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Autore: C_Totoro    02/02/2020    4 recensioni
Questa storia nasce dalla volontà di approfondire il rapporto tra le sorelle Black. Davvero Bellatrix, Andromeda e Narcissa non si sono più viste dopo che Dromeda ha “tradito” i Black sposandosi con un Nato Babbano? Davvero da quel giorno si sono solo odiate?
“Sapeva bene quanto Dromeda, nonostante tutto, amasse le sue sorelle. Odi et amo, diceva Catullo, ed erano proprio questi i sentimenti contrastanti che, Ted lo sapeva, alloggiavano nell’animo della moglie. Non aveva nessuna importanza che non vedesse Bellatrix da quasi dieci anni, che quest'ultima non avesse mai mostrato nessun interesse per Andromeda o Ninfadora da allora. Certi sentimenti non si possono cancellare neanche volendolo.”
I personaggi potrebbero risultare leggermente OOC, ma immagino dipenda dall'idea che ci si è fatta dei personaggi.
Genere: Angst, Drammatico, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Andromeda Tonks, Bellatrix Lestrange, Famiglia Black, Famiglia Malfoy, Narcissa Malfoy | Coppie: Bellatrix/Voldemort, Lucius/Narcissa, Ted/Andromeda
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Più contesti
Capitoli:
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Aveva sempre invidiato le famiglie normali. Quelle in cui si litiga sì, ma i genitori non rinnegano i figli, quelle in cui i componenti non sono assassini che finiscono in prigione. Insomma, aveva sempre invidiato la famiglia del marito - la famiglia Tonks - Babbani, quello sì, ma per lo meno normali o, quanto meno, volevano bene al figlio incondizionatamente e l’avevano accolta a braccia aperte quando, ormai una decina di anni prima, aveva lasciato la sua famiglia. La famiglia Black.

Andromeda fissò con sguardo perso il giornale che teneva tra le mani tremanti. Solo un mese prima, in una mattinata del tutto simile a quella, a darle il buongiorno era stata la foto di suo cugino Sirius, accusato di aver passato informazioni preziose a Colui-Che-Non-Deve-Essere-Nominato che avevano portato all’uccisione di Lily e James Potter e di aver poi assassinato il suo amico Peter Minus. Quella notizia l’aveva colta impreparata: Sirius era l’unico componente della sua famiglia con il quale aveva mantenuto un rapporto. Scappato anche lui da quella famiglia, resosi conto ben prima di lei di quanto i Black fossero tutti, irrimediabilmente, psicopatici. Forse a causa dei rapporti tra consanguinei, forse invece era più una questione di educazione: tutti cresciuti con la convinzione di essere superiori e migliori. No, non poteva credere che Sirius fosse un Mangiamorte, non aveva senso. Si era proposta di deporre in suo favore ma suo cugino era stato spedito ad Azkaban senza processo, sembrava avesse confessato non appena era stato arrestato dopo aver fatto esplodere la strada affollata di Babbani e ucciso Minus, di cui avevano ritrovato solo un dito. Aveva anche implorato Silente ma neanche l’anziano Preside di Hogwarts aveva potuto nulla contro il testardo Bartemius Crouch e quindi Sirius era stato spedito ad Azkaban, senza se e senza ma.

“Mamma, perché c’è una tua foto nel giornale?”

Andromeda sussultò. Non si era accorta che Dora si era svegliata e l’aveva raggiunta in cucina. Oggi aveva optato per dei sobri capelli arancioni.

“Questa non sono io” sospirò Andromeda piegando il giornale in modo da nascondere la foto di Bellatrix che tamburellava con le dita sulla cornice della foto con fare altezzoso.

“E chi è?” insistette Ninfadora allungandosi sul tavolo per afferrare la Gazzetta del Profeta e vedere di nuovo la foto.

“Dora, perché non lasci in pace la mamma e non inizi a fare colazione?” le chiese bonario Ted scompigliandole i capelli e sfilandole il giornale dalle mani.

“Ma quella sembra proprio la mamma!” insistette la bambina, mettendo su il broncio mentre afferrava una tazza con cereali e latte.

“Sai che c’è? Che in via del tutto eccezionale potresti fare colazione in camera tua” le suggerì Ted, facendole l’occhiolino. Ninfadora non se lo fece ripetere due volte e immediatamente corse di sopra in camera sua, facendo cadere nel percorso gocce di latte e pezzi di cereali.

