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Autore: apollo41    01/02/2020    3 recensioni
A undici anni dalla fine della guerra Draco ha trovato un nuovo equilibrio: è il proprietario di un negozio di successo, vive con la sua migliore amica e si gode l’anonimato che deriva dalla mancanza di una vita sociale. Certo, è consapevole di un vuoto che non sa come riempire, ma lo ignora occupando le giornate in un’inutile battaglia contro il Poltergeist che infesta il magazzino del suo negozio. Basta però che a varcare la soglia di Accessori di Prima Qualità per il Quidditch sia un vecchio nemico per fargli scoprire che quel vuoto ha in realtà dei contorni ben definiti.
Dal testo:
Draco poteva sentire fisicamente su di sé lo sguardo di Potter, eppure non riuscì a distogliere l’attenzione da quel pezzo della sua famiglia che non avrebbe mai avuto l’opportunità di conoscere a causa degli errori del suo passato. Era così vicino, eppure così distante che Draco poté quasi sentire il suo cuore spezzarsi.
Teddy, nella sua totale ignoranza di chi lui fosse, gli aveva ricordato per la prima volta in molto tempo cosa di preciso avesse perso per colpa della guerra: qualcosa che neppure tutto l’oro del mondo avrebbe mai potuto dargli.
Genere: Angst, Introspettivo, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Draco Malfoy, Harry Potter, Teddy Lupin | Coppie: Draco/Harry
Note: AU | Avvertimenti: Contenuti forti, Tematiche delicate, Violenza | Contesto: Da Epilogo alternativo
Capitoli:
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Capitolo 4

 

Through all of the troubles in my life
Through all of the battles that I will fight
I'm gonna rise


 

Nelle due settimane che avevano preceduto l’incontro con Andromeda, Draco aveva continuato a reprimere il pensiero di tutte le cose sbagliate che avrebbe potuto dire per far riconsiderare a sua zia l’idea che facesse ancora parte della sua famiglia. L’arrivo di sua madre tramite passaporta internazionale quel sabato mattina non era certo servito a tranquillizzarlo granché, anzi, se possibile contribuì a peggiorare la situazione.

Dall’istante in cui era arrivata, Narcissa Malfoy, che sapeva essere una persona impassibile perfino di fronte alle situazioni peggiori, aveva continuato a sistemare pieghe inesistenti sul semplice abito verde scuro che aveva scelto di indossare per l’occasione. Sembrava quasi fosse cosciente di non apparire come la donna d’alto lignaggio e tutto d’un pezzo ch’era stata in passato.

Draco non se l’era certo cavata meglio nel cercare di nascondere l’ansia che l’aveva investito. Dopo aver bighellonato nel negozio pieno di curiosi che si godevano i primi giorni di vacanza facendo shopping in Diagon Alley, Saoirse lo aveva cacciato in malo modo per il suo essere più una piaga che una risorsa.

In difesa di Draco, aveva cercato di essere gentile, ma un uomo aveva provato a ottenere uno sconto con toni e minacce che gli avevano ricordato tremendamente suo padre e la cosa semplicemente aveva peggiorato il suo umore ballerino.

Aveva quindi ubbidito e passato il resto della mattinata a spostare casse nel magazzino, se possibile peggiorando il disordine che già permeava nella piccola stanza – cosa che però parve rendere felice il Poltergeist a giudicare dalla piccola pila di polvere che trovò ad attenderlo di fianco alle scale che portavano all’appartamento. Sempre che Draco avesse interpretato correttamente lo strano segno.

Sapeva che era rimasto tutte quelle ore nel magazzino soltanto per non aspettare con sua madre, ma gli era bastato il tempo in cui erano stati insieme durante la colazione e durante la pausa pranzo per rendersi conto che non sarebbe riuscito a restare per ore nella stessa stanza con lei. Avrebbero soltanto rischiato di parlare di cose che nessuno dei due voleva affrontare, non prima di quel tè con Andromeda, perlomeno.

Certi argomenti era meglio rivangarli il meno possibile.

Quando ormai mancava meno di mezz’ora al loro appuntamento, Draco fu costretto a risalire la ripida scaletta di legno che collegava il magazzino del negozio al piccolo appartamento per raggiungere sua madre.

Dopo la conferma che sarebbero stati presenti entrambi, Andromeda gli aveva recapitato in un pacco una passaporta che si sarebbe attivata cinque minuti prima dell’orario concordato. Draco l’aveva lasciata in bella mostra sul tavolino del salotto dal giorno in cui l’aveva ricevuta, quasi fosse un promemoria del tempo che mancava al loro incontro.

Trovava che fosse perfetto, tra le altre cose, che la passaporta che sua zia gli aveva spedito fosse una Ricordella il cui incantesimo era ormai del tutto scomparso, rendendola a tutti gli effetti inutile.

Draco aveva quasi riso quando l’aveva vista la prima volta. Per qualche ragione, aveva intuito all’istante che era stato Potter a crearla, lui e quel suo dannato umorismo tagliente. Era sicuro che avrebbe colto al volo ogni occasione possibile per punzecchiarlo per il suo comportamento da coglione immaturo in adolescenza.

A Draco non dispiaceva; se lo meritava e, in fondo, pensava che fosse divertente, almeno nel modo in cui lo faceva Potter.

