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Autore: Star_Rover    02/02/2020    5 recensioni
Un valoroso soldato nella sua impeccabile divisa che marcia con orgoglio a testa alta. Una figura imponente, un volto severo e due iridi smeraldo che caratterizzano uno sguardo intenso e impenetrabile.
Il detective Eric Dalton ricorda così il maggiore Patrick O’ Donnell. Era soltanto un ragazzino quando aveva assistito ai festeggiamenti per la fine della guerra civile, al tempo quell'uomo era apparso ai suoi occhi come l’incarnazione dell’eroe invincibile e incorruttibile.
Nell’autunno del 1936, tredici anni dopo quel primo e fatidico incontro, Patrick O’ Donnell ricompare nella vita del giovane investigatore in un modo del tutto inaspettato. Infatti è proprio il suo nome ad apparire tra le pagine di un pericoloso fascicolo.
Eric accetta il caso, ma è intenzionato ad indagare a fondo prima di portare a termine l’incarico più difficile della sua carriera, ovvero condannare l’eroe di una Nazione.
Genere: Drammatico, Storico, Thriller | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: Violenza | Contesto: Il Novecento
Capitoli:
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Colbert scese nei sotterranei freddi e umidi del Castello, oltrepassò le prigioni e a passo incerto raggiunse un lungo corridoio. Si fermò davanti all’ultima stanza e prese un lungo respiro prima di bussare al portone di legno. Una voce forte e decisa lo invitò ad entrare, egli varcò la soglia con titubanza.
L’agente Beckett si rialzò dalla sua sedia e l’accolse con una vigorosa stretta di mano.
«Buonasera tenente! La stavo aspettando, prego, si accomodi!»
McGowan obbedì posizionandosi davanti alla scrivania.
«Gradisce del buon whiskey?» chiese Beckett riempiendo il suo bicchiere.
Egli negò scuotendo la testa.
L’agente scosse le spalle e bevve un lungo sorso.
«Suppongo che lei conosca il motivo per cui ho chiesto quest’incontro…» disse poi avvicinandosi al suo ospite.
Colbert annuì: «si tratta del mio ruolo nelle indagini del caso O’ Donnell»
«Già, lei è sempre stato oscurato dal nome di suo padre, devo ammettere di non aver mai provato molto interesse nei suoi confronti. Ad essere sincero sono alquanto irritato dal fatto che un rampollo annoiato sia qui a crearmi problemi»
McGowan rimase in silenzio, le parole di Beckett, così fredde e taglienti, avevano avuto l’effetto desiderato.
«Avanti tenente, avrà altre occasioni per farsi valere, ma questa questione non la riguarda»
«La morte di quei repubblicani riguarda lo Stato d’Irlanda, dunque è anche mio dovere scoprire la verità»
«Il problema è che queste indagini rischiano di minacciare la sicurezza di Stato. Il detective Dalton potrebbe essere condannato per tradimento»
«Il suo unico scopo è quello di ottenere giustizia»
«Capisco…a dire il vero mi spiacerebbe dover ricorrere a metodi più drastici per risolvere questa situazione»
«Mi sta chiedendo di compromettere le indagini come fece il Generale Mulcahy tredici anni fa?»
L’agente Beckett lo guardò dritto negli occhi: «la sto aiutando a trovare un modo per uscire pulito da questa faccenda, e anche per salvare la pelle al suo amico. Visto che l’IRA è coinvolta è nostro dovere intervenire»
Colbert rifletté sulla situazione: «credo di non avere molta scelta»
Beckett mostrò un’espressione compiaciuta: «non sia così drammatico. In fondo noi dovremmo sempre collaborare per il bene della Nazione»
«Anche nascondere la verità al popolo irlandese e lasciare in libertà un criminale di guerra è per il bene della Nazione?»
«Lei non conosce la verità, e in ogni caso ci sono situazioni in cui è necessario sacrificare parte della nostra integrità per qualcosa di più importante, non crede?»
«Non si tratta solo del caso O’ Donnell, vero? Chi è che sta proteggendo veramente? Il Generale Mulcahy? Oppure il suo misterioso superiore da cui prende questi ordini assurdi?»
L’agente Beckett s’irrigidì: «ascolti signor tenente, è fortunato ad avere la protezione di suo padre, ma le consiglio di non continuare a giocare con il fuoco»
McGowan sbuffò esternando la propria frustrazione.
«Ricordi il nostro accordo, quando il detective Dalton tornerà a Dublino lei dovrà convincerlo a collaborare. In caso contrario non posso più garantirle nulla»
Il tenente si rialzò con sdegno, prima di abbandonare la stanza rivolse un ultimo sguardo all’agente Beckett, il quale si congedò con un amaro sorriso.
«Prenda la giusta decisione tenente, e non provi a fare il furbo. Come ha avuto modo di constatare: noi sappiamo sempre tutto»
 
