito. Da un lato, il vecchio sovrano provava nei confronti di una simile sfrontatezza una buona dose di rispetto, ma dall’altra sapeva di dover fare di tutto per eludere quella domanda. Non aveva tenuto il segreto seppellito nella sabbia per ottomila anni soltanto per farlo rivelare da un estraneo dalle dubbie intenzioni.

Del resto, se ciò che aveva raccontato corrispondeva al vero, allora egli era stato prigioniero nel Reame dell’Oscurità per un tempo indefinito e Kashekim non aveva dimenticato le sottigliezze della politica e sapeva benissimo come poter rovesciare la situazione a proprio vantaggio.

“Kida, pensi sul serio che non abbia a cuore il tuo bene e quello delle nostra gente?” disse il Re, facendo appello al buon senso della figlia, anche se questo significava doverle rivelare almeno un poco di verità.

“Il mio unico scopo è preservare e proteggere il nostro popolo da persone come loro. Ignoranti e con troppo potere tra le mani! Atlantide ha combattuto l’Oscurità in passato, l’avevamo debellata da questo Mondo e da tutti gli altri. E per far sì che essa non potesse tornare, bandimmo le Chiavi che collegano questo Reame a quello dell’Oscurità.” Kashekim puntellò il bastone a terra con autorità, additando Perbias “La storia che quest’uomo ti ha appena raccontato non è forse l’ennesima buona ragione per cui dovremo abbandonare queste armi, questi Keyblade, nell’oblio? Basta così poco, Kida. Un bambino è sufficiente ad aprire le porte all’Oscurità. Nessuno dovrebbe essere in grado di farlo, meno che mai qualcuno con un cuore giovane ed impressionabile, spaventato persino dalla propria ombra.”

Perbias accusò quelle parole come un violento colpo allo stomaco. Luxu lo vide vacillare sulle caviglie per un istante, prima di riacquistare l’equilibrio e la sua solita flemma sfacciata. Ma il giovane apprendista sapeva che Re Kashekim aveva colto nel segno, lì dove al Maestro faceva davvero male.

“Ma un bambino è anche sufficiente a richiudere queste porte. Io l’ho fatto. Sto continuando a farlo… ma nuovi squarci si aprono ogni giorno tra i due Reami. Se davvero la vostra gente vinse l’Oscurità già una volta, perchè tenete queste conoscenze per voi invece di condividerle con gli altri mondi?” a quel punto, il Maestro fece una cosa che nessuno dei suoi apprendisti si sarebbe mai aspettato di vederlo fare e Hafet si lasciò persino sfuggire un sonoro ‘gasp’ mentre Perbias s’inginocchiava.

Non era uno dei suoi soliti inchini svolazzanti, ma un segno di umile e totale sottomissione.

Luxu lo fissò spiazzato. Perchè comportarsi in quel modo se il Re nemmeno poteva vederlo? Per chi era veramente quella messinscena?

“Sono venuto qui alla ricerca di un modo per debellare l’Oscurità una volta per tutte. Vi prego, anzi, vi imploro di rivelarmi come posso riuscirci.”

Kashekim si lasciò sfuggire un lento, rauco sospiro. “Le tue parole dimostrano quanto tu sia stolto. Se fosse davvero possibile eradicare l'Oscurità tu non saresti qui. Non s'aprirebbero squarci tra i due Reami, non ci sarebbero mostri divortatori di cuori che terrorizzano gli innocenti. L'Oscurità non può essere fermata, solo cotenuta. Ormai dovresti averlo capito.”

“Vostra Maestà-”

“Non un’altra parola. Tornatevene da dove siete venuti. Questo è il mio ultimo avvertimento.”

Perbias si rimise in piedi fiaccamente “Come desiderate.” scandì atono, evocando il Keyblade ed aprendo un portale dritto in mezzo alla sala del trono.

“Maestro, ce ne andiamo davvero via così?!” protestò Salegg facendosi avanti. Anche Luxu e gli altri erano sul punto di mettersi a protestare. Era davvero inusuale che il loro mentore si lasciasse scoraggiare così in fretta…!

“Avete sentito il Re. Non siamo i benvenuti, e conoscete le regole. Dobbiamo interferire il meno possibile negli affari degli altri Mondi.” li interruppe Perbias asciuttamente, avviandosi verso il varco luminoso.

