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Autore: Mari_Criscuolo    30/01/2020    1 recensioni
Leila (Ella) ha 22 anni e vive a Napoli, ma, dopo la laurea triennale in psicologia, si trasferisce a Roma, per continuare il suo percorso di studi.
Sofia, sua amica da otto anni, ha deciso di seguirla.
Entrambe mosse dalla stessa chimera: lottare per la propria felicità.
Ella ha compiuto una scelta che ha fatto soffrire molte persone.
Nonostante non ne se ne sia mai pentita, sa che ogni decisione comporta delle conseguenze e lei sta ancora scontando la pena che le è stata imposta.
È convinta di essere in grado di affrontare ogni difficoltà la vita le metterà sul suo cammino, perché l'inferno lo ha vissuto, deve solo trovare il modo di non ritornarci.
Una ragazza con le sue piccole manie e le sue paure.
Una ragazza che usa il sarcasmo e l'ironia per comunicare il suo affetto e, allo stesso tempo, proteggersi da chi si aspetta, da lei, cose che non può e non vuole fare.
La sua famiglia, Sofia con suo fratello Lorenzo e, infine, un incontro inaspettato, la sosterranno nella sua scalata verso la tanto agognata libertà.
Genere: Generale, Introspettivo, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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«Io... sinceramente non so che dire.»
 
Ella non aveva smesso di osservarlo nemmeno per un istante. Stava cercando di captare e assorbire tutte le emozioni che vedeva riflesse nello sguardo di Gabriele.
 
L'espressione del ragazzo era sofferente, i tratti del suo viso erano contratti in una smorfia di dolore e i suoi occhi esprimevano rabbia, angoscia e confusione.
 
Ella si alzò in piedi, tendendogli una mano affinché la afferrasse.
 
«Vieni piccolo delfino. Un po' di aria fredda ci farà bene.»
 
Gabriele vi si aggrappò con tutta la forza e la disperazione che aveva in corpo, perché solo lei avrebbe potuto trascinarlo in salvo da quell'ammasso deforme di pensieri che non riusciva a sbrogliare.
 
Era stato spinto dalla corrente di quel racconto così lontano dalla riva della realtà, che adesso non sapeva più come ritornare a casa, al sicuro.
 
Non si era nemmeno accorto di come Ella lo aveva chiamato. Un nomignolo impolverato quanto il loro passato, ma che su di lui aveva sempre avuto un piacevole effetto.
 
Ella aprì il balcone e, trainando quell'involucro dal fragile contenuto, entrò nel piccolo terrazzo che affacciava sulla strada principale.
 
L'aria fresca della sera fu una benedizione per il proprio corpo, rigenerato dalla stanchezza.
 
Si appoggiò con le spalle al muro, prendendo le distanze dalla ringhiera di fronte a sé. Ella soffriva di vertigini e non si sarebbe mai spinta oltre il punto in cui si trovava.
 
Aveva lasciato la mano di Gabriele, infilandola nella tasca posteriore del jeans. Gli stava offrendo lo spazio e il tempo necessari per rimettere in ordine le nuove informazioni.
 
Lei aveva vissuto in prima persona ciò che aveva raccontato, aveva sofferto, ma aveva anche avuto il tempo per metabolizzare il dolore. La sua famiglia e Sofia l'avevano aiutata a rialzarsi ogni volta che aveva inciampato, quindi anche a loro era stato concesso del tempo, ma era stato diverso per coloro che avevano ascoltato la sua storia o la maggior parte di essa.
 
Cristina aveva pianto, Luca le aveva promesso che quando fosse diventato avvocato in tutto e per tutto gli avrebbe fatto causa, mentre, adesso, Gabriele rimaneva in silenzio. Ogni reazione era stata diversa, ma tutte erano accomunate da un singolo fattore: il dolore.
 
«Ho preferito darti la versione breve, perché non ho molta voglia di scendere nei dettagli, ma, quando sarò di buon umore, ti racconterò altre cose meno piacevoli. Questo è il quadro generale, la cornice della mia vita negli ultimi due anni.»
 
Ella stava iniziando seriamente a preoccuparsi. Sotto il suo sguardo vigile, Gabriele stava percorrendo il terrazzino in lunghezza, facendo avanti e indietro senza mostrare la minima intenzione di fermarsi.
 
«Potresti non camminare così vicino alla ringhiera. Mi sta facendo venire l'ansia e non ho intenzione di scrostare le tue viscere dal marciapiede.»
 
Gabriele era a conoscenza del suo terrore per l'altezza ed Ella lo sfruttò per costringerlo ad arrestare quella furiosa maratona, a vantaggio della sanità mentale di entrambi.
 
«Vorrei riuscire a formulare un pensiero di senso compito, ma mi sento...» Udire finalmente la sua voce fu come trovare una sorgente di acqua dopo un lungo vagare nel deserto.
 
Anche se non riuscì a terminare la frase, Ella sospirò di sollievo.
 