Quando entrò dalla porta, Narcissa lo aspettava nella stessa posizione in cui l’aveva lasciata quando lui e Saoirse erano usciti dopo aver mangiato con lei a pranzo. Sembrava quasi fuori posto con il suo viso nobile e i suoi modi aristocratici, seduta in modo composto e immobile come una statua sul suo vecchio sofà.

Per un istante Draco si chiese se qualcuno le avesse scagliato un Petrificus Totalus, ma appena si avvicinò al tavolino su cui la Ricordella luccicava, sua madre finalmente spostò lo sguardo da fuori dalla finestra.

“Il negozio sembra molto popolare,” commentò a voce così bassa che lo fece sussultare.

Era la prima volta che apriva bocca da quando lo aveva salutato appena arrivata. Non gli aveva neppure chiesto il sale mentre pranzavano nonostante sapessero entrambi che la zuppa che avevano mangiato ne avrebbe avuto bisogno.

Draco si schiarì la voce. “Saoirse sa sempre cosa mettere in vetrina.”

Sua madre annuì e gli rivolse un sorriso quasi timido. “Una fortuna che tu ti sia accorto di questo suo talento, allora.”

Lui rispose solo con una scrollata di spalle nonostante fosse consapevole che quel tipo di risposte non piacessero molto a sua madre. Non la vide però reagire in alcun modo e la cosa lo rincuorò. Narcissa stava proiettando l’aria da donna aristocratica che l’aveva contraddistinta in passato, quando ancora abitavano al Manor, tuttavia si trattava soltanto di quello: una facciata.

Era ovvio che l’esilio che si era auto imposta in Francia sin da quando Lucius era stato condannato l’avesse profondamente cambiata.

Draco lanciò un’occhiata all’orologio appeso al muro della cucina e prese tra le mani la Passaporta, prima di avvicinarsi a sua madre, che si era già alzata in piedi e stava di nuovo sistemando pieghe inesistenti sulla gonna del vestito.

“Mancano due minuti.”

Draco aveva un nodo in gola ed era piuttosto sicuro che il nervosismo gli si potesse leggere in faccia, tanto quanto doveva essere ovvio che aveva passato tutta la giornata in un magazzino polveroso a giudicare dalle macchie grigiastre di polvere e sudore sulla sua camicia blu scuro.

Si chiese se fosse stata una pessima idea non salire un po’ prima per fare una doccia e cambiarsi, ma quando sentì la familiare sensazione all’ombelico della Passaporta che si attivava realizzò che non c’era più tempo per i ripensamenti.

Andromeda lo avrebbe giudicato comunque. Con molta probabilità le macchie sul suo gilet non avrebbero fatto molta differenza.

Ci volle meno di quanto si aspettasse prima che sia lui che sua madre atterrassero barcollando sull’erba umida di una collina fiorita. La luce del sole faceva capolino dietro una gruppo di nuvole scure che si allontanavano e si rifletteva su un piccolo stagno ai piedi della collina in una serie di riflessi che quasi li abbagliò. Un po’ spostato sulla destra dello specchio d’acqua, c’era il piccolo cottage che Andromeda doveva chiamare casa.

Anche da distante ebbe subito l’impressione che dovesse essere un posto incantevole in cui vivere, con le sue pareti in pietra e legno chiaro, e le grandi finestre che lasciavano filtrare molta luce.

C’era un piccolo sentiero di pietra che iniziava dalla porta principale e lentamente spariva nel verde dell’erba alta della collina, forse nell’area in cui si trovava il confine della proprietà. Dava l’impressione di essere quasi un benvenuto accogliente ai visitatori, come volesse invitarli a proseguire verso la porta.

Sia Draco che Narcissa accolsero volentieri tale invito e avanzarono tenendosi per mano – quella di sua madre era così gelida tra le dita sudate di Draco che gli sembrò quasi di rischiare di perdere la presa più volte.

Quando arrivarono alla porta di legno bianco Draco bussò senza esitazioni. Ci vollero solo un paio di secondi prima che una figura passasse di fronte le grandi finestre che fiancheggiavano la soglia e per un istante il fiato gli si mozzò nella gola.

Lanciò uno sguardo spaventato verso sua madre, ma Narcissa si limitò ad annuire stringendogli la mano più forte senza aggiungere una sola parola, prima che Andromeda aprisse e rimanesse per qualche istante immobile a osservarli.

Draco non l’aveva mai incontrato in vita sua; per anni la sua esistenza era sempre stata così tabù che non aveva mai pensato di chiedere a sua madre come fosse stata sua zia, neppure dopo esser stati invitati in casa sua. In quel preciso momento, mentre le stava di fronte per la prima volta, si pentì di non aver mai affrontato l’argomento.

Andromeda Tonks somigliava incredibilmente a Bellatrix Lestrange, una delle persone del suo passato su cui Draco aveva ancora molto spesso incubi. Per un istante la paura che di fronte a lui ci fosse di nuovo quella donna orribile gli fece rimpiangere di aver accettato l’invito.

Tuttavia, dopo essersi preso qualche momento per osservarla meglio, illuminata dai raggi del sole, si rese conto di quanto fosse stato un pensiero sciocco.

Andromeda aveva i tratti del viso più delicati e a giudicare dal suo semplice abito color malva, non era un’amante del lusso e del macabro di cui si era sempre circondata Bellatrix. La differenza maggiore, però, stava negli occhi; né in quelli di Andromeda così come in quelli di sua madre, c’era traccia della perfida malizia che aveva sempre visto brillare in quelli di Bellatrix.

