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Autore: Soly_D    30/01/2020    2 recensioni
C’erano alcuni posti vuoti anche nelle ultime file, ma da lì Momo non sarebbe riuscita a vedere nulla, per cui fu con passo da automa e sguardo basso che raggiunse silenziosamente (più o meno, dato che i suoi tacchi risuonavano in modo fastidiosissimo nel silenzio generale del santuario) il posto accanto a Todoroki e si sedette stando ben attenta a non spiegazzare il vestito elegante che aveva indossato per l’occasione. Indirizzò un sorriso di scuse a Kyōka, bellissima nel suo tradizionale kimono bianco, la quale le sorrise di rimando per tranquillizzarla per poi rivolgere l’attenzione al suo futuro sposo, letteralmente elettrizzato per l’occasione, come dimostravano le piccole scariche elettriche che il suo corpo emanava.
[TodoMomo♥, accenni a KamiJirō e altre coppie] [future!fic]
Genere: Romantico, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Kaminari Denki, Kyoka Jiro, Momo Yaoyorozu, Shouto Todoroki
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Burning like ice


#02. First date

Erano le nove meno un quarto e Shōto sfrecciava per le strade della città a bordo della sua costosa automobile – uno dei tanti regali con cui Endeavor cercava, da anni, di riconquistarsi la sua fiducia e il suo affetto. Nonostante Shōto apprezzasse il pensiero, i ricordi dolorosi della sua infanzia erano ancora ben impressi sulla sua pelle (letteralmente, perché non poteva fare a meno di pensare che la cicatrice sul suo volto non fosse colpa di sua madre, bensì di suo padre, seppur indirettamente).
Certo, quei ricordi non facevano più male come un tempo, eppure Shōto non si sentiva ancora pronto a perdonare completamente suo padre e avrebbe preferito di gran lunga vederlo fisicamente presente nella sua vita (e in quella della loro famiglia) piuttosto che ricevere regali materiali che la maggior parte delle volte non usava – biglietti per una vacanza da sogno lontano dal caos cittadino o cena gratis nel più prestigioso ristorante della città o ancora buono per potenziare al massimo il proprio costume da eroe.
Anche quell’auto che aveva ricevuto in regalo da suo padre – nonostante fosse bella, estremamente comoda, veloce ed accessoriata, oltre che del suo colore preferito, il bianco – Shōto la usava poco, principalmente perché la sede dell’agenzia di Endeavor presso la quale il giovane eroe aveva accettato di lavorare dalla fine della scuola distava solo un paio di chilometri dal suo appartamento e a Shōto non pesava per nulla percorrere quella strada a piedi ogni giorno: oltre ad essere utile e piacevole, la sua quotidiana passeggiata casa-agenzia e agenzia-casa gli permetteva di accertarsi che non ci fossero pericoli in vista almeno nel suo quartiere. Una volta arrivato a lavoro, poi, aveva a sua completa disposizione grosse automobili dai motori ruggenti, veri e propri bestioni con fiamme dipinte sulle portiere che sembravano urlare “agenzia di Endeavor” da tutti i pori e che erano in grado di trasportarlo dall’altra parte della città in pochi minuti.
In conclusione, Shōto si ritrovava al volante della sua auto personale solo quando doveva fare acquisti in città o, più raramente, quando era il suo turno di mettere la macchina durante le uscite di gruppo organizzate da Iida insieme a Midoriya, Bakugō e gli altri.
Quella sera, però, non era con loro che Shōto doveva vedersi, bensì con Yaoyorozu Momo.
Yaoyorozu gli era sempre piaciuta – come amica, come eroina, come donna – per cui Shōto aveva accettato il suo invito senza nemmeno chiedersi perché, dopo cinque anni passati a ignorarsi a vicenda, Yaoyorozu avesse improvvisamene deciso che era ora di abbattere quel muro invisibile tra di loro. Anzi, Shōto le era grato per questo e la semplice idea di rivedere la sua ex compagna di scuola al di fuori del contesto lavorativo e parlarci come ai vecchi tempi lo allettava parecchio, a prescindere da come si sarebbe evoluto l’incontro.
Fu con questi pensieri che, alle nove in punto, il giovane Todoroki parcheggiò nei pressi del parco, scese dall’auto e raggiunse il bar in cui Yaoyorozu gli aveva dato appuntamento. Vessel Café aveva aperto da pochissimo, tant’è che Shōto non ci era mai entrato prima di quel momento e si chiese perché Yaoyorozu avesse scelto proprio quel locale e non un altro.