«Confuso?» suggerì.
 
«Si, ma soprattutto spaventato» rispose, alzando lo sguardo dalle mattonelle scure per posarlo sulla ragazza che aspettava pazientemente il suo sfogo.
 
«Ecco perché non volevo coinvolgerti. Sapere che una persona a te vicina ha vissuto un'esperienza particolare ti cambia la percezione del mondo.»
 
Gabriele scosse la testa, rivolgendole un sorriso forzato dall'incredulità che l'affermazione di Ella aveva suscitato in lui.
 
«Dovrei essere io a rassicurare te, è la tua vita ad essere stata messa sottosopra.»
 
Lei era stata psicologicamente massacrata e lo era tutt'ora, ma si preoccupava dello stato mentale di chi ascoltava il grossolano resoconto della sua vita.
 
«Nulla di ciò che potresti dirmi sarebbe diverso da ciò che ho sentito ripetere negli ultimi nove mesi, quindi ti risparmio questo onere penoso» scrollò le spalle per minimizzare la questione.
 
Anche se faceva ancora male parlarne, non aveva senso farne un dramma quando il peggio era ormai passato.
 
«So che non ne hai bisogno, ma le persone lo fanno anche per sé stesse.»
 
Gabriele aveva creduto che nell'istante in cui Ella gli avesse spalancato le porte del suo mondo, accogliendolo, avrebbe potuto dire addio alla detestabile sensazione di impotenza, ma si era sbagliato.
 
Il senso di colpa si dibatteva come un animale in una gabbia troppo piccola perché lo potesse contenere e le sbarre stavano cedendo.
 
Fu inevitabile per lui ripetersi che, se fosse rimasto al suo fianco, Ella, probabilmente, non avrebbe mai incontrato Matteo e non avrebbe mai vissuto nulla di tutta quella sofferenza.
 
Un altro pensiero, però, gli ridiede speranza: il passato di Ella era, sotto alcuni aspetti, ancora il suo presente e, se prima non c'era stato, adesso avrebbe fatto l'impossibile per aiutarla a sorridere.
 
«Le persone sono egoiste e io sono stanca di ascoltarle. Pensano sempre di saperne di più, quando in realtà non sanno nulla. Vogliono proteggermi, vogliono aiutarmi, vogliono amarmi, ma a volte non riescono a capire quando è giunto il momento di fermarsi.»
 
Ella spostò la sua attenzione alla luce fioca delle stelle, accorgendosi che era passato troppo tempo dall'ultima volta che aveva rivolto lo sguardo all'immensità di quel cielo, che faceva sembrare tutti i problemi estremamente piccoli e insignificanti.
 
Le dava l'illusione che ogni situazione potesse essere risolta e che nulla fosse impossibile.
 
«Per questo motivo giovedì ti agitavi ogni volta che sbloccavi il telefono. Era lui.»
 
Parola dopo parola, pezzo dopo pezzo, gli spazi vuoti del puzzle si stavano riempiendo, trovando il loro giusto posto all'interno di quella cornice.
 
«Si. Il suo fantasma ancora mi perseguita e non so se mi lascerà mai andare» sospirò, tristemente rassegnata di fronte alla realtà dei fatti.
 
Avrebbe potuto fingere che non fosse vero, ripetersi che prima o poi l'avrebbe lasciata andare definitivamente, perché più i giorni passavano e più si rendeva conto nulla dipendeva più dalla sua volontà.
 
Tutti le recriminavano della loro impotenza, ma nessuno riusciva a comprendere che lei era la prima a non avere il controllo della propria vita.
 
«Hai paura.»
 
Ella si strinse nelle spalle per proteggersi dalla triste verità di quella affermazione e dal gelo che era penetrato violentemente nel suo corpo, raggiungendo il cuore.
 
Osservando la sua reazione, Gabriele seppe di avere ragione, ma fino all'ultimo istante aveva sperato di sbagliare, perché quell'ammissione rendeva tutto più concreto.
 
Ella poteva spaventarsi per i ragni, per l'altezza, per gli aghi, ma non aveva mai avuto paura delle persone e se adesso riusciva ad ammettere i suoi timori nei confronti di quell'insignificante essere umano, allora il pericolo era reale.
 
Nell'oscurità della notte, all'ombra della scia di luci che filtravano dall'interno dell'appartamento, i loro volti erano a malapena visibili.
 
Non potevano guardarsi attentamente per capirsi, ed Ella ringraziò la Luna perché non riuscisse ad illuminare i suoi occhi già velati di lacrime al pensiero di ciò che stava per confessare.
 
Aveva bisogno che Gabriele comprendesse una parte dei motivi che avevano dato vita alle proprie paure.
 
Non provava vergogna, ma solo un dolore pungente e angoscioso che aveva risvegliato il suo cuore dal torpore della tranquillità.
 