“Ma-” tentò di di farlo ragionare Mava, raggiungendolo prima che potesse attraversare “Questo è il vostro Mondo!”

Lui le sorrise stancamente, scompigliandole i capelli rosa “Forse. O forse no. In ogni caso, Auropoli è casa mia. E poi, dico, mi ci vedresti in gonnellino e pittura tribale? Non è nel mio stile.”

“Su questo non ci piove, ma Maestro-”

“Andiamo, dai. Torniamo a casa.” tagliò corto lui, tirandosi il cappuccio sul volto e spingendo sia lei che Salegg verso il portale “E’ stato un onore, Vostra Altezza. Confido che un nostro prossimo incontro possa svolgersi in un clima meno teso.”

E con queste parole ed una vampa di luce azzurra, i sette Estranei scomparvero nel nulla.

Kida fulminò il Re con lo sguardo e lui percepì chiaramente la sua delusione e rabbia anche se non era in grado di vederla in viso.

“Dì ciò che hai da dire, Kidagakash” le accordò il permesso, tornando faticosamente a sedersi sul seggio di pietra circondato di fiori e incensieri profumati.

La donna stava per sfogargli contro tutta la sua frustrazione, ma invece serrò le labbra e corse fuori dalla sala del trono lasciando Re Kashekim solo con i propri pensieri inquieti.

“Maledizione!” imprecò Kida non appena ebbe messo piede fuori dal palazzo, scaraventando la lancia ricurva in uno dei cespugli rigogliosi che costeggiavano il colonnato.

Per tutta la vita aveva atteso un’occasione come quella, la prova che i suoi sospetti erano fondati… e la possibilità di scoprire finalmente la verità si era volatilizzata davanti a lei in un battito di ciglia!

Un portale che si apre e chiude in un istante e i sette stranieri che spariscono senza lasciare traccia, come fossero stati un’allucinazione collettiva dell’intera città.

Ma il Leviatano era stato abbattuto e la sua carcassa era adesso niente più che una chiazza di metallo fuso sulla superficie del mare di lava… era successo davvero e lei non aveva potuto fare niente!

Camminando avanti e indietro come una pantera in gabbia, la giovane donna ruminava sul da farsi, ripensando alle parole di suo padre e a quelle del ‘Maestro’. Non sapeva davvero quale avrebbe dovuto essere la sua prossima mossa e ora più che mai si sentiva sola ed impotente.

Se non ci fosse stata un’insormontabile barriera d’acqua a separare la città dai Mondi Esterni, avrebbe fatto i bagagli e sarebbe andata là fuori in cerca di risposte.

Era terribilmente ingiusto!

Ingiusto che quell’uomo vestito di nero, un Atlantideo proprio come lei, potesse andare e venire tra i mondi a suo piacimento soltanto perché in possesso di una maledetta chiave, mentre lei, la figlia del Re, era intrappolata lì, in una città morente, costretta ad obbedire ai dettami antiquati di un padre troppo orgoglioso.

Raccolta la lancia che aveva gettato via preda della frustrazione, s’addentrò nella giungla fitta che aveva a poco a poco inglobato la parte più antica della città quando la popolazione l’aveva abbandonata in favore dei crinali della montagna. Doveva tirare un bel respiro e schiarirsi le idee.

Camminare in mezzo ai ruderi e alle statue menomate la riempiva sempre di grande tristezza ma anche di un senso di calma e pace. Era come viaggiare indietro nel tempo, sfogliando le pagine di un libro di storia.

Kida sorrise mestamente a quel pensiero, perché, proprio come tutti gli altri abitanti di Atlantide, non aveva mai imparato a leggere. La scrittura era stata proibita immediatamente dopo il Mehbehlmoak, proprio come i Keyblade.

Un groviglio di piante lussureggianti s’apriva davanti a lei e Kida lasciò vagare lo sguardo sulle carcasse delle macchine volanti che giacevano semi-sommerse nelle pozze d’acqua cristallina. Un tempo quei rottami erano stati mezzi di locomozione velocissimi e pericolosi tanto quanto il Leviatano. O almeno era questo che la ragazza era riuscita a dedurre dalle pitture che aveva rinvenuto sulle pareti di un antico palazzo inondato quasi fino al soffitto. Anche se non sapeva leggere i cartigli, le immagini erano inequivocabili.

Per anni aveva provato a riattivare una di quelle macchine, sperando che potesse offrirle una via di fuga da quel Mondo così statico e ostile, ma senza successo.