***

Robert osservò la campagna irlandese dal finestrino del treno, era stato contento di abbandonare la capitale per tornare nel Kerry, iniziava a sentire nostalgia di casa.
Il detective Dalton invece aveva un’aria cupa, rimase a lungo in silenzio con lo sguardo perso nel vuoto. Ripensò a tutta quella vicenda, una parte di sé non riusciva ancora a credere che Patrick O’ Donnell fosse realmente colpevole, ma allo stesso tempo provò un intenso dolore per quella sorta di tradimento.
L’uccisione dei tre repubblicani di Cahirciveen era stato di certo un atto violento, ma non si trattava di un crimine. La legge marziale era in vigore in quegli anni, dunque i prigionieri potevano essere giustiziati anche senza un regolare processo.  
Ciò che non giustificava il massacro di Fenit erano le torture e il crudele metodo di uccisione dei prigionieri. Se ciò fosse stato vero il detective si sarebbe trovato davanti a un vero crimine di guerra.
«L’interrogatorio dell’ex tenente Kavanagh non ha portato ad alcun risultato?» domandò Robert con curiosità.
Il detective scosse la testa: «no, erano presenti alcune discordanze nelle sue testimonianze e quelle di un suo commilitone, ma nulla di così importante da poter essere utilizzato come prova»
«Per quale motivo il prigioniero Tim Sullivan è così importante?»
«Non lo so, suppongo che dovremo scoprirlo»
Robert esitò prima di continuare la conversazione: «io…volevo ringraziarla per tutto quello che sta facendo»
Dalton si limitò ad una frase di circostanza: «sto soltanto facendo il mio dovere. Adesso pensa a riposare un po’, il viaggio è ancora lungo»
 
***

La loro prima tappa nel Kerry fu la centrale di polizia di Tralee, dove poterono chiedere informazioni a riguardo del vecchio caso.
Il commissario Seamus Delaney non parve particolarmente sorpreso dalla loro visita e rispose alle domande in modo alquanto vago, senza mai rivelare più del necessario. Dalton ebbe la sensazione che stesse nascondendo qualcosa, ma non poté affermarlo con certezza.
«Se non sbaglio i referti medici dovrebbero essere ancora conservati nei vostri archivi»
Delaney esitò, ma alla fine decise di fidarsi del detective, così accompagnò i nuovi arrivati nello scantinato polveroso. Il commissario trovò i documenti con rapidità, era evidente che sapesse già dove cercare.
Dalton aprì il primo fascicolo ed iniziò a leggere, le informazioni erano sintetiche e frammentate. Ustioni, lividi, arti recisi, ferite più o meno profonde procurate da schegge e detriti…tutte osservazioni plausibili, ma mai descritte nel dettaglio. Dopo aver appurato la causa del decesso non c’erano state ulteriori indagini.
Robert preferì non conoscere a fondo quei particolari, il detective poté comprendere le sue ragioni. Eric però rimase scettico sull’autenticità di quei referti. Come aveva previsto non c’erano tracce di ferite da arma da fuoco, eppure al tempo i testimoni avevano udito degli spari nella notte.
«Ha bisogno di altro signor detective?» chiese Delaney con diffidenza.
Egli richiuse i fascicoli con rassegnazione: «a dire il vero sì. Mi servirebbero tutte le informazioni riguardanti una delle vittime, il suo nome è Timothy Sullivan»
Il commissario alzò lo sguardo: «si sta riferendo al sopravvissuto di Tralee?»
Dalton rimase stranito, anche Robert parve ignaro a riguardo.
Delaney iniziò a cercare nei cassetti: «Tim Sullivan fu dichiarato morto dall’Esercito la notte dell’incidente, ma in realtà egli riuscì a sopravvivere. La verità fu scoperta solo mesi dopo, poco prima del processo al maggiore O’ Donnell. Sullivan decise di testimoniare, ma la sua versione non fu considerata poiché il medico lo dichiarò affetto da nevrosi da guerra. Davvero una brutta storia…»
Eric si ritrovò frastornato da tutte queste informazioni che a Dublino non erano mai trapelate. Probabilmente questa era una delle ragioni per cui il G2 custodiva gelosamente il rapporto sul caso O’ Donnell.
In quel momento Dalton non si domandò per quale motivo Delaney fosse così ben informato sulla faccenda, era più interessato a scoprire perché nessun altro, oltre alla polizia del luogo e al comandante O’ Ryan, fosse a conoscenza di quella storia.
«Dopo la guerra in molti preferirono dimenticare, le ingiustizie avvenute nel Kerry furono considerate come un prezzo da pagare in cambio della pace. Dopo il processo al maggiore O’ Donnell nessuno credette alla versione di Sullivan, egli stesso non parlò mai più della vicenda. Per questo nessuno ricorda più il sopravvissuto di Tralee, per alcuni non è mai esistito» spiegò il commissario.
«Per quale motivo quest’uomo è rimasto in silenzio per tutto questo tempo?»
«Forse era davvero un infermo mentale, oppure ha semplicemente inventato tutto»
«E se la versione di Sullivan corrispondesse alla realtà?»
Delaney alzò le spalle: «se Sullivan si dimostrasse un testimone affidabile e se ci fossero prove a suo favore il caso O’ Donnell potrebbe essere riaperto»
Dopo aver detto ciò il commissario riaccompagnò gli intrusi verso l’uscita congedandosi in modo formale.
Quando Dalton e O’ Neil abbandonarono la centrale Delaney si rivolse a un poliziotto: «agente Reynolds, non perda di vista quei due e mi tenga informato a riguardo»
Egli annuì con un cenno, prontamente si riunì ai suoi colleghi per adempire al suo incarico.
 
