Anime & Manga > L'Attacco dei Giganti
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Autore: Ackerbitch    28/01/2020    1 recensioni
COMPLETA
ModernAU - MiniLong /// EreRi-RiRen
"Credo che tutti siamo bersaglio di una componente di sistemi infinitamente più grande di noi, che non siamo altro che piccoli e insignificanti ammassi di carbonio organico agli occhi dell'Universo. Siamo sottoposti alle sue leggi e invischiati nei suoi meccanismi, vittime della ruota della sua casualità, spaventosa e ingiusta. E lo sa cosa rende questa cosa ancora più spaventosa? Il fatto che siamo esonerati da niente, anche se tendiamo a conferirci una sorta di immunità di fronte alle eventualità negative che sappiamo esistere, ma che non associamo mai a noi e alla nostra vita. Forse lo facciamo per rendere l'esistenza un po' più sopportabile, o forse perché l'animo umano è animato da un disgustoso senso dell'ottimismo e tende a lasciare fuori dal proprio campo visivo e dalla propria concezione stessa tutto ciò che non è oggettivamente considerabile come positivo. Quello che voglio dire, è che non sappiamo mai come la ruota girerà. Adesso ci sei, fra cinque minuti non si sa. Ora stai bene, ma fra tre giorni potresti essere in un letto d'ospedale e combattere fra la vita e la morte [...]"
Genere: Introspettivo, Sentimentale, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai | Personaggi: Eren Jaeger, Hanji Zoe, Isabel Magnolia, Kuchel Ackerman, Levi Ackerman
Note: AU | Avvertimenti: Tematiche delicate
Capitoli:
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Legge Cinque – Vibrazione

L'aveva vista appena uscita dalla sala operatoria, mentre veniva trascinata piena di tubi nel reparto di terapia intensiva; l'operazione le aveva lasciato qualche ematoma violaceo sul viso delicato. Sembrava così piccola e fragile, avvolta fra le coperte candide; il suo incarnato si era fatto più pallido, e il capo era completamente avvolto da bende. Anche se non poteva vederli, Levi sapeva che i suoi bei capelli rossi, di cui andava tanto fiera, erano stati completamente rasati per rendere più agevole l'operazione. 

Ne aveva sentito il calore vitale quando l'aveva presa per mano e le aveva baciato delicatamente le nocche, lei ancora incosciente a causa dell'anestetico che le pompava in corpo e le annientava i sensi. Aveva esultato quando il medico aveva comunicato il successo dell'intervento, aveva pianto di gioia quando le due TAC, a cui sua sorella era stata sottoposta, erano state definite come "pulite". Aveva pure sopportato il fatto che, almeno per una giornata, Isabel sarebbe stata tenuta in coma farmacologico per limitare la sua sofferenza, perché gli faceva sentire l'anima leggera il solo pensiero che quando i suoi occhi suoi occhi verdi si sarebbero riaperti, lei sarebbe stata bene. E il corvino sarebbe stato lì in quel momento; le avrebbe comunicato la bella notizia e avrebbe lasciato che le sue iridi metalliche si inumidissero di gioia senza vergognarsene. Poi l'avrebbe stretta, le avrebbe baciato il capo fasciato sussurrandole che era bellissima, fortissima. Sarebbe stato accanto a lei ad ogni visita e terapia necessaria per dare il colpo di grazia a quel brutto male.

Il neurochirurgo che l'aveva avuta in balia della lama affilata e precisa del suo bisturi aveva avvertito Levi e Kuchel il che post-operatorio sarebbe stato delicato, e che Isabel avrebbe necessitato di meticolose attenzioni e cure. Era stata collegata ad un respiratore per la ventilazione assistita, ed un tubo trasparente spariva fra le sue labbra pallide e appena dischiuse per soffiarle aria nei polmoni. Vari elettrodi erano disseminati sul suo corpo per monitorarne l'attività cerebrale e cardiaca tramite dei monitor, che emettevano sonori bip costanti e intermittenti. 

L'operazione era durata otto ore, ed ogni secondo per Levi era stato pesante quanto il tempo di una vita millenaria trascorsa in solitudine. E alla fine, la sua piccola guerriera ce l'aveva fatta. Era finita, lei si sarebbe risvegliata e avrebbe tirato su il morale di tutti col suo bel sorriso luminoso; sarebbero andati a casa festeggiando, perché Isabel era stata fortunata. Aveva appena iniziato la sua battaglia contro la malattia, eppure ne era già uscita a testa alta, vincitrice. Poteva dirsi praticamente in remissione, visto che la totalità di quelle cellule impazzite e mutate nel suo corpo le era stata sradicata dall'interno, senza lasciare traccia. 