°°°

“Maestro, perchè non ce ne avete mai parlato prima?” lo incalzò immediatamente Mava, non appena rimisero piede nell’accogliente sala delle riunioni della Torre Meccanica.

“Perchè è acqua passata, no?”

La ragazza aggrottò le sopracciglia, specchiandosi nei grandissimi occhi blu dell’altro “Sì, ma-”

“Maestro, mi trovo d’accordo con lei. Avreste dovuto parlarcene!” s’intromise Hafet.

“Suvvia, ragazzi. Sono qui per essere il vostro insegnante, non per crucciarvi con i miei problemi. Specialmente non quelli risalenti a quasi sedici anni fa.”

“Immagino che nella vostra posizione avrei fatto lo stesso.” commentò Salegg con voce grave. “Mostrare debolezza poteva compromettere la vostra autorità ai nostri occhi.”

“Non siamo in una dittatura militare, Salegg.” gli fece notare Nahara. “Se il Maestro ha delle preoccupazioni, deve sentirsi libero di discuterle con noi.”

“Vedete, è per questo che sarete dei Maestri coi fiocchi.” li rassicurò lui, dando un colpetto affettuoso sulle spalle dei due allievi. “Avete ragione entrambi. Un leader deve sapere quanta corda può dare ai propri desideri e problemi personali e quanto deve invece tenersi dentro per il bene del gruppo. Quando anche voi avrete i vostri allievi, lo capirete.”

“D’accordo, ma questo non significa che dovete affrontare questa cosa da solo, intesi?” s’impuntò Mava e nel vederla così determinata, Perbias sorrise. “E’ un pensiero molto dolce, ragazza mia. Grazie.”

“Piuttosto…” s’intromise Luxu, riacquistando magicamente i propri abiti da apprendista e togliendosi dalle spalle la stola ricamata che Kida gli aveva offerto per coprirsi “...è vero? Atlantide è sul serio il vostro mondo di origine?

Perbias si lasciò cadere sulla sedia imbottita vicino alla scrivania. “Voi cosa ne pensate? Voglio risposte sincere.”

Seguì un lungo momento di silenzio in cui i sei apprendisti restarono come imbambolati a fissare il volto adombrato del loro mentore. Perchè non si fosse abbassato il cappuccio nonostante fossero al coperto, restava un mistero per tutti quanti.

Azal fu il primo a parlare “Io penso che… spiegherebbe molte cose.”

“Ah?”

“Inutile girarci tanto intorno, Maestro. La somiglianza non mente.” rincarò Luxu “Voi e Kida potreste essere fratello e sorella.”

“E se lo fossimo?”

Quelle parole fecero ripiombare nuovamente la sala nel silenzio.

Nahara si mordicchiò nervosamente le unghie “Allora… questo farebbe di voi un Principe.”

“Hey, aspettate! Io stavo parlando in senso figurato!” protestò Luxu, sorpreso dal fatto che tutti l’avessero preso alla lettera.

“Ne sei sicuro, Luxu?” lo prese in contropiede il Maestro, inclinando la testa incappucciata in una mossetta curiosa “O magari hai detto esattamente quello che il tuo cuore pensa sia la verità?”

L’apprendista si ritrovò gli sguardi di tutti puntati addosso “..dite che è così?” bisbigliò, più a sé stesso che agli altri mentre si portava una mano al petto “Anche il vostro cuore vi dice la stessa cosa, Maestro?”

Perbias annuì solennemente. “Penso lo sappia anche lei.”

“Ma com’è possibile?” domandò Salegg, confuso.

“Il Re sembra averla tenuta all’oscuro di molte cose. Hai sentito che accuse ha mosso contro di noi.” gli rammentò Azal sfregandosi il mento con fare pensieroso.

"Beh, potremmo chiedere alla scientifica di Zootopia di fare un paio di test del DNA, se proprio volete togliervi il dubbio…" azzardò Mava, esitante. “Dite che lo sanno confrontare il DNA non animale?”

Perbias rise. "Di quando in quando si fanno test di paternità per principi e principesse perdute?"

"Concordo che rovinerebbe il misticismo dell’intera faccenda. Ma è una cosa importante, Maestro! Dovreste andare fino in fondo.”