«Un pomeriggio ero sola in casa quando mi arrivò un suo messaggio in cui mi scrisse che stava venendo a casa mia. Voleva parlarmi, diceva di dovermi dare delle spiegazioni e che poi avrei cambiato idea sul futuro della nostra relazione, perché meritava un'altra opportunità. Non era la prima volta che faceva una cosa del genere, la sua insistenza era diventata intollerabile. Prima di allora non avevo idea di cosa significasse avere paura. Ricordo che il cuore iniziò a battere così velocemente da farmi girare la testa. Tremavo, piangevo e respiravo male, ma rimasi perfettamente immobile, fino a quando non suonò il citofono. Non risposi, ma andai a chiudere a chiave la porta e presi... presi un coltello dalla cucina. Non c'era logica nelle mie azioni, solo terrore. Nella mia mente vedevo l'immagine di me sdraiata a terra, sanguinante e piena di lividi; udivo le notizie di donne uccise e violentate dai mariti o dai fidanzati. Chiamai mia madre urlando tra le lacrime, pregandola di tornare a casa, ma di non citofonare. Rimasi seduta sul pavimento, con le spalle appoggiate alla porta dello studio, anch'essa chiusa a chiave, pensando che, se anche avesse aperto quella principale, prima di scassinare la seconda sarebbero arrivati i miei genitori. Questa è una delle ragioni per cui ho deciso di andare via da quella città e, alla fine, mettere distanza mi ha aiutato, ma non quanto avevo sperato.»
 
Gabriele aveva osservato Ella parlare rivolgendosi al cielo, pregandolo di porre fine ai propri tormenti.
 
Respirare non aveva più lo stesso valore, mangiare non regalava lo stesso piacere e il contatto umano si era trasformato in una tortura fisica e psichica dalla quale cercava ogni giorno di fuggire.
 
Aveva davanti ai suoi occhi impotenti il risultato di una violenza, di come diventavano le persone quando venivano private del libero arbitrio.
 
Impaurite e sfiduciate.
 
«Non hai mai pensato di denunciarlo ai carabinieri?»
 
Una domanda banale, perché era impossibile non ci avesse pensato, eppure era difficile immaginare il motivo che l'aveva spinta a non farlo.
 
«Si, ma non ci sono mai riuscita. Si innesca uno strano meccanismo quando ti ritrovi in queste situazioni. Ero stata io a lasciarlo, quindi, per qualche tempo, ho creduto di meritare tutta la cattiveria che trapelava dalle sue parole e dai suoi gesti. Era colpa mia se stava soffrendo ed era giusto che subissi, per pareggiare i conti. Me lo ripeteva lui e per un po' me ne sono convinta anche io. Una denuncia avrebbe potuto scatenare una reazione peggiore di quella che già stava avendo, così ho preferito aspettare e sperare che prima o poi avrebbe smesso e per un po' è stato così, ma, alla fine, è iniziato tutto di nuovo.»
 
Matteo aveva incontrato una ragazza troppo forte per poter essere spezzata, ma comunque era riuscito a piegarla per qualche tempo.
 
Tutto ciò che Gabriele riusciva a pensare era dove si trovasse due anni prima, cosa stesse facendo di così importante da impedirgli di riallacciare i rapporti con Ella.
 
Lei aveva affrontato tutto, superandolo, vivendo lo stesso anche senza il suo aiuto. Adesso era lì, splendida come la bianca luce lunare riflessa sulla superficie del mare, in una notte limpida.
 
Una bellezza che superava i confini del suo corpo; una bellezza nata dal coraggio e dalla fragilità che aleggiava attorno alla sua figura minuta, come un'aura, rendendo Gabriele totalmente incapace di rivolgere altrove il suo sguardo.
 
Da sirena lo aveva ammaliato, ma da strega lo aveva soggiogato completamente ai suoi desideri.
 
«Adesso sai che non è colpa tua, vero?» chiese, addolcendo il tono di voce.
 
Aveva bisogno che lei desse conferma ai suoi pensieri, prima che perdesse completamente la ragione e facesse qualcosa di tremendamente stupido, tipo andare a cercare quel pezzo di niente e fargli soffrire il doppio del dolore che aveva inferto a Ella.
 
«Si, ma non per questo fa meno male.»
 
A causa di quell'essere inumano, lei era caduta in una spirale distruttiva alimentata dal senso di colpa e, anche se era riuscita a spezzare quel circolo vizioso, non aveva mai smesso di vivere nella paura.
 
Le sfide più difficili le aveva superate, ma doveva combattere ancora altre battaglie per poter vincere la guerra e Gabriele non aveva intenzione di restare a guardare senza stringerle la mano e supportarla nello scontro.
 
Adesso era lì e non l'avrebbe lasciata sola, non perché lei avesse bisogno di lui, quanto piuttosto era lui ad avere bisogno di lei.
 
«Sei una ragazza straordinaria» scosse leggermente la testa sorridendole.
 
Ella non voleva sentire parole di conforto, perché ne aveva ascoltate fin troppe e non aveva trovato in esse nessun aiuto, solo fonte di profondo fastidio.
 