Ted, nel vedere la figlia pasticciona correre baldanzosa verso camera sua, si aprì in un sorriso pieno di amore, che però sbiadì per lasciare posto a un’espressione preoccupata come si voltò verso la moglie. Dispiegò il giornale e lesse il titolo:
 
GLI AUROR CATTURANO I MANGIAMORTE CHE HANNO PORTATO ALLA FOLLIA FRANK E ALICE PACIOCK TRAMITE LA MALEDIZIONE CRUCIATUS
 
Ted spostò lo sguardo sulle foto che svettavano proprio sotto al titolo: i due fratelli Lestrange lo guardavano sprezzanti, come se fossero consapevoli che a vedere in quel momento la loro immagine fosse un Nato Babbano; sotto la foto di Rabastan c’era quella di un ragazzo che poteva avere al massimo diciannove anni, capelli color paglia e sguardo impaurito… sgranò gli occhi nel leggere il nome, possibile che il figlio di Barty fosse un Mangiamorte? Infine eccola, sotto la foto del marito Rodolphus, svettava quella di Bellatrix. Capì per quale motivo Dora si fosse confusa, Andromeda e Bellatrix erano incredibilmente simili nell’aspetto e, sebbene Dromeda avesse dei tratti - ma soprattutto uno sguardo - più dolce di sfuggita potevano effettivamente essere scambiate per la stessa persona.

Ted lesse velocemente l’articolo e, più s’inoltrava nella lettura, più gli venivano i brividi. Proprio ora che tutti si credevano al sicuro ecco che c’era stato l’ennesimo attacco, l’ennesima pazzia. Ricordava Frank e Alice dai tempi di Hogwarts, due persone squisite, due Auror intrepidi, avevano appena avuto un bambino e ora, se gliel’avessero messo davanti, non sarebbero neanche riusciti a riconoscerlo. Gli si chiuse la gola e sentì gli occhi inumidirsi al pensiero di non riuscire più a riconoscere Dora, di non vederla crescere… di non sapere più il suo nome o di non sapere neanche più di amare Andromeda. Un destino peggio della morte, forse. Si morse le labbra. Artefice di questo triste destino era stata Bellatrix Lestrange, sorella di Andromeda, della sua Andromeda. Sapeva bene quanto Dromeda, nonostante tutto, amasse le sue sorelle. Odi et amo, diceva Catullo, ed erano proprio questi i sentimenti contrastanti che, Ted lo sapeva, alloggiavano nell’animo della moglie. Non aveva nessuna importanza che non vedesse Bellatrix da quasi dieci anni, che non avesse mai mostrato nessun interesse per Andromeda o Ninfadora da allora. Certi sentimenti non si possono cancellare neanche volendolo.

“Come ha potuto, Ted? Come?” mormorò Andromeda prendendosi la testa tra le mani cercando di soffocare un singhiozzo.

“Be’” iniziò lentamente Ted, voleva essere diplomatico, non voleva aggiungere sofferenza ad altra sofferenza. La verità era che, per quanto sconvolgente, la notizia non giungeva di certo inaspettata: che Bellatrix Lestrange fosse una Mangiamorte era un segreto di Pulcinella. Sirius Mangiamorte? Incredibile, al limite dell’impossibile… ma Bellatrix? Be’, Bellatrix…

“Cara, hai sempre saputo che tua sorella era una Mangiamorte”

“Avrei dovuto denunciarla, lei, suo marito… è tutta colpa mia…”

Ted lasciò cadere a terra il giornale e circondò con le braccia la moglie.

“Non dire scemenze. È tua sorella, capisco che per te non fosse facile…”

“Non ci sono scuse, Ted. Non ce ne sono. Mi sono resa complice tacendo. Sapevo che Bellatrix è una Mangiamorte, l’ho sempre saputo, lei e la sua folle passione per quell’orribile uomo…”

Ted la strinse più forte sapendo bene che ciò che diceva Andromeda corrispondesse a verità. Avrebbe dovuto denunciarla e lui stesso l’aveva spronata più volte a farlo ma come poteva ora rinfacciarle tutto e dirle “te l’avevo detto!”?

“Cosa ne sarà di quel povero bambino?” chiese Andromeda asciugandosi gli occhi con mani tremanti. Le girava la testa e sentiva una forte oppressione sul petto. Si sentiva in colpa, incredibilmente in colpa.

“Nell’articolo dice che se ne occuperà Augusta Paciock, la nonna” le rispose Ted mentre versava dell’acqua nel bicchiere per poi porgerlo alla moglie.

“Quando sarà il processo?” chiese ancora Andromeda tra un sorso d’acqua e l’altro. Certo che se il buongiorno si vedeva dal mattino…

“Il processo sarà dopodomani” rispose Ted riprendendo in mano il giornale e scorrendo di nuovo velocemente l’articolo. “Pare che oggi ci sia la possibilità per i parenti stretti di parlare con gli imputati” aggiunse, sfogliando il giornale fino a pagina 5, dove c’erano le interviste ai parenti.

“Pare che Narcissa non andrà”

Andromeda emise un grugnito. Non era sorpresa dalla notizia, Lucius era stato indagato per tutto il mese precedente e aveva scampato Azkaban per un soffio. Essere di nuovo avvicinato al Signore Oscuro e ai Mangiamorte non era sicuramente il massimo. No, da Narcissa non si aspettava proprio nulla di diverso.
Sapeva bene che Cissy voleva bene a Bella ma era anche consapevole dell’animo opportunista della sorella più piccola, non si sarebbe mai compromessa, non avrebbe mai compromesso il marito e non avrebbe mai messo in pericolo il futuro del suo bambino appena nato.