Come un fulmine a ciel sereno, lo colse la consapevolezza che nessuno avrebbe mai potuto davvero scambiarle per la stessa persona.

Se doveva essere sincero, più osservava sua zia e più pensava che le tre sorelle Black avessero avuto in comune tra di loro soltanto il portamento fiero e i tratti nobili caratteristici della loro casata.

Prese coraggio e lasciò la mano di sua madre per porgerla a sua zia.

“È un piacere incontrarti,” disse solo Draco, evitando di usare un epiteto qualsiasi sperando di non offenderla.

Andromeda sorrise appena e accettò la stretta di mano. “Non serve essere così formali. Puoi chiamarmi zia, se non è troppo strano.”

Draco deglutì, ma annuì prima di fare un passo da parte per lasciare spazio a sua madre.

Narcissa e Andromeda si studiarono in silenzio, prima che quasi allo stesso tempo scattassero l’una verso l’altra. Per un momento pensò che stessero cercando di attaccarsi, tuttavia si rese subito conto che si stavano soltanto abbracciando, tenendosi così strette che dubitò quasi che si sarebbero lasciate andare prima di lunghe ore. In realtà si separarono dopo appena qualche minuto, ma Draco era pronto a giurare che entrambe avessero gli occhi lucidi, anche se cercarono di nasconderlo entrambe.

Andromeda si schiarì la gola, prima di invitarli a entrare e a seguirli nel retro del cottage. “È una fortuna che abbia appena smesso di piovere. Potremo prendere il tè in giardino.”

Non rimasero a lungo nel cottage e Draco ebbe a malapena il tempo di guardarsi attorno, ma sembrava un ambiente accogliente, luminoso e incredibilmente ordinato per essere una casa in cui vivevano soltanto una signora un po’ avanti con gli anni e un adolescente.

Quando uscirono dalla porta a vetri nella piccola ma ben accessoriata cucina del cottage, si ritrovarono in un meraviglioso e curatissimo giardino fiorito che si affacciava sull’altra riva del piccolo stagno, che doveva abbracciare almeno un lato della casa. Un tavolo in ferro battuto ospitava un gruppo di sedie altrettanto decorate, e un set da tè li stava già aspettando sotto l’ovvia bolla di un incantesimo che lo manteneva alla temperatura perfetta.

Appena si misero a sedere ci fu un generico scambio di cortesie mentre il tè veniva servito insieme a una serie di tramezzini, pasticcini e scones dall’aria invitante. Quando tutti ebbero un piattino colmo di delizie e una tazza di tè da sorseggiare, cadde però per qualche lungo minuto un silenzio teso, interrotto solo dal rumore delle tazzine che si appoggiavano sui piattini dopo ogni sorso.

Draco stava ancora cercando di trovare qualcosa di appropriato da dire per non offendere sua zia, quando fu lei stessa a toglierlo dall’impiccio.

“Sono sicura di avervi colti un po’ di sorpresa,” iniziò attirando l’attenzione sia di Draco che di sua madre. Dimenticarono tutti e due per qualche istante il cibo che avevano di fronte.

“Per la verità, è stato Harry a convincermi che fosse una buona idea invitarvi qui,” continuò Andromeda prima di prendere un altro sorso di tè, tenendoli in attesa. “Come dicevo nelle mie lettere, Harry ha agito alle mie spalle parlando di voi con Teddy prima di chiedermi…”

“Non avevo idea che l’avrebbe fatto quando…” la interruppe Draco cercando di giustificare Potter, anche se non sapeva perché di preciso stesse cercando di difenderlo.

Andromeda lo osservò, invitandolo a continuare. Draco prese un profondo respiro.

“Sono stati al mio negozio e lui mi ha parlato di Teddy. Gli ho spiegato che ero al corrente della nostra parentela e che non avevo mai considerato appropriato mettermi in contatto con te considerato…” abbassò lo sguardo.

Sua madre, seduta accanto a lui, aveva allungato una mano sotto il tavolo e afferrato una delle sue che era stata stretta al tovagliolo poggiato sulle sue ginocchia fino a qualche secondo prima. “Considerato il nostro ruolo durante la guerra,” concluse lei al posto suo.

Draco si limitò ad annuire, alzando di nuovo gli occhi verso sua zia.

Andromeda prese un altro sorso di tè e sembrò riflettere per qualche istante.

“Come stavo per dire prima della tua interruzione, ha agito alle mie spalle ma non sono davvero arrabbiata con Harry per ciò che ha fatto. Forse è più appropriato dire che gliene sono grata,” proseguì sorridendo ora un po’ più convinta. “Mi aveva menzionato la vostra conversazione, ma sentirti dire di persona che hai sempre avuto a cuore il bene di Teddy anche prima di conoscerlo? Ora sono davvero convinta che farvi incontrare sia una buona idea.”

Draco la osservò trattenendosi a malapena dallo spalancare la bocca per la sorpresa. “Ma…”

“Non c’è molto che tu possa dire per farmi cambiare opinione. Harry mi ha parlato del tuo passato e non si è risparmiato nei dettagli. Neppure di come più volte avresti potuto consegnarlo ai Mangiamorte, ma alla fine tu abbia sempre cercato di temporeggiare perché lui riuscisse a scappare. Gli ha salvato la vita quasi quanto lui l’ha salvata a te, Draco, seppure tu abbia scelto un approccio più… Serpeverde.”