Eppure, in poche ore quella sensazione di gioia nella sua più pura essenza,- la stessa che gli aveva fatto gridare al mondo e all'Universo con tutto il fiato che aveva nei polmoni che lui e sua sorella erano invincibili - era mutata all'improvviso in un mostro spaventoso. Si era ritrovato a stringere la stoffa leggera della sua maglietta all'altezza del cuore, a rabbrividire alla sensazione viscida e fredda del terrore che gli fece rizzare i peli sulla nuca e a mordersi l'interno delle guance a sangue per contenere i singhiozzi che lo scuotevano dall'interno con una violenza senza precedenti. 

Tutto sembrava lontano anni luce da lui, che si sentiva come immerso in uno strano fluido dalla consistenza impalpabile. Gli giungevano ovattate le urla disperate di sua madre, gli parevano incomprensibili le parole dei medici; tutto quello che riusciva a sentire era il battito forsennato del suo cuore che gli rimbombava nelle orecchie e che gli ricordava una realtà spaventosa. Lui era vivo, Isabel... Era in una situazione complicata, in un limbo di cui Levi aveva ignorato l'esistenza fino a quell'istante. Come poteva l'Universo essere così crudele e menefreghista? Come poteva prendersi l'anima casta e pura di una ragazzina che si era aggrappata disperatamente alla vita con tutto quello che aveva?

Era bastato che la stanchezza lo sopraffacesse per poche ore, facendolo crollare su una scomodissima sedia in plastica che un'infermiera bassina aveva posizionato a posta per lui all'interno della camera di sua sorella; il suo corpo non aveva retto a quelle abbondanti trenta ore di veglia forzata. Era stato proprio il pianto di sua madre a risvegliarlo da quel sonno troppo profondo che l'aveva avvolto fra le sue buie spire, durante il quale aveva ignorato completamente il trambusto di medici nella piccola stanza d'ospedale e i bip troppo insistenti e impazziti dei macchinari che monitoravano le funzioni vitali di sua sorella.

La guardava, coi capelli scompigliati che gli ricadevano sugli occhi e il volto arrossato dai singhiozzi trattenuti che faceva morire nella sua gola. Il petto di Isabel si alzava e si abbassava ritmicamente, seguendo il ritmo imposto dal respiratore. Si era mosso verso il suo letto come in trance, le aveva carezzato le guance e le aveva preso le mani, sentendone il tepore delle dita intrecciate alle proprie. In viso portava un'espressione serena, angelica. Era calda; eppure, non c'era più vita dentro di lei.

Il display collegato agli elettrodi sul suo capo, mostrava un elettroencefalogramma mortalmente, disperatamente piatto. 

Zero attività cerebrale e zero risposta agli stimoli assunsero la forma di un dolore dilaniante che colpì lo stomaco di Levi e Kuchel, squarciando i rispettivi petti come una lama, lì dove c'era il cuore. "Morte cerebrale", così i medici avevano definito lo stato di Isabel, niente meno che un termine scientifico che celava la crudezza di un "non c'è più nulla da fare" troppo difficile da comunicare. Aveva avuto due ischemie mentre Levi dormiva, e il corvino avrebbe voluto scomparire dal dolore che provava per il non essere stato accanto alla sorella mentre l'anima gli veniva strappata dal corpo. 

Faceva fatica a credere che un corpo che sembrava vivo a tutti gli effetti, altro non fosse che un involucro ingannevole della morte che vi albergava dentro e che lo aveva corrotto. Lo sentiva, il battito del suo cuore, se premeva l'indice e il medio su polso caldo di sua sorella, ma "batte soltanto perché ha attività autonoma e se staccassimo i macchinari, Isabel cesserebbe di respirare; non è più in grado di farlo. È solo grazie al respiratore se vedi il suo petto alzarsi e abbassarsi. Quanto al suo cuore, smetterà comunque di battere entro alcune ore."

Dov'era Isabel? Era apparentemente in vita, ma il suo cervello aveva irrimediabilmente cessato ogni funzione. Era clinicamente morta, e Levi si rifiutava di accettarlo. Soprattutto quando sembrava così... Così viva.