Probabilmente era una reazione esagerata, ma tutti intorno a lei avevano la tendenza a professarsi esperti conoscitori delle sue emozioni e dei suoi pensieri, arrogandosi la presunzione di diffondere consigli e parabole su cosa avrebbe dovuto fare e ciò che, invece, avrebbe dovuto evitare.
 
Ognuno di loro credeva che bastasse vivere di riflesso una determinata situazione per arrivare a capire cose che nemmeno Ella, dopo anni, aveva compreso.
 
Gabriele non l'avrebbe esposta nuovamente a ciò che per lei era stata una sensazione insopportabile.
 
«Sicuro che non sia stupida? Sofia e Lorenzo avrebbero molto da ridire su questa tua affermazione» rispose, rivolgendogli un amaro sorriso.
 
Ella era consapevole della propria forza di volontà e di ciò che era stata in grado di costruire nonostante tutte le bastonate ricevute, eppure sapeva con altrettanta certezza che molti l'avevano biasimata per alcune sue scelte.
 
Non che le importasse sul serio la loro superficiale opinione su ciò che non avevano mai vissuto in prima persona, però sentirselo ripetere spesso lasciava una sgradevole sensazione di fastidio.
 
«Sono sicuro che sarebbero d'accordo con me. Guardati indietro Ella e vedi ciò che hai realizzato con le tue sole forze. Nonostante quello che ti è accaduto e che si trascina ancora adesso, non hai mai smesso di lottare per te stessa. Hai studiato, ti sei laureata, hai superato il test di ammissione e ti sei trasferita a Roma per ricostruire la libertà che ti era stata tolta. La tua sola presenza rende coraggioso chi ti circonda.»
 
Ogni frase pronunciata diminuiva la distanza tra i loro corpi. Gabriele aveva bisogno di sentirla vicino, di toccarla per accertarsi che fosse realmente lì con lui e che stesse bene.
 
Ella non si oppose, quando le dita del ragazzo accarezzarono delicatamente le ciocche di capelli che le ricadevano fino al gomito. Percorse un paio di volte la loro lunghezza, sfiorandole il braccio in più punti.
 
Chiuse gli occhi, lasciandosi cullare da quei semplici e gentili movimenti, che ebbero lo straordinario potere di tranquillizzare la sua mente e far tacere i pensieri angosciosi.
 
Quando la carezza terminò, Ella sbatté le palpebre per riacquistare il controllo, ma il suo proposito fu spazzato via da qualcosa che non aveva notato nell'attimo in cui era accaduta.
 
La mano destra di Gabriele stava stringendo la sua.
 
La presa su di lei era forte e sicura, le loro dita erano unite in un intreccio perfetto e non lasciava aperto nemmeno un piccolo spiraglio che potesse separarli.
 
Al contrario di quanto avrebbe pensato la scorsa settimana, Ella non era spaventata.
 
Nulla in Gabriele le faceva provare qualcosa che non fosse una piacevole sensazione di sicurezza e, se prima c'era stato qualche campanello di allarme che aveva suonato ogni volta che lui l'aveva sfiorata, adesso sentiva solo un profondo silenzio, una pace che poteva chiamare casa.
 
«Tu ti senti coraggioso?» chiese curiosa, osservando gli strascichi di luce artificiale riflettersi nei suoi occhi, che schiarirono la visione delle sue iridi castane.
 
«Ogni volta che ti guardo.»
 
La profonda dolcezza e l'intensa sincerità che vedeva nel suo sguardo, mentre la guardava, non poterono portarla a dubitare della sua ammissione.
 
Lei lo rendeva più forte, mentre lui le insegnava a fidarsi di nuovo.
 
«Vorrei sentirmi anche io così. Nell'ultimo anno sono accadute così tante cose per cui ho dovuto impiegare tutte le mie energie, anche quando non le avevo, e adesso è come se avessi le pile scariche. Non riesco a concentrami, non riesco ad alzarmi la mattina senza il bisogno impellente di seppellirmi sotto le lenzuola, non riesco a studiare. Tutti, a partire dai miei genitori, non capiscono quanto tutto ciò mi faccia soffrire. Sono costretta a sentirmi ripetere che è solo un momento, che passerà, che forse è solo un calo di concentrazione, ma non capiscono niente.»
 
Ella abbassò lo sguardo, nascondendo le lacrime che si stavano accumulando negli angoli dei suoi occhi.
 
Non aveva parlato così apertamente nemmeno a Sofia che sicuramente poteva immaginare quali pensieri attraversassero la sua mente nelle giornate buie, ma non le aveva mai confessato la natura dei suoi tormenti.
 
Gabriele posò il pollice e l'indice dell'altra mano sotto il mento di Ella, esercitando una piccola pressione per spingerla a guardarlo.
 