Ottenne la risposta a quel dubbio qualche minuto dopo, quando vide Yaoyorozu venirgli incontro a piedi. E dal momento che l’eroina era anche più ricca di lui e possedeva sicuramente un’auto anche più lussuosa della sua, l’unica spiegazione era che Yaoyorozu abitava nei dintorni. 
«Todoroki-kun!», lo salutò con un sorriso, arrivandogli di fronte. «Mi aspettavi da molto?».
«Sono appena arrivato».
Yaoyorozu indossava una camicetta beige abbinata ad una borsa e ad un paio di stivaletti in pelle di un colore più scuro, mentre la gonna di jeans le arrivava poco sopra il ginocchio. Si era truccata un po’ sugli occhi e aveva lasciato i capelli sciolti sulla schiena unendo solo due ciocche laterali dietro la testa con un fermacapelli.
Shōto la trovò molto meno provocante di com’era solita vestirsi nei panni di eroina e fotomodella, ma non per questo meno bella, anzi. Era bella in modo naturale, genuino, e Shōto pensò di preferirla decisamente così, ma non trovò le parole giuste per dirglielo. D’altronde, non era mai stato un tipo particolarmente loquace, men che meno con le donne.
«Entriamo?», gli chiese Yaoyorozu.
Shōto annuì e varcarono insieme la porta del bar. L’interno somigliava ad una sorta di antica nave piratesca ed ecco spiegato il nome Vessel Café: il soffitto era un incrocio di travi di legno da cui pendevano lampadari a forma di timoni; anche i tavoli, le sedie e il bancone erano fatti di legno, mentre sulle pareti in pietra spiccavano quadri di paesaggi marini, vecchie cartine geografiche, uno scudo con delle spade e altre decorazioni esotiche in linea con il tema del locale. La luce soffusa creava un’atmosfera intima e confortevole che a Shōto, complice la poca clientela sparsa per i tavoli e la presenza di Yaoyorozu al suo fianco, piacque particolarmente.
«Carino, no?», commentò Yaoyorozu estasiata, sedendosi ad un tavolo per due. Evidentemente era la prima volta anche per lei.
«Molto», rispose Shōto sinceramente, accomodandosi di fronte a lei.
Il cameriere passò dal loro tavolo a raccogliere gli ordini (e a farsi fare un autografo da entrambi). Alla fine, nessuno dei due prese il famoso caffè di cui avevano parlato la sera prima, forse perché così il loro incontro sarebbe durato un po’ di più: Shōto ordinò un tè rigorosamente con ghiaccio, Yaoyorozu optò per un frullato al cioccolato.
«Dovrei essere arrabbiata con te, sai?», esordì l’eroina con un sorriso furbo, puntando i gomiti sul bordo del tavolo e sostenendosi la testa con le mani ai lati del viso.
Shōto capì immediatamente a cosa si riferisse, ma volle assecondare il suo gioco.
«Come mai?», chiese staccandosi dallo schienale della sedia per sporgersi maggiormente verso Yaoyorozu.
«Come mai?», ripeté l’eroina fingendosi esasperata. «Mi hai lasciata in quel vicolo in compagnia di una gigantesca statua di ghiaccio! I poliziotti continuavano a dirmi “Signorina Creati, è sicura che non sia passato di qui Todoroki Shōto?”. Ed io “Ma no, è opera mia, ve lo assicuro!”. Alcuni poliziotti mi hanno creduta a tal punto da lodarmi come la migliore eroina della città, capace di ri-creare perfino i Quirk altrui, ma altri poliziotti non erano molto convinti della mia versione dei fatti…».
«Immagino…», commentò Shōto con un accenno di risata mal trattenuta. In effetti, non era uno che rideva spesso, ma trovò il racconto di Yaoyorozu piuttosto comico.
«Non ridere di me», ribatté l’eroina tirandogli un buffetto sul braccio.
«Non oserei mai», concluse Shōto con tono ironico, senza smettere di sorridere. Poche persone erano veramente in grado di metterlo a suo agio e Yaoyorozu, con la sua leggerezza e spontaneità, era una di quelle.
