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Autore: meiousetsuna    02/02/2020    5 recensioni
Una storia per dieci minuti di divertimento, spero! In un villaggio ai margini di un bosco, vive un ragazzino biondo come un angelo, che indossa sempre una mantella col cappuccio a disegno tartan. Cosa potrebbe capitargli un giorno in cui andrà dalla nonna a portarle un paniere di dolci?
Dal testo: A proposito del suddetto Principe del Male… in realtà Satana non voleva proprio saperne di sprecare tempo prezioso dietro alle fissazioni di ignorantoni che credevano di vederlo in poveri gatti neri quando a lui era un accanito cinofilo (e amante dei giochi di parole!), in volgari saliere rovesciate e orticelli andati a male per colpa dei vermi. Cioè, vermi! Ma la gente dove aveva il cervello? No, no, si arrangiassero tra di loro! Ma quelli continuavano imperterriti a cogliere segni della sua presenza dappertutto, facendogli una gran campagna pubblicitaria gratuita.
‘Il tuo vicino ha le vacche grasse e tu no? È stato Satana!’
‘La tua sposa ha fatto mercimonio del suo corpo col mugnaio? Un consiglio di Satana!’
Che il vicino ci tenesse alle proprie mucche alimentandole a dovere, e che lo sposo fosse carente nelle parti basse quanto nella scarsella erano opzioni insulse, ovvio.
Have fun, Setsuna
Genere: Comico, Commedia, Fantasy | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Altri, Aziraphale/Azraphel, Crowley
Note: Lime, Otherverse | Avvertimenti: nessuno
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A Gladia, con affetto, per un giorno di pioggia

Human!Aziraphale/Werewolf!Crowley
comico, favola

tartan


C’era una volta, in un tempo lontano lontano, un prospero villaggio di nome Tadfield, immerso nei quieti boschi della campagna inglese. La vita era semplice ma tranquilla, e in quei secoli oscuri nei quali le donne sapienti venivano messe al rogo ― perlopiù alimentato da libri, quegli strumenti del Diavolo che traviavano le timorate massaie portandole a pensare! ― le pestilenze giungevano un giorno sì e l’altro pure, e gli inverni gelidi lasciavano tante comunità a battere i denti fino a consumarseli, non c’era da lamentarsi. A proposito del suddetto Principe del Male… in realtà Satana non ne voleva proprio sapere di sprecare tempo prezioso dietro alle fissazioni di ignorantoni che credevano di vederlo in poveri gatti neri quando a lui era un accanito cinofilo (e amante dei giochi di parole!), in volgari saliere rovesciate e orticelli andati a male per colpa dei vermi. Cioè, vermi! Ma la gente dove aveva il cervello? No, no, si arrangiassero tra di loro! Ma quelli continuavano imperterriti a cogliere segni della sua presenza dappertutto, facendogli una gran campagna pubblicitaria gratuita.
‘Il tuo vicino ha le vacche grasse e tu no? È stato Satana!’
‘La tua sposa ha fatto mercimonio del suo corpo col mugnaio? Un consiglio di Satana!’
Che il vicino ci tenesse alle proprie mucche alimentandole a dovere, e che lo sposo fosse carente nelle parti basse quanto nella scarsella erano opzioni insulse, ovvio.
Così, in questo clima di pace domestica, seppur attraversato da un sottile vento di superstizioso timore, una coppia felice, Newt e Anathema, crebbe il suo unico figlio. Il bambino, Aziraphale, era l’invidia del paesino tanto era intelligente e bello, e soprattutto amorevole con chiunque. I capelli erano di un biondo quasi bianco, a dispetto delle chiome brune dei genitori, che per quel motivo gli imposero un simile nome celestiale. Aveva un sorriso per tutti, portava ogni giorno il pane alle anatre del laghetto, ed era sempre obbediente. Quando giunse a compiere sedici anni, diventando un giovane uomo, avrebbe potuto cercare di emanciparsi dalla famiglia, ma era tenacemente attaccato alle regole e il suo carattere non cambiò per nulla. Malgrado lo rendesse un po’ buffo, continuava a indossare la mantella a disegno tartan che la nonna materna, Agnes, gli aveva fatto all’uncinetto con le sue mani. Era color crema con i riquadri celesti, e niente gli donava così tanto, in effetti. La nonnina era vedova ormai da un decennio, e viveva sola al di là di un bosco fitto fitto, lugubre e attraversato da un solo sentierino appena visibile tra le erbe alte e la penombra degli alberi maestosi. Ma ogni domenica, dopo la messa alla quale teneva molto, Aziraphale prendeva un cesto di provviste e si recava a trovare l’anziana parente, armato di buona volontà e fiducia. Attento, Aziraphale, il male si nasconde dovunque…
Quel mattino c’era proprio un bel sole, pensò il ragazzo mentre s’incamminava tutto contento verso l’inizio del bosco. Indossava il vestito della festa, quello azzurrino pallido, con su l’immancabile mantella col cappuccio.