I morti erano freddi, cerei in volto, immobili e rigidi. Lei respirava, aveva un cuore che gli batteva in petto ad un ritmo costante e rassicurante, era calda, e il suo colorito – seppure più chiaro del solito – non era per nulla paragonabile al pallore con cui la morte tingeva le sue vittime. Dov'era lei, dov'era la sua anima? Non che Levi avesse mai creduto ad una sorta di vita dopo la morte, di qualunque genere essa fosse, ma dov'era Isabel? Esisteva una specie di limbo, un confine sottile fra esistenza e oblio, per quelli nella sua stessa condizione? 

C'erano persone che si risvegliavano dal coma e che sostenevano di aver visto il proprio corpo giacere malato su un letto d'ospedale. Levi li aveva sempre giudicati dei pazzi, ma la sua anima si riempì della speranza futile che sua sorella, in quel momento, lo stesse guardando per davvero. 

La immaginava osservarlo dal limbo etereo e fatto di luce in cui era confinata, con le lacrime agli occhi e il cuore pieno della disperazione dilaniante di venire separati. Magari avrebbe voluto tanto ricambiare la stretta delle dita di Levi sulle sue, e i suoi zigomi alti sarebbero stati rigati da troppe gocce salate nello scoprire il suo corpo immobile, inutile nel rivolgere un'ultima carezza al fratello. Magari i suoi singhiozzi facevano più rumore di quelli di Levi e Kuchel, ma nessuno poteva sentirne il suono.

"Nei casi come quello di Isabel, prima di procedere e staccare la spina del suo respiratore, noi medici siamo tenuti a testare la sua compatibilità con quella di pazienti in attesa di organi. I suoi reni e il suo cuore potrebbero salvare la vita di tre persone gravemente malate, e vi invito caldamente a prendere una decisione nelle prossime quarantotto ore, nel completo rispetto dei vostri tempi e del vostro lutto. Condoglianze."

Avevano sfidato l'Universo, l'avevano fatto insieme, gridandogli contro la loro invincibilità, sprezzanti contro gli ostacoli a cui la vita li aveva sottoposti. Avevano sorriso, per alcune ore avevano davvero vinto senza poterne condividere veramente la gioia, e allora l'Universo stesso li aveva rimessi al proprio posto prima di quella vittoria finale che troppo gli sarebbe costato concedergli. Nessuno poteva permettersi di sfidare le sue leggi in quella maniera così diretta e prepotente, e Levi ed Isabel lo avevano capito troppo tardi, a loro spese.

Il corvino giurò in quel momento, con l'anima fatta piccola e ridotta in frantumi nerastri, che avrebbe sempre sottostato alle sue dialettiche a capo chino, col terrore di ribellarsi cucito addosso al cuore. Non avrebbe osato o alzato di nuovo un dito per tutto il tempo che il Cosmo gli avrebbe concesso per poter portare avanti un'esistenza vuota e contaminata dal parassita della rassegnazione.

________

"Ma quanto pessimismo vedo qui!"

Levi si girò di scatto, strappando dalle mani di Eren il piccolo taccuino. Era un quadernino azzurro cielo, testimone dei suoi pensieri più oscuri e reconditi e dei suoi stati d'animo più turbolenti. Lo portava ovunque, lo aiutava a non perdere il controllo quando necessario, promettendogli calma in cambio di emozioni riversate su carta con inchiostro nero. E Levi era stato sopraffatto dai sentimenti in quegli ultimi minuti, inglobato e masticato dai ricordi fino a sentire l'esistenza dolere. Non importava che fosse in biblioteca per studiare, perché neanche le righe fitte di paroloni altisonanti riuscivano a distrarlo dal tumulto della sua mente. Era stato automatico per lui ricorrere all'aiuto della carta bianca e delle sue mute promesse.

Quello che non si aspettava, era che Eren glielo levasse dalle mani all'improvviso e che iniziasse a leggergli dritto nell'anima con una facilità straziante e col solito sorriso sulle belle labbra piene. Allora Levi se lo era ripreso con prepotenza, rivolgendogli uno sguardo gelido; lo ripose immediatamente nello zaino quando il castano prese posto accanto a lui, stiracchiandosi sonoramente senza mai staccargli gli occhi indagatori dal corpo. 

Era proprio quello che lo aveva mandato in bestia quando Hanji – che fosse maledetta, quella quattr'occhi infernale! – aveva rivelato ad Eren quale fosse il posto prediletto dal corvino per immergersi nelle sue estenuanti sessioni di studio: il suo sguardo puntato addosso.

