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Autore: Enchalott    28/01/2020    3 recensioni
Questa storia è depositata presso lo Studio Legale che mi tutela. Non consento "libere ispirazioni" e citazioni senza il mio permesso. Buona lettura a chi si appassionerà! :)
"Percepì il Crescente tatuato intorno all'ombelico: la sua salvezza, la sua condanna, il suo destino. Adara sollevò lo sguardo sull'uomo che la affiancava, il suo nemico più implacabile e crudele. Anthos sorrise di rimando e con quell'atto feroce privò il cielo del suo colore".
Genere: Avventura, Introspettivo, Sovrannaturale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Perdere te
 
Màrsali trasecolò, come se avesse ricevuto un colpo inaspettato in pieno stomaco. Si portò le mani alle tempie con un sospiro dolente e prolungato.
Qualcosa di orribile l’aveva sfiorata con la propria malevolenza e continuava a ristagnare con caparbietà nel contingente. Era vicino: pericoloso, rabbioso, carico di negatività. Si forzò a leggerlo e dovette ritrarsi più volte a causa della violenta repulsione. Riuscì a intendere che era presente in quell’istante, reale e non frutto della visione di un possibile futuro.
“Kesthar…” mormorò, cercando il conforto del marito.
Il custode delle prigioni, impegnato in altri pensieri poco distante, proruppe in un’esclamazione preoccupata, vedendola tanto bianca in volto e tremante. Si approssimò, premuroso, prendendola tra le braccia.
“Cosa… cosa sta succedendo?” le domandò, certo che ci fosse qualche inconveniente di ordine gravissimo.
“L’oscurità” mormorò lei, rifugiandosi nella sua stretta possente, bisognosa d’umanità e di calore “È come se avesse preso forma… come se si fosse definitivamente configurata. Qui, adesso!”.
L’uomo sbiancò a sua volta, tentando di percepire con i sensi ciò che la moglie gli stava descrivendo a parole, ma non riuscì ovviamente a risolversi.
“Si tratta del reggente?”.
“No… non è lui a…”.
Un boato assordante, seguito da una detonazione che fece tremare la pesante porta dell’alloggio, la interruppe di colpo.
L’intero carcere vibrò, scosso dalle fondamenta, come se fosse sul punto di crollare.
“Che diavolo è stato!?” sbottò il guardiano, raggelato.
Scrutò per un istante la fanciulla, turbata quanto lui, poi agguantò con foga il mazzo di chiavi e si precipitò all’esterno senza esitare, nel timore che si stesse verificando una sommossa o che qualcuno stesse cercando di far evadere i detenuti, incurante del pericolo appena denunciato da lei.
Màrsali si avvolse nello scialle, certa che invece non si trattasse di nulla di umano. Si affrettò dietro di lui, con l’anima in preda a un presentimento funesto.
“Aspettami, Kesthar!” gridò per farsi udire, affannata, faticando a stargli dietro in quella corsa a perdifiato tra i corridoi umidi del sotterraneo.
“Torna in casa!” intimò lui di rimando, dirigendosi verso le segrete, incitato dalle indicazioni dei prigionieri atterriti che avevano scorto la deflagrazione nel buio.
“Stanno combattendo! Avverto il dilagare di una magia perversa!” strillò lei, disperata, alle sue spalle, aumentando il passo “Ti farai ammazzare, non è cosa che si possa arginare con le nostre sole forze!”.
“Correrò il rischio!” ribatté lui, ostinato, trottando giù per la ripida gradinata.
Una nube polverosa esalava la propria gessosa invadenza già a metà della scala di roccia, rendendo l’aria irrespirabile e stantia.
Haffgan si fermò, scrutando la rampa e lasciando che la veggente lo raggiungesse.
Màrsali gli afferrò il braccio, tirando il fiato, più per la diffusa sensazione di oscurità soffocante e malvagia che per la breve corsa.
“La sento ancora, proviene da… laggiù” affermò, sicura e timorosa, indicando il ventre buio e spaventoso del fondo delle prigioni “Non andare, ti prego!”.