“Anche i tuoi genitori non sembrano intenzionati ad andare”

Andromeda corrugò la fronte, i suoi genitori non si erano mai schierati apertamente, non erano stati entusiasti quando Bellatrix aveva preso il Marchio ma non tanto perché non credessero in quell’uomo detestabile, quanto piuttosto perché Bellatrix era una donna e da lei si aspettavano solo che si sposasse e sfornasse figli. Quasi le venne da ridere a pensare come fosse andata male ai suoi genitori; di tre figlie, solo una aveva fatto esattamente ciò che ci si aspettava da lei e quella era Narcissa. Comunque, evidentemente anche i suoi genitori non si volevano compromettere troppo, dimostrare interesse per una che con ogni probabilità sarebbe stata condannata all’ergastolo, dimostrare vicinanza con dei seguaci del Signore Oscuro, era pericoloso. Ma come potevano lasciare Bellatrix così? Una volta condannati all’ergastolo ad Azkaban era finita. Niente visite, niente lettere, niente sconti. Solo l’oblio, solo la morte.

Andromeda si alzò di scatto da tavola, facendo sussultare Ted che, per sbaglio, strappò un pezzo di pagina dal giornale.

“Andrò io” dichiarò agitando la bacchetta per richiamare i suoi vestiti e cambiarsi.

“Come?” chiese Ted basito, strabuzzando i suoi profondi occhi azzurri “Scherzi?”

“Non sono mai stata così seria”

“Dromeda… stiamo parlando di Bellatrix. La persona che quando te ne sei andata di casa per stare con me ti ha maledetta, ti ha detto delle cose orribili… ti ha augurato la morte! La stessa persona che ha torturato due innocenti facendoli uscire di senno!” a ogni parola la voce di Ted si alzava, fino a quando non si ritrovò in piedi a urlare. Aveva sempre cercato di essere comprensivo con Andromeda, lui era figlio unico e non era del tutto in grado di comprendere l’affetto che la moglie provava per le sorelle, che continuava a provare, nonostante tutto. Narcissa, ancora ancora, poteva anche capirlo. Ma Bellatrix? Bellatrix aveva sempre suscitato in lui un certo timore.

“E’ mia sorella” fu l’unico commento di Andromeda mentre si allacciava il mantello “dov’è tenuta?” chiese con alterigia senza guardare il marito negli occhi.

Ted fece un respiro profondo cercando di calmarsi. Sapeva bene che litigare non avrebbe portato a nulla, se non solo far allontanare Andromeda da sé.

“Al Ministero della Magia, nel Dipartimento dell’Ufficio Misteri… non danno indicazioni più precise, ma pare siano piantonati da Auror e dissennatori in delle stanze in cui non è possibile utilizzare la magia”

“Bene” replicò fredda Andromeda poi, vedendo lo sguardo preoccupato del marito aggiunse con più dolcezza “non pretendo tu mi capisca Ted. Non mi capisco nemmeno io. Ma non posso pensare di non vedere più Bella, non posso pensare di lasciarla andare in quel luogo senza che abbia ricevuto una parola di sostegno…”

Ted emise un suono strano “Sostegno? Sostegno a una pazza? A un’assassina!”

L’atteggiamento di Andromeda cambiò di nuovo tornando a essere altezzoso.

“Quello che è, non cambia quello che provo”

Senza aspettare risposta attraversò il salotto ma non fece in tempo ad aprire la porta per uscire che si sentì afferrare per un braccio.

“Aspetta, aspetta, aspetta!” disse Ted “Come dici tu, Dromeda. Se vederla credi sia la cosa giusta allora va’ da lei. Ma fammi venire con te”

Andromeda sgranò gli occhi sorpresa.

“Ti accompagno al Ministero e ti aspetto fuori, ovviamente. Dubito che tua sorella voglia vedere me” aggiunse provando a sdrammatizzare con una mezza risata che fece increspare le labbra della moglie in un mezzo sorriso.

“E Dora?”

“La porto dai miei, dammi dieci minuti”.
 
***
 
Il cuore di Andromeda batteva all’impazzata mentre compilava i moduli, parlava con gli Auror, con gli Psico-Maghi. Tutti sembravano volerla dissuadere dalla sua decisione, sempre la stessa domanda: perché? Perché voleva vedere la sorella che l’aveva rinnegata? Anche lei era una Mangiamorte? Doveva passarle informazioni di Voi-Sapete-Chi?

Non fosse stato per Ted al suo fianco non sapeva se sarebbe riuscita ad andare fino in fondo. Mezzogiorno era ormai passato e avevano mangiato un boccone nella caffetteria del Ministero, in attesa che le autorità vagliassero la sua richiesta, nel più completo silenzio. Nessuno sembrava capacitarsi del perché lei volesse vedere Bellatrix, pur essendo parente, infatti, non era stata inserita nelle richieste perché avevano pensato che lei, la Black rinnegata, quella che aveva sposato un Nato Babbano, non avrebbe voluto vedere la Mangiamorte. E invece eccola lì, l’unica che si era presentata.

