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Autore: Mari_Criscuolo    04/02/2020    1 recensioni
Leila (Ella) ha 22 anni e vive a Napoli, ma, dopo la laurea triennale in psicologia, si trasferisce a Roma, per continuare il suo percorso di studi.
Sofia, sua amica da otto anni, ha deciso di seguirla.
Entrambe mosse dalla stessa chimera: lottare per la propria felicità.
Ella ha compiuto una scelta che ha fatto soffrire molte persone.
Nonostante non ne se ne sia mai pentita, sa che ogni decisione comporta delle conseguenze e lei sta ancora scontando la pena che le è stata imposta.
È convinta di essere in grado di affrontare ogni difficoltà la vita le metterà sul suo cammino, perché l'inferno lo ha vissuto, deve solo trovare il modo di non ritornarci.
Una ragazza con le sue piccole manie e le sue paure.
Una ragazza che usa il sarcasmo e l'ironia per comunicare il suo affetto e, allo stesso tempo, proteggersi da chi si aspetta, da lei, cose che non può e non vuole fare.
La sua famiglia, Sofia con suo fratello Lorenzo e, infine, un incontro inaspettato, la sosterranno nella sua scalata verso la tanto agognata libertà.
Genere: Generale, Introspettivo, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Ella fu strappata dal suo sonno da una spiacevole sensazione di oppressione che le rendeva difficoltoso respirare.
 
Ancora intontita e con gli occhi chiusi, mosse la mano in direzione del proprio addome per capire quale fosse il problema. Le dita sfiorarono qualcosa di molto morbido al tatto, ma con il cervello ancora spento, non riuscì ad associare quella sensazione all'oggetto che gliele stava trasmettendo. Continuò a muovere le dita, ormai totalmente immerse in quel soffice volume, scoprendo quando fosse rilassante e piacevole perdersi in quelle carezze.
 
In quel momento, la massa non identificata si mosse, sistemandosi meglio sulla pancia per ottenere un maggior contatto con la sua mano.
 
I ricordi della serata precedente riempirono la mente di Ella, che sbarrò gli occhi sconcertata da ciò che immaginava avrebbe visto.
 
Era troppo giovane per iniziare a soffrire di allucinazioni, però, se fossero state sempre così belle, avrebbe anche potuto farci l'abitudine.
 
Gabriele le si era spalmato addosso durante la notte.
 
Ciò che Ella stava accarezzando erano i suoi capelli arruffati, mentre il peso che le premeva sull'addome era la testa. Con il suo braccio destro, Gabriele le avvolgeva in una ferrea stretta il fianco sinistro, sia per tenerla più vicina, sia per evitare che cadesse dal divano, dal momento che si trovava all'esterno.
 
Non poteva vedere il suo viso, ma sembrava così sereno e tranquillo perso in chissà quale sogno, che le dispiacque l'idea di doverlo svegliare.
 
Se non fosse stato per la mancanza di ossigeno, lo avrebbe lasciato riposare in pace.
 
Dovette ammettere a sé stessa che tutta quella situazione le stava trasmettendo una piacevole quanto inquietante sensazione di felicità, ma era necessario anche fare i conti con la realtà.
 
«Gabriele, svegliati» sussurrò, mentre provava a spostare delicatamente il braccio che la stringeva.
 
In risposta a quell'inutile tentativo, Gabriele borbottò qualcosa che Ella non riuscì a comprendere e aumentò maggiormente la presa sul suo bacino.
 
«Pigrone ammasso di muscoli, mi stai soffocando» lo rimproverò, spingendolo con più forza.
 
Davvero ci provava a essere gentile, ma puntualmente nessuno la ascoltava se non alzava il tono di voce.
 
Gabriele produsse qualche verso sconosciuto e impossibile da riprodurre, mentre scivolava più in basso.
 
La situazione stava diventando decisamente imbarazzante, anche se la sua espressione assonnata era così buffa e tenera che si dimenticò completamente della zona del suo corpo che Gabriele aveva appena sorvolato con il viso.
 