“Se qualcuno ne approfittasse per fuggire, Anthos mi taglierebbe la testa!” borbottò il carceriere in risposta “Mi fa più paura lui di qualunque spettro maligno! Voglio verificare di persona. Resta indietro!” aggiunse sollevando nel pulviscolo che andava diradandosi una torcia voluminosa, sorretta da un bastone chiodato di metallo.
“No” replicò la ragazza, decisa “È bene che io veda di persona”.
Il gigante sospirò, ma le fece cenno di seguirlo, certo che lo avrebbe tallonato comunque. Tentò di far prevalere la deferenza che aveva per Màrsali come veggente sull’apprensione che provava per lei in quanto sconfinato amore della sua vita. Le prese la mano e scivolò cautamente lungo la parete, appena distinguibile nella scarsa visibilità, raggiungendo il termine della discesa quasi alla cieca.
Il muro di sostegno del piano inferiore era crollato e la volta tarchiata si reggeva precariamente sulle colonne tozze e robuste disseminate per l’ambiente.
Màrsali aguzzò gli occhi nella penombra. Captò la traccia fosca che sporcava l’esistente con la sua essenza venefica e rabbrividì.
Alcuni vani destinati ai prigionieri erano sfondati, le grate di ferro grezzo che li sprangavano erano divelte e contorte verso l’esterno, come se fossero state strappate da un’esplosione di potenza incalcolabile proveniente dal cuore del piano.
La cella riservata al principe di Elestorya non esisteva più: al suo posto c’era una voragine di un paio di metri, ancora tetramente fumante, mentre il soffitto era sfondato e lasciava intravedere la superficie sovrastante ricoperta di neve.
“Per tutte le forche!” esclamò a bassa voce Kesthar, dirigendo lo sguardo su quella rovina “Pare sia transitato un esercito di dannati scampati agli inferi! Di quel disgraziato ragazzo non sarà rimasto neppure il ricordo. Che fine atroce!”.
“No, lui è…” mormorò la fanciulla, avvertendo una strana sensazione, come un palpito cupo che le si insinuava nelle ossa.
In quel momento qualcosa si mosse nella tenebra ancora fumosa. Màrsali abbrancò il marito per la manica, facendogli segno affinché se ne avvedesse e non restasse indifeso a causa della quasi totale sordità, che non gli permetteva di cogliere i rumori.
L’uomo trasse dalla custodia che portava sulla schiena la colossale ascia bipenne e si mise in difesa, più minaccioso che mai, mentre lei gli si stringeva al fianco.
Una figura umana avanzò gradualmente verso di loro con apparente sforzo.
La tensione delle braccia robuste del guardiano aumentò esponenzialmente, i suoi muscoli possenti si contrassero nell’attesa insopportabile.
La veggente sbarrò gli occhi, sconcertata, emettendo un’esclamazione soffocata.
“Principe… Anthos!”.
Il reggente del Nord si teneva in piedi a fatica, appoggiandosi alle macerie, ricoperto di polvere e calcinacci. I vestiti e il mantello erano stracciati, come se fosse stato direttamente colpito dalla deflagrazione che aveva fatto tremare l’intera fortezza. Una vistosa macchia scarlatta gli si stava allargando rapidamente sulla spalla sinistra, mentre tutto il resto del corpo era schizzato di sangue, unico colore distinguibile sul grigio della patina che lo rivestiva. Solo le sue iridi dorate, lucenti e terribili, erano in grado di emanare la loro tinta chiara e irreale in contrasto con tutto il resto.
“Per tutti gli dei…” soffiò Kesthar, abbassando immediatamente la scure con terrore, senza trovare il coraggio di domandare all’uomo se avesse bisogno d’aiuto.
Il giovane sovrano sollevò lo sguardo su di loro, ansimando, e parve rilassarsi nel riconoscerli. Si portò la mano alla ferita e le sue dita si dipinsero di cremisi.
“Mio signore…” sussurrò Màrsali, tendendosi verso di lui, sconvolta.
Il custode della prigione si spostò impercettibilmente, ostacolandole il passo con volontarietà. I suoi occhi blu cianite le sconsigliarono in un lampo qualsiasi mossa avventata: non sapeva come il principe avrebbe reagito e, soprattutto, se chi era stato capace di ferirlo si trovava ancora laggiù.
“Per servirvi, altezza” disse poi, inginocchiandosi prontamente al suo cospetto.