“Signora Tonks?” la chiamò un Auror nerboruto avvicinandosi a lei e a Ted “Il Primo Ministro, il Capo-Auror e il Giudice hanno approvato la sua richiesta per la visita della Mangiamorte Bellatrix Black in Lestrange”

Andromeda scattò in piedi. Le sudavano i palmi delle mani e aveva un piccolo giramento di testa.
All’improvviso faceva fatica a respirare.

“Sei sicura di volerlo fare, Dromeda?” chiese Ted alzandosi a sua volta e facendole una carezza sulla schiena.

“Sicurissima”

“Mi consegni la sua bacchetta, signora Tonks” le chiese l’Auror senza alcuna gentilezza.

“Mia moglie non è una criminale!” saltò su Ted irritato. Era tutta la mattinata che trattavano con disprezzo Andromeda, guardandola come se fosse un pericolo, sussultando appena scorgevano la somiglianza con Bellatrix.

L’Auror spostò lentamente lo sguardo su di lui “Si calmi signor Tonks. È solo una procedura, solo gli Auror possono stare in presenza dei Lestrange con la bacchetta, chiunque altro deve rimanere senza… se la fa sentire più tranquillo, può custodire lei la bacchetta di sua moglie”

Andromeda sfilò la sua bacchetta da sotto al mantello e la porse a Ted “Non ti preoccupare tesoro, non succederà niente” lo tranquillizzò lei cercando di sorridergli.

“Stai attenta. Lo so che è tua sorella e tutto ma… insomma, è Bellatrix

Andromeda annuì e seguì l’Auror verso gli ascensori. Ad Andromeda quell’Auror non piaceva proprio per niente, continuava a trattarla con diffidenza e sufficienza, come se si aspettasse da un momento all’altro che anche lei si dichiarasse una ferma sostenitrice del Signore Oscuro.

“Allora signora Tonks, le regole sono poche ma precise. La stanza in cui la porteremo è insonorizzata per garantire la privacy ma sua sorella sarà incatenata, le sue possibilità di movimento saranno quindi limitate.
Niente bacchetta, come abbiamo detto, verrà perquisita con un sensore all’ingresso per assicurarci che non abbia con sé una seconda bacchetta o altri artefatti magici, non può passare nulla alla detenuta, niente lettere, niente oggetti, niente vestiti… niente. Le consiglierei di non toccarla, potrebbe essere violenta e, per quanto incatenata, non si sa mai… avrete dieci minuti di tempo, dopo di che verremo a riprendere lei e la signora Lestrange”

Andromeda annuì sentendo quel peso sul petto farsi sempre più pesante, il respiro sempre più affannoso.

“Lei è sicura di volerla vedere, vero?” si assicurò un’ultima volta l’Auror arrivati davanti alla stanza degli incontri e finita la perquisizione col sensore.

“Sì, certo. Ne sono sicura” rispose decisa Andromeda che, per quanto in parte spaventata, sentiva il suo cuore battere all’impazzata all’idea di rivedere l’amata e odiata sorella. Amata per tutti quegli anni prima e a Hogwarts, per tutti quegli anni prima di Lui, prima di quell’uomo che l’aveva presa e trasformata. Non che prima di Colui-Che-Non-Deve-Essere-Nominato Bellatrix fosse una persona normale, ma non era così violenta, non era così irruenta, non era così eccessiva. Condivideva le idee dei genitori, i maghi Purosangue secondo lei erano superiori ma… ma Lui l’aveva irretita e irrimediabilmente compromessa. Se non ci fosse stato Lui, Andromeda sapeva bene che Bellatrix non l’avrebbe mai esclusa così definitivamente dalla loro vita. Certo, era consapevole di averla ferita, Bellatrix si sentiva tradita, ma il loro legame era saldo, in qualche modo, forse anche in un’altra vita, si sarebbero ritrovate. Ma Lui aveva instillato in lei un odio che sembrava aver compromesso anche il loro affetto così puro e vero.

La stanza era fredda, spoglia e sterile. Vi erano solo un tavolo in legno e due sedie, una normale, l’altra con pesanti catene che pendevano dai braccioli. Gli Auror la fecero entrare e accomodare, poi senza dire una parola uscirono, lasciandola sola. Andromeda rabbrividì leggermente. Come si sarebbe comportata se una cosa del genere fosse successa a lei? Lei sarebbe stata incredibilmente impaurita. Riuscivano a farla sentire colpevole così, senza che avesse fatto nulla, solo perché lei voleva parlare con la sorella prima che venisse spedita per sempre all’inferno. S’immaginò in quale modo atroce avessero trattato Bella. All’improvviso la porta all’altro capo si spalancò e il cuore di Andromeda si bloccò, si portò le braccia al petto istintivamente mentre due Auror entravano seguiti da due dissennatori e da sua sorella, dalla sua Bella.