Draco si chiese per un attimo se la parola che avrebbe voluto dire in realtà fosse codardo e si fosse trattenuta solo per non ferire i suoi sentimenti; strinse con forza la mano di sua madre che ancora era intrecciata con la sua. Narcissa però lo stupì, quando nascose un risolino dietro la tazza.

“Dimenticano sempre tutti che eri una Serpeverde anche tu.”

Andromeda sorrise complice verso la sorella, prima di alzare la tazza quasi in un brindisi in sua direzione. La sua espressione era già tornata seria quando la tazza si appoggiò di nuovo sul piattino.

“So che anche tu hai salvato la vita di Harry,” disse con gli occhi in quelli della sorella.

Anche Narcissa lasciò la tazza per osservarla, ma si limitò a rispondere con un cenno del capo. Draco la sentì comunque stringergli la mano alla ricerca di supporto come aveva fatto lui pochi istanti prima.

“Perdonare Draco è stato più semplice di quel che avevo previsto. Era solo un ragazzino al tempo e ho visto i danni della guerra su Harry, che aveva la stessa età. Non è stato altrettanto facile accettare che saresti davvero ritornata sui tuoi passi dopo una vita al servizio di quel mostro, Narcissa…”

Andromeda la guardò con tanta intensità che Draco si chiese come potesse sua madre non agitarsi a disagio sulla sedia; era difficile perfino per lui stare fermo sotto uno sguardo tanto intenso, e non era neppure il soggetto di quell’attenzione.

Tuttavia era determinato a non disturbarle, principalmente perché era curioso. Cercò di non rendere ovvio il suo interesse continuando a mangiucchiare scones e sorseggiare con lentezza il tè, prestando forse eccessiva attenzione ai rivoli di fumo profumato di biancospino che ancora salivano dalla teiera.

Narcissa si risistemò sulla sedia, cedendo infine sotto lo sguardo intenso di sua sorella. Lasciò andare la mano di Draco e passò entrambi i palmi sul petto del suo vestito, liberandosi da delle briciole inesistenti prima di prendere parola.

“Considerati i nostri trascorsi, non mi stupisce. Non ho la presunzione di pensare che le mie scuse possano avere un grosso significato ai tuoi occhi, ma vorrei comunque chiedere scusa per tutto ciò che io o la mia famiglia, che si tratti di mio marito, i nostri genitori o nostra sorella, abbiamo fatto in passato che ha arrecato danno alla tua famiglia.”

Nonostante il tono risultasse ancora una volta eccessivamente formale e fosse ovvio che avesse scelto le parole con cura, Draco sapeva che le scuse di sua madre erano non solo sentite, ma anche tutt’altro che semplici da esternare.

Lui stesso aveva provato più volte a scusarsi con qualcuno che aveva ferito in passato con una qualsiasi delle sue azioni, eppure sapendo che le sue scuse sarebbe risultate vuote e inutili aveva sempre creduto che sarebbero state respinte in malo modo. Certe volte sembrava un processo così futile e stancante per entrambe le parti, che si chiedeva se valesse davvero la pena di chiedere scusa…

Andromeda rimase in silenzio e lasciò che la sorella continuasse, ma non sembrava, per il momento, offesa o contrariata, né dal tono né dalle parole di Narcissa.

“Sarei una bugiarda se dicessi che mi pento del mio matrimonio con Lucius. Ho imparato ad amarlo con il tempo, e se non fosse per lui Draco non sarebbe seduto qui con noi. Ed è per mio figlio che sono stata disposta a mettere in pericolo la mia vita pur di salvare quella di Potter, l’unica persona che durante la guerra aveva dimostrato che qualsiasi cosa avesse fatto Draco fino a quel momento, non ci sarebbe stata una morte crudele ad attenderlo,” la voce di Narcissa si spezzò per un attimo.

Quando sua madre abbassò lo sguardo, Draco si accorse per la prima volta nella sua vita che Narcissa stava giocherellando con il tovagliolo che le stava poggiato sulle gambe. La stessa donna che gli aveva insegnato le buone maniere e lo aveva sgridato quando a quattro anni poggiava i gomiti sul tavolo durante i pasti.

“Ninfadora…” mormorò Andromeda, attirando l’attenzione di entrambi. “Quella notte era ad Hogwarts per suo figlio, così come lo era Remus. Erano lì perché speravano in un futuro migliore per Teddy.”

Narcissa annuì. “So che è stupido fare un paragone simile, non voglio mancarti di rispetto… Ma era ciò a cui pensavamo io e Lucius prima della guerra, prima che la situazione finisse così fuori controllo. Eravamo ingenui all’inizio, non ci eravamo davvero resi conto di cosa avrebbe significato affiancarci a…”

Fece una pausa in cui deglutì in modo rumore, poi continuò. “Speravo che dopo la prima scomparsa tutto sarebbe cambiato, che Lucius si sarebbe reso conto che erano idee stupide che avevamo soltanto ereditato dai nostri genitori. Aveva anche trovato il potere e l’influenza che aveva sempre sperato di ricevere da… Voldemort…” ci fu una lunga pausa, una serie di brividi scossero il corpo di sua madre, che prese un sorso di tè prima di continuare.