Anthos strinse i denti, occultando il dolore nella fredda considerazione.
“Lieto della tua efficienza, Haffgan” mormorò, pur senza fiato “Affido a te la rapida bonifica di questo caos. Comunica a Tarlach che abbiamo un… fuggitivo”.
Il guardiano lesse le sue labbra con attenzione e seguì, sempre più incredulo, il cenno della mano che indicava il foro d’uscita nel muro.
“Il ragazzo…” grugnì dubbioso e concitato “Il ragazzo ha fatto questo?”.
Il reggente sogghignò, senza adombrarsi per il legittimo stupore espresso senza ritegno dal suo fedele sottoposto.
“Non c’è più nessun ragazzo da riacciuffare, Haffgan. Solo il Traditore che lo ha posseduto” rivelò eccezionalmente “Quello che tua moglie ha di sicuro letto nelle stelle quando ancora viveva in Odhran. Ne esiste però uno peggiore, se possibile: Urien. Lui e Shion si sono uniti nel vano tentativo di sopraffarmi… non so se e con quale aspetto si ripresenteranno. Riferisci alle sentinelle di vigilare”.
“Ai vostri ordini” pronunciò Haffgan, fermo, pur senza comprendere del tutto quella rapida e scioccante successione di affermazioni.
Per quanto aveva potuto constatare, l’erede del Sud non gli era apparso pericoloso, anzi… gli era sembrato solo un ragazzino spaurito, perso in un gioco più grande di lui. Gli aveva quasi fatto compassione, anche se durante la cerimonia nuziale si era mostrato astioso e ruvido persino con la principessa Adara. Sul Primo Consigliere, invece, non si pose alcuna domanda: da sempre lo aveva giudicato infido e subdolo, capace di qualunque nefandezza. Finalmente, aveva gettato la maschera, dunque.
“Il Traditore… degli dei?” azzardò Màrsali, trasalendo.
Anthos spostò l’attenzione su di lei, appoggiandosi ad una delle colonne rimaste erette. Strinse le palpebre, squadrandola con interesse.
“Non incomodare il principe con le tue sciocche richieste, donna!” intervenne Kesthar, severo, tenendo fede al proprio ruolo di rude demone padrone.
“Chiamalo come ti pare, veggente” rispose invece il sovrano “Penso sia la causa della caduta del creato, quindi sì... Quelle della tua specie avevano visto giusto, puoi usare questa incresciosa conferma come tardiva soddisfazione personale”.
“Mi dispiace…” sussurrò lei, abbassando il viso, mortificata.
“Anche a me” sogghignò lui “Mi dispiace di non averlo ucciso all’istante! Urien o Shion o Ishkur… come vogliamo nominarlo, mi è sfuggito!”.
La ragazza ebbe un sussulto nell’udire la sequenza dei nomi che identificavano la presenza malvagia. Avrebbe voluto chiedere al sovrano come quella creatura fosse stata in grado di arrecargli un danno così evidente, ma si trattenne. Avrebbe voluto parlargli della sensazione greve che percepiva nell’animo, ma si sarebbe autodenunciata, mettendo nei guai sia suo marito sia le due principesse di Elestorya.
“Posso…” sussurrò tremante “Posso radunare tutte le informazioni che rammento sul Traditore, se vi risultasse utile, altezza”.
“Non serve” tranciò Anthos, sbrigativo “Lo troverò da solo”.
Si staccò dal pilastro con una smorfia sofferente, intenzionato ad andarsene. Il bagliore della torcia recata da Haffgan e impugnata ora dalla fanciulla lo illuminò.
“Oh!” esalò Màrsali, sconvolta, portandosi la mano libera alla bocca “Oh, dei misericordiosi! Il Medaglione!”.
Il guardiano fissò a sua volta con orrore la Gemma del Cielo, incastonata nell’oro bianco dell’amuleto, spaccata in due frastagliate metà e rimase a bocca aperta.
“Pare che anche su questo tu avessi ragione, sacerdotessa” asserì il reggente, stranamente privo di livore “Il gioiello del Nord non funzionava correttamente… altrimenti la vera Pietra blu sarebbe ancora intatta”.
