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Autore: Nuel    31/01/2020    5 recensioni
La pace è tornata a Dante’s Cove dopo che le Ombre sono state ricacciate nella loro prigione secolare, ma di Toby e Adam non c’è traccia.
Mentre i ragazzi sono intrappolati nella Casa delle Ombre, il mondo morente da cui le malvagie entità che li hanno attaccati hanno avuto origine, le streghe e i maghi del Treesom rimasti sull’isola cercano un modo di riportarli a casa.
Genere: Sovrannaturale | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Adam, Ambrosius Vallin, Grace Neville, Kevin Archer, Toby Moraitis
Note: Lime | Avvertimenti: Tematiche delicate
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III

Visioni


Sunset Point era un paradiso a qualsiasi ora del giorno, ma quando il cielo si tingeva di arancio, poco prima di tramontare, il sole colpiva la spiaggia e la casa sulla scogliera come se volesse incendiarle. L’ultima luce del giorno entrava dalle ampie finestre e Bro vi si esponeva come se quel momento sancisse la sua consacrazione, un voto solenne, una benedizione che si ripeteva ogni giorno.
     
Grace si schiarì la voce, rompendo la magia del momento. Se ne stava appoggiata allo stipite della porta del salotto, le mani dietro la schiena.
     
L’espressione di Ambrosius la fece ridere come una bambina: il warlock era indignato e sorpreso, incredulo che qualcuno avesse potuto davvero interrompere quel momento.
     
«Tu!», riuscì a sbottare, indicandola con un dito accusatorio e le labbra corrugate a formare una parentesi discendente così pronunciata da sembrare disegnata. Non riuscì a dire altro, e Grace si godette il risultato del suo piccolo dispetto mentre il sole calava oltre la linea dell’orizzonte.
     
«Ho interrotto qualcosa?». La sua voce era simile al miagolio di un gatto capriccioso. Oscillò il busto ancora avvolto nella tutina in latex e avanzò verso Ambrosius incrociando le gambe ad ogni passo, certa che l’uomo avrebbe notato il suo ancheggiare. «Porto un’offerta di pace». Sollevò una mano rivelando un fiore candido che catturò istantaneamente l’attenzione dell’altro.
     
Bro assottigliò lo sguardo. «Non ci sono più piante presso la fonte. Dove l’hai trovato?»
     
«Uhm!». Grace si strinse nelle spalle. «Una ragazza non dovrebbe rivelare i suoi segreti».
     
«Non sei più una ragazza da almeno duecento anni». Bro mosse due rapidi passi verso di lei, allungando il braccio per afferrare il fiore, ma Grace nascose di nuovo la mano dietro la schiena, strappando un sospiro impaziente al suo ex fidanzato. «Cosa vuoi, malefica strega?».
     
«Magari che tu sia un po’ più gentile e mi chieda ‘per favore’».
     
Bro inclinò il capo guardandola dall’alto in basso, la pazienza quasi esaurita.
     
«Ne ho altri, e potrei dividere la mia scorta con te, se userai questo fiore per cercare Toby e Adam».
     
«Ancora con questa storia!».
     
Grace sorrise in tralice, fissandolo dritto negli occhi e tornando a sventolargli il fiore davanti al naso.
     
«Quanto è consistente la tua scorta?». Alla fine, Ambrosius cedette, proprio come lei si era aspettata.
     
«Parecchio». Non era necessario che lui sapesse che aveva delle piante e che, con l’aiuto di Diana avrebbe fatto in modo che il fiore attecchisse di nuovo nei pressi della fonte. «Allora?».
     
«E va bene!». Ambrosius le strappò il fiore di mano e se lo portò al naso. Profumava ancora di vaniglia, perché era stato reciso da poco, e Grace sapeva che quell’odore intenso bastava a procurare all’uomo un capogiro.
     
Quando lui la guardò di nuovo, era visibilmente più calmo e il suo sguardo era più acuto. «Seguimi».
     