‘Segui sempre il sentiero, perché chi lo abbandona la pagherà cara, figlio mio. Non vorrei fare quella che profetizza…’
Le parole della madre erano stampate in testa al giovanetto, che dondolando il cestino si addentrò nella vegetazione con la serenità dei giusti. Certo che quel paniere pesava tanto, accidentaccio! Ma cosa c’era dentro? Le mani morbide dalla pelle chiarissima si stavano arrossando, e così Aziraphale fu costretto ― crediamogli, cari lettori ― a posarlo dopo pochi minuti per ispezionarlo. Sotto un tovagliolo, anch’esso nell’amata fantasia dei loro cugini scozzesi, c’erano una grande torta alla marmellata, un fiasco di buon vino rosso, biscotti alle nocciole e un involto che la mamma aveva avvolto in parecchi strati di carta, come a celare il suo contenuto. Il collegamento delle sinapsi fu rapido: crepes. Delicate crepes ripiene di crema che si sarebbero sciolte in bocca. Aziraphale valutò con un sospiro il proprio punto vita, ma poi pensò con preoccupazione al possibile diabete dell’ava, valutando che era decisamente meno peggio se le avesse eliminato qualcosa dal pranzo zeppo di calorie e grassi saturi. Non che conoscesse quella nomenclatura, ma ci siamo capiti: era animato dalle migliori intenzioni!
“Guarda chi abbiamo qui… da dove arrivi, bocconcino?”
Il biondino si girò di scatto e la più incredibile delle visioni gli si parò davanti. C’era un uomo, giovane e bello a dir poco; egli aveva il palato fino non solo per il cibo. Era alto e snello, le gambe eleganti fasciate dalle più sconvenienti calzebraghe* di velluto nero, che aderivano talmente da non velare di alcun pudore la sua virilità. Erano corredate da un farsetto dello stesso tessuto rifinito di sottili bordi rosso cupo, slacciato fino al penultimo nodino, e una camicia di seta dello stesso color sangue. Malgrado lo spettacolo, non era quella la caratteristica più rimarchevole. Dai folti capelli ramati, portati in onde abbastanza lunghe da posarsi sulle spalle, spuntavano due vistose orecchie da canide. Per non dire che una folta, grande e lunga coda sembrava partire dall’ultima vertebra della schiena. Non che Aziraphale gli avesse adocchiato le terga, eh! Maligni!
“Hem… buongiorno signor… volpe?”
L’uomo sembrò contorcersi in una specie di balletto sul posto mentre a bassa voce proferiva una serie di vivaci blasfemie. Infine si ricompose, sistemandosi con nonchalance il colletto e schiarendo la voce.
“Guarda meglio, andiamo! Ce la puoi fare, non fermarti alla prima impressione”.
“Ma ha un mantello rosso scuro così bello… oh!” un lampo d’intuizione brillò sul faccino contento dell’adolescente “ma è un lupo, è vero! Anzi, visto che è in piedi e parla, è un lupo mannaro. Ho visto le figure su un bestiario”.
Bestiario!? Bes… ti rendi conto, vero, di essere in pericolo?” Se lo aveva capito, il biondo non lo dava troppo a vedere.
“Le orecchie sono così carine…” In un lampo, il licantropo aveva afferrato il malcapitato per il fiocco della mantella, spingendolo contro un albero con una certa decisone.
“Io non sono carino e le mie orecchie neppure, sono spaventoso, diabolico, una belva sanguinaria!”
Gli occhi azzurro cielo di Aziraphale si riempirono di lacrime, mentre la bocca a cuore tremava tutta.
“Mi vuole mangiare, vero? Perché sono sovrappeso e quindi risulto succulento… ma non è colpa mia, mi piacciono i dolci…”
In un secondo il lupo aveva mollato la presa, sembrando quello più in difficoltà tra i due.