L’uomo trasse un sospiro profondo, poggiando i gomiti sulle ginocchia. "Per la prima volta in tutta la mia vita mi sento davvero perso. Strano, no? Quando non avevo la minima idea di chi fossi e da dove venissi, credevo di sapere cosa dovevo fare, ma adesso..."

"Benvenuto tra i comuni mortali." lo canzonò Hafet bonariamente “Non abbattetevi, Maestro. E poi, come sarebbe a dire che non sapete cosa fare? Dovete tornare lì e parlare con quella sventola, ecco cosa!”

“Hafet!” Lo riprese Nahara, esasperata. “Non è carino parlare così di una signora, meno che mai se dovesse essere davvero la sorella del Maestro!”

“Ma le stavo facendo un complimento!”

“Ragazzi…” li interruppe Perbias con una voce insolitamente seria. “Potreste lasciarmi solo per un momento? Ho bisogno di riflettere.”

I sei apprendisti si scambiarono un’occhiata contrariata. Era chiaro che non volessero perdersi nemmeno un istante di quell’inaspettato colpo di scena ma rispettavano il volere e la privacy del loro mentore al di sopra ogni altra cosa, perciò si affrettarono a lasciare la stanza, congedandosi uno ad uno.

Luxu sarebbe stato l’ultimo ad uscire, ma prima di farlo e chiudersi la porta alle spalle gettò uno sguardo in direzione dell’uomo alla scrivania. Perbias gli dava le spalle, cappuccio calato sul volto e le dita intrecciate sul ripiano del tavolo. Capire cosa gli passasse per la testa in quel momento era più difficile del solito.

“Chiamatemi se avete bisogno. Per qualsiasi cosa.”

L’uomo in nero rilassò le spalle contro lo schienale imbottito “Avrei una domanda, prima che tu vada.”

“Certamente.” assentì l’apprendista, cercando di identificare la strana inflessione della sua voce.

“Qualcosa da riferire?”

Luxu esitò.

“A dire il vero, sì. Una cosa ci sarebbe.”

°°°

Kida avanzò nella laguna, diretta verso l’alta statua di un antico guerriero sulla cui testa amava salire per contemplare dall’alto la città. Usando l’edera e le sporgenze per arrampicarsi, raggiunse il punto più elevato e si sedette a gambe incrociate, la lancia posata sulle ginocchia e lo sguardo dei grandi occhi blu fisso contro il soffitto dell’enorme caverna che conteneva Atlantide. Anche se era abbastanza alto da donare l’illusione di un cielo terso, se si guardava bene non era difficile scorgere enormi stalattiti incombere minacciosamente su quel che restava del più grande Impero di tutti i tempi.

“Questo mondo è troppo piccolo.” Si ritrovò a borbottare tra sé e sé, traendo un sospiro amareggiato e passandosi una mano tra i lunghi capelli bianchi come il latte.

“Beh, non deve esserlo per forza.”

La guerriera fece un salto a piè pari per lo spavento e, senza neanche pensarci, vibrò una sferzata di lancia in direzione della voce che le aveva sussurrato a poca distanza dall’orecchio.

La lama ricurva intercettò il profilo finemente cesellato di un Keyblade e le scintille scaturite da quel contatto illuminarono il sorriso dell’uomo incappucciato che lo impugnava.

“Woah! Hey, sei veloce!”

Lei scattò indietro, facendo attenzione a non avvicinarsi troppo al bordo della statua. “Sei… lo straniero di prima.” L’espressione della donna si distese un poco “Credevo che-”

“Non avrei dovuto sgattaiolarti alle spalle in questo modo.” si scusò l’altro abbassando l’arma e lasciandola dissipare nell’etere a dimostrazione delle proprie intenzioni pacifiche. “Tuo padre ha ragione sul mio conto. Non so cogliere al volo l’occasione di ritirarmi quando me la si offre.”

“In questo caso, sono lieta che sia così. Ho molte domande da farti.”

“Allora mi spiace deluderti, temo di non avere le risposte che cerchi. Ma...” Perbias si coprì l’orbita destra con la mano, lasciando scoperto l’Occhio che Scruta e fissando intensamente la sua interlocutrice con la pupilla nera stretta come uno spillo. “...forse so come trovarle, quelle risposte. Per questo, spero potrai perdonare la mia intrusione. Desideravo davvero parlare con te in privato.”

“Lo stesso vale per me.”