Sempre verdissimo e impossibile, era una presenza che lo accompagnava fastidiosa mentre tentava di concentrarsi su leggi fisiche più grandi di lui e concetti talmente complessi da fargli dolere le tempie; il castano sedeva al suo fianco e lo guardava per tutto il tempo. Non importava quante volte Levi gli avesse gridato contro di smetterla, che fosse fottutamente inquietante, di andare a fare altro, perché, diciamocelo, chiunque nella vita aveva sicuramente di meglio da fare che starsene a guardare Levi Ackerman tentare di studiare. Gli aveva tolto la concentrazione per settimane intere, perché Eren reagiva ai suoi insulti con la sua solita calma innaturale che gli faceva dubitare che fosse umano, semplicemente scrollandoseli di dosso e rivolgendogli quei sorrisi capaci di sciogliere la roccia. E allora Levi si calava il cappuccio il più basso possibile sul volto, chiedendosi cosa il ragazzo trovasse di così interessante in lui da rimanere a guardarlo per ore, a studiarlo da vicino con la solita espressione angelica ad addolcirgli i lineamenti armonici. 

"Mi guardi come si guarda un animale raro o una persona a cui è spuntata all'improvviso un'altra testa", gli diceva, e il castano si stringeva nelle spalle, replicando sempre con quel suo classico e bellissimo, luminoso sorriso. A volte, tirava fuori anche lui i suoi libri e iniziava a studiare, e quelli erano i pomeriggi in cui Levi riusciva a concentrarsi di più. 

Ma la fortuna quel giorno non era dalla sua parte; le iridi di Eren sulla sua pelle continuavano a bruciare come braci infuocate. Levi si portò le mani sul collo e sulla linea della mandibola, dove le sentiva osservarlo più insistenti, e fu sorpreso di non sentire quei punti ardere come lava sotto i polpastrelli. 

"Come stai, Lee? Giornata no, eh?"

"La definirei piuttosto una vita no", avrebbe voluto sputargli addosso il corvino, ma si limitò a sospirare frustrato al tentativo del castano di fare conversazione. Non era dell'umore, ed Eren non avrebbe ottenuto da lui una sola parola. Levi era troppo schiavo delle sue emozioni, non sapeva neanche se sarebbe stato in grado di parlare senza farsi scappare proprio quel singhiozzo che si ostinava a tenere incastrato in gola e senza mettersi a urlare tutto il proprio dolore al mondo intero. Voleva essere lasciato solo, in balia delle sue memorie e farsi portare alla deriva dai sentimenti, e in quel momento rimpianse di non essere tornato direttamente a casa dopo la fine delle lezioni. Quello che doveva essere un tranquillo pomeriggio di studio in biblioteca, si era già trasformato in uno di quei momenti in cui diveniva un fantoccio comandato dalla disperazione dei suoi ricordi più bui e devastanti, che non mostravano riserva nel manovrarlo senza riguardo. Tuttavia, la mancanza di una risposta adeguata non frenò la lingua di Eren, e la sua voce melensa lo investì di nuovo.

"Anche per me è una giornata no, la docente di Meccanica Analitica è pessima. Ha cambiato le modalità d'esame e ce lo ha comunicato solo oggi, e praticamente la maggior parte degli esercizi su cui ho sbattuto la testa fin ora, neanche saranno all'esame... Ti rendi conto? È proprio una bastardata dircelo a neanche un mese dal primo appello, non trovi?"

Levi era livido di rabbia, a tal punto che sentiva il sangue ribollire nelle vene e ogni singola cellula del suo corpo fremere. In quei brevi istanti in cui le sue dita lunghe e affusolate erano state strette attorno al suo piccolo quadernino, Eren aveva rovistato fra i suoi pensieri, seppur per pochi secondi. Aveva visto la sua anima, nuda e spoglia di ogni armatura, piccola e nerastra, consumata dal dolore; non c'erano stati la sua espressione stoica e il suo carattere scostante a proteggerlo. Era arrabbiato per l'invadenza del castano, di una rabbia che aveva quasi il retrogusto della vergogna. Ed era arrabbiato anche per quell'odioso nomignolo con cui Eren aveva preso l'abitudine di chiamarlo contro la sua volontà. E no, non era per niente adorabile come sosteneva quella mentecatta di Hanji; era irritante in una maniera inverosimile. E comunque, i suoi tentativi di conversazione non lo avrebbero smosso. Erano cazzi suoi se erano cambiate le modalità d'esame, la cosa non lo riguardava.