Le bevande che avevano ordinato arrivarono giusto qualche minuto più tardi. Dopo aver ringraziato il cameriere, i due rimasero qualche minuto in silenzio, entrambi impegnati ad assaggiare la propria bevanda. In effetti ci sarebbe stato tanto da chiedere e tanto da raccontare, ma quel silenzio non sembrava dispiacere a nessuno dei due. Anzi, Shōto lo trovava persino piacevole: perdersi nei propri pensieri, rigirare la cannuccia tra i cubetti di ghiaccio immersi nel tè e incrociare di tanto in tanto lo sguardo limpido di Yaoyorozu gli inondava il petto di una confortante serenità a cui di fatto non era abituato.
Di nuovo, fu Yaoyorozu a riprendere parola: «Allora, come vanno le cose in agenzia?».
In effetti, Shōto avrebbe preferito parlare di un argomento diverso dal lavoro (che lo teneva impegnato praticamente tutti i giorni per tutto il giorno) o comunque di qualcosa che non avesse a che fare con suo padre (che non era certamente tra i suoi argomenti di conversazione preferiti), ma questo Yaoyorozu non poteva saperlo e quella conversazione avrebbe pur dovuto cominciare da qualche parte.
«Benone, direi. Non ci sono più i villain di una volta come quelli che giravano ai tempi di All Might e questo è un bene, sia per noi che per la città, ma comunque gli incidenti e le rapine sono ancora all’ordine del giorno e il mio Quirk viene considerato adatto praticamente in ogni benedetta situazione», ammise Shōto con un sospiro.
Yaoyorozu doveva aver notato la nota di esasperazione insita nelle sue ultime parole, perché abbassò le spalle e assunse un’espressione dispiaciuta. «Sarà stancante, immagino…».
Shōto si limitò ad annuire.
«…ma anche soddisfacente, no?», continuò l’eroina con un particolare e improvviso luccichio negli occhi. «In effetti, non posso dire lo stesso di me. L’ottanta per cento delle chiamate che ricevo è per pubblicizzare un nuovo shampoo. I miei capelli sembrano valere molto più del mio Quirk».
A Shōto, per la seconda volta in meno di mezz’ora, venne insolitamente da ridere – più per l’espressione buffa di Yaoyorozu, che per le sue parole – ma cercò di limitarsi ad un sorriso cortese perché probabilmente l’eroina questa volta stava parlando seriamente e non avrebbe di certo apprezzato la sua reazione.
«Be’, è il pezzo forte della tua agenzia, no?».
«Sì, ma non era proprio questo che sognavo…».
«E allora perché non hai scelto un’altra agenzia?».
«Perché all’epoca la signorina Uwabami riponeva grande fiducia in me ed io non volevo deludere le sue aspettative. Seguire le sue orme mi sembrava la cosa più giusta da fare… o almeno, era questo che pensavo cinque anni fa». Yaoyorozu abbassò lo sguardo velato di amarezza e prese a rigirare mollemente la cannuccia sul fondo del bicchiere mezzo vuoto. «Non è che prestare il mio volto nelle pubblicità sia così tanto male, ma se mi chiedessero di scegliere tra il mestiere della fotomodella e quello dell’eroina, non ci penserei due volte a scegliere il secondo».
Nonostante non fosse particolarmente incline o bravo a confortare gli altri, Shōto comprese la mal celata sofferenza di Yaoyorozu e cercò le parole adatte per rivedere sul suo volto quel bel sorriso con cui l’aveva accolto all’inizio del loro incontro. 
«Nemmeno io sognavo di entrare nell’agenzia di mio padre, a dire la verità. E invece ci sono dentro fino al collo», ammise toccandosi involontariamente la parte sinistra del volto. «Non ho mai avuto un buon rapporto con mio padre, anzi, ho sempre avuto un pessimo rapporto con lui, ma rifiutarmi di entrare nella sua agenzia sarebbe stato deleterio per entrambi. Te li immagini i titoli sui giornali? “Il grande Endeavor rigettato dal suo stesso figlio” o al contrario “Todoroki Shōto diseredato da suo padre”. Non che me ne importasse granché, ma tu stessa sai che l’opinione positiva dei media e del pubblico è fondamentale al giorno d’oggi. Comunque, il motivo principale per cui ho scelto di entrare nell’agenzia di mio padre è il fatto che io, per quanto mi costi ammetterlo, ho ancora bisogno di lui per diventare l’eroe che desidero essere. O almeno, è metà del mio Quirk ad averne bisogno». Shōto accese quasi inconsciamente una piccola fiammella nella mano sinistra che attirò lo sguardo assorto di Yaoyorozu. A quel punto, il giovane eroe si rese conto di aver parlato molto più del solito e di aver confessato a Yaoyorozu un mezzo segreto di cui pochi erano a conoscenza, ma che sperava fosse in grado di fare breccia nell’animo tormentato dell’eroina.