Passeggiando lungo le rive del Lee il detective interrogò nuovamente Robert su quegli eventi. 
«Fu l’Esercito a organizzare i funerali delle vittime di Fenit, i cadaveri furono seppelliti nel cimitero di un paesino sulle colline di Tralee» spiegò il giovane.
«Dunque i corpi non furono mai consegnati alle famiglie?»
Robert scosse la testa: «no, le bare erano già state chiuse quando furono riportate a Tralee»
Dalton sbuffò: «l’esplosione ha avuto due ruoli in questo spietato massacro, non solo ha ucciso i prigionieri, ma ha anche cancellato le prove delle violenze subite dalle vittime»
Robert abbassò lo sguardo, Eric continuò a camminare in silenzio, ammirando le acque limpide che riflettevano la luce rossastra del tramonto. 
 
Quella sera sostarono in una locanda vicino al porto, dopo cena Robert rimase al pub con un boccale di birra, Dalton invece si allontanò in cerca di un telefono.
Sua moglie rispose immediatamente, probabilmente attendeva con ansia la sua chiamata.
Egli si rassicurò nel sentire la sua voce.
«Mi spiace per essere partito così all’improvviso, purtroppo non avevo altro modo per continuare le indagini»
«Questo caso è diventato una vera ossessione per te» disse lei con tono preoccupato.
«Ti prometto che quando questa storia sarà finita cambierà tutto. Presto mi prenderò una lunga pausa dal lavoro e avrò tempo solo per te e per il bambino»
«Vorrei davvero crederti»
«Non ho intenzione di illuderti, lo sai che non ti ho mai mentito»
«Promettimi solamente che tornerai a casa presto»
«Certo tesoro, tra pochi giorni sarò lì con te»
Aileen rispose con voce tremante: «ti amo»
«Anche io ti amo»
Eric riagganciò con rammarico, era certo di averla sentita piangere.
 