Tornò a rivolgere le sue attenzioni al libro di Dinamiche, dimenticato aperto per un tempo non quantificabile. Fece scorrere gli occhi sulle parole stampate, tenendo il segno con l'indice per non perdersi fra le righe fitte e scure d'inchiostro, troppo impegnato ad ignorare Eren al meglio delle sue capacità. Tuttavia, sperare in una tregua da parte del castano era senz'altro troppo ottimistico.

"Comunque, chi sei? Una specie di rincarnazione di Pascoli? Sai, la Natura Matrigna e tutte quelle cose lì, il Pessimismo Cosmico e quell'altra roba triste che non mi ricordo. Ho letto due righe del tuo quaderno e mi è sembrato di ritrovarmi catapultato in una delle lezioni di letteratura che facevo in quarto liceo. Erano proprio una noia mortale! Sono sempre stato molto più portato per le materie scientifiche."

"E si vede che non eri portato, moccioso. Era Leopardi, quello della Natura Matrigna, del Pessimismo Cosmico e dell'altra roba triste che non ti ricordi."

Quelle parole gli scivolarono atone dalle labbra screpolate prima che potesse rendersene conto; Levi stesso si stupì e si irrigidì in risposta al tono piatto della sua voce. Si era ripromesso che Eren non avrebbe ottenuto da lui neanche un gesto o un qualche mugolio che gli avrebbe fatto intendere che stesse seguendo la loro conversazione, invece il castano lo aveva fatto parlare. Lo aveva fatto di proposito; il corvino si voltò verso di lui, e nell'esatto momento in cui i suoi occhi si piantarono in quei pozzi di smeraldo, vi lesse sfida e vittoria all'interno. La vide anche nel suo sorriso sghembo, la soddisfazione di essergli riuscito a strappare le parole dalla bocca contro la sua volontà. Era impossibile stare attorno a quel ragazzo senza venirne in qualche modo influenzati. Era come se emanasse una propria forza di gravità e fosse in grado di esercitarla sulle persone, per attirarle a lui a suo piacimento. Era una trappola mortale, un gioco pericoloso, e più Levi resisteva, più Eren si ostinava a voler prendere tutto di lui e a ricoprirlo con un'imprevedibilità tale da far risvegliare ogni sua ansia che pareva divorarlo vivo. E lo attirava in una maniera inevitabile, così come il calore e il baluginio di una fiammella nel buio facevano con una piccola falena.

"Idiota."

Quell'insulto appena sussurrato gli lasciò in bocca il gusto della rassegnazione. Distolse lo sguardo dagli occhi magnetici di Eren, e si convinse che prenderlo a parole fosse l'unico modo per riprendersi il briciolo di dignità che il castano gli strappava ogni volta che lo rendeva incapace di controllare le proprie azioni. Se lo meritava.

"Cretino."

La voce melliflua e divertita di Eren gli colò nelle orecchie, e Levi fu sicuro che quella fosse la parola peggiore che fino a quel momento avesse lasciato la sua bella bocca. I loro occhi si allacciarono di nuovo, mescolando il verde e il grigio in un'armonia di sfumature preziose; quelli di Levi erano pregni e brillanti di stupore.

"Imbecille."

"Scemo."

"Deficiente."

"Stupido."

Le iridi metalliche di Levi si erano fatte grandi davanti al sorriso di Eren, che portava in viso l'espressione angelica di chi avrebbe potuto tranquillamente sciorinare un intero vocabolario di insulti per portare avanti quel gioco infantile. Rise, quando si accorse della tensione che irrigidiva i muscoli del corvino. Un suono cristallino riverberò nell'aria, celestiale, uno dei più belli che Levi avesse mai sentito nel corso della sua misera vita, e le sue spalle si rilassarono un po'. La diede vinta ad Eren, mentalmente troppo stanco per poter sopportare oltre di udire quella voce che gli annodava lo stomaco e di posare gli occhi sui suoi sorrisi che facevano cose strane alla sua anima. 