La stanzetta sembrò farsi ancora più fredda mentre quella poca speranza che albergava nel cuore di Andromeda scomparve per fare spazio alle sue paure, ai suoi ricordi più tristi… sentì gli occhi inumidirsi per l’ennesima volta quel giorno.

Bellatrix teneva lo sguardo basso, sembrava stanca e provata, come se non avesse le forze per tenere la testa su. Aveva una catena appesa al collo che gli Auror fissarono per terra, sotto al tavolo, poi la fecero sedere e Andromeda fece appena in tempo a vedere il Marchio Nero sul braccio sinistro di Bellatrix prima che le catene sui braccioli scattassero in avanti lambendole le braccia.

“Dieci minuti, signora Tonks” le ricordarono gli Auror prima di uscire seguiti dai dissennatori.

Sembrò essere quel “signora Tonks” (o forse era semplicemente l’uscita dei dissennatori) a riscuotere Bellatrix che alzò all’improvviso lo sguardo e lo fissò in quello di Andromeda che era seduta di fronte a lei con un’espressione di profonda sofferenza.

Il silenzio si distese fra loro. Andromeda era come impietrita. Quella mattina aveva preso la decisione di vedere Bellatrix senza pensarci e, per tutto il giorno, era stata così impegnata a sbrigare le faccende burocratiche che non si era neanche fermata un attimo a domandarsi cosa avrebbe detto alla sorella una volta che fosse stata seduta di fronte a lei. E ora eccole lì, una di fronte all’altra, quasi come davanti a uno specchio, dopo tutti quegli anni.

Fu Bellatrix a rompere il silenzio. Era sorpresa. Non si aspettava che qualcuno sarebbe venuto a parlarle, non i suoi genitori, non Narcissa… e alla fine, che importanza aveva? L’unica persona che avrebbe voluto vedere era scomparsa ormai da più di un mese e, senza di Lui, tutto il resto non aveva senso. Vagava nelle lande della disperazione da quando il suo Marchio aveva perso consistenza, diventando via via più sbiadito.
Continuava a premerlo a ripetizione ossessivamente tutti i giorni, lo premeva con forza, con così tanta forza che si erano formati tanti ematomi nei pressi del tatuaggio. Poteva premerlo con tutto l’ardore che aveva in corpo ma quello rimaneva immobile, il Suo Signore rimaneva silenzioso ma Lui non poteva… non poteva essere… il solo pensiero la annientava, la faceva impazzire, si poteva impazzire di dolore? Si poteva impazzire per troppo amore?

“Cosa ci fai qui, traditrice del tuo sangue?” le chiese Bellatrix con alterigia, raddrizzandosi sulla sedia e facendo tintinnare le catene.

Andromeda sospirò. Dovevano per forza fare quel siparietto?

“Sono qui per vederti, Bella. Abbiamo solo dieci minuti, i nostri ultimi dieci minuti, vuoi davvero sprecarli a insultarmi?”

Bellatrix rimase in silenzio. La verità era che non aveva le forze né d’insultare, né di fare alcunché. Da quando l’avevano arrestata non le avevano dato da mangiare, era piantonata dai dissennatori giorno e notte, non vedeva e non parlava con nessuno, era stata interrogata, vessata… ma qualsiasi cosa era meglio che fermarsi a pensare, a pensare che Lui non c’era e che era da un mese che non vedeva i suoi occhi rossi, che non sentiva la sua voce tagliente, che non sentiva le sue mani su di sé…

Bellatrix alzò le spalle.

“Perché sei venuta?”

“E’ tutto il giorno che mi pongono la stessa domanda. Non lo so. Non so perché sono venuta, non so cosa mi aspettassi… non volevo lasciarti affrontare tutto questo da sola. Non importano gli ideali che ci dividono, non voglio fermarmi a pensare a ciò che hai fatto. La verità, Bella, è che non riesco a non volerti bene” le confesso Andromeda abbassando lo sguardo. Per la prima volta nella sua vita aveva paura di sua sorella. Paura di ciò che avrebbe potuto dirle, paura che le dicesse (provandolo per davvero) che l’odiava.
La Bellatrix che conosceva lei non la odiava per davvero, ma che donna era diventata dietro quel Mago Oscuro? Quanta oscurità le aveva dato? Quanto l’aveva fatta diventare strega oscura?

“Da una Babbanofila non mi aspettavo altro che un discorso strappa lacrime di questo tipo”
Andromeda sorrise e alzò nuovamente lo sguardo, rincuorata. Un commento del genere detto da Bellatrix equivaleva quasi a un “ti voglio bene anche io”.

“Perché, Bella, perché? Torturare i Paciock… ora che è tutto finito!”

Bellatrix sussultò e fece per scattare, ma le catene si strinsero ancora di più intorno ai suoi polsi, scavando nella pelle e facendole uscire un ruggito di dolore.

“Finito?!” strillò come in preda al panico “Tu non sai quello che dici, Dromeda! Non può essere finito, nulla è finito finché il Signore Oscuro… Lui non può…” la voce le si ruppe, si morse le labbra. Avrebbe voluto tirare pugni sul tavolo, rompere qualcosa, scalciare, tirarsi i capelli… qualsiasi cosa che non la facesse pensare.