Grace lo seguì, sbirciando le stanze oltre le porte aperte. Non era mai stata un’ospite gradita in quella casa e non aveva mai avuto occasione di visitarla, ma quando raggiunse il laboratorio di Ambrosius, ogni altra cosa perse importanza. La stanza non era grande e vi erano pochi mobili antichi, in legno scuro, pesanti, in stile spagnolo. Sfiorò la superficie intagliata di un ripiano della libreria e le si formò un nodo in gola. Il ricordo di larghe gonne di taffetà, bustini che le toglievano il respiro e di guanti di pizzo a proteggerle le mani, quando Dante’s Cove era solo una colonia ai margini del mondo, le tolse quasi il fiato. Aveva creduto di avere tutto, ma non era felice. Gli anni passavano e sua madre le diceva di aspettare, perché più fosse stata potente, maggiore sarebbe stato il potere con cui sua figlia sarebbe nata, ma mentre aspettava, la giovinezza l’abbandonava. Si portò le mani al grembo e con un gesto rapido sciolse l’incantesimo che aveva trasformato il suo abito turchese in quella sciocca tenuta da dominatrice. Stava per diventare madre, e aveva paura.
     
«Ci siamo quasi». Ambrosius la distrasse dai suoi pensieri. L’uomo aveva acceso un fiammifero e dato fuoco al contenuto di un piccolo braciere in pietra verde. Non si era alzata alcuna fiamma, ma il fumo si stava levando denso e odoroso di resina.
     
Ambrosius posò il braciere su un tavolino basso, facendole segno di sedersi di fronte a lui. Prese il fiore, tolse gli stami e li mise in bocca prima di lasciar cadere il resto del fiore tra le braci.
     
Grace osservò i petali bianchi appassire e diventare cenere tra le braci roventi. Il calore intorno al braciere aumentò all’istante e il fumo divenne più denso.
     
Ambrosius stese le mani sopra il braciere, inalò il fumo e chiuse gli occhi.
     
«Strali del sacro Sole, assistetemi. Poteri del Tressom, fate di me il vostro veicolo. Treesom, prestami i tuoi occhi. Sagitta del Sole, illumina il cammino. Sacro fuoco, mostrami ciò che cerco… Sacro fuoco, mostrami ciò che cerco… Sacro fuoco! Mostrami ciò che cerco!».
     
L’invocazione attirò una grande energia. Grace la sentì intorno a sé e osservò ammirata lo stregone, restando in attesa, ma Ambrosius aprì gli occhi dopo pochi attimi e sollevò le sopracciglia nel rivolgersi a lei.
     
«Niente di niente. Soddisfatta?».
     
«Come sarebbe a dire? Non hai visto niente?».
     
«Sono morti, Grace. Fattene una ragione». Si alzò e le fece cenno di uscire.
     
Grace non poteva, non voleva credere che quei ragazzi fossero morti. Si era abituata alla loro presenza. Aveva persino chiesto consiglio a Toby, una volta, e Adam l’aveva aiutata a scoprire la presenza delle Ombre sull’isola, anche se non proprio di sua spontanea volontà. Non potevano essere morti.

)o(

Toby non gli aveva più rivolto la parole, e Adam non aveva cercato di parlargli. Le lenzuola stese davanti al caminetto sembravano tagliare in due la piccola cucina, simili a un muro che nessuno dei due aveva ancora provato a superare.
     
Adam avrebbe volentieri preso a pugni qualcuno, se Toby non fosse stato l’unico altro essere vivente in quella casa o, forse, in quell’intero mondo. Per un po’ si sfogò cercando di pulire la loro camera. Aprì le finestre per cambiare l’aria, anche se l’aria sapeva di putrefazione sia in casa che fuori, e rigirò il materasso anche se avrebbe voluto dargli fuoco. A cosa gli serviva un letto se Toby lo divideva con lui per forza?
     
Una nuvola di polvere si alzò irritandogli gli occhi. Più che un materasso sembrava un maledetto sacco pieno di erba secca, e se non c’erano pulci era solo perché non c’era niente di vivo. Niente.
     
Diede un calcio al telaio di legno scuro e pesante, intagliato secondo una foggia antica. Era un letto troppo sontuoso per quella casa. Forse, in passato, aveva avuto anche un baldacchino, ma non ce n’era traccia da nessuna parte.
     
La verità era che Adam odiava quel posto. Lo odiava con tutto se stesso, ma aveva cercato di essere forte per Toby. Lui era tutto quello che voleva, e non gli importava se erano a Dante’s Cove o a New York o in quel posto di merda, ma a Toby non bastava.
     