«Siamo ancora giovani e inesperti, Yaoyorozu», le ricordò infine. «Quello che stiamo facendo ora è solo un trampolino di lancio per ciò che diventeremo in futuro. Sono sicuro che, impegnandoci duramente, raggiungeremo i nostri veri obiettivi prima di rendercene conto».
«Su di te non ci sono dubbi, Todoroki-kun».
Shōto capì che il suo discorso non aveva ancora sortito l’effetto sperato. D’altronde, una delle poche debolezze di Yaoyorozu era quella di non ritenersi all’altezza di chi solitamente primeggiava, e Shōto se n’era accorto ai tempi della scuola durante il test finale del primo anno contro Aizawa-sensei.
«Facciamo un patto», propose allora per spronare l’eroina. «Se tra dieci anni avverrà ciò che penso, ci ritroveremo di nuovo qui e tu dovrai offrirmi da bere proprio come ora».
«Spiegati meglio», disse Yaoyorozu incuriosita.
«Per quanto mi riguarda, non ho motivo di trovarmi un’altra agenzia, quindi tra dieci anni spero di subentrare a capo dell’agenzia di mio padre che nel frattempo sarà andato in pensione, così da riformarla secondo le mie regole. Mentre tu… be’, io ti vedrei bene a capo di un’agenzia tutta tua».
Colta alla sprovvista, Yaoyorozu sgranò improvvisamente gli occhi aggrappandosi con le mani al tavolo.
«E-eh?».
«Dico davvero», insistette Shōto con tono incoraggiante. «Non a caso votai per te come rappresentante di classe, ricordi? Credo che tu abbia tutte le doti per il ruolo di leader».
«Todoroki-kun…», sussurrò Yaoyorozu arrossendo deliziosamente sulle guance. «Ti ringrazio per la fiducia, ma fondare un’agenzia non è cosa da tutti i giorni. Tu sei sempre stato troppo buono con me».
«E tu ti sei sempre sottovalutata».
Yaoyorozu sussultò visibilmente per quelle parole così schiette e incassò la testa nelle spalle non trovando alcun modo per ribattere.
«Allora?», continuò Shōto porgendole una mano per suggellare il loro patto. «Ci stai?».
Yaoyorozu guardò prima la sua mano, poi il suo volto e di nuovo la sua mano. Infine, da riflessiva e dubitante, l’espressione dell’eroina diventò improvvisamente decisa e speranzosa.
«Sì, ci sto», concluse con una nuova luce negli occhi stringendo la mano di Shōto in una presa ferrea.
Si sorrisero, complici di quel nuovo legame appena nato, e Shōto si congratulò con se stesso per aver riportato alla luce la peculiarità del carattere di Yaoyorozu che più apprezzava: la determinazione.
Quando la loro stretta di mano si sciolse, abbandonarono la questione del lavoro per parlare del più e del meno. In realtà, Shōto non riuscì a mantenersi vigile per tutto il tempo della conversazione, più attratto dalle labbra carnose di Yaoyorozu che si schiudevano a cuore intorno all’estremità della cannuccia ogni qualvolta beveva un nuovo sorso del suo frullato. Era un’immagine veramente ipnotizzante, a tratti sensuale, capace di estraniarlo per pochi attimi dalla realtà e mettergli in testa idee e immagini a cui non pensava da diverso tempo.
Nel complesso, Shōto riuscì a captare che ora Yaoyorozu viveva da sola in una villetta ereditata dalla sua famiglia, che si teneva ancora in contatto con le sue vecchie amiche di scuola, ma soprattutto che anche lei era stata invitata all’imminente matrimonio di Jirō e Kaminari. Con quest’ultimo, Shōto aveva stretto una vera amicizia solo nell’ultimo anno grazie alle uscite in comune con gli altri ex compagni di classe, ma l’invito a quel matrimonio gli aveva fatto storcere un po’ la bocca per il semplice fatto che non amava le grandi occasioni – troppo cibo, troppa musica, troppe persone. Tuttavia, ora che sapeva che ci sarebbe stata anche Yaoyorozu, il matrimonio di Kaminari non gli sembrava poi una cosa così brutta.