“Calmati Bella!” urlò Andromeda alzandosi in piedi e facendo per avvicinarsi, poi si bloccò. Cosa poteva fare? Il suo primo istinto era stato quello di correre da lei e abbracciarla ma… fissò Bellatrix che si dimenava come un animale in gabbia, come se fosse stata colpita da una Cruciatus. Sembrava folle. Vedeva le catene stringerla sempre di più, tagliandola, del sangue iniziò a colarle sulle braccia, ma Bellatrix non se ne curava, non sembrava neanche essersene resa conto.

Andromeda fece un profondo respiro e si decise ad avvicinarsi alla sorella, posandole una mano sulla spalla. Lentamente Bellatrix sembrò tornare alla realtà, calmandosi. Non doveva pensare a Lui, doveva bandirlo dalla sua testa, dal suo cuore, dalla sua anima, doveva cercare di non soffermarsi sul fatto che… ecco, no, non doveva pensarci.

“Ho capito sai” le disse Andromeda allontanandosi di nuovo da lei “Credo che anche io starei così, dovessi perdere Ted”

Gli occhi di Bellatrix lampeggiarono.

“Non osare! Non osare paragonare il Signore Oscuro a quello sporco Babbano con cui ti sei accoppiata!”

Andromeda alzò le mani.

“Va bene Bella, basta, forse è meglio non parlare. Guardiamoci in silenzio, va bene uguale”

Bellatrix emise un gemito basso, lasciando cadere di nuovo la testa sul petto, prostrata.

“Verrai al processo?” le domandò dopo alcuni momenti di silenzio.

Andromeda la fissò sorpresa.

“Se vuoi…”

“Credo mi farebbe bene vedere uno sguardo amico in mezzo alla folla inferocita. Non pensi a cosa diranno di te? Mi sei venuta a trovare, verrai al processo…”

“Possono dire quello che vogliono. Non mi è importato quello che voi, la mia famiglia, avete detto quando mi sono sposata con Ted, pensi possa interessarmi l’opinione degli sconosciuti? Figurati” rispose
Andromeda con decisione.

“Quanti anni ha?”

“Chi?”

“Lo sgorbio”

Andromeda raddrizzò la schiena. Fossero state in qualsiasi altra situazione avrebbe affatturato Bellatrix.
Poteva insultare lei, poteva anche insultare Ted, volendo, ma no, non Ninfadora, non la sua bambina. Poi però, si fece strada dentro di lei un’altra consapevolezza: Bellatrix aveva chiesto della sua bambina, della bambina che secondo la loro famiglia doveva essere un abominio. Lo faceva a modo suo, lo faceva insultando, ma lo faceva. In fondo, da qualche parte dietro quella strega oscura, sua sorella Bellatrix, la bambina che le raccontava le fiabe della buonanotte, la ragazza che le era sempre stata accanto a Hogwarts, era ancora lì. L’aveva pensata in quegli anni. Magari le era anche mancata.

“Ninfadora…”

“Cos’è, una malattia?”

Andromeda l’ignorò.

“Ninfadora ha otto anni. È una metamorphomagus. Ti piacerebbe, è una ragazza in gamba! Ma dubito verrà smistata in Serpeverde” disse Andromeda pensierosa e, effettivamente, non vedeva proprio la sua Dora nella Sala Comune sotto il Lago Nero. Quasi ridacchiò pensandola mentre faceva cadere qualche cimelio nella Sala Comune con i compagni Serpeverde che la guardavano allibiti.

Le due porte si aprirono all’improvviso, Auror e dissennatori fecero il loro ingresso. Andromeda vide di nuovo Bellatrix accasciarsi, dimenarsi.

“Padrone… Mio Signore…” la sentì mormorare, come in preda a un deliro.

“Forza signora Tonks. Il tempo è finito” la informò l’Auror che l’aveva scortata fino a là. Andromeda si alzò continuando a osservare Bellatrix, già vestita come una galeotta, e si rese conto come stesse, di fatto, già scontando la sua pena: Azkaban o non Azkaban, Bellatrix senza quell’uomo soffriva le pene dell’inferno.

“Certo che è in gamba, ha sangue Black”

Andromeda si voltò di scatto, proprio sulla porta. Non poteva credere che fosse stata Bellatrix a dire quelle parole ma sua sorella la stava guardando da sopra la spalla e negli occhi, ne era certa, vi leggeva dell’affetto.

“Arrivederci, Dromeda”

“Arrivederci, Bella”.
 
***

Andromeda e Ted entrarono nell’aula pochi minuti prima del processo. L’aria era tesa, si percepiva odio e rancore nell’atmosfera. Alcune persone si voltarono al suo ingresso, per poi bisbigliare alle sue spalle, indicandola e schernendola. Andromeda li ignorò. La Gazzetta del Profeta erano due giorni che le dava contro.
 