Draco si sforzò di ignorare la pelle d’oca che gli era salita lungo la schiena e il pezzo di scone che sembrava esserglisi incastrato nella gola al solo sentire quel nome.

“Non voglio mentire e dirti che Lucius aveva ottenuto la sua posizione agiata nel Ministero in modo legale, ma non lo aveva neppure fatto con i mezzi di quell’essere. Lucius non era mai stato una persona malvagia prima di allora. Corrotto, senza dubbio, ma era sempre stato troppo codardo per pensare che usare certi metodi violenti avrebbe portato a qualcosa. Quando Voldemort...” il nome le uscì con più sicurezza dalle labbra stavolta, ma ci fu comunque una pausa in cui deglutì rumorosamente prima di continuare. “Dopo il suo ritorno tutto cambiò di nuovo e alla fine non ci fu modo di evitare di ritrovarci travolti dagli eventi. Abbiamo pagato le conseguenze delle nostre scelte, com’è giusto.”

Draco sapeva a cosa stava si stesse riflettendo sua madre: a tutte le torture sia psicologiche che fisiche che avevano subito a cause degli errori che la loro famiglia aveva commesso negli anni agli occhi di Voldemort. Lui era convinto che stessero ancora continuando a pagare, seppure in modo molto più subdolo, ma lo tenne per sé, mentre stringeva con forza la mano di sua madre.

Le labbra di Narcissa che si incresparono in un timido sorriso quasi malinconico, come se lei gli avesse letto nella mente quel pensiero.

“Sono solo felice che almeno tu abbia ancora un futuro, Draco. È tutto ciò che ci sta a cuore.”

Distolse lo sguardo da quello di sua madre, riportandolo sulla teiera e sui rivoli di vapore che ne salivano. Voleva crederle, ma allo stesso tempo sapeva che erano parole sentite e sincere soltanto da lei.

Sapeva che suo padre non era ancora del tutto venuto a patti col suo essere omosessuale. Per qualche ragione era ancora aggrappato all’idea di un erede per la famiglia Malfoy; come se ci fosse dell’onore rimasto nel loro nome…

Per lunghi minuti cadde il silenzio, poi Andromeda sospirò. Draco riportò l’attenzione sul suo viso, che era al momento corrucciato.

“Non sono sicura di essere pronta a perdonare e dimenticare. Non per il momento, perlomeno. Ci sono troppe cose a pesare sul nostro passato,” sembrava che le parole le uscissero con grossa difficoltà, quasi le costasse un’enorme sacrificio ammettere ciò che provava.

“Non voglio neppure rinunciare alle ultime persone che sono rimaste della mia famiglia, non quando sembra che proviate dell’onesto rimorso per ciò che avete fatto. Questa guerra si è già presa abbastanza. Non posso né tanto meno voglio privarci di questa seconda chance.”

Andromeda cercò invano di nascondere gli occhi lucidi, e quando Draco si voltò verso sua madre notò che anche lei era in condizioni simili. Le loro espressioni erano talmente speculari che per la prima volta Draco sorrise, sicuro che con tempo, pazienza e tanto lavoro le cose si sarebbero aggiustate.

“Sarei davvero felice di poterti chiamare sorella ancora una volta…” sussurrò in risposta Narcissa.

Andromeda si limitò ad annuire in assenso, forse non fidandosi della sua voce.

Il sorriso sulle labbra di Draco si aprì ancora di più mentre osservava prima l’una e poi l’altra; se ciò che era accaduto con Potter al negozio era servito anche solo a riavvicinare sua madre con la sorella, ne era valsa la pena.

“Altro tè?” chiese per spezzare la tensione del momento, prima di versare senza neppure attendere risposta.

La conversazione si mosse in fretta su argomenti più leggeri.

Andromeda chiese a Draco del negozio, del suo appartamento e da lì di Saoirse. Poi domandò a Narcissa della sua vita in Francia e le promise di scriverle più che poteva e forse, se fosse riuscita a organizzare una Passaporta internazionale, che sarebbe perfino andata a visitarla nella piccola villetta sul mare in cui lei e Lucius vivevano da quando suo padre era uscito di prigione qualche mese prima.

Quando Draco iniziò a fare domande su Teddy, Andromeda s’illuminò ancora di più e si lanciò in dettagliati racconti di tutte le avventure che il ragazzino viveva regolarmente con Harry. Sembrava infatti che Potter, nei mesi in cui non era a Hogwarts, vivesse in un cottage alle spalle della collina su cui erano arrivati con la Passaporta.

Sua zia si stava quasi per alzare e recuperare un album di fotografie di Teddy, quando il rumore di qualcuno che si Materializzava qualche metro oltre la recinzione che circondava il giardino fece sussultare tutti sulle sedie.

“Oh, devono essere Harry e Teddy…” esclamò Andromeda prima di alzarsi e avvicinarsi alla bassa staccionata.

Draco si girò sulla sedia per sbirciare, mentre sua zia si sporgeva con le mani poggiate sul legno dipinto di bianco guardando all’orizzonte. Cercò di allungare il collo per vedere oltre la sua alta figura e notò due persone avvicinarsi nell’erba alta del leggero pendio oltre la staccionata.

Riconobbe subito Potter e il suo figlioccio, quest’ultimo che saltellava intorno al padrino, mentre Potter rideva di qualcosa che Teddy gli stava raccontando con una serie di gesti delle braccia molto esagerati che quasi gli fecero perdere l’equilibrio sull’erba umida.