Non si era ancora del tutto abituato a lui, alla presenza costante dell'Universo in carne ed ossa al suo fianco; era diverso da qualunque altra persona avesse mai incontrato. Era testardo, maledettamente ostinato, carismatico e imprevedibile in una maniera che gli dava i brividi. Col tempo, aveva imparato che la sola vicinanza di Eren bastava a fargli venire la pelle d'oca. Era capace di tenergli testa e di sorprenderlo sempre, e Dio se la cosa lo terrorizzava a morte. Gli entrava nel sangue quella paura atavica e viscerale.

Rivolse uno sguardo che avrebbe dovuto essere glaciale e tagliente al suo bel viso baciato dal sole, ma Eren probabilmente non se ne accorse neanche. Levi lo trovò con gli occhi fissi sul suo libro di Dinamiche, un labbro ben stretto fra i denti bianchissimi e le sopracciglia aggrottate. Levi sospirò, tentando di buttare fuori dal proprio corpo tutta la propria rabbia e il proprio rancore verso il castano assieme all'aria espirata. In fondo, non poteva fare più nulla per quei pezzi di sé che Eren gli aveva rubato sotto forma di parole impresse su carta nella sua grafia netta e pulita.

"Che cosa non hai capito questa volta?"

Perché quando erano in biblioteca insieme, Eren guardava Levi fino a fargli bruciare la pelle e lo riempiva di chiacchere su dettagli e particolari della sua vita, ma c'erano anche i giorni come quelli. Quelli in cui il corvino si offriva di aiutare quel moccioso irritante e indisponente che gli stava incollato come un'ombra, eterno memento di quanto il filo sottile che lo ancorava alla vita fosse fragile ed effimero come il battito d'ali di una farfalla. Era tutto iniziato un paio di settimane prima, da una richiesta di aiuto di Eren alla quale Levi aveva acconsentito semplicemente per non sentirsi troppo vittima di quegli smeraldi preziosi e per scollarsene il bruciore quasi insopportabile di dosso. Era stata solo una maniera per tollerare meglio quella sorta di convivenza forzata che lui non aveva mai chiesto, nulla di più; poi però il corvino aveva dovuto ammettere a sé stesso che il moccioso sapesse davvero il fatto suo, e che ripassare assieme qualche argomento non era poi così terribile.

Eren era intelligente e sveglio, capace di afferrare le sue spiegazioni al primo colpo e di formulare riflessioni e domande brillanti. E anche se il moccioso non conosceva neanche lontanamente il significato della parola "privacy", quei momenti erano piacevoli. Ovviamente, se Levi tralasciava – o meglio, si sforzava di dimenticare – che il castano fosse una sorta di castigo divino e incarnazione dell'Universo stesso in Terra, per di più in un corpo talmente bello da levare il fiato.

Il corvino iniziò a chiarire i punti su sui il castano mostrava incertezza, costringendosi ad ignorarne il calore della pelle bronzea di Eren troppo vicina alla propria e la fragranza delicata di bagnoschiuma alla vaniglia che emanava. Tuttavia, poteva dire anche solo osservandolo con la coda dell'occhio - e anche per una strana tensione che sentiva permeare l'aria e fastidiosamente appiccicata addosso - che qualcosa in Eren non andasse, che il ragazzo non gli stesse prestando l'attenzione dovuta e che una parte di lui fosse persa fra troppi pensieri torbidi e profondi. Lo deduceva dalla riga d'espressione che gli aggrottava le sopracciglia folte e dal modo in cui i suoi occhi verdissimi gli sembrarono incupiti, lontani. E quando parlò, ignorando il mondo di stelle e galassie in cui si erano immersi insieme, Levi ne ebbe la conferma.

"Lee... Lo sai che secondo alcune teorie della meccanica quantistica, il semplice percepire qualcosa ne modifica la struttura molecolare?"

Il corvino fu colto alla sprovvista da quella domanda, e quando incontrò le iridi di Eren, queste gli sembrarono la cosa più intensa e dilaniante su cui avesse mai posato lo sguardo. Erano piene, sature di emozioni che le coloravano di sfumature assurde, mai viste prima di allora. Erano luminose, ma c'era qualcosa che le faceva brillare di un bagliore cupo, spento. Levi si diede uno schiaffo mentale quando pensò che avrebbe dato qualsiasi cosa per tornare a far splendere quegli occhi come facevano sempre. Era terribilmente sbagliato che non fossero accesi e pieni di vitalità come al solito. 

"Che vuoi dire?"

Eren sospirò, iniziando a rigirarsi fra le dita il ciondolo a forma di chiave che portava sempre appesa al collo. Erano belle, le sue mani, grandi e delicate al tempo stesso. Chissà se erano calde come sembravano.