***

Il mattino seguente il detective decise di presentarsi all’indirizzo fornito dall’IRA. La fattoria era situata in un luogo tranquillo e isolato, i proprietari dovevano apprezzare la solitudine.
Dalton e O’ Neil si incamminarono lungo il sentiero, ben presto furono raggiunti da un giovane bracciante.
«State cercando qualcuno?» chiese il ragazzo incuriosito e insospettito dalla divisa di Robert.
«Siamo stati informati che questa dovrebbe essere la residenza della famiglia Sullivan» disse Eric restando sul vago.
Egli annuì: «sì, io sono Jack Sullivan»
«E’ parente di Tim Sullivan?»
«Certo, egli è mio padre…che cosa volete da lui?»
Dalton mostrò il distintivo: «stiamo indagando sull’incidente di Fenit, la testimonianza di un sopravvissuto potrebbe essere fondamentale per il caso»
Il giovane scosse la testa: «state perdendo il vostro tempo, mio padre non ha mai parlato con nessuno dell’accaduto»
In quel momento intervenne Robert: «noi siamo qui soltanto per conoscere la verità»
Jack esitò, ma alla fine decise di dar loro una possibilità. I due lo seguirono all’interno della piccola abitazione in pietra.
Si ritrovarono in un salotto semplice e spoglio, la stanza era intrisa di un intenso odore di legna bruciata. Un uomo era seduto sulla poltrona davanti al camino.
Tim Sullivan era ancora giovane, doveva avere circa trentotto anni, ma sul suo volto erano evidenti i segni del dolore e della sofferenza. Egli osservò i nuovi arrivati con il suo sguardo vitreo e spento.
«Piacere di conoscerla signor Sullivan. Io sono il detective Dalton e lui è l’agente O’ Neil. Siamo della polizia di Dublino»
L’uomo rispose educatamente, ma non si mostrò particolarmente interessato a quell’incontro.
«Siamo qui per scoprire la verità sull’incidente di Fenit» continuò Eric.
Sullivan rimase impassibile: «non ho nulla da dire a riguardo»
Jack cercò di spiegare al genitore la situazione, ma lui non parve intenzionato a cambiare idea.
A quel punto si fece avanti Robert: «signor Sullivan, si ricorda di mio padre? Damien O’ Neil, era un militante della West Kerry Brigade insieme al comandante O’ Ryan»
Tim sussultò nel sentire quel nome: «mi dispiace per suo padre, ma io non posso fare nulla per aiutarla»
Dalton si sistemò al suo fianco: «perché non vuole parlare? Lei merita giustizia»
«L’odio della guerra civile non deve essere responsabile di altre vittime, l’Irlanda non può vivere nel rancore»
«Ma…non vuole che i colpevoli siano condannati per quello che hanno fatto a lei e ai suoi compagni?»
Sullivan non riuscì a trattenere le lacrime: «non sono in cerca di vendetta, la guerra è finita da tanto tempo…»
«Eppure ci sono persone che ancora desiderano conoscere la verità» disse Dalton indicando Robert con lo sguardo.
Tim non osò guardare il giovane in viso: «mi dispiace, tante volte mi sono chiesto per quale motivo Dio decise di salvare me e non qualcun altro. Suppongo che convivere con questo dolore sia la mia condanna»
«Non dovrebbe sentirsi in colpa per questo. Gli unici colpevoli sono i veri responsabili, so che è difficile, ma deve raccontare la verità. E’ l’unica cosa che può fare per i suoi compagni»
Robert pronunciò quelle parole con estrema fermezza.
Dopo qualche istante di incertezza il signor Sullivan si decise a parlare: «d’accordo, vi racconterò la mia versione dei fatti, ma lo farò solamente per onorare la memoria dei miei compagni»
 