Faceva sembrare tutto così semplice e naturale, che, una volta distrutta la diga, Ella non riusciva più a mettere a tacere le parole e non ne aveva neanche l'intenzione.
 
«Lascia stare per un momento quello che ti ripetono gli altri. Tu cosa pensi?»
 
Ella respirò profondamente l'aria fredda impregnata del suo profumo muschiato, provando a mettere in ordine i pensieri prima di dare fiato alla bocca.
 
«Se fossi così rotta da non riuscire più a rimettere insiemi i miei pezzi? Se avessi perso il mio coraggio, la mia tenacia, la forza che mi spingeva ad andare sempre oltre le mie capacità? Mi ritrovo a dover fare i conti con questo senso di inadeguatezza e sto perdendo sempre di più l'orientamento. Ultimamente mi sento smarrita e non so come fare a ritrovarmi.»
 
Ella aveva trovato la strada giusta già una volta e le era costato più di quanto avesse avuto a disposizione, adesso non aveva più energie per iniziare di nuovo tutto da capo, non sapeva da dove iniziare.
 
La sua era un'implicita richiesta di aiuto che Gabriele colse nell'immediato. Iniziò a riflettere, ripensando a tutto ciò che sapeva le sarebbe potuto piacere fare, che l'avrebbe fatta stare meglio.
 
Lui poteva aiutarla e, nel silenzio di quegli attimi, gli venne in mente un'idea così assurda che avrebbe persino potuto funzionare.
 
«Domenica sei libera?» chiese di getto.
 
«Si, perché?»
 
Ella tutto si sarebbe aspettata, tranne che un invito ad uscire per il fine settimana. Era confusa, ma anche curiosa di sapere in quale luogo erano approdati i pensieri di Gabriele.
 
«Ti andrebbe di trascorrere un pomeriggio in piscina?»
 
La sua proposta la spiazzò. Immediatamente iniziò a scavare nei ricordi delle loro conversazioni, per cercare il pezzo mancante che collegasse la sua ammissione di colpa con la richiesta appena avanzata.
 
Nuotare e immergersi in profondità fino a raggiungere il fondale, fino a sentire i polmoni bruciare per l'assenza di ossigeno erano sempre stati i suoi modi preferiti per esorcizzare lo stress e mettere in ordine le idee.
 
Nell'oscurità e nell'assoluto silenzio dell'acqua riusciva a trovare sé stessa e Gabriele, a quanto sembrava, non lo aveva dimenticato.
 
«Ma non sono chiuse?» domandò dubbiosa.
 
Per quanto le sarebbe piaciuto, l'idea di andare in settimana e stare assieme ad altre persone che praticavano costantemente quello sport non le faceva fare i salti di gioia, ma Gabriele aveva previsto anche quella sua avversione.
 
Quando Ella toccava l'acqua doveva essere circondata da poche persone, perché nel momento in cui sprofondava sotto la superficie non doveva udire nessun suono che non fosse lo scosciare dell'acqua.
 
Per tale motivo, in vacanza, si recava in spiaggia o la mattina presto o nel tardo pomeriggio.
 
«Da quando mi sono trasferito, mi alleno in una piscina poco distante da casa mia. Alessandro, il figlio del proprietario, è stata la prima persona con cui ho stretto amicizia. Negli anni siamo diventati grandi amici e suo padre ci lascia libero accesso alla struttura, anche quando è chiusa. Se non hai paura di stare tutta sola con me, posso tranquillamente chiedergli le chiavi.»
 
La fiducia che iniziava a riporre in Gabriele, stava spingendo Ella a prendere decisioni che mai avrebbe pensato un giorno di poter anche solo considerare.
 
Loro due e tanta acqua sembrava la descrizione di un vecchio dipinto impressionista che Ella avrebbe voluto rispolverare e appendere nuovamente sulla parete della sua camera da letto.
 
«Paura? Io? Ma per piacere. Sei tu quello che potrebbe ritrovarsi a galleggiare a pancia in giù» lo provocò sorniona.
 
«Correrò il rischio. Allora? Qual è la risposta definitiva?» chiese con un luccichio di speranza negli occhi, stringendole più forte la mano per incoraggiarla.
 
L'ultima volta che aveva messo piede in una piscina era stato un giorno di aprile, cinque anni prima, con la stessa persona che adesso le stava chiedendo di ritornarci.
 
Non aveva più nemmeno mai pensato di poterci andare di nuovo, forse perché lo aveva sempre considerato come un luogo speciale che, nel loro piccolo, li univa; forse perché era un posto che l'avrebbe spinta ad annegare tra i ricordi, facendole più male che bene.
 
Poteva interpretare quell'invito come un modo per battezzare e rafforzare ciò che stavano cercando di ricostruire.
 
«È da tanto che non faccio una nuotata, penso mi farebbe bene.»
 
Anche nella semioscurità, Ella poté ammirare il sorriso di Gabriele.
 
L'idea che quella gioia fosse in parte merito suo, la spinse a ricambiare quell'espressione di puro entusiasmo.
 