 
Adara si risvegliò dal torpore in cui l’attivazione smodata del Crescente l’aveva precipitata. Si guardò intorno, ma non riconobbe il luogo in cui si trovava: era avvolto nella penombra, nonostante il chiarore che filtrava dalle finestre ad arco. Le sagome scure delle colonne si proiettavano allungate sulle pareti e sul pavimento, rendendo la sala simile a una foresta intricata e tetra.
Prestando una maggiore attenzione, la luminosità fioca si esplicitava in una sfumatura verdognola, che pareva concentrarsi o provenire addirittura dal bacile di pietra nera al centro della stanza. Lo osservò con curiosità e trepidazione, senza ardire avvicinarsi.
Saggiò con le dita le coltri pesanti che qualcuno le aveva premurosamente appoggiato addosso e decise di non privarsene neppure quando appoggiò i piedi a terra. Il gelo che avvertiva in quell’ambiente disadorno era insopportabile.
Si trascinò rabbrividendo fino alla vetrata a strapiombo sulla fortezza, constatando dalla prospettiva familiare che doveva trovarsi a Leu-Mòr, ma nella parte superiore, quella che Anthos non le aveva mai permesso di visitare.
Ebbe un tuffo al cuore nel riordinare il flusso dei pensieri ancora lievemente confusi.
Narsas!
Aveva desiderato difenderlo da Anthos con tutta la forza dell’anima e non si era minimamente preoccupata delle ragionevoli conseguenze, quando si era inserita nella traiettoria del suo potere immane; poi aveva perso i sensi, piegata più dallo sforzo inutile di dominare il Crescente che dall’energia devastante di suo marito. Per un attimo l’aveva avvertita con sgomento, ma era prontamente diminuita d’intensità: forse era per quello che la mezzaluna ne aveva deviato il flusso con incredibile facilità. Forse per la stessa impensabile ragione lei era ancora viva: il principe aveva emesso una luce priva di gittata offensiva per non nuocerle. Possibile?
Sicuramente non aveva riservato lo stesso trattamento di favore all’arciere.
Si precipitò verso la porta, nella disperata presa di coscienza che potesse essere già troppo tardi per lui. Non aveva idea di quanto fosse rimasta incosciente, ma non poteva comunque restare segregata lì dentro! Tentò di schiudere l’uscio massiccio.
La maniglia non cedette.
Adara provò ancora a torcerla, a tirarla, a piegarla, ma non ci fu verso di smuoverla. Iniziò a battere all’impazzata contro la porta, ormai consapevole del fatto che fosse sigillata da un potere estraneo; continuò a gridare, certa che nessuno tranne il reggente l’avrebbe udita.
Pronunciò più volte il suo nome, senza rassegnarsi, infierendo su quel legno antico e indifferente fino a spellarsi le mani, ma non ottenne risposta.
Si abbandonò all’angoscia, alla tragica impossibilità di salvare il guerriero del deserto da una fine ingiusta e le profonde emozioni che sentiva per lui la sovrastarono, traducendosi in cocenti singhiozzi d’impotenza.
Anthos
Aveva cercato di aiutare anche lui, in realtà. Di salvaguardarlo da se stesso, impedendogli di privare della vita un innocente. Non voleva che si macchiasse ulteriormente del sangue puro di un altro essere umano. Pretendeva che desistesse dall’astio che sembrava provare in generale per il mondo e per Narsas in particolare, che liberasse le sue emozioni più vere e sopite, che le accettasse.
A quel ragionamento si portò la mano all’ombelico, con uno scintillio di speranza.
Il marito le aveva detto che il Crescente rispondeva alle sensazioni interiori, ai sentimenti più profondi: la prova le era stata burrascosamente fornita poco prima.
Si allontanò di qualche passo, fissando l’uscita sbarrata e cercò di concentrarsi, di convogliare contro di essa la propria volontà attraverso l’Imis’eli.
Non percepì alcun indizio, neppure il benché minimo pizzicore. Non si dette per vinta e lasciò fluttuare i pensieri, rivolgendoli al giovane Aethalas: ciò che provava per lui la rivestì come un mantello caldo e tranquillizzante, brillò come un’oasi cristallina del loro amato deserto, si schiuse come un fiore notturno alla dolcezza di una brezza carezzevole e le infuse una pace profonda, una sicurezza incrollabile, una fiducia priva di indecisioni. Un’eternità condivisa cui era consentito attingere.