Ella rivolse uno sguardo al soffitto, grata per l'aria che stava finalmente riprendendo a circolare liberamente nei polmoni.
 
«Adesso va meglio?» chiese Gabriele con voce debole e impastata, mentre sfregava la guancia sulle cosce di Ella alla ricerca della posizione più comoda.
 
«Oh Signore, aria!» esclamò Ella.
 
«Drammatica» commentò con la voce deformata per uno sbadiglio trattenuto.
 
«Scusami, ma ho sognato che un serpente mi stesse stritolando e quando mi sono svegliata ho capito che era solo la tua testa il motivo per cui respiravo male.
 
Parlare senza poterlo guardare in viso era frustrante, ma sembrava così intenzionato a non lasciarla andare che si dovette accontentare di conversare con il cespuglio deforme che si era impossessato dei suoi capelli.
 
Gabriele avrebbe potuto allontanarsi da lei per ritornare nella stessa posizione in cui si era addormentato la sera precedente, ma aveva pensato che, se Ella aveva provato a svegliarlo invece di scaraventarlo giù dal divano, avrebbe potuto semplicemente cambiare zona e tastare i suoi limiti. Se Ella non si spostava era perché evidentemente piaceva anche a lei la sensazione dei loro corpi a contatto, anche se separati da qualche strato di stoffa.
 
«Avresti preferito la posassi più sopra?» chiese beffardo ed Ella immaginò il sorrisetto sfacciato che gli stava sicuramente increspando le labbra.
 
«Vuoi un pugno in faccia di prima mattina?»
 
«Preferirei un bacio» rispose con voce melliflua.
 
«Non hai possibilità di scegliere e, comunque, perché non mi spieghi il motivo il tutto questo?» domandò Ella, spinta sia dalla curiosità di ascoltare la sua giustificazione, ma soprattutto dal desiderio di sfuggire all'immagine che la sua mente aveva ricreato alla proposta di Gabriele.
 
Aveva pensato e sognato troppe volte quel momento, vedendosi costretta poi a rinchiuderlo in un luogo dal quale non sarebbe più dovuto uscire per ritornarle a farle del male.
 
Dopo tutto ciò che era accaduto, Gabriele avrebbe dovuto avvalersi di molto più di qualche frase dolce e gentile, se avesse voluto farla cedere e riconquistare del tutto la sua fiducia.
 
«Non è stata colpa mia. Evidentemente nel sonno ho sentito la mancanza di un cuscino e tu sei davvero morbida e comoda.» Il viso di Gabriele si inabissò ancora di più nelle sue cosce, come ad avvalorare la sua affermazione.
 
Ella, per quanto imbarazzata dalla situazione che si stava venendo a creare, non riuscì a trattenere un sorriso di fronte a tutta la tenerezza che quel ragazzo le stava regalando e alla semplicità con cui le dimostrava affetto. Giorno dopo giorno stava riuscendo nell'intento di trasformala in una caramella zuccherata e lei non riusciva più a opporsi. Ogni carezza, ogni stretta, ogni parola dolce che le riservava riusciva a riempire il suo cuore di felicità, inducendolo ad aumentare le pulsazioni.
 
«Posso inserire questa mia qualità nel curriculum, magari mi prendono in qualche spot pubblicitario per i materassi» propose, ridendo della sua stessa idea.
 
«Non credo sia il caso» borbottò lamentoso Gabriele.
 
«Perché?»
 
«Se il mondo venisse a conoscenza di questo tuo segreto si approfitterebbe di te e tu non vuoi essere usata.»
 
«Hai ragione. Meglio che nessuno usufruisca delle mie doti nascoste.»
 
«Proprio nessuno?»
 
Dopo quanto Ella gli aveva raccontato la sera precedente, Gabriele avrebbe voluto vivere in quel momento per sempre. Solo il pensiero di dover attraversare la porta di ingresso e salutarla gli provocava un'insopportabile sensazione di vuoto allo stomaco.
 