BLACK RINNEGATA O SORELLE MANGIAMORTE?
 
Questo era stato l’articolo – firmato da Rita Skeeter - pubblicato il giorno seguente al suo incontro con Bellatrix. Poco importava cosa pensassero i giornali o le persone, avrebbero potuto indagare quanto volevano, lei di oscuro aveva solo il cognome da nubile.

“Ignorali e basta, Dromeda. Sono davvero persone disgustose” le sussurrò Ted stringendole più forte la mano. Come si era aspettata, nessuno della sua famiglia era presente e, se da una parte la cosa la rincuorò – non aveva proprio voglia di vedere Druella e Cygnus – dall’altra le diede da pensare. Possibile che per i suoi genitori anche Bellatrix fosse finita tra i “rinnegati”? Se non di fatto con l’eliminazione dall’albero, almeno di fronte alla società. Possibile che la paura di essere imputati fosse più forte del loro affetto per la figlia? Si diede della stupida, certo che era possibile. Era esattamente quello che avevano fatto a lei.

“Guarda! C’è Silente, ti va di salutarlo?” le chiese Ted, indicando l’uomo dalla lunga barba bianca seduto poco dietro a Crouch. Più si avvicinavano a Silente, più Andromeda sentiva forte i singhiozzi e i singulti provenienti dalla donna ossuta seduta vicino a Crouch che, dopo poco, riconobbe essere la moglie. Li aveva visti diverse volte agli eventi organizzati dai Purosangue.

“Professor Silente!” chiamò Ted, colpendo l’anziano uomo sulla spalla per richiamare la sua attenzione.

“Oh, Ted e Andromeda. Un piacere vedervi anche se non in buone circostanze” li salutò il professore sorridendo a entrambi con calore e stringendo loro la mano.

“Ho sentito che sei andata a trovare Bellatrix, è stato davvero un bel gesto”

“Credo sia l’unico a pensarla così, professore” rispose Andromeda sospirando e indicando con la testa i maghi e le streghe che le sparlavano dietro.

“Non tutti si rendono conto cosa voglia dire volere bene alle persone sbagliate. Pur condannando le azioni, detestando il loro pensiero… alle volte non si riesce però a mettere un freno ai sentimenti. Come dicono i Babbani: al cuor non si comanda” le disse saggiamente Silente.

Andromeda rimase per un attimo in silenzio, fissando le quattro sedie con le catene sulle quali a breve sarebbero stati fatti sedere i prigionieri.

“Bella è innamorata”

Silente alzò le sopracciglia.

“Credo che anche Rodol…”

“No, non Rodolphus… è innamorata di…” si guardò intorno e poi abbassò drasticamente il tono della voce, avvicinandosi di più a Silente “… Lui”. Riprese fiato e guardò Silente dritto negli occhi. “Com’è possibile provare quel tipo di sentimento per una persona del genere? Non sono neanche sicura si possa considerare più una persona”

“Lord Voldemort, o meglio, Tom Riddle, è sicuramente umano”

Andromeda sussultò leggermente nel sentire pronunciare ad alta voce quel nome.

“Come dicevo, al cuor non si comanda… certo che non avrei…” s’interruppe bruscamente: il processo stava per iniziare.

Andromeda e Ted presero posto in silenzio mentre sei dissennatori scivolavano all’interno della sala scortando i quattro prigionieri. Vide Bellatrix sedersi su quella sedia come una regina su un trono, con un atteggiamento completamente differente rispetto a quello che aveva avuto appena due giorni prima. Ma, d’altra parte, la capiva. Voleva far vedere al mondo come lei fosse forte, come non avessero vinto su di lei, come fosse una guerriera.

Il processo fu breve e straziante, ad Andromeda Barty Junior non sembrava altro che un ragazzo impaurito, forse finito nel giro di amicizie sbagliate, forse colto nel posto sbagliato al momento sbagliato. Non si spiegava come Crouch Senior potesse spedirlo ad Azkaban così, come se niente fosse. Lei, fosse stata in Crouch, avrebbe sicuramente lasciato il suo posto di giudice a qualcun altro… non avrebbe avuto mai il cuore di spedire la sua Dora ad Azkaban, anche se se lo fosse meritato. Che ci andasse, ma che fosse qualcun altro l’artefice di quel destino. Per le mutande di Merlino! Non era neanche del tutto sicura sarebbe stata in grado di mandarci Bellatrix, figurarsi la sua bambina. Ma invece Crouch sembrava rigido e inflessibile, al contrario della moglie che continuava a piangere e a disperarsi. Lo sguardo di Andromeda si spostò dalla signora Crouch a Bellatrix e, per un attimo, i loro sguardi s’incrociarono. Bellatrix fece un lieve cenno di assenso col capo.

Abbiamo ascoltato le testimonianze contro di voi. Siete accusati di aver catturato un Auror – Frank Paciock – e di averlo sottoposto a Maledizione Cruciatus, convinti che conoscesse l’attuale dimora del vostro signore in esilio, Colui-Che-Non-Deve-Essere-Nominato…

Barty Junior prese a strillare più forte.