Avrebbe voluto infrangere lo specchio, così Toby avrebbe smesso di sperare che Kevin lo vedesse, ma se lo avesse fatto, avrebbe infranto anche il cuore del suo ragazzo, quella flebile speranza che lo faceva andare avanti nonostante tutto.
     
Infilò le mani in tasca e rivolse un ultimo sguardo al letto, tirando su col naso come un moccioso sul punto di piangere, e decise che, se non voleva fare qualcosa di stupido, doveva uscire di lì.
     
Avevano bisogno di cibo, e sicuramente uscire dal perimetro tracciato dalle rune sulla staccionata era molto stupido, ma in modo diverso. Non avrebbe litigato con Toby se fosse uscito.
     
Forse sarebbe persino riuscito a trovare qualcosa di più che bacche e radici.
   
Attraversò la cucina con passo deciso, ma Toby non se ne accorse nemmeno: gli dava ostinatamente le spalle, pestando le radici schifose che avrebbero mangiato quella sera a cena, assieme a qualcosa che sarebbe riuscito a rendere commestibile solo in virtù del suo talento.
     
Avrebbe voluto sbattere la porta per farlo voltare, ma non ne valeva la pena. Uscì dalla casa e saltò la staccionata nel punto in cui l’avevano riparata. Immaginò che, chiunque avesse abitato la casa, ad un certo punto le Ombre fossero riuscite a entrare e l’avessero trascinato fuori e ucciso.
     
Per un attimo tese gli orecchi, attento al minimo rumore, aspettandosi di essere aggredito appena al di fuori dell’area sicura, ma nessuna voce cominciò a parlargli nella testa, tentando di farlo impazzire.
     
Forse le Ombre erano altrove. Forse non se ne restavano appollaiate fuori dalla casa, in attesa che loro mettessero il naso all’esterno.
     
Era il momento di esplorare quel posto, il bosco con gli alberi scheletrici e l’erba alta e sottile, giallognola per la mancanza di sole e di nutrienti.
     
Nonostante non avesse mai messo piede fuori dalla casa, Adam aveva l’impressione di conoscere quel posto. Camminò fino a ritrovarsi sulla costa e allora si voltò indietro, la fronte aggrottata. Non poteva sbagliarsi, conosceva il profilo di quelle scogliere. Quel posto, quel mondo, qualunque cosa fosse, era una versione sbiadita e agonizzante di Dante’s Cove. Un’isola paludosa in cui i canneti nascondevano paludi e sabbie mobili al posto di alberghi per turisti e spiagge candide. Era il posto dove aveva scelto di vivere per restare accanto a Toby e, d’un tratto, ebbe paura di non riuscire a tornare da lui.
     
Se quella era Dante’s Cove, però, sapeva dove doveva andare: seguì la linea costiera fino a che non vide gli alti tronchi grigi delle palme. Corse fino a raggiungere i fusti che si stagliavano contro il cielo meno alti e meno ritti, ma comunque carichi di piccole noci di cocco. Quelle a terra non erano molte ed erano di dimensioni più piccole di quelle che si trovavano sull’isola da cui veniva, ma non aveva importanza. Cominciò a scuoterle per sentire se fossero fresche e a raccoglierle. Se ne riempì il braccio e rimpianse di non avere qualcosa con cui trasportarle. Molte erano vecchie, qualcuna aveva già attecchito nella sabbia, ma ce n’erano abbastanza perché lui e Toby non morissero di fame per qualche giorno.
     
Con una nuova speranza e il sorriso di nuovo a stendergli le labbra, Adam risalì verso l’entroterra, nella direzione del vecchio forte militare in cui avevano alloggiato dopo lo tsunami. Non c’era traccia dell’edificio, ovviamente, ma conosceva quella zona dell’isola e da lì sarebbe tornato alla casa, da Toby.
     
Il suono gorgogliante di una fonte ruppe il silenzio mentre procedeva tra gli alberi e le sterpaglie e il cuore di Adam perse un battito.
     
Seguì quel suono come fosse stato un richiamo.
     
Intorno alla fonte l’erba era più verde; l’acqua sgorgava limpida tra le pietre sovrapposte e lo starflower era in fiore. Piccoli fiori candidi sbucavano tra ciuffi di licheni.
     