Draco cercò di non soffermarsi troppo su come gli balzò nella mente di nuovo che Potter fosse davvero più attraente in abiti babbani.

“Ragazzi, sbrigatevi, il tè è tiepido, ma ci sono ancora dei tramezzini!” li incitò Andromeda con un gesto della mano. Quando si voltò verso Draco e Narcissa, sua zia aveva di nuovo stampato in faccia quel sorriso radioso che le aveva increspato il viso ogni volta in cui aveva parlato di Teddy e che la faceva sembrare molto più giovane.

“Ehy! Non sapevo che ci fossero ospiti. Buon pomeriggio signora Malfoy. Ciao Draco,” salutò Potter aprendo il cancello e lasciando passare Teddy. Quest’ultimo si bloccò all’improvviso e rimase a osservarli, poi si rivolse di nuovo a Harry. Il padrino gli sorrise e lo incoraggiò con un cenno a raggiungere sua nonna, che era ancora in piedi accanto al tavolo.

Teddy ubbidì, accostandosi ad Andromeda, che cercò invano di riordinargli con le dita i capelli spettinati, in quel momento di un nero profondo che lo facevano quasi sembrare un piccolo clone di Potter senza occhiali.

“Teddy, loro sono mia sorella Narcissa Malfoy e suo figlio Draco,” li presentò lei poggiando le mani sulle spalle del nipote.

Gli occhi di Teddy si spostarono da Draco a Narcissa per qualche istante, poi fece un cenno di saluto piuttosto timido con la mano. Risposero entrambi con un sorriso e un cenno del capo.

“Hai già provato la Tornado?” chiese Draco in un tentativo di farlo sentire un po’ più a suo agio. Doveva essere stata la mossa giusta, perché subito il viso di Teddy s’illuminò.

“Oh sì, Harry dice che forse se mi allenerò abbastanza, un giorno forse riuscirò a far parte della squadra di Quidditch della mia Casa!” esclamò mettendosi a sedere accanto a Draco, cogliendolo del tutto di sorpresa per la naturalezza del gesto.

Potter, che fino a quel momento era rimasto a osservarli a qualche passo di distanza, si decise ad avvicinarsi, e si accomodò nell’unica altra sedia vuota: quella dall’altro lato di Teddy.

“Devi prima decidere in quale ruolo vuoi giocare, Teddy.”

Il ragazzino mise il broncio. “Ma a me piacciono tutti e voglio essere utile.”

“Lo so, però una squadra è fatta da più persone, non puoi fare tutto tu,” ribatté Harry versando per entrambi una tazza di tè.

Dal modo in cui Teddy sbuffò portando drammaticamente gli occhi al cielo, doveva essere una discussione che avevano già avuto più volte e che si era conclusa sempre alla stessa maniera. Draco si ritrovò a sorridere senza sapere il perché al pensiero che fossero così abitudinari.

“C’è ancora tempo, sei molto giovane. Allenarsi per tutti i ruoli non è una cattiva idea per adesso. Essere versatili può sempre tornare utile. Ginny Weasley è una discreta Cercatrice nonostante la brillante carriera da Cacciatrice,” spiegò Draco, lanciando un’occhiata furtiva verso Potter da sopra la testa di Teddy.

Harry però non sembrò disturbato dalla menzione del nome della Weasley, anzi; annuì con vigore mentre cercava di masticare alla svelta il boccone che aveva in bocca, quasi ansioso di aggiungere qualcosa a ciò che aveva appena detto Draco.

“È vero! Una volta mi ha sostituito in campo e prendendo il Boccino ha vinto la coppa per Grifondoro!” esclamò, lanciando poi un’occhiata quasi di sfida verso Draco. “Chi se l’aspettava che ci sarebbe voluta una guerra per interrompere la lunghissima sequenza di vittorie della Coppa da parte di Grifondoro,” aggiunse con un occhiolino.

Il Draco del passato si sarebbe sentito offeso dalla frecciatina, tuttavia l’unica cosa che provò in quel momento fu stupore per come Potter sembrasse davvero in grado di scherzare su qualcosa di simile.

O Potter era del tutto fuori di testa, o era sul serio venuto a patti col suo passato abbastanza da prendere ciò che gli era successo alla leggera.

Invece di rispondere, Draco prese un sorso di tè e la cosa parve deludere un po’ Potter, come se si fosse aspettato una risposta a tono. Si chiese quasi se a Potter mancassero i loro botta e risposta infantili…

“Harry, possiamo fare una partita a scacchi?” chiese Teddy all’improvviso, risvegliando entrambi dalle loro riflessioni.

Draco non si era neppure accorto che lui e Potter si erano guardati negli occhi di sottecchi fino a quel momento. Forse sarebbe anche arrossito se lo scambio che stava avvenendo al tavolo non avesse attirato la sua attenzione.

“Oh, giochi a scacchi?” domandò Narcissa, che fino a quel momento era stata impegnata in una conversazione quasi sussurrata con la sorella, che quando era tornata a sedersi si era avvicinata di più a lei, quasi cercando un po’ di privacy.

Teddy annuì con vigore, la bocca troppo piena di biscotti per rispondere in altro modo.

“È davvero molto bravo, io di certo non sono un avversario alla sua altezza. Lui e Ron restano per ore di fronte alla scacchiera per finire una singola partita quando andiamo a casa sua e di Hermione,” spiegò Harry, l’orgoglio che traspariva da ogni singola parola.