Socchiuse le palpebre, respirando lentamente, con i sensi tesi a percepire un eventuale segnale della mezzaluna tatuata, ma essa rimase inerte.
Forse perché era destinata alla difesa di sé e non di un’altra persona, per quanto cara potesse essere. Forse il Crescente si era risvegliato per il pericolo che l’aveva sfiorata e non per il suo desiderio altruista di tutela.
Cambiò strategia, concentrando i battiti del proprio cuore su Anthos, sul poco che avevano condiviso, su ciò che di lui aveva compreso, su quanto era in realtà per lei. Fiamma rovente, che per ardere imponeva crudamente di bruciare, era tempesta travolgente che piegava a sé, mistero che stordiva i recessi più segreti dell’anima. L’immagine di lui era in quel raro sorriso occultato al resto dell’universo, era nel dolore rifratto nello sguardo penetrante, era tenacia estrema, era rifiuto, difesa… riparo sprofondato in un bacio carico di passione, era un incanto suadente ma privo di evocazione, un’altalena di detti e promesse, nessuna mancata. Era il silenzioso che le sue labbra disegnavano quando era con lui, l’intreccio indissolubile di mani e respiro, era il no ostinato e ribelle che li divideva… era infinito, era… Anthos…
Il Crescente si mosse, prendendo vita tra le sue dita, trapassando con una lieve luce bianca la stoffa delle sue vesti, infliggendole con quel bagliore una consapevolezza peggiore della sofferenza fisica che era abituata a provare.
La porta iniziò a vibrare, come se stesse rispondendo a quelle percezioni, come se stesse cercando di capire l’ordine che le si stava impartendo, incerta a sua volta.
“Ti prego…” sussurrò Adara, tentando di mantenere in sé la sensazione potente che la attraversava “Non svanire…”.
Lo sussurrò con terrore, come non volesse perdere qualcosa di lui e non il mero controllo che stava provando a esercitare sul tatuaggio falciforme, come se…
L’uscio si spalancò all’improvviso con un tonfo.
Non per merito suo.
Il principe entrò nella stanza. Stracciato, ferito, provato, insanguinato da capo a piedi.
La ragazza trasalì e l’Imis’eli si acquietò. Lo fissò, inorridita, bianca come la neve.
“Che cosa…” esalò raggelata “Che cosa gli hai fatto!?”.
Anthos la guardò prepotentemente indifferente, come se non avesse colto la domanda, togliendosi dalle spalle ciò che restava del mantello.
Adara gli volò addosso, fuori di sé, afferrandolo per la camicia lacera e impolverata, strappandogli un gemito soffocato. Lo scrollò con tutte le forze che aveva in corpo, tempestandogli il petto di pugni, scoppiando in lacrime.
“Che cosa gli hai fatto!?” gridò di nuovo, in preda alla disperazione più straziante che avesse mai provato, incurante del fatto che lui arretrasse debolmente verso la parete con un’insolita sofferenza “Che cosa hai fatto a Narsas!?”.
Il reggente le bloccò repentinamente i polsi in una morsa e la costrinse a guardarlo negli occhi, adombrato, comprendendo infine l’equivoco.
“Tsk! Quando è andato per la sua strada era vivo e insopportabile come al solito!” ringhiò, inespressivo “Il sangue è mio! Mio e dell’essere che ha cercato di ucciderti!”.
La principessa esalò il fiato in un misto di sollievo, agitazione residua, paura e vergogna. Rilassò le braccia tese allo spasmo e si placò, tremando.
“C-cosa? L’hai…?” balbettò, sconvolta.
Anthos la lasciò libera e dovette sostenersi alla pietra grigia per rimanere in piedi.
“È fuggito” sibilò con ira.
Si liberò della casacca, rimanendo a torso nudo. La chiazza scarlatta sulla sua spalla era umida e fresca. La ferita continuava a sanguinare: evidentemente era troppo profonda per essere sanata con i suoi soli poteri.
“Devo… medicarti” mormorò Adara con nuova, profonda apprensione.
“No. Userò quello” rispose lui, indicando il bacile ritorto.