“Ma no, andiamo…scherzavo, angelo biondo, e non sei grasso, sei bellissimo. Scommetto che sai di zucchero e vaniglia”. Ma che stava dicendo? Così era anche peggio!
“Non in senso…” Non sapendo come rimediare la creatura ibrida si sporse ad annusare quel collo accarezzato dalle punte dei ricciolini d’oro pallido, sentendo che la testa gli girava dal languore. Ma non era proprio fame, piuttosto un altro tipo di appetito. Senza starci a pensare troppo, diede una leccatina di assaggio, e un’intera pasticceria gli rotolò nel palato. Divino.
“Huuu…” stava proprio per ululare, ma questo avrebbe definitivamente terrorizzato la preda “hummm!” fu la variazione del verso, “che buono sei… hai un nome, dolcezza?”
“Aziraphale, signor lupo” la vocina tutta affannata era afrodisiaca alle orecchie pelose del licantropo, il quale si morse la lingua per non ripetere frasi idiote come quelle che gli umani rivolgevano alle donne quando volevano ottenere un giretto tra le loro sottane, del tipo: ‘ti sei fatta male quando sei caduta dal cielo?’. C’era qualcosa di disturbante nel verbo ‘cadere’, anche se la parte celestiale pareva davvero azzeccata.
“Chiamami Crowley, ed io ti chiamerò angelo, è così adatto”. Crowley ― perché finalmente gli abbiamo dato un nome, cari lettori, ― con molta delicatezza prese le mani soffici del ragazzo per aiutarlo a spostarsi dal tronco dove l’aveva spinto. Aziraphale stava facendosi coraggio quando l’orrenda visione di un grosso ragno nero che doveva essersi calato sulla sua schiena lo fece sussultare di paura.
“Permetti?” Con fare galante il lupo girò il capo indietro, per soffiare sulla spalla di Aziraphale da una posizione così scomoda che l’intento di esibirsi in una mossa sexy era davvero sfacciato. Ma nulla poteva turbare l’infantile felicità del ragazzo nel vedere il suo abbigliamento preferito sano e salvo.
“Oh! Oh, grazie, ce l’ho da una vita, ci tengo tantissimo”. Il sorriso che rivolse a Crowley era così luminoso da accendere qualcosa in quell’animo malvagio. Ci mancherebbe che un buon lupo mannaro non lo fosse, tutti lo sanno!
“Perché attraversi il bosco da solo, angelo?”. Gli occhi della creatura erano ambra incandescente, pronta a fondersi per intrappolare Aziraphale come una farfalla imprudente.
“Vado dalla mia nonna, Agnes Nutter, a portarle delle vettovaglie, ma in effetti sono un po’ stanco, pesano… magari vuoi assaggiare qualcosa, signor Crowley?”
Forse era sentirsi chiamare ‘signore’, forse la tenerezza della voce di Aziraphale ― che probabilmente corrispondeva a quella della sua carne ― ma il lupo non ebbe altra scelta che fare cenno di sì, passando un’inquietante lingua rossa sulle labbra. I denti erano un po’ aguzzi, e le movenze sciolte e disinibite avrebbero dovuto allertare Aziraphale, ma nulla, passato il primo spavento pareva che l’idea di fermarsi di propria volontà a fare merenda con un terrificante cannibale non lo allarmasse di striscio.
“Bè, sì… poi ti accompagno dove vuoi”. La faccia di Crowley era difficile da decifrare, in quel momento.
“Ma non importa”. Fu la compita risposta.
“No, no, volentieri, dovunque ti faccia comodo. Dov’è la casa di tua nonna?”
“Quasi alla fine del sentiero, ma ci arriverò tardi, in alcuni punti gli alberi sono tutti intricati fino quasi a terra, per passare si perde tanto tempo”.
“Maledetti, e dire che lo sanno” Crowley ringhiò a fauci aperte “crescete ordinati!”
Con un vivo tremito, le povere piante ritirarono su tutti i rami bassi, formando un grazioso gioco di chiaroscuri mentre sotto i piedi dei due strani, nuovi amici, il sottobosco si spianava, producendo con ogni sforzo una bella macchia di margherite rosa.