***

5 marzo 1923.
Quella notte i prigionieri furono svegliati dalle grida dei soldati del Comitato. I militari trascinarono i repubblicani fuori dalle loro celle, Sullivan e un suo compagno trasportarono il povero Lehane, il quale era stato torturato nelle ore precedenti e non aveva nemmeno la forza di reggersi in piedi.
I prigionieri furono caricati su un furgone, Tim fu scaraventato con forza sul retro, batté la testa contro la parete metallica e rimase incosciente per la maggior parte del viaggio.
La vettura si allontanò dalle prigioni di Fenit vagando per più di un’ora nell’oscurità. Il veicolo si fermò sul bordo di un sentiero di campagna, a quel punto i repubblicani furono spinti giù dal Crossley Tender.
Il tenente Kavanagh afferrò Sullivan per le spalle e lo gettò a terra, il giovane si ritrovò steso nella polvere, a fatica riuscì a rialzarsi avvertendo le urla e gli insulti dell’ufficiale.
Fu in quel momento che vide il profilo del maggiore O’ Donnell, al contrario degli altri soldati egli era calmo e tranquillo. Controllava la situazione da una certa distanza, limitandosi a fornire ordini ai soldati e ammirando il panorama notturno.
I prigionieri, ammanettati e sotto il controllo dei militari, furono costretti a camminare nell’oscurità fino a raggiungere uno spiazzo deserto nel mezzo di un campo. Tim e i suoi compagni attesero tremanti, erano ormai consapevoli del loro imminente destino.
I soldati del National Army li sorvegliarono dal sentiero, per alcuni minuti chiacchierarono tra loro, non sembravano avere fretta.
Ad un tratto il maggiore O’ Donnell si avvicinò ai repubblicani, si portò la sigaretta alle labbra, espirò una nuvola di fumo ed alzò lo sguardo al cielo stellato.
«E’ davvero una notte splendida» commentò rivolgendosi ai condannati.
Per un istante Sullivan notò un velo di tristezza nel suo sguardo, ma ben presto l’ufficiale tornò cupo e inespressivo. Si allontanò nuovamente e ordinò ai suoi uomini di mettersi al lavoro.
Poco dopo i suoi commilitoni si occuparono di legare i repubblicani con spesse corde riunendoli in cerchio, i detenuti trasalirono quando notarono l’ordigno posto al centro. 
Tim era deciso ad affrontare con onore la sua condanna, ma anche il suo sguardo era colmo di paura e disperazione come quello dei suoi compagni. Pregò in silenzio per il destino della sua Nazione, per la quale presto avrebbe sacrificato la sua vita.
I soldati circondarono i prigionieri con il filo, poi si allontanarono per mettersi al riparo, ormai era solo una questione di istanti.
Tim osservò un’ultima volta i suoi compagni, sentì gli adii e le loro ultime preghiere. Nessuno di loro rimpianse le proprie scelte nemmeno a pochi attimi dalla fine. Nonostante tutto erano orgogliosi di se stessi, avevano mantenuto fede alla loro promessa, sarebbero morti con onore in nome dei propri ideali.
Sullivan pensò a questo prima di chiudere gli occhi, avvertì un grido in lontananza, poi all’improvviso il botto dell’esplosione irruppe nella quiete della notte.
 
Tim riprese conoscenza ritrovandosi riverso nel fango, a stento riuscì a sollevare il volto dalla melma per poter respirare. La detonazione l'aveva scaraventato in un fosso abbastanza lontano dalla strada, incredibilmente era sopravvissuto. Il dolore era insopportabile, aveva il corpo cosparso da ustioni, schegge metalliche si erano conficcate nella schiena lacerando la pelle.
Appena tentò di spostarsi scoprì che le corde si erano allentate, era libero di muoversi, nel limite delle proprie capacità. In quell’istante avvertì una raffica di spari, erano i soldati del National Army che stavano sterminando i sopravvissuti a colpi di mitragliatrice.
Tim rimase nel suo nascondiglio, tremando dalla paura con il viso rigato dalle lacrime.
Soltanto quando fu certo di essere rimasto solo decise di strisciare fuori dal fosso, appena giunse in superficie si ritrovò davanti ad uno scenario infernale. La strada era cosparsa di resti ormai irriconoscibili, Tim rimase paralizzato, terrorizzato da quell’orrida e macabra visione. Quell’ammasso di frattaglie umane era tutto ciò che rimaneva dei suoi cari e fedeli compagni.
Il giovane tornò alla realtà appena udì le voci dei soldati in lontananza. Egli non perse tempo e con le ultime forze rimaste si rialzò in piedi, fuggì via zoppicando e inciampando, allontanandosi lentamente nel buio.
 