Siete inoltre accusati di aver usato la Maledizione Cruciatus contro la moglie di Frank Paciock, quando egli non vi ha dato le informazioni richieste. Avete progettato di restaurare il dominio di Colui-Che-Non-Deve-Essere-Nominato, e di tornare alla vita di violenza che probabilmente avete condotto quando era potente. Io ora chiedo alla giuria…

Madre!” urlò Barty Junior e la donna ossuta accanto a Crouch Senior singhiozzò più forte dondolandosi avanti e indietro. Andromeda strinse più forte la mano di Ted. Era uno spettacolo indegno. Era tutto senza senso. Sapeva che i quattro si meritavano il verdetto che a breve sarebbe arrivato, anzi, forse era anche poco… ma come può un genitore rimanere indifferente alla sofferenza di un figlio? Come può una sorella minore rimanere indifferente alla follia della sorella maggiore?

Madre, fermalo, madre, non ho fatto niente, non sono stato io!

Io ora chiedo alla giuria di alzare la mano se è convinta, come me, che questi crimini meritino una condanna a vita ad Azkaban!

Andromeda si volse a guardare la giuria, posta sull’ala destra e, come un sol uomo, maghi e streghe alzarono immediatamente la mano. La folla intorno ad Andromeda iniziò a festeggiare, ad applaudire, soddisfatta del verdetto e, anche una parte di Andromeda, si sentiva sollevata nel sapere che quelle persone non sarebbero più state a piede libero nella società, non avrebbero più potuto fare del male a Ted o a Dora…

Le urla del ragazzo si fecero disumane, iniziò a pregare i genitori… Andromeda non riusciva a sopportare quello spettacolo. Si concentrò invece sulla sorella che aveva preso la sentenza con assoluta nonchalance, come se le avessero appena detto che aveva vinto un viaggio alle Hawaii. La vide alzarsi in piedi e fissare Crouch con sguardo di puro odio.

Il Signore Oscuro risorgerà, Crouch! Gettaci pure ad Azkaban, noi aspetteremo! Risorgerà e verrà a cercarci, e ricompenserà noi più di ogni suo altro seguace! Solo noi siamo fedeli! Solo noi abbiamo cercato di trovarlo!

Queste parole di Bellatrix parvero rompere un argine. Le persone presenti in aula iniziarono a urlare contro, a schernirla e a insultarla.

“Bastarda!”

“Puttana”

“Ti meriti solo di marcire ad Azkaban”

“Avrebbero dovuto condannarti al bacio del dissennatore!”

Gli Auror estrassero le bacchette per contenere la folla, Andromeda si ritrovò schiacciata tra persone che spingevano per arrivare a Bellatrix e agli altri condannati, mentre altre persone cercavano di andarsene per non rimanere coinvolti in quella rissa. Ted strinse più forte la mano di Andromeda per non perderla, si fecero strada sgusciando tra braccia estranee, corpi sudati, mantelli pregni di odore. In molti si voltarono a guardare Andromeda, alcuni le sussurrarono parole minacciose e Andromeda si ritrovò a pensare che combattere l’odio con altro odio non produceva altro che ulteriore odio. Odio diretto anche a persone che, come loro, detestavano il regime che avrebbe voluto instaurare Colui-Che-Non-Deve-Essere-Nominato, che, come loro, amavano persone che i Purosangue definivano “Sanguesporco”, “Mezzosangue”… che disprezzavano lei che, ogni domenica, si recava dai suoceri Babbani e aiutava la mamma di Ted a cucinare senza magia. La odiavano perché non riusciva a odiare sua sorella. Si sentiva così confusa. I suoi sentimenti nei confronti di Bellatrix non erano mai stati così complicati. Odiava quello che aveva fatto. Odiava quello che era diventata ma, allo stesso tempo, amava sua sorella, quella che era stata e che ancora intravedeva.

“Addio, Bella” sussurrò poco prima di uscire dall’aula, scorgendo la chioma folta di Bellatrix sparire oltre la porta insieme ai dissennatori.

Odi et amo. Quare id faciam, fortasse requiris. Nescio, sed fieri sentio et excrucior.


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Allora, che dire di questa ff? Non credo sarà più lunga di tre o quattro capitoli. Ho segnalato il possibile OOC nell'introduzione giusto per andare sul sicuro, più che altro per i prossimi capitoli.
È da qualche giorno che mi sono impuntata sul rapporto tra le sorelle Black, in particolare Andromeda e Bellatrix. Nelle ff che ho letto di solito le due si detestano, ecco, come avrete capito per me non è così. Anzi. Ho sempre pensato che Andromeda e Bellatrix avessero un bellissimo rapporto prima che la prima si sposasse con Ted e “tradisse” la famiglia.
Niente, direi che questo è tutto.
A presto,
Clo.

P.S. le parti in grassetto sono prese direttamente dal Calice di Fuoco, nel capitolo in cui Harry entra nel pensatoio di Silente (intorno a pagina 500).
  
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