“Ma è splendido, grazie!” Senza battere ciglio, Aziraphale stese a terra il fazzoletto spiegato, e su quella tovaglietta improvvisata ammannì la sontuosa colazione, rendendosi conto di non avere però né stoviglie, né posate. Aperto il cartoccio delle crepes, ― perché era a quello che mirava ― non trovò di meglio che prenderne una, piegandola, per fare cenno di voler imboccare Crowley. Questi lo fissò come se gli fosse apparsa la Madonna, perché nessuno era mai così gentile con lui. O così imprudente, dipende dai punti di vista. Aperta la bocca diede un primo morso, mandandolo giù con gusto, era buono sì, ma… il secondo arrivò alle dita di Aziraphale, che non riuscì a non trasalire. Il lupo le trattenne tra le labbra calde, succhiandole con dedizione prima di lasciarle scorrere via.
“Si stava sprecando lo zucchero a velo, angelo, mi sarebbe dispiaciuto. Adesso è il tuo turno”.
Ad Aziraphale girava la testa mentre a piccolissimi bocconcini mangiava l’agognato dessert, e infine lasciò che la creatura dei boschi spingesse l’ultimo pezzetto nella sua bocca, fissandolo con gli occhi celesti spalancati colmi di stelline e lucidi di emozione. Finirono così tutte le crepes, e alcuni biscotti, decidendo di lasciare la torta alla destinataria, ma adesso restava una certa arsura.
“Non ho tazze, con me…” Se non sapessimo, amati lettori, che il nostro giovane eroe era un concentrato di trasparente purezza, si sarebbe potuto pensare che lo stesse dicendo apposta.
Sogghignando come chi non ha alcuna onesta intenzione, Crowley stappò il fiasco coi denti, per poi versare del vino dal color di rubino nell’incavo di una mano, porgendola ad Aziraphale. Un sospiro voluttuoso abbandonò il petto del giovane, che arrossendo nella più adorabile delle maniere, prese quella coppa improvvisata tra la punta delle dita, bevendo a piccole lappate come un gattino.
“Ti ho fatto il solletico? Scusa, signor Crowley”. Magari fosse stato solletico! Nella sua vita di tentatore di ignare vittime il lupo mannaro non aveva mai provato contemporaneamente tanto desiderio di proteggere un simile agnellino, quanto di strappargli i vestiti e farne un sol boccone. Prima in un senso e poi nell’altro, ma soprattutto il primo, visto che una gigantesca, licantropica erezione rischiava di far scoppiare l’allacciatura delle braghe, già messe a durissima prova. Avrebbe dovuto inventare il tessuto elasticizzato; aveva una fortissima immaginazione, in fondo.
Le pupille si erano ristrette diventando quasi verticali a causa dello sforzo di volontà che serviva a non obbligare quell’angioletto a passare la lingua nello stesso modo su di lui, proprio dappertutto. Ingoiò la salivazione in eccesso, chiedendosi che fare, ma Aziraphale gli stava presentando le sue mani unite, adesso.
“Bevi anche tu, sarai assetato”.
Crowley eseguì, abbeverandosi come una fiera con due sorsi, lasciando che alcune goccioline scivolassero da un angolo delle labbra. Il biondino si avvicinò timidamente, raccogliendo il vino con l’indice, per poi succhiarlo coscienziosamente. A quel punto Crowley si chiese se esistesse la possibilità di scoppiare nei propri calzoni, se, generosamente, vogliamo chiamarli così, buoni lettori.
“Ora temo di dovermi affrettare, signor Crowley, la nonna sarà in pensiero, e devo rientrare prima che faccia buio, potrei fare brutti incontri”.
Il lupo spalancò la bocca offeso, ma subito gli venne un’altra idea, una malevola e degna della sua progenie dannata.
“Perché non facciamo un bel gioco? Scommetti che arrivo prima di te, anche se non conosco la strada esatta? Così, per divertirci. Te la senti, piccolo?”
“Ma tu correrai troppo veloce per me, signor Crowley, hai delle gambe così lunghe e slanciate…”
“Ti darò dieci minuti di vantaggio, che ne pensi?”
Un sorriso radioso si aprì sul volto di Aziraphale.
“Va bene, ci sto! Mi piacciono i giochi, ne so fare qualcuno con le monetine, ma i miei si arrabbiano perché è gioco d’azzardo, e me l’hanno vietato”. Annodata la mantella ben stretta perché non fosse d’impaccio, il ragazzo cominciò una corsetta, facendo segno con la mano mentre si allontanava.