Si avvicinò, lasciando cadere le noci di cocco e si piegò sulla fonte, raccogliendo nel palmo delle mani un po’ d’acqua; era limpida e fresca, e Adam sapeva che non avrebbe dovuto farlo, ma la bevve. Era buona, dissetante. Era acqua per cui non dovevano filtrare, bollire, aspettare che si raffreddasse, e ne bevve ancora. La testa gli girò subito, ma Adam si lavò il viso e rise. Poi i suoi occhi si fissarono sullo starflower.
     
Non avrebbe dovuto, ma… Un pensiero cupo prese forma nella sua mente. Sbatté le palpebre per ricacciare indietro la visione da incubo che, per un istante, gli propose la sua mente, e farfugliò un «No». Barcollando si raddrizzò, ma non riuscì ad allontanarsi dalla fonte. Non ancora. Prima c’era una cosa che doveva fare: allungò la mano tremante sui licheni e ne strappò un mazzetto, stringendolo tra le dita, per poi nasconderlo nella tasca dei jeans.

)o(

La visita di Grace aveva messo Ambrosius di cattivo umore. A lui non importava un accidenti della triste sorte di Toby, anzi. Più stava lontano da Kevin e meglio era. Gli dispiaceva un po’ per Adam. In fondo avevano dei trascorsi, assieme. Nulla che valesse la pena di rimpiangere, ma Adam era stato il primo a mostrarsi amichevole con lui, quando era tornato libero dopo oltre un secolo di prigionia.
     
Si era fatto una doccia veloce per liberarsi della sensazione del fumo addosso, dello sguardo di Grace che sembrava dirgli che come mago non valeva nulla, e forse anche per lavarsi la coscienza di non aver cercato affatto i due ragazzi.
     
Entrò in camera e gettò distrattamente l’accappatoio sul letto, aprì l’armadio e scelse dei jeans e una t-shirt scura. Non gli piaceva particolarmente l’abbigliamento informale di quel secolo, ma doveva ammettere che fosse comodo, e i nuovi tessuti elasticizzati mettevano in risalto il suo fisico. Si voltò verso lo specchio a figura intera, pregustando il piacere di ammirare la propria immagine riflessa, e si paralizzò all’istante.
     
«Adam?». Non poteva essere. Non aveva senso. Che diavolo stava succedendo?
     
Eppure avrebbe riconosciuto le spalle e la schiena di Adam tra mille, la sua pelle abbronzata, i capelli scuri che si arricciavano sulla nuca…
     
Adam stava… che diavolo stava facendo? Rigirava un vecchio sacco dentro un letto. Un vecchio materasso. Ambrosius sgranò gli occhi nel vederlo. Dove si trovava? Adam prese a calci un letto simile a quello in cui aveva dormito anche lui, da ragazzo, con le colonne tortili ai quattro angoli e abbastanza alto da terra per poterci infilare sotto uno scaldino senza dare fuoco all’erba secca contenuta nel materasso.
     
«Adam!». Appoggiò le mani allo specchio e chiamò, ma Adam non lo sentiva e continuava a dargli le spalle. Sembrava arrabbiato e non c’era traccia di Toby. Ambrosius cercò di identificare il posto, ma non aveva mai visto quella stanza e non aveva idea di dove si trovasse. I suoi occhi si spostavano frenetici cercando di cogliere un dettaglio, un particolare… «Sacro fuoco, mostrami ciò che cerco». Le sue labbra si mossero appena, a ridosso del vetro. Era sicuro che fosse ancora l’effetto dello starflower. Così tanto potere… quello doveva essere il regno delle Ombre, la loro Casa, e il potere del Treesom gli stava permettendo di vederlo attraverso… cosa? Non poteva essere solo uno specchio. Un portale, forse?
     
«Bro?».
     
La voce di Kevin lo fece sussultare. D’istinto afferrò l’accappatoio e lo gettò sopra lo specchio proprio quando il ragazzo entrò in camera.
     
«Kevin!». Afferrò la maglietta che aveva lasciato cadere e la infilò. «Non ti ho sentito rientrare».
     