Si sedette pesantemente sul giaciglio di pellicce, mentre la ragazza osservava con esitazione il liquido latteo del catino lucido e fumigante di Leu-Mòr.
“Faccio da solo” precisò, freddo.
“Scordatelo!” borbottò la ragazza, afferrando il primo oggetto tagliente che le capitò in mano e iniziando a sfilacciare il lenzuolo più spesso, riducendolo in fettucce come Narsas le aveva insegnato.
Anthos sogghignò impalpabile alla sua reazione e permise che Adara lo ripulisse dalla polvere. Si arrese a quella sorta di carezza sollecita che gli tamponava la spalla e parimenti lo liberava dai calcinacci che gli imbrattavano il viso e la pelle. Quando le sue dita gli sfiorarono il petto ustionato si contrasse in un sussulto.
“Oh, stelle!” proruppe lei, sconvolta “Stelle e dei tutti! Il… il Medaglione è…!”.
“Mh” fece lui, quasi distrattamente, spostandolo dietro la schiena in modo che non intralciasse le operazioni curative.
“Chi è la creatura oscura, Anthos?” domandò la principessa, fissandolo con sincera angoscia “Chi possiede una forza tale da ferirti e da spezzare addirittura l’amuleto del Nord? Fidati di me, ti scongiuro… dimmelo!”.
“Non parlerei di forza” replicò lui, caparbio “Bensì di fortuna. La pietra del Cielo era fasulla senza ombra di dubbio. Altrimenti niente sarebbe stato in grado di intaccarla. Sono un idiota a non essermene accorto prima, ma…” si interruppe per un secondo, come se non volesse proseguire “La fenditura che l’ha spaccata ha interferito con i miei poteri e in quell’attimo il Nemico è riuscito a infliggermi l’attacco conclusivo con il risultato che vedi, fuggendo poi come un codardo. La volta della prigione è crollata, così l’ho perso di vista”.
“Prigione!?” sbottò Adara, impallidendo “Che cosa ci facevi laggiù!? Non sarà…!?”.
Il principe sospirò, ponendo la mano su quella di lei e spingendo con tenacia la pezza a fermare il sangue. La sentì tremare sotto la propria e ne comprese il dubbio atroce.
“Se sei in cerca della verità, l’avrai senza mezzi termini” replicò, fissandola.
“È da quando ti ho incontrato, che ho rinunciato definitivamente agli eufemismi!”.
Anthos continuò a premere sulla sua mano, avvertendone il calore. Annuì.
“Ho interrogato tuo fratello” rispose a bruciapelo “Era evidente che stesse nascondendo qualcosa e che stesse agendo per conto di quel qualcuno che l’ha trascinato sin qui. Da solo non sarebbe stato in grado di nuocere”.
“Shion…” mormorò la ragazza affranta “Ma perché… lui era così sensibile, così gentile… tu non lo conosci…”.
“Ciò che ho inteso di lui mi è stato più che sufficiente” sentenziò il principe, duro “Non sensibile, ma debole. Non gentile, ma scialbo. Ha operato una scelta, è stata essa a tramutarlo in un traditore, non la sua indole naturale. Sono le decisioni che prendiamo o che evitiamo a renderci quello che siamo. Libero arbitrio, come ti ho detto, no?”.
Gli occhi della ragazza divennero lucidi, ma riuscì a trattenersi.
“Gli… gli hai fatto male?”.
Non lo domandò con rabbia, non con tono d’accusa e neppure con rimprovero. La sua mano salì delicatamente alla guancia di lui, sfiorandolo quasi con dolcezza e inoltrandosi tra i suoi capelli biondi. C’era solo un infinito dolore in quel gesto, una rassegnazione già sperimentata, l’ennesima prova del fatto che suo fratello era uno squallido doppiogiochista e che lui, suo marito, non era altro che un assassino. Anthos trattenne la sensazione lacerante che si era generata nel suo profondo.
“Sì” rispose poi a bassa voce “E sarebbe stato meglio per lui se l’avessi ucciso, credimi. Ne avevo l’intenzione, ma non ho fatto in tempo”.
Socchiuse gli occhi e le rivolse uno sguardo profondo e sincero. Lasciò che lei appoggiasse la fronte contro la sua, in un contatto inaspettato che lo disorientò e che lo costrinse a entrare in risonanza con ciò che lei provava. Non si negò. Rimase in silenzio, mentre l’inferno dentro di lui scoloriva.