Ricordiamoci che ogni cattivo che si rispetti serba nella manica qualche trucco, e il nostro licantropo, ridendo in modo inquietante, prese una scorciatoia che conosceva solo lui…
Non si può dire che Aziraphale temesse di perdere, perché se la prese proprio comoda! Deviò dalla stradina per cogliere denti di leone e campanule, formando un bel mazzo che avrebbe dovuto riempire il vuoto nel cestino. Poi ammirò un volo di farfalle, si fermò a togliere un sassetto dalla scarpa, e così facendo quando giunse nella radura che era la sua meta, aveva impiegato molto più del solito. La casetta imbiancata coperta di rampicanti, col comignolo che fumava in pieno giorno era lì. Povera donna, doveva avere il freddo della febbre. Il cuore gli batteva forte mentre apriva il saliscendi per entrare, salutando subito con educazione.
“Buongiorno, cara nonna! Come stai? Sempre malata e a letto?” Il giovane chiuse l’uscio, avvicinandosi al grande giaciglio al centro della stanza rotonda. C’era qualcosa di vagamente strano, nella sua parente.
“Benissimo, nipotino mio! Mai stata meglio!” rispose, lei sistemando la cuffietta grigia sui lunghi capelli sciolti.
“Hai un bel colorito roseo!” cinguettò Aziraphale.
“Merito di una boccia di vino caldo con cannella e chiodi di garofano”.
“Bene, ecco… che sorriso allegro che hai”. ribatté perplesso il biondo.
“Adoro le storielle divertenti, specie quelle sconce!” La signora non era il tipo della bigotta, chiaro.
“Che camicia da notte rossa che indossi, non me la ricordavo…” Aziraphale stava annaspando, qualcosa non andava come avrebbe dovuto.
“È un regalo di un prestante gentiluomo! Ti stupisce, nipote caro?”
Prima che egli potesse articolare una riposta, la porta del cucinino si aprì, facendo passare un sorridente Crowley con in mano una ciotola di zuppa fumante, e il farsetto aperto senza più la camicia.
“Oh, ciao, angelo! Ho preparato qualcosa, questa brava donna non può vivere di dolciumi, la spedirete al creatore!” Il volto di Aziraphale si accese d’indignazione.
Signor Crowley, posso parlarti un momento fuori? Non voglio disturbare la nonna mentre pranza. Dopo di te”. Con un gesto di cortesia falso come le sue promesse di mettersi a dieta, indicò la porta, inchinandosi lievemente. Il lupo mannaro non si fece pregare, e uscì con aria disinvolta, voltandosi verso Aziraphale con l’aria di un cagnetto che aspetta un osso per premio.
“Ti è piaciuta la mia sorpresa? Tua nonna sta meglio, abbiamo parlato un po’…”
“L’ho visto. Non credevo ai miei occhi”. L’atteggiamento del giovane era cambiato. Le braccia erano conserte, un broncio palese gli arricciava il morbido labbro inferiore, e il tono era quello di un comandante.
“Non era quello che…” Crowley capì all’improvviso, facendo una serie di boccacce come se avesse inghiottito una forchetta d’argento, mandandola anche di traverso.
“Volevi che la mangiassi? Una vecchina innocua, tua nonna! E perché, poi, mi chiedo…” Quest’ultima affermazione aveva un timbro differente, sinuoso, accattivante.
“Ecco io… io…” Aziraphale giocherellò imbarazzato col fiocco tartan. “Credevo che dopo avresti attentato alla mia virtù, mi sembrava di piacerti”. Era solo un sussurro, ma tanto bastò.
“Certo, incontri un licantropo e quello deve essere un assassino spietato! E tu sei proprio un bastardo, sai?” Aziraphale tremò dalla testa ai piedi, ma invece di assalirlo come avrebbe pensato, Crowley lo guardava con le orecchiette abbassate e certi occhi tristi che gli fecero il  cuore a pezzetti. Incerto allungò una mano sulla sua testa, facendogli i grattini, vedendo che il licantropo, pur con evidente imbarazzo, stava scodinzolando.