"Che non si può osservare la realtà senza influenzarla e senza mutarne lo stato. Quello che vedo io è diverso da quello che vedi tu, proprio perché è influenzato dalla mia mente e non dalla tua. Quindi, quella in cui vivi non è davvero una realtà pura, ma solo quello che tu pensi sia reale. Il mondo non è incorruttibile e cinico come credi; sa essere crudele, sa togliere tanto, ma sa anche dare. Ovviamente, la tua visione è influenzata dalla tua esperienza di vita. in fondo, noi tutti non siamo che il prodotto dell'apprendimento di esperienze passate, no? È quello che ci definisce come persone, che delinea un nostro carattere, che dà forma ai nostri ideali."

"Non ti seguo, Eren."

Il castano si morse il labbro, poi schiuse nuovamente la bocca morbida. Il silenzio li avvolse per qualche eterno secondo prima che continuasse a parlare, scrutandolo da sotto le lunghe ciglia nere con un'espressione indecifrabile in volto.

"In un certo senso, quello che voglio cercare di fare è tirare fuori della filosofia da concetti prettamente scientifici. Vorrei solo farti capire che non è necessariamente come dici tu, che l'Universo non è un tiranno che ci tiene tutti per le briglie con l'intento di rimetterci in riga; questa è solo la tua percezione personale delle cose che ti circondano, ma non è detto che corrisponda alla realtà assoluta. Forse, il concetto di realtà assoluta nemmeno esiste, essendo tutto relativo al soggetto che la osserva. Quindi Levi, non... Chiuderti in te stesso e rimanere schiavo di leggi che non esistono. Volevo dirti solo questo, perché credo anche che l'uomo possa imparare a plasmare la realtà e a renderla migliore per sé stesso, per la propria vita."

Levi rimase a guardarlo con i brividi sulla pelle. Studiò attentamente le ciocche disordinate che gli incorniciavano il bel viso e che sfuggivano al suo solito codino basso, si specchiò in quegli occhi fino a che il suo mondo intero non divenne dipinto di quel verde assurdo e carico. Sconvolto, con le certezze sottosopra, come ogni volta che Eren apriva bocca per parlare; dubitava perfino di avere fiato nei polmoni per ribattere al suo discorso, per quanto il cuore gli martoriava prepotente la gabbia toracica.

"Sarà come dici tu, moccioso. La vita rimane comunque una merda."

Il silenzio che li avvolse fu talmente scomodo da risultare stretto e soffocante. Pesava sulla schiena di Levi, lo piegava sotto la quiete assordante che gli sfondava i timpani, rotta solo dai troppi pensieri che gli rimbombavano cupi nella mente creando una sinfonia stridente. Eren gli aveva appena suggerito che tutto quello che accadeva attorno a lui fosse influenzato dalla sua percezione; in altre parole, il mondo che Levi conosceva, era tale per lui e lui soltanto, in quanto era il corvino stesso ad attribuirgli un certo significato. E il modo che Levi aveva di dipingere l'Universo come una sorta di caricatura grottesca di tutti i mali, era da attribuire soltanto al proprio bagaglio di riferimento, fatto di cattive esperienze e dolore. 

Forse era proprio per quel motivo che Eren osava sfidare il Cosmo in quella maniera così aperta e urlandogli contro a gran voce la sua incuranza; la sua esperienza era diversa, e sicuramente era per quello che riusciva ad essere così positivo. Guardava la vita con altri occhi, e sebbene vivessero sullo stesso mondo, Levi percepiva il castano come appartenente ad una realtà parallela e distante anni luce dalla propria, aliena. Nessuna disgrazia doveva averlo segnato e fatto piegare di dolore fino a fargli desiderare di scomparire, per permettergli di essere ottimista e non arrabbiato con l'esistenza stessa. Doveva essere stato fortunato, dello stesso tipo di fortuna che era mancata a lui e ad Isabel per vincere. Forse, se sua sorella fosse stata viva, lui ed Eren avrebbero potuto coesistere sullo stesso piano di realtà e lui sarebbe stato una persona migliore. Non un fantasma, non il Levi Ackerman che odiava ogni voltaa che si guardava allo specchio.

"Lee... Tu hai perso qualcuno di importante."