“Non mi hai raccontato il peggio, vero?” sussurrò la ragazza.
Il principe aggrottò le sopracciglia, ancora incollerito dalla sconfitta subita, ma poi espose brevemente i fatti, soffermandosi sulla nuova forma assunta dal Nemico.
“Ha usato un catalizzatore di magia o non sarebbe mai riuscito a ferirmi seriamente” disse “Non ho mai sospettato che Shion avesse recato qui con sé il Diadema: ora il Traditore può sfruttarlo grazie al sangue reale che gli scorre nelle vene”.
“Cosa?! Il gioiello del Sud è…?”.
“L’opposto del Medaglione” spiegò il giovane “Il mio amuleto frena i poteri, il vostro li amplifica. Ovviamente, non funziona se a reggerlo è qualcuno che ne è sprovvisto o qualcuno che non appartiene all’antico retaggio stabilito da Amathira. Shion possiede il sangue, Urien… o meglio, Ishkur il potere e ben altro. Ora sono un’unica creatura, dotata di un’energia di origine deamhan e di uno strumento atto a incanalarla. Penso che tu possa comprendere la portata dell’evento”.
Adara rabbrividì e si impose il coraggio di farsi rivelare tutto. Sollevò gli occhi nei suoi e lesse una malinconia infinita, persa nell’oro bruciante delle iridi adamantine.
“Ishkur? Non l’ho mai sentito…”.
“Non mi stupisco. Ha fatto di tutto affinché il suo nome non venisse tramandato con la Profezia per non destare sospetti. Ma altri testi arcaici che elencano le divinità ne trattano, sebbene con pochi dettagli. Le sacerdotesse con il dono, Dionissa compresa, hanno intuito pur senza prove certe la presenza di un inganno teso ai danni di Irkalla e della sua amante. Io ritengo che il colpevole sia lui e che voglia portare a termine i suoi intenti”.
La ragazza lo guardò, incredula e adirata.
“So cosa stai pensando” la anticipò lui, sottile “Se non avessi deciso di oscurare il Kalah di tua sorella, lei avrebbe individuato per tempo il Traditore. Forse. O forse no. Più probabilmente Ishkur l’avrebbe uccisa, senza fallire come il tuo maldestro fratello. La sua precedenza è sempre stata quella di non essere identificato: ha approfittato del fatto che io avessi parimenti il desiderio di impedire alle veggenti di ficcare il naso nei miei affari e ha sfruttato una precaria unità di intenti”.
“Che cosa accadrà adesso? Dov’è andato?”.
“Non ne ho idea. Cerca Irkalla, vuole presumibilmente ucciderlo e prendere il suo posto per ricreare un cosmo di cui lui sarà l’unico dio. Assurdità”.
“Anche questa è considerabile un’unità di intenti?” gli domandò Adara a bruciapelo.
“Per niente” sogghignò il reggente “Una rivalità piuttosto, sebbene io non aspiri a devastare l’intero pantheon”.
“Quindi noi comuni esseri umani non abbiamo scelta, vero? O lui o te, Anthos… a meno che tu non decida di impedire tutto questo! Spero che tu abbia osservato bene il tuo avversario, perché corrisponde all’immagine che fornisci di te!”.
Il principe la fulminò con lo sguardo, preda di una collera assoluta.
“Non sai di ciò che parli!” esclamò “Io possiedo il diritto di reclamare quanto mi spetta, mentre quell’essere repellente è in balia della propria ignobile follia!”.
“Se tu me ne mettessi a parte, potrei dirti ciò che penso con cognizione di causa! Unire i Due Regni non cancellerà la Profezia e non ti darà ciò che aneli. Il tuo volere non porterà che allo stesso buio! Qualunque cosa sia questo Ishkur, ha deciso di diventare il tuo Primo Consigliere perché questo luogo è preda della medesima oscurità di cui lui si nutre! Te ne rendi conto almeno?”.
“Sciocchezze! Non credo che tu possa osare un’affermazione del genere! Soprattutto considerando che sei viva perché io ho impedito a Ishkur di toccarti!”.