Il Maestro sorrise, lasciandosi scivolare a sedere sullo scalino di pietra formato dal copricapo dell’enorme statua. “Ah, che bello trovarsi in sintonia su questo genere di cose.” disse, visibilmente eccitato “Il mio fidato apprendista Luxu mi ha riferito che anche tu stai cercando di scoprire i segreti di questo mondo, perciò non ho saputo resistere. Dovevo venire subito.”

Kida lo guardò circospetta “Che cos’è che vuoi, esattamente?”

“La stessa cosa che vuoi tu: capire.” chiarì lui, spicciolo. “Mi ha detto che tu... eri lì, durante la Grande Inondazione. Che l’hai vista con i tuoi occhi. Che hai quasi ottomila anni.”

L’Atlantidea si strinse nelle spalle.

“E’ vero.”

“Li porti bene.”

La donna ignorò la sua battuta. “Questo non significa che la mia memoria non ne abbia risentito. Quei giorni per me sono così lontani… del Mehbehlmoak, ricordo solo il cielo farsi scuro, la terra che tremava e poi, d’un tratto, una grande luce blu, discendere dall'alto.”

“Vedi.. il punto è che mi sono fatto due calcoli e le probabilità che anch’io mi trovassi ad Atlantide durante il cataclisma sono sostanziali. A tua differenza non ne conservo nemmeno la memoria più vaga, ma...” Perbias allargò le braccia con teatralità “...si da il caso che io sia un Veggente in erba.”

Kida lo fissò interdetta “...puoi vedere il futuro?”

“Su quello ci sto ancora lavorando.” ammise lui con una leggerezza disarmante, come fosse la cosa più scontata del mondo “Però, vedere il passato mi riesce piuttosto bene. Ma ad una condizione. Devo essere stato presente quando un determinato evento si è verificato se voglio riviverlo. In parole semplici, posso rivisitare soltanto le esperienze che ho vissuto in prima persona. Che ho visto con i miei stessi occhi... beh, occhio.” la guardò pieno d’aspettativa per capire se la guerriera si fosse persa nei suoi discorsi o se lo stesse ancora seguendo.

Kida sollevò le sopracciglia bianche “Quindi se davvero ti trovavi qui durante il cataclisma… dovresti essere in grado di vederlo. Anche se non ne hai memoria.”

“Corretto!” esclamò lui piacevolmente colpito, battendo le mani. “O almeno lo spero. Forse dire che sono un Veggente è un po’ inesatto, ma queste sono mere tecnicalità. Quello che vorrei che tu facessi, Principessa, è aiutarmi a ricordare qualcosa. Qualcosa che possa aiutarmi a tracciare una rotta da seguire a ritroso nel tempo.”

Il Maestro si alzò di nuovo in piedi, tendendole la mano con grande enfasi “Se potessi tornare indietro e rivivere quei momenti, forse potrò rispondere anche alle tue domande. Affare fatto?”

Lei esitò prima di stringere la sua mano tesa. Per quanto la sua curiosità fosse grande, non sapeva se poteva veramente fidarsi di quell’Estraneo vestito di nero di cui a malapena riusciva a scorgere il volto.

Era indubbiamente eccentrico e il suo modo di fare e di parlare era strano e alieno ai suoi occhi. Come se non soltanto venisse da un altro Mondo, ma anche da un’altra epoca, un’altra realtà. E Kida, volente o nolente, era cresciuta con l’idea che chiunque venisse dai Mondi Esterni fosse un nemico.

Lo guardò dritto negli occhi blu che vedeva scintillare nel buio del suo cappuccio “Ad una condizione.”

Siii?” soffiò lui, con trepidazione. Sembrava quasi che non vedesse l’ora di patteggiare.

“I Keyblade possono aprire qualsiasi serratura, non è vero?”

“Ovviamente. Sono chiavi, dopotutto.”

“Voglio che tu apra una porta per me.”

“Lasciami indovinare, una porta che il Re ha sigillato e dove ti proibisce categoricamente di andare?”

L’Atlantidea sbatté le palpebre, visibilmente spiazzata “Come fai a…”

Perbias soffocò una risatina strozzata “Beh, sei una Principessa e tra te e tuo padre c’è chiaramente tensione. E’ più tipico di quanto pensi. Conosco almeno altre dieci principesse e damigelle con l’esatto problema: una cantina misteriosa dove è proibito scendere, una scatola che non dev’essere aperta per nessuna ragione, un frutto che non deve essere mangiato… siete tutte uguali, voi donne.”