Kevin gettò lo zaino ai piedi del letto e con tre passi lunghi e decisi gli fu addosso, circondandogli i fianchi con le braccia e infilando in naso nell’incavo del suo collo. «Sai di sandalo… mi fai venire voglia». Si strusciò su di lui con fare malizioso, infilandogli le mani sotto la stoffa della t-shirt e iniziò a sollevarla.
     
Bro tentò di sottrarsi alla sua presa, ma era davvero difficile resistere a Kevin quando voleva scopare. Tuttavia, lui voleva farlo allontanare dallo specchio: non poteva essere sicuro di cosa Kevin avrebbe visto; lui non aveva assunto lo starflower, ma era un rischio che Ambrosius non voleva correre.
     
Lo spinse verso la porta, ma passando vicino al letto urtò col piede lo zaino, riconoscendo all’interno un oggetto solido e pesante. Si bloccò, fissando il suo Aspirante con espressione corrucciata e, come colto da un’illuminazione, si chinò a raccogliere lo zaino. Lo aprì e infilò dentro la mano.
     
La smorfia di disappunto di Kevin gli disse cosa avrebbe trovato prima ancora di aver toccato i sigilli sulla copertina del libro.
   
«Hai portato in giro il libro!». Lo strinse possessivamente tra le mani, lasciando cadere il vecchio zaino, l’espressione arrabbiata.
     
«Volevo solo studiare un po’ all’aperto», si giustificò Kevin.
     
«E cosa è successo l’ultima volta che hai cercato di apprendere il potere del Treesom da solo?». Ambrosius alzò la voce tanto che Kevin si allontanò di un passo, con quella sua aria sprezzante che diceva quanto gli stessero strette le regole e che lui, no, lui non sbagliava mai. «Vuoi rischiare di uccidere qualcuno!?». Questa volta non era disposto a fargliela passare liscia. Ambrosius fece un passo avanti e Kevin puntellò le mani sui fianchi, distogliendo lo sguardo mentre serrava le labbra in una linea dura.
     
Lo adorava quando era così insolente, ma non poteva permettergli di acquisire troppo potere troppo in fretta. Lo amava, era il suo compagno, ma forse si sarebbe fidato di lui tra un secolo o due, non certo prima.
     
«Non ero da solo». Kevin lo guardò di sottecchi, gli occhi azzurri duri, pronti a dare battaglia. «Sono stato da Diana».
     
«Oh, ma certo, Diana!».
     
«È stata la tua insegnante, quindi non puoi…».
     
«Diana non ha più il potere di una volta!», lo zittì, e a quello Kevin non poteva ribattere. Se il ragazzo avesse fatto un guaio, Diana non sarebbe riuscita a correre ai ripari, Kevin era troppo potente. Tuttavia, la donna aveva un’invidiabile conoscenza. «Cosa ti ha detto?».
     
Kevin sospirò, lasciandolo aspettare per un paio di istanti, giusto per non mostrarsi debole o sottomesso o troppo ubbidiente. «Dice che con l’aiuto dello starflower potremmo riuscire a trovare Toby e Adam. Che il fiore funziona come un catalizzatore».
     
«Ma non c’è più starflower, sull’isola. Michelle ha distrutto le piante».
     
«Dice che Grace sa dove trovarlo».
     
Ambrosius stirò le labbra in un rapido sorriso forzato. Non sarebbe riuscito a liberarsi di quel fastidioso ragazzo con la facilità che pensava. «Va bene, allora aspettiamo che Grace ci procuri il fiore».

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Qualcosa ha iniziato a muoversi, e non vi resta che aspettare la settimana prossima per sapere cosa. ^^
Preciso che la formula usata qui da Ambrosius e tutte le formule successive sono ricostruite sulle falsa riga di quelle usate da Grace, Diana o Van durante la serie. Di solito Bro era più conciso, ma lui non ha mai preso parte a rituali veri e propri, tranne quando ha aiutato Grace a chiudere la prigione delle Ombre.

     Nel frattempo io sto cercando di ultimare una storia originale per San Valentino, e comincio ad avere qualche dubbio sulle mie reali possibilità di farcela. Mi sa che ho bisogno di qualche vibrazione positiva da voi. ♥
     Intanto, grazie ai lettori di questa storia, in particolare a Vickyvitto86padme83shilyssFuuma G RAFFA uwetta, che hanno commentato. Vi aspetto sulla mia pagina FB. ^^

   
 
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