Draco sapeva per semplice sentito dire che Weasley era un buon giocatore di scacchi. Ma a giudicare dal modo in cui Potter ne parlava, doveva davvero essere un metro di paragone valido che Teddy riuscisse a tenergli testa.

Teddy scrollò le spalle, le gote che gli si arrossavano e tradivano comunque il suo imbarazzo.

“Muovi solo troppo in fretta, non è vero che non sai giocare…”

Potter si limitò a scompigliargli i capelli con una risata e un “certo” a malapena udibile che fece sbuffare il figlioccio e sospirare Andromeda, il suo tentativo di rimettere in ordine i capelli di Teddy reso infine del tutto vano.

Draco si schiarì la voce. “Ti va se per stavolta sono io il tuo avversario?”

Il suo viso parve illuminarsi ancora una volta e subito Teddy schizzò fuori dalla sedia; senza aggiungere parola corse in casa per recuperare la scacchiera tra le risate degli adulti ancora seduti al tavolo.

“Sembra molto intelligente e vivace. Forse se un po’ timido,” commentò Narcissa.

Harry annuì. “Credo assomigli molto a Remus, anche se non ho avuto occasione di conoscerlo come avrei voluto. A un primo impatto sembra calmo e riservato, ma ha un cuore d’oro e una gran voglia di esplorare il mondo.”

Teddy, la scacchiera stretta tra le braccia, stava per uscire dalla porta sul retro ancora con il fiatone per la fretta, quando inciampò sullo stipite della porta, ruzzolando a terra.

Andromeda, Narcissa e Draco si alzarono, già pronti ad andare a controllare che stesse bene; Harry si limitò a sospirare con una risatina. Teddy scattò immediatamente a sedere sulle ginocchia: aveva il viso sporco di fango ed erba, e i pezzi degli scacchi magici imprecavano infastiditi da dove erano finiti sparsi per il giardino e nel mezzo delle aiuole fiorite.

“Sto bene!” esclamò alzando sopra la testa la scacchiera, almeno quella fortunatamente intatta.

“La goffaggine è tutta Ninfadora…” sussurrò Andromeda rimettendosi a sedere con un sorriso, una punta di malinconia nella sua voce.

Quando Teddy li raggiunse al tavolo dopo aver recuperato tutti i pezzi – non senza premurarsi di scusarsi con ognuno di loro man mano che li raccoglieva – Harry si assicurò che davvero non si fosse fatto nulla e lo aiutò a pulirsi i jeans e la t-shirt con un colpo di bacchetta, prima di lasciarlo a immergersi nella partita di scacchi con Draco.

Fu ovvio sin dalle prime mosse che Teddy fosse un abile stratega, forse lo stesso motivo per cui era così portato per il Quidditch. Vide la sua teoria confermata quando, tra una mossa e l’altra, gli chiese se fosse mai stato a vedere delle partite dal vivo e ne conseguì una conversazione sugli schemi di gioco che solo un vero appassionato poteva avere le capacità di intavolare.

Ogni tanto, mentre Teddy studiava la scacchiera riflettendo sulla mossa successiva, Draco lanciò uno sguardo in direzione di Potter, che stava conversando amabilmente con Narcissa e Andromeda dei viaggi che aveva fatto nei due anni precedenti al suo incarico come professore di Difesa.

Avrebbe voluto prestare più attenzione a ciò che stava raccontando, sembravano storie affascinati – e Draco doveva ammettere che era sempre stato avido quando si trattava di sapere cose che riguardavano Potter. Eppure desiderava anche essere un degno avversario per Teddy, non solo per non deluderlo, ma per dimostrargli che se si fossero incontrati di nuovo avrebbero almeno avuto qualcosa in comune.

Gli riuscì quindi di cogliere solo alcuni pezzi della conversazione, ma ne rimase comunque affascinato; sembrava davvero che Potter avesse avuto problemi ad accettare l’idea di una carriera da insegnante dopo aver rinunciato a quella da Auror, nonostante l’ovvio desiderio. Per come l’aveva raccontata la sera del gala, gli era sembrato tutto così intuitivo, come se davvero una semplice conversazione con la Preside McGranitt fosse bastata a indirizzare il totale caos che era stata la sua mente durante quei viaggi senza meta.

Draco era confuso. Potter era sempre stato un mistero e ogni volta che credeva di aver scoperto qualcosa che lo riguardava, si accorgeva che non aveva capito davvero nulla di lui.

Forse era quello il motivo per cui non c’era mai stata una chance che diventassero amici in adolescenza. Draco era stato troppo chiuso mentalmente e rigido nei propri schemi per avere davvero una chance con qualcuno come Potter, che si sentiva libero di cambiare idea come il vento nei capelli ma era anche capace di ardere con la passione di un incendio indomabile.

Il sole stava ormai cominciando a tramontare quando Andromeda si alzò in piedi con un sospiro.

“Non mi ero accorta che fosse così tardi. Forse dovreste restare a cena…” propose rivolta a Narcissa e Draco.

Teddy, che meno di venti minuti prima aveva perso per una piccola distrazione la prima partita contro Draco e gli aveva subito chiesto la rivincita, alzò la testa con un dito ancora puntato in direzione del cavallo a cui stava per chiedere di muoversi. “Possono restare? Davvero?”