Pensò che se non l'avesse lasciata andare, avrebbe potuto proteggerla da Matteo e da chiunque avesse provato a farle del male, compresa sé stessa, ma a quel punto lui si sarebbe trasformato nel suo nuovo carnefice.
 
Parte della bellezza di Ella risiedeva nella libertà del suo pensiero e del suo carattere e Gabriele non aveva nessun diritto per portarle via ciò che la rendeva così speciale.
 
L'avrebbe protetta in pieno giorno, tra le strade soleggiate e trafficate di tutte le città che avrebbe deciso di esplorare; l'avrebbe protetta in piena notte, quando gli avrebbe concesso di portarla a casa da lavoro; l'avrebbe protetta durante il sonno, quando sarebbe stata troppo vulnerabile per mandare via le sue paure.
 
Avrebbe fatto tutto questo nel suo silenzio, nascosto nell'ombra, perché la conosceva così bene da sapere che non avrebbe accettato la protezione di nessuno. Era troppo orgogliosa e fiera della propria indipendenza da non accorgersi che, permettere a qualcuno di prendersi cura di lei, non significava essere dipendenti o deboli.
 
Gabriele era così immerso nelle sue riflessioni da aver perso contatto con la realtà ed Ella, approfittando del momento di distrazione, ruotò velocemente entrambe le gambe verso l'esterno.
 
Il ragazzo non si rese conto di ciò che stava accadendo fino a quando il suo fondoschiena non entrò in violenta collisione con le fredde mattonelle del pavimento.
 
«Sei una perfida strega» la accusò dopo aver preso coscienza dell'accaduto.
 
«Lo hai detto tu che, se mi avessi abbracciata, ti avrei buttato a calci giù dal divano. Ho solo confermato il tuo pronostico» ribatté Ella gongolante di gioia, mentre si sollevava di mezzo busto per poggiarsi sui gomiti, in modo da avere una visuale completa del suo operato.
 
«Avrò la mia vendetta.» La minaccia di Gabriele era debole, perché non era riuscito a camuffare il luccichio di divertimento riflesso nei suoi occhi, nonostante si stesse sforzando per mantenere l'espressione del viso più neutra possibile.
 
«Ti aspetto al varco, Willy.»
 
Gabriele impiegò qualche istante per collegare il nome con cui lo aveva chiamato al delfino protagonista di un film, ma quando lo capì non poté evitare di sorridere.
 
Ella lo aveva battezzato in quel modo al liceo e la motivazione che accompagnava quel nome si basava sulla teoria che lui fosse troppo dolce e gentile per essere soprannominato squalo.
 
«Sarà meglio che vada prima che mi lanci direttamente giù dal balcone» disse Gabriele, alzandosi da terra.
 
«Non vuoi fare colazione?» chiese Ella, scalciando le coperte per mettersi in piedi svogliatamente.
 
No, grazie. Stamattina avevo in programma di studiare, perché oggi ho gli allenamenti e sono in ritardo sulla tabella di marcia» rispose, iniziando a sollevare il bordo inferiore della felpa.
 
«Tienila, ne ho altre.»
 
«Sicura?»
 
«Si. È da uomo e poi sta meglio a te che a me.»
 
Gabriele le rivolse istintivamente uno sguardo confuso, ma Ella riuscì a scorgervi anche una punta di insofferenza e repulsione.
 
«So a cosa stai pensando e no, non è di Matteo. Le sue cose credo di averle buttate tutte, in ogni caso amo i vestiti da uomo e, se aprissi il mio armadio, troveresti anche qualche camicia che potrebbe andarti bene.»
 
Alle sue spiegazioni, il viso di Gabriele si rilassò visibilmente. La sua reazione non poteva essere definita come gelosia, piuttosto rabbia e viscerale senso di schifo nei confronti di chi l'aveva profondamente ferita.
 
«Sono convinto che quelle donerebbero molto più a te. Ti lascio la mia, mi sembra uno scambio equo.»
 