“Comprendimi, per favore! Tutti si aspettano da me che sia perfetto perché ho questo aspetto… i miei genitori mi obbligano a fare il chierichetto, essere il primo della classe ― Tadfield doveva essere davvero avanti col sistema dell’istruzione pubblica, miei cari ― vestirmi di celeste confetto come un bambino e portare panierini alla nonna, che è una vecchia strega, ecco! Non mi da niente da mangiare e qualche volta mi ha bacchettato sulle mani perché le ho fatto sparire qualche moneta per i miei giochi di prestigio, è cattiva… ma ho sbagliato a sperare che la mangiassi, lo so. Ora non mi vorrai mai…”
“Che dici, angelo, come potrei non volerti? Sono arrivato prima per chiedere il permesso di uscire con te, ecco…” il licantropo ora era di un bel rosso uniforme “e per inciso mangio solo criminali incalliti e cacciatori, non le persone che mi piacciono! Cioè… appena ti ho visto sono impazzito per te, Aziraphale”.
Era la prima volta che Crowley usava il suo nome, e se era seducente sentirlo pronunciare dalle sue labbra! Il biondo fissò il petto quasi glabro scoperto dall’abito aperto, poi scese con lo sguardo proprio al punto giusto.
“Sei peloso, lì sotto?” Quella domanda, pronunciata con la voce più innocente del mondo, fu la goccia che fece traboccare il vaso. Gli occhi di Crowley brillarono di misfatto come solo quelli di una creatura della notte possono fare, e senza perdere altro tempo prese in braccio Aziraphale, rivolgendogli una domanda muta. Per tutta risposta, si vide indicare un piccolo fienile dall’aspetto curato e senza altri indugi si precipitò in quella direzione. Atterrarono su un bel mucchio di fieno profumato, avvolti strettamente come se fossero una cosa sola, le gambe paffute di Aziraphale saldamente aggrappate alla schiena del lupo. Un bacio, poi un altro, uno più ardente dell’altro, tanto da preoccuparsi seriamente che tutta quella paglia andasse a fuoco, ma probabilmente se ne sarebbero accorti troppo tardi.
“Angelo, va tutto bene, hai paura?” il licantropo sembrava diverso, in quel momento. Aveva smesso il suo atteggiamento scanzonato, si vedeva che era crollato ai piedi del biondino innamorato perso.
“No, mi fido di te, e sei talmente bello… non so se mi piace di più la tua parte umana o l’altra. Ma posso averle tutte e due, vero? Poi posso metterti il collarino?”
“NO! Sì… fammi quello che vuoi, mi importa solo di averti, se vuoi puoi venire a vivere nel mio cottage, è nel fitto del bosco, si sta benissimo in questa stagione”.
“Spogliami, signor Crowley… ma la mantella lasciala, o mi graffierò la schiena, sono un po’ delicato”.
“L’avrei fatto comunque, ti sta così bene, angioletto”. Le mani di Crowley tremavano mentre liberava Aziraphale dei vestiti con poca grazia, perché non ce la faceva più ad aspettare. Quello che si svelò di fronte a lui fu un corpicino morbido e bianchissimo, una nuvola di panna montata.
“Sei stupendo… posso spogliarmi anche io? Non ti faccio impressione?” Crowley era abituato a suscitare terrore, specie nelle persone giovani e vergini, che, si sa, sono la preda preferita dei lupi mannari.
“Per niente! Anzi non capisco cosa aspetti, è tutta la mattina che cerco di fartelo capire”.
Crowley non trattenne una risata di gioia, mentre si prendeva cura del suo angelo con le labbra, le dita, godendosi ogni sussulto e tremito, ogni parola spezzata dal piacere. Quando finalmente entrò dentro di lui, pianissimo, capì che sarebbe diventato il primo licantropo vegetariano piuttosto di poter essere un pericolo per quel dono che il destino gli aveva mandato. Aziraphale non era proprio il cherubino che sembrava, cari lettori, ma noi l’avevamo capito subito!
“Di più! Non ti fermare, sei una bestia, Crowley! Sbranami!”
No, non le fece in senso letterale, ma poco dopo regalò al suo innamorato il suo primo orgasmo, bruciante e dolce nello stesso momento. Dopo pochi secondi lo raggiunse, uggiolando di felicità.
“Hummm, Crowley, sei stato meraviglioso… sarà sempre così, vero?”
“Non proprio, angelo” il lupo lo guardò con amore e bramosia “tra qualche giorno sarà luna piena… aspetta e vedrai!”

Note: cara ricevente il regalino, spero che commedia e lime giusto accennato ti facciano piacere, non sapevo cosa scegliere!
*che non ho inventato io. Sono descritte sono le tipiche “calzamaglie” rinascimentali. Non ho rispettato una vera epoca, ovviamente ^^

  
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