Kida avrebbe dovuto offendersi ad una simile generalizzazione, ma il tono gioviale del suo interlocutore e il fatto che ci avesse visto giusto le strapparono uno sbuffo divertito. Forse i Mondi Esterni non erano poi tanto diversi da Atlantide, in fin dei conti. Le sarebbe piaciuto vederli e magari fare conoscenza con queste altre ‘Principesse’.

Accortosi di esserci andato un tantinello pesante, l’uomo in nero aggiustò il tiro. “Cioè… sono un padre single con sei figli di cui due femmine. Ne so qualcosa!”

“Sono davvero figli tuoi?” indagò lei, visibilmente dubbiosa.

“Adottati.” chiarì lui, spazzolando distrattamente la manica della cappa nera.

Kida gli dette le spalle, tornando a contemplare il panorama che s’estendeva a perdita d’occhio sotto di loro. “Mio padre ha fatto sigillare un’ala del palazzo, quella che conduce ai sotterranei. La scusa è che la cripta sia pericolante ed allagata ma, beh, praticamente si può dire la stessa cosa di tutta la città. Eppure quella porta in particolare è stata chiusa con la massima cura.”

“Una cripta?”

“Un’altra cosa che ricordo del giorno del cataclisma…” riprese l’Atlantidea facendo vagare lo sguardo sulle guglie e statue colossali in lontananza. “E’ che la luce in cielo si portò via mia madre, la Regina.”

 

Gli occhi di Perbias si fecero improvvisamente più attenti “Cosa intendi con ‘portata via’?”

“E’ il solo modo in cui riesco a spiegarlo, o forse i miei ricordi sono confusi e mi traggono in inganno.” sospirò lei “Resta il fatto che lei non c’è più, e la cripta di famiglia è inaccessibile. Non ho nemmeno una tomba su cui piangerla.”

L’uomo le rivolse uno sguardo comprensivo e la sua voce si fece più calda e rassicurante “Mi dispiace molto. E se è questo ciò che desideri, allora consideralo fatto. Aprirò la porta.”

Solo allora Kida gli strinse calorosamente la mano guantata di nero, un sorriso ampio e brillante impresso in volto. “Affare fatto. Per quanto riguarda i tuoi ricordi… hai idea da dove iniziare?”

“Sinceramente no. Speravo in un breve tour turistico sotto la tua guida.” ammise, ricambiando la stretta della donna. Le sue dita abbronzate erano forti e salde, chiaramente quelle di qualcuno abituato a maneggiare armi e a scalare pareti di roccia a mani nude. Forse, si disse Perbias sentendosi un pò in colpa per l’allusione di poco prima, Kida non era esattamente come le altre Principesse che aveva conosciuto.

“D’accordo, ma sarà difficile passare inosservati con gli abiti che indossi.” gli fece notare lei, scrutando quella strana veste lustra. Sembrava fatta di cuoio nero, ma aderiva al corpo del suo interlocutore come una seconda pelle.

“Oh, non preoccuparti, sono bravo con i travestimenti.” ammiccò lui, tirando giù il cappuccio per rivelare una lustra chioma di capelli bianchi come la neve. “Ovviamente si tratta di una magia.” spiegò, in risposta allo sguardo basito della donna. “Immagino sia l’effetto di quel cristallo che portate al collo a rendere bianchi i capelli della tua gente, non è così?”

Kida non ci aveva mai pensato, perciò non sapeva come rispondergli. Il fatto che gli Atlantidei condividessero tutti lo stesso colore di capelli era per lei assolutamente normale e in ogni caso, era troppo presa ad assistere alla trasformazione dei vestiti del suo interlocutore per formulare una spiegazione coerente.

In un istante, l’uomo che aveva davanti aveva rimpiazzato la veste nera con un abito ben meno esotico agli occhi di Kida, una tunica blu dalle bordature dorate che gli lasciava scoperta una spalla, rivelando la pelle scura e la muscolatura ben definita del torace.

“Non lo so.” ammise lei, impressionata da quella magia. Se non fosse stato per il suo strano modo di parlare, nessuno avrebbe mai immaginato che quell’uomo fosse appena arrivato da un altro mondo.

Perbias le sorrise giovialmente “Un altro mistero su cui fare luce. Allora, possiamo andare?”

   
 
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