«Chi poteva immaginarlo. È una fortuna che te lo abbia chiesto» disse con tono sarcastico.
 
«Grazie.» Un giorno si sarebbe decisa a inventare lei stessa una parola che potesse esprimere il senso di riconoscenza nel modo più profondo e sincero possibile, ma, fino a quel momento, avrebbe dovuto limitarsi a utilizzare quella semplice parola.
 
«Grazie a te.»
 
Nonostante la banalità, entrambi sapevano che le loro emozioni superavano il pragmatico senso di realtà. Gratitudine per il sostegno; gratitudine per la tenacia; gratitudine per il coraggio; gratitudine per la fiducia; gratitudine per la felicità; gratitudine per l'amore che donavano e ricevevano.
 
Tutto senza aspettarsi nulla in cambio.
 
Ella rabbrividì per l'intensità delle emozioni che vedeva riflesse negli occhi di Gabriele, le stesse che provava anche lei, ma che non era ancora pronta ad accettare.
 
Gabriele, percependo un cambiamento improvviso nel suo corpo, sciolse il groviglio di dita che l'avevano protetta dal freddo fino a quel momento.
 
Posò entrambe le mani sui suoi avambracci, scendendo dalle spalle fino al gomito per poi risalire.
 
In balia di quelle carezze premurose e ripetitive, le guance di Ella si colorarono di una leggera tonalità di rosa.
 
Le sensazioni che il suo tocco le stavano trasmettendo si accumularono nelle sue viscere, che sentiva stringersi e aggrovigliarsi su sé stesse per poi espandersi, rilasciando in lei un gradevole senso di piacere.
 
Non poté fare a meno di chiedersi cosa avrebbe provato se a dividerli non ci fosse stato quel sottile strato di cotone.
 
«Che ne pensi di rientrare? Stai gelando.»
 
Ella si limitò ad annuire, ormai completamente ammutolita da quella inaspettata tenerezza. Prendendo le distanze dal suo tocco destabilizzante, ritornò a respirare e le gote le si raffreddarono prima che la luce del soggiorno la tradisse e il ragazzo potesse notare il rossore.
 
Gabriele la seguì, percependo nel silenzio che era calato tra loro piccole note di imbarazzo provenire dal corpo di Ella, che si ostinava a nascondere il viso alla sua vista. Anche se non era necessario guardarla per capire che il suo tocco l'aveva scombussolata, osservarne gli effetti sarebbe stato un toccasana per la sua autostima, che solo lei sapeva far vacillare.
 
Sofia e Lorenzo non tornano?» le chiese, prendendo posto sul divano accanto a lei.
 
«Sofia è andata a dormire da Cristina, mentre Lorenzo torna verso le due dal lavoro.»
 
Gabriele diede uno sguardo veloce alle lancette del suo orologio da polso, che segnavano appena le undici e mezza.
 
«Se hai paura di stare sola posso rimanere qui con te, almeno fino a quando non torna Lorenzo.»
 
Dopo la serata non propriamente leggera, non era molto entusiasta all'idea di rimanere sola, non perché temesse una visita indesiderata, semplicemente non voleva rimanere intrappolata nella sua mente dai troppi dubbi e pensieri che, in solitudine, sicuramente sarebbero nati.
 
«Stai per caso insinuando che sono una fifona frignona?» gli domandò ironica.
 
«Si notava così tanto?» chiese, guardandola con finto sguardo colpevole.
 
«Mi dispiace deluderti, ma sono una donna forte ed indipendente» rispose Ella, gonfiano il petto orgogliosa.
 
«Riformulo la domanda. Vuoi compagnia stanotte?»
 
Ella sorrise, felice che Gabriele avesse capito cosa ci fosse di sbagliato nel modo in cui le aveva rivolto la proposta.
 
«Si mi piacerebbe, ma, se rimani, potrai varcare quella soglia solo domani mattina.»
 
«Affare fatto.»
 
«Io ho difficoltà ad addormentarmi quindi, di solito, rimango qui a vedere la televisione. Tu, se vuoi, puoi dormire nel mio letto.»
 
Per quanto avesse desiderato che rimanesse con lei, la sua coscienza e buona educazione le impedirono di ignorare l'idea che magari avrebbe preferito un materasso invece di un divano discutibilmente comodo.
 
«Se me ne andassi in un'altra stanza, la mia presenza sarebbe inutile. Sto bene qui, vicino a te.»
 
Ella sorrise, felice per la risposta ricevuta, tuttavia fu inevitabile per lei, provare a mascherare quei sentimento con dell'ironia.
 
«Se domani ti svegli con i dolori, anche in punti sconosciuti, non dare la colpa a me.»
 
«Non mi spaventa un po' di mal di schiena.»
 
«Che uomo coraggioso» ribatté, prendendosi gioco di lui.
 
Gabriele le rivolse uno sguardo che stonava completamente con quella sarcastica affermazione.
 