Draco tentennò. Da un lato avrebbe davvero voluto rendere felice Teddy e finire la partita; dall’altro continuava ad avere dei dubbi riguardo la situazione. Temeva che prima o poi Andromeda si sarebbe resa conto che la sua reputazione avrebbe macchiato per sempre il nome di Teddy, ancora immacolato, e che gli avrebbe impedito di vederlo. Non voleva affezionarsi a lui soltanto per poi perderlo.

“Mi piacerebbe molto, ma ho una Passaporta per tornare in Francia che mi aspetta a casa di Draco. Non posso proprio perderla,” rispose Narcissa alzandosi e porgendo la mano a Draco in un invito a seguirla, togliendolo dall’impiccio di dover rispondere e deludere Teddy.

Era consapevole che la Passaporta di cui parlava sua madre non partisse prima prima delle nove, ma non si sarebbe certo preso il disturbo di sbandierare quel dettaglio. Sua madre doveva aver intuito il suo bisogno di una via d’uscita; cercò di ringraziarla silenziosamente, poggiando una mano sulla sua che gli si era stretta al braccio appena le si era affiancato.

Rivolse un sorriso dispiaciuto a Teddy, che aveva già un’espressione delusa in viso.

“Non preoccuparti Teddy, sono sicuro che avrai molte altre occasioni per battere Draco,” cercò di rincuorarlo Potter circondando le spalle del figlioccio in un abbraccio.

Teddy lo guardò quasi di sottecchi, ma sembrò sollevato, quindi tornò a rivolgersi verso Draco e sua madre.

“È stato bello conoscervi, potete tornare quando volete… se la nonna dice che va bene.”

Andromeda e Harry ridacchiarono quando aggiunse la seconda parte quasi come se avesse ricordato un istante troppo tardi che non era suo diritto fare quel genere di inviti. Anche Narcissa e Draco gli risposero sorridendo.

“Aspettiamo un vostro invito, allora,” concluse Draco con un cenno a sua zia, che ribatté in modo simile.

“Vi accompagno al punto di Smaterializzazione…” borbottò Harry avviandosi verso il cancelletto della staccionata da cui lui e Teddy erano entrati quasi un’ora prima.

Lo seguirono in silenzio oltre la recinzione di legno, poi Draco girò appena il viso e notò che Teddy era appoggiato alla staccionata che li guardava. Alzò una mano e salutò, ricevendo un saluto simile da parte di Teddy, che ci mise tanto entusiasmo che quasi finì col cadere dal lato sbagliato della staccionata.

Draco ridacchiò, attirando l’attenzione di entrambi i suoi accompagnatori.

“L’avevo detto che gli avevi fatto un’ottima impressione. Magari quella Ricordella ti sarà utile per farti restare in testa che tra noi due sono sempre io ad aver ragione?” scherzò Harry.

Draco, che si era quasi dimenticato di aver riposto la Passaporta, ormai inutile, nel taschino del gilet, per un attimo ebbe l’impressione che la Ricordella pesasse come un macigno.

“Il tuo senso dell’umorismo, in compenso, continua a lasciare a desiderare,” commentò Draco, anche la risposta mancava del tono acido che aveva sempre avuto in passato.

Parve davvero che Harry si fosse aspettato quel genere di replica perché un sorriso gli solcò le labbra. Rallentò anche abbastanza per camminare accanto a Draco invece che un passo più avanti.

“Neppure il Prescelto è perfetto.”

Seppure stesse provando a trattenersi, Draco si ritrovò a sorridere con lui. “Oh, Potter, devi assolutamente cambiare compagnie se ti sei sentito dire tanto spesso che sei perfetto da aver iniziato a crederci.”

Harry gli rivolse un sogghigno, Draco era quasi sicuro di leggere una sfida nei suoi occhi. “È un’offerta?”

Ci fu un momento in cui rimasero a guardarsi, entrambi sorridendo verso l’altro, prima che un colpo di tosse di Narcissa li interrompesse e li riportasse con i piedi per terra.

Draco non s’era neppure reso conto che si erano fermati. Sentì le orecchie andargli in fiamme all’istante, e fu costretto a schiarirsi a sua volta la gola.

Afferrò di nuovo il braccio di sua madre, che doveva aver lasciato la sua presa, forse a disagio per lo scambio tra lui e Harry. “Arrivederci, Potter.”

“Signora Malfoy. Draco,” salutò in risposta lui un istante prima che Narcissa Smaterializzasse entrambi di fronte al passaggio d’entrata di Diagon Alley.

Nella semioscurità dello stretto passaggio sul retro del Paiolo Magico, sua madre lo osservò con aria sorniona. All’istante Draco ebbe la certezza che le lunghe ore prima della sua partenza non sarebbero certo state silenziose e tese come lo erano state quelle dell’attesa di quella mattina.

“Quindi, tu e il signor Potter…” iniziò a dire lei.

Draco sospirò. “Non anche tu, ti prego,” borbottò estraendo la bacchetta e battendo sui mattoni così forte che quasi rischiò di spezzarla.

Narcissa ridacchiò. Decisamente lo aspettavano ore di sua madre e Saoirse che tramavano e spettegolavano a sue spese. Non poteva crederci che Potter avesse davvero flirtato con lui di fronte a sua madre. Perché era ciò che era accaduto, vero?

   
 
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