Eren sospirò, e per la prima volta a Levi sembrò fragile davvero. Umano, spogliato dell'indifferenza del Cosmo che si portava addosso e che reclamava come propria. E anche il corvino si sentì completamente denudato di fronte a quella domanda, inerme come lo era stato quando quel moccioso insolente, che lo guardava con gli occhi carichi e scuri, aveva letto fra le righe della sua anima.

"Cosa ti fa pensare che verrei a dirlo a te, se così fosse?"

"Non era una domanda. Lo so e basta."

Quella constatazione, che lasciò le labbra piene del castano con un sussurro caldo e flebile, lo pietrificò sul posto e gli diede i brividi. Non ebbe neppure il coraggio di incontrare i suoi occhi, per quanto se ne sentì schiacciato; si morse le labbra e strinse i pugni fino a sentire le dita dolere. La sua schiena si irrigidì, quando la mano di Eren prese a disegnarvi sopra sentieri intricati ed invisibili. E sì, era calda proprio come l'aveva immaginata, più del suo sguardo di smeraldo.

"Mia madre si chiamava Carla."

Aggiunse soltanto, donandogli un altro pezzo di sé che Levi non aveva mai chiesto. Quelle parole, ricoperte dalla sua voce di miele, gli si conficcarono nell'anima lambendola con le loro lame ghiacciate. Sentì freddo, Levi, perché di colpo gli parve di provare sulla propria pelle lo stesso dolore di Eren, la stessa agonia che lo aveva annientato senza remore quando Isabel le era stata strappata dalle braccia prematuramente e con una violenza sanguinaria. Non si accorse di star trattenendo il respiro fino a che un sospiro debole gli lasciò le labbra.

"Isabel... Mia sorella."

Il castano ormai gli carezzava la schiena a palmo aperto. Lo guardava, ma Levi non aveva il coraggio di incrociare le sue iridi, perché sapeva che se lo avesse fatto, avrebbe ceduto e si sarebbe perso dentro quel mare di smeraldo intenso; non avrebbe opposto alcuna resistenza a naufragarvi dentro. Probabilmente, Eren era una di quelle persone capaci di plasmare la realtà a proprio piacimento. 

Perché Levi lo aveva ormai capito, che il moccioso non fosse l'Universo e quella consapevolezza era arrivata sotto forma di un dolore sordo all'altezza del petto; era semplicemente un essere umano troppo orgoglioso per piegarsi alle sue leggi. Per questo le distorceva, le ricreava e le riadattava a quella che era la sua esperienza, la sua realtà. E sapere che anche a lui fosse stato brutalmente strappato l'affetto di una persona cara, non fece altro che alimentare come benzina sul fuoco il senso d'inettitudine che si portava cucito addosso ad ogni respiro.

Eren era capace di andare avanti, di vedere comunque il lato positivo della vita, nonostante i suoi begli occhi avessero visto disgrazie e si fossero riempiti di sofferenza chissà quante volte, a differenza di quello che Levi aveva pensato di lui. Eppure, non si perdeva d'animo e combatteva a testa alta. Si beava dei colori che lo circondavano, godeva della compagnia delle persone, era capace di ridere e di provare emozioni dirompenti, e chissà quanto gli costava farsi carico di tutta quella positività. Magari avrebbe solo voluto urlare quanto gli mancava sua madre e quanto fosse stata ingiusta la sua morte. Forse lo faceva, quando era protetto dal buio della sua camera. 

"Grazie per aver condiviso questo con me, Levi."

No, Eren non era l'Universo. Era semplicemente una persona che era stata rotta dai suoi meccanicismi e che aveva imparato a sopravvivergli, ripagando il Cosmo con la stessa indifferenza che esso stesso mostrava verso il genere umano. Era come lui, ma aveva trovato un modo diverso per convivere con il dolore e per andare avanti senza sentirne i morsi farsi troppo prepotenti. Nessuna cosa aveva mai terrorizzato Levi tanto quanto la capacità che il castano aveva di essere il padrone assoluto della propria realtà. Lui, la sua neanche la conosceva, eppure vi era impantanato dentro fino al collo.

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SPAZIO AUTRICE

Chiedo venia per il ritardo, ma finalmente ce l'ho fatta ad aggiornare. il carico emotivo di questa storia purtroppo non mi aiuta per niente ad essere veloce con gli aggiornamenti, ma cerco comunque di essere veloce. Spero di non farvi aspettare di nuovo un mese per il prossimo capitolo!

Alla prossima!

 

   
 
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