«Tutto merito tuo.»
 
L'intensità dei suoi occhi lasciava poco spazio ai fraintendimenti. Le stava ribadendo quanto le aveva detto solo pochi minuti prima sul terrazzino.
 
Ella scattò in piedi, accorgendosi di essere diventata una totale imbranata e incapace di gestire il carico di emozioni che pesavano tra loro.
 
«Vado a cambiarmi. Ti porto una tuta di Lorenzo così starai più comodo.»
 
«No, tranquilla, non serve» si apprestò a rispondere Gabriele, prima che Ella si dileguasse.
 
«Sicuro sia io la testarda tra i due? Lascia almeno che ti trovi una felpa così ti togli la camicia.»
 
Ignorando le proteste, Ella scomparve dietro la porta che conduceva alle altre camere dell'appartamento.
 
Gabriele espirò tutta l'aria che aveva nei polmoni, incurvando leggermente le larghe spalle in avanti. Lontano da quella piccola strega, ebbe il tempo di riflettere senza la sua presenza decisamente deconcentrante.
 
Era difficile analizzare ogni singola emozione provata durante il racconto della sua storia e ancora di più capire i sentimenti che Ella poteva provare nei suoi confronti.
 
Si sentiva in bilico, tra l'istinto di osare e la paura di perderla. Quella sera gli era andata bene, non si era tirata indietro né quando aveva preso in ostaggio la sua mano né quando le aveva accarezzato le braccia, e ciò gli dava speranza.
 
Tuttavia la paura di Ella era così profonda che gli faceva temere che non avrebbe mai avuto il coraggio di metterla da parte completamente.
 
Non potevano ritornare a essere ciò che un tempo erano stati; non potevano amarsi come un tempo si erano amati; non potevano ridere come solo un tempo avevano riso.
 
Adesso dovevano fare i conti con quel tempo, che li aveva cambiati.
 
Una felpa rossa planò su di lui, colpendolo in pieno viso.
 
«Scusami, pensavo la prendessi al volo.»
 
«Ero distratto. Hai davvero un'ottima mira, complimenti» rispose sorridendo per il piccolo attentato subito.
 
Dopo aver posato l'indumento sulle gambe, iniziò a sbottonare la camicia sotto lo sguardo perplesso di Ella.
 
«Tu sai che in questa casa abbiamo una cosa chiamata bagno, vero?» la sua domanda ironica arrestò i movimenti delle mani di Gabriele, che aveva appena terminato di togliere l'ultimo bottone dall'asola.
 
Dopo aver fatto scivolare le maniche lungo le braccia, la sistemò sullo schienale del divano.
 
«Non credevo fossi così sensibile alla vista di un petto nudo» rispose Gabriele, voltandosi verso Ella.
 
Pensò che dovesse essere il demonio in persona per giocare in modo tanto meschino.
 
Lo osservò inarcando un sopracciglio: il torace era asciutto, non sarebbe riuscita a trovare un accenno di grasso nemmeno se lo avesse osservato tutto il giorno; i pettorali e la muscolatura addominale erano ben delineati; i fianchi erano stretti ed evidenziati da linee nette e marcate che si perdevano oltre il bordo dei jeans.
 
«Infatti non lo sono. Volevo solo accertarmi delle tue conoscenze sulla struttura interna dell'appartamento. L'informazione è fondamentale oggi giorno.»
 
Ella poteva fingere e ostentare indifferenza, ma era palese che la vista del suo corpo tonico e allenato aveva sortito in lei più emozioni di quante ne facesse trapelare, solo per non dargli soddisfazione.
 
«Certo. La cultura generale è importante.»
 
Gabriele sorrise, perché era consapevole di possedere un fisico che non lasciava indifferente e non poteva rinunciare all'occasione di osservare la reazione imbarazzata di Ella. Preferiva prendersi un piccolo vantaggio, perché era convinto che la visione di quella ragazza in costume lo avrebbe distrutto e lei lo avrebbe preso in giro per il resto della vita, ma se quello sarebbe stato il prezzo da pagare, non si sarebbe lamentato.
 
«È tua?» chiese Gabriele dopo aver indossato la felpa.
 
«Si. Da cosa lo hai capito?»
 
«È intrisa del tuo profumo.»
 
La situazione gli stava decisamente sfuggendo di mano. Respirò profondamente quell'aroma forte e speziato, pensando che avrebbe potuto sicuramente essere scambiato per un feticista, ma era più forte della sua volontà.
 
Lei lo faceva sentire vivo e quella fragranza era parte della sua essenza.
 
Lo tranquillizzava, era la certezza che tutto sarebbe andato bene.
 
«L'ho messa solo ieri quindi è possibile. Se ti infastidisce, posso prendertene un'altra.»
 
Ella stava per alzarsi, quando venne fermata dalla mano di Gabriele che si posò sulla sua coscia destra.
 
«No, è perfetta» rispose, allontanando la presa su di lei.
 