“Lo so! Lo so maledizione! È per questo! È per questo che devi recedere, sei l’unico che può opporsi all’ombra, l’unico in grado di trovare Irkalla e di capire da lui che cosa ne sarà di noi tutti! Io non posso nulla! Nulla! Neppure indossare il Diadema, qualora riuscissimo a strapparlo a chi lo sta reggendo adesso! L’unica cosa che sono capace di fare bene è perdere! Perdere Narsas… o mio fratello… o…”.
“Tuo fratello era già smarrito da tempo! E il tuo stramaledetto Aethalas respira sempre grazie a me! Non ho intenzione di tollerare…”.
“Perdere te!” gridò Adara con voce rotta “Io non voglio perdere te!”.
Anthos sbarrò gli occhi, travolto da quelle parole. Ignorò la fitta lancinante provocata dal contatto stretto di lei con la bruciatura che aveva sul petto e rimase immobile. Percepì il percorso tiepido di una lacrima insinuarsi lungo la sua spalla nuda e dovette fare appello a tutta la distaccata compostezza cui era uso da sempre.
“Se è un modo per scusarti, lo accetto” ribatté poi, brusco.
“Non ho nulla da farmi perdonare” singhiozzò Adara “Non come intendi tu. Dimmi cosa devo fare, Anthos… che cosa devo fare con te? Fidati di me, ti prego… ascoltami… aiutami… non lasciarmi sola!”.
Il principe si scostò, però lo fece senza asprezza e dalle sue labbra sfuggì un sospiro.
L’emorragia si era arrestata, ma aveva macchiato i vestiti della ragazza e le sue dita, che ancora premevano con disperata enfasi la benda contro la sua spalla.
“Sai già cosa devi fare” replicò, incolore.
“Ci sono cose che riescono solo in due. Risultano impossibili, altrimenti… quanto desideri sarà inattuabile finché rappresenterai un’assenza. Magari è questa la vera ragione per cui non puoi…”.
Leuhan! Il tuo dannato Crescente è la causa! Non altro!” sbottò lui, sollevandosi rabbiosamente dalle pellicce.
Si diresse stentatamente verso il bacile nero e passò con un movimento rapido la destra sul fluido opalescente, che si ravviò all’istante, come richiamato alla vita.
La luce lattiginosa insorgente dal catino sbalzato gli inondò i tratti, riflettendosi negli occhi d’ambra e rivelandoli colmi di una tristezza antica e straziante. Poi seguì il comando della sua mano, levandosi furiosa come un turbine marino.
La fontana d’acqua dai riflessi verdi s’innalzò di qualche metro, sibilando con ostentata veemenza, per poi ricadere verso il basso, investendolo completamente.
Anthos si lasciò inondare dalla cascata liquida che aveva prodotto, bagnandosi volontariamente dalla testa ai piedi. Poi abbassò il braccio e tutto tornò alla normalità.
La ferita sulla sua spalla si cauterizzò all’istante, provocandogli una fitta acuta che lo costrinse a stringere i denti per non emettere alcun lamento. L’ustione causata dal Medaglione sanò allo stesso modo.
Le gocce trasparenti gli scesero dai capelli fradici, seguendo la splendida ondulazione della sua muscolatura per poi gocciolare al suolo. Percorsero il suo viso affascinante, simili a lacrime, e sostarono sulle sue labbra come parole inespresse per poi perdersi e ruscellare a terra, sfinite dalla discesa.
Adara osservò la scena con il cuore in tumulto, ma riuscì a sostenere il suo sguardo carico di ferocia quando il principe lo riportò tenacemente su di lei.
Si alzò, prese una delle morbide e calde pellicce del giaciglio e gli si avvicinò, posandogliela addosso con garbo. Si strinse a lui, senza parlare.
“Pensi che io abbia freddo?” domandò Anthos, severo e immobile.
“Sì” rispose lei.
“E tu ne hai, per stare tanto inopportunamente vicina a me?”.
“No. Ho addosso il tuo mantello”.
Il reggente lasciò che il suo sogghigno, provocato dall’immediata e lucida comprensione dell’immagine usata da lei, si trasformasse in una sorta di lieve sorriso. Lo celò, assistito dal buio intenso di Leu-Mòr.
   
 
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