***

«I soldati del National Army non si accorsero della mia fuga e mi considerarono morto come tutti gli altri. Scoprirono la verità soltanto dopo parecchio tempo. Allora ero intenzionato a lottare per rendere giustizia ai miei compagni, così testimoniai al processo del maggiore O’ Donnell. Nessuno però credette alla mia versione, O’ Donnell riuscì a convincere tutti che ero diventato pazzo a causa della guerra e che le mie memorie erano soltanto i deliri di un folle. Quando la guerra terminò e la pace tornò in Irlanda mi resi conto di non poter fare nulla per cambiare il passato. Non provo rancore verso i soldati del National Army, quella fu una guerra crudele e spietata, entrambe le parti si resero colpevoli di crimini e atrocità indicibili»
Jack poggiò una mano sulla spalla del padre in segno di conforto e sostegno.
Dalton avvertì un’intensa sensazione di nausea e disgusto, ancora non poteva credere che il maggiore O’ Donnell fosse in realtà un crudele assassino. Nonostante ciò si sentì soddisfatto per essere finalmente giunto al termine di quelle travagliate indagini.
Anche Robert si ritrovò travolto da emozioni contrastanti, ovviamente era contento di aver scoperto la verità, ma allo stesso tempo non era certo di poter gestire tutto quel dolore. All’improvviso capì le motivazioni di O’ Ryan, percepì la stessa rabbia e la stessa frustrazione, per un istante provò anch’egli il desiderio di vendicare la morte del padre. Quando tornò in sé si accorse di star tremando.
Dalton pose la domanda decisiva: «lei sarebbe disposto a testimoniare contro il maggiore O’ Donnell?»
Tim si mostrò riluttante: «fino ad ora il mio silenzio ha mantenuto la pace»
Jack s’intromise nel discorso: «mio padre è molto stanco ed evidentemente sconvolto per tutto questo. Signor detective, le dispiacerebbe riprendere questa conversazione un’altra volta?»
Eric fu costretto a cedere: «d’accordo, torneremo domani per avere una risposta»
Prima di andarsene O’ Neil si fermò davanti al signor Sullivan: «per quanto dolorosa possa essere la verità è sempre la scelta migliore»
 
***

Dalton si sentì in dovere di trascorrere quel tempo insieme a Robert per non lasciarlo solo con i propri pensieri. Il ragazzo aveva appena scoperto un’atroce verità sulla morte del padre, aveva bisogno di qualcuno con cui condividere quel dolore. Eric non sapeva se la sua presenza avrebbe potuto in qualche modo alleviare la sua sofferenza, ma cercò di fare del suo meglio.
I due si recarono al cimitero per far visita alle tombe dei repubblicani, uno spazio vuoto dimostrava il fatto che al tempo l’Esercito aveva preparato una decima bara per Tim Sullivan.
Un piccolo monumento in pietra era stato eretto per ricordare le vittime.
Robert ricordava poco del padre, ma sapeva che egli era un uomo giusto e onesto, in molti l’avevano sempre considerato come un eroe. O’ Ryan gli aveva spesso narrato aneddoti sulla guerra rappresentando Damien O’ Neil come un compagno fedele e leale. Sua madre invece ricordava con commozione i momenti che avevano vissuto insieme prima della guerra.
Così il piccolo Robert aveva iniziato a provare affetto e rispetto per il genitore prematuramente scomparso, ai suoi occhi di infante il padre era stato semplicemente un valoroso soldato morto in battaglia. Poi con il tempo le cose erano cambiate, l’eroe che aveva combattuto in nome della Libertà era diventato un pericoloso criminale, e tutte le illusioni erano svanite.
Robert non aveva mai giudicato severamente il padre per le sue scelte, in fondo sapeva che egli aveva agito solamente per il bene della sua famiglia.
Il ragazzo si lasciò trasportare dai ricordi abbandonandosi a quella profonda sensazione di dolore.
Dalton poggiò una mano sulla sua spalla, provò sincera compassione nei suoi confronti.
«Sono certo che se tuo padre potesse vederti adesso sarebbe orgoglioso di te»
Robert si voltò mostrando il suo sguardo colmo di rabbia e frustrazione.
«Ho sempre considerato le motivazioni di O’ Ryan come folli e assurde, ma in questo momento io stesso non esiterei a sparare al maggiore O’ Donnell!»
Eric strinse il giovane a sé nel tentativo di calmarlo: «in questo momento sei ancora sconvolto per ciò che è successo, hai solo bisogno di un po’ di tempo per riprenderti»
Il ragazzo scoppiò in lacrime tra le sue braccia: «per tutto questo tempo mi sono fidato di lei, non può deludermi proprio adesso!»
Il detective sentì tutto il peso delle sue responsabilità: «sono disposto a fare il possibile per rispettare la mia promessa»
Robert credette alle sue parole, ma nemmeno ciò riuscì a rassicurarlo. Ormai aveva iniziato a perdere fiducia nella legge, l’Esercito aveva già insabbiato la faccenda, di certo non avrebbe esitato a nascondere nuovamente quella scomoda verità. Il detective Dalton era un uomo onesto, ma la sua buona volontà non sarebbe stata sufficiente a portare giustizia.
   
 
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