Nell'ultima ora aveva tirato troppo la corda ed era meglio non continuare a sfidare la sorte.
 
«Pensa in questo modo. Proverai l'ebrezza profumare come una donna» commentò Ella con tono scherzoso, mentre si stendeva supina sul divano.
 
«In effetti era nella lista delle cose da fare prima di morire. Grazie a te posso eliminarla.»
 
«È stato un piacere aiutarti a realizzare il tuo sogno proibito.»
 
Il divano non era lungo abbastanza perché Ella potesse stendere le gambe senza doverle appoggiare su quelle di Gabriele, che stava fissando l'estensione del divano di fronte indeciso.
 
«Hai l'isola a disposizione, sdraiati» lo incitò Ella, invitandolo ad abbandonare ogni dubbio.
 
«Vieni anche tu» le rispose, slacciandosi le scarpe.
 
Ella afferrò le due coperte poggiate sullo schienale del divano e gliene lanciò una.
 
È piccola, non ci entriamo in due.»
 
«Ci stringiamo.»
 
La ragazza alzò lo sguardo dalla coperta, che aveva appena terminato di sistemare, e lo rivolse a Gabriele che riciclò la sua occhiata fulminante in un'espressione di pura innocenza.
 
«Stai cercando una scusa per abbracciarmi? Come nei film romantici commerciali?» chiese stuzzicandolo.
 
«Non ho bisogno di scuse per questo e, anche se fosse stato così, avresti di sicuro rovinato l'atmosfera.»
 
Ella era piuttosto divertita e lusingata dalla situazione che si stava creando. Fu rigenerante quella sensazione di benessere e spensieratezza che donava uno scambio di battute senza pretese e senza il timore di innescare una terza guerra mondiale se una sua parola fosse stata fraintesa dall'altra parte.
 
Lui le aveva dato speranza, con le sue carezze, i sorrisi, la tenacia e la fiducia.
 
«Hai ragione, ma non credo che ti avrebbe fermato se fosse stato quello il tuo intento.»
 
«Touché.»
 
«Se sei così sicuro di te, perché non lo fai?» gli domandò Ella, curiosa di sapere fin dove si sarebbe spinto.
 
Stava giocando un gioco pericoloso, ma fino a quando non si fosse scottata non sarebbe stata contenta.
«Perché sono convinto che mi spingeresti a calci giù dal divano» rispose ridendo.
 
«Sei un codardo» lo accusò, puntandogli contro l'indice.
 
«Può darsi, ma ci tengo ancora alla mia vita. Anche se hai fatto un passo verso di me, ti conosco abbastanza da sapere che non mi hai ancora accettato completamente. Per quanto lo abbia desiderato per anni, se ora ti stringessi a me, ti sentiresti a disagio. Non ho aspettato tutto questo tempo, solo per spaventarti proprio adesso» ammise, osservandola con attenzione.
 
I suoi occhi erano velati di tristezza e rimpianto al ricordo degli errori commessi. Gabriele aveva ragione ed Ella lo sapeva, ma non poteva restare a guardare il suo sguardo spegnersi. Voleva che sorridesse, così come lui riusciva con lei apparentemente senza impiegare alcuno sforzo.
 
«Ti concedo di abbracciare le mie gambe» disse, allungando gli arti inferiori che si erano già intorpiditi per la posizione scomoda che aveva assunto per non importunarlo.
 
«Questi sono i tuoi piedi» commentò tra le risate.
 
Quella ragazza era totalmente pazza.
 
«Sono puliti, non ti preoccupare.» Ella lo mise a tacere con un movimento veloce della mano destra, come se volesse allontanare le sue affermazioni inutili.
 
«Dammi una sola ragione per cui dovrei abbracciarli» ribatté provocatorio, ignorando la finta non curanza di Ella.
 
«Perché sono i miei e perché se vuoi qualcosa di più dovrai guadagnarla a piccoli passi. Visto? Te ne ho date due, quindi non ti lamentare.»
 
Il ragazzo sorrise e smise di fingere rimostranze.
 
Non sapeva perché Ella avesse compiuto quel gesto, forse per stare più comoda o forse perché desiderava sentirlo più vicino, ma in fin dei conti cosa importava.
 
Entrambi erano sdraiati sul divano, nella posizione meno scomoda che erano riusciti ad assumere, e Gabriele si sentiva finalmente felice, mentre, sovrappensiero, accarezzava con movimenti piccoli e lenti le gambe di Ella coperte dal pantalone della tuta.
 
Si addormentarono pacificamente, prima Ella, che era così stanca da aver ignorato persino il brusio di sottofondo proveniente dalla televisione, e dopo Gabriele, che aspettò pazientemente che la sua piccola strega venisse finalmente rapita da Morfeo.
 
Un solo pensiero indugiò nella mente di entrambi, prima che la stanchezza prendesse il sopravvento sulle loro membra: lui era la sua speranza, mentre lei era la sua vita.
 
 
   
 
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