Nonostante le lamentele di Shōto che avrebbe preferito pagare la propria parte, al termine dell’incontro Yaoyorozu volle pagare per entrambi proprio come aveva promesso la sera prima.
«Ti accompagno a casa?», propose Shōto quando uscirono dal bar. Era buio e la strada illuminata solo dai lampioni era quasi deserta, ma non era per quello che si era offerto di fare il tragitto con lei: Yaoyorozu se la sarebbe cavata benissimo da sola contro qualsiasi malintenzionato o criminale. La verità era che quella serata trascorsa insieme gli aveva ricordato quanto e perché Yaoyorozu gli fosse sempre piaciuta. E se all’inizio avevo preso quel loro incontro piuttosto alla leggera, ora non poteva non considerarlo come una sorta di primo appuntamento da concludere nel migliore dei modi.
«Non ce n’è bisogno, abito proprio qui vicino», rispose però Yaoyorozu indicando con una mano la strada che costeggiava il parco.
Nonostante la lieve delusione per quel rifiuto, Shōto annuì senza battere ciglio, ma Yaoyorozu sembrò pentirsi all’istante. «E-ecco, volevo dire… se non ti reca troppo disturbo, allora va benissimo!», esclamò gesticolando imbarazzata.
Shōto si sentì incredibilmente sollevato per quel repentino cambio di programma e così i due si incamminarono fianco a fianco verso la casa di Yaoyorozu che, come previsto, distava solo mezzo chilometro dal bar. Una volta arrivati di fronte alla villa, una bella casa nuova con tanto di giardino, vialetto e cancello, Yaoyorozu si voltò verso di lui con un sorriso.
«Sono stata veramente bene con te stasera, Todoroki-kun».
Quando Shōto, guardando l’eroina in volto, si accorse che una ciocca nera le era sfuggita dal fermacapelli dietro la testa e ora le ricadeva mollemente lungo la guancia, niente gli impedì di allungare una mano e sistemarle la ciocca dietro l’orecchio.
«Vale anche per me, Yaoyorozu».
«Quindi…», disse lei di rimando, le gote arrossate per quel gesto tanto intimo. «…pensi che potremmo vederci di nuovo prima che passino i dieci anni del nostro patto?».
Shōto, per l’ennesima volta in quella serata, si ritrovò a sorridere come poche volte in vita sua. Un sorriso aperto, sincero, per nulla forzato.
«Certo, Yaoyorozu».
Gli occhi dell’eroina si illuminarono all’istante, tant’è che volle dargli il suo nuovo numero affinché potessero sentirsi per telefono. Shōto, in cuor suo, se ne rallegrò parecchio, ormai certo di piacere a Yaoyorozu almeno quanto lei piaceva a lui.
«Grazie di tutto, Todoroki-kun», concluse Yaoyorozu facendo un passo verso di lui e sollevandosi sulle punte dei piedi per potergli lasciare un veloce bacio sulla guancia sinistra che si scaldò all’istante, ma non ad opera del suo Quirk. Per un attimo Shōto ebbe voglia di voltare la testa e farsi baciare direttamente sulle labbra, ma non era sicuro di come Yaoyorozu l’avrebbe presa e allora preferì non affrettare le cose. D’altronde, avevano a loro disposizione ancora tantissimo tempo.
Infine si augurarono la buonanotte e continuarono ognuno per la propria strada, entrambi consapevoli che si sarebbero rivisti molto, molto presto.










Note dell'autrice:
RINGRAZIO di cuore chi ha inserito la storia nelle preferite/seguite/ricordate e soprattutto Zomi che l'ha recensita.
Spero che il capitolo vi sia piaciuto, nel prossimo scopriremo cosa ne pensa Momo di questo primo appuntamento. Il matrimonio tra Jiro e Kaminari di cui ho accennato sarà parecchio significativo per lo sviluppo della TodoMomo. Ho scelto proprio Jiro e Kaminari perchè mi sembra che siano una coppia su cui quasi tutti sono d'accordo, mentre forse la Izuku/Ochako desta più polemiche (io stessa preferisco, ad esempio, la BakuDeku e so che anche la Kacchako va molto di moda).
Come vedrete, in questa storia tratterò sia l'evoluzione della TodoMomo, sia la questione del lavoro per Momo e del rapporto padre-figlio per Shoto.
Grazie a chi vorrà farmi sapere cosa ne pensa, alla prossima!
Soly Dea



  
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