Il suo stesso invito fece emergere dalle sue fantasie un'immagine di Ella con indosso la sua camicia. Gabriele si vide costretto a sbattere più volte le palpebre per riprendersi da quella eccitante quanto sconvolgente visione, prima che perdesse totalmente il controllo sui propri ormoni.
 
«Così mi priveresti di altre visioni come quelle di ieri? Non posso arrecare un danno simile al genere femminile» commentò Ella sarcasticamente, provando a camuffare l'imbarazzo creato dalla situazione.
 
«Fidati, sopravvivranno» rispose sorridendole, mentre le porgeva l'indumento.
 
«Adesso, sarà meglio che vada» continuò, infilandosi il giubbino di pelle e avviandosi verso la porta d'ingresso.
 
Ella lo seguì, chiedendosi il motivo di tutta quella fretta.
 
«Ci vediamo domenica» la salutò frettolosamente, guardandola di sfuggita.
 
«Farò del mio meglio per non cambiare idea.» Gabriele sembrò non ascoltare la sua provocazione ironica che non sortì in lui nessun effetto.
 
Sembrava stesse fuggendo da un segugio infernale, eppure era stata decisamente molto affabile per i suoi standard.
 
Un senso di angoscia pervase le sue viscere, inducendola a interrogarsi ossessivamente sui possibili errori che aveva commesso e a cosa stesse pensando di così spaventoso da farlo fuggire.
 
Gabriele era già fuori alla porta, in procinto di scendere le scale, quando Ella lo fermò, correndo nella sua direzione.
 
«Aspetta!»
 
Per la prima volta nella sua vita, dopo tanto tempo, non sapeva cosa stesse facendo.
 
L'unica cosa di cui era certa era che non voleva che Gabriele se ne andasse in quel modo.
 
Aveva messo da parte la ragione, lasciando che l'istinto prevalesse e avrebbe potuto dire con assoluta certezza che non si era mai sentita così bene, prima di quel momento.
 
Il ragazzo si voltò nella sua direzione, giusto in tempo per afferrarle i fianchi e impedire che lo slancio di Ella facesse perdere ad entrambi l'equilibrio.
 
Per la seconda volta nell'arco di mezz'ora, Gabriele non riuscì a comprendere nell'immediato cosa stesse succedendo.
 
Il suo corpo percepì il contatto delicato prima che venisse elaborato dal cervello. Quando la nebbia della confusione si diradò nella sua mente, Gabriele rivisse la scena da poco accaduta a rallentatore.
 
Le labbra morbide di Ella, ancora leggermente gonfie e intorpidite per il sonno, si erano posate leggere sulla sua guancia.
 
«Grazie» disse Ella, interrompendo quella dolce carezza.
 
Gli occhi di Gabriele erano ancora sgranati per la sorpresa, ma, sotto lo sguardo felice di Ella, si riscosse completamente, ricambiando il suo sorriso.
 
Le sue mani abbracciavano ancora la sua vita, in una stretta lieve e quasi impercettibile. La spontanea delicatezza che le mostrava, anche quando lo coglieva di sorpresa, avrebbe potuto abbattere qualsiasi muro avesse deciso di innalzare.
 
«Buona giornata, perfida strega.»
 
Gabriele si chinò in avanti quel tanto che bastava per restituire il bacio che Ella gli aveva regalato.
 
Quando lasciò la presa su di lei, entrambi percepirono la mancanza della presenza dell'altro, come se una forza esterna avesse strappato loro qualcosa senza la quale sarebbe stato impossibile continuare a vivere serenamente.
 
Ella deglutì, sperando che quel gesto potesse bastare ad allontanare da lei quella sensazione che le stava stringendo la gola.
 
Aspettò che Gabriele scomparisse completamente dalla sua vista, prima di rientrare in casa a malincuore.
 
Fu così strano, ma al contempo naturale, pensare che quell'appartamento non fosse più lo stesso senza di lui, anche il divano sembrava aver perso colore.
 
Stava decisamente impazzendo, eppure era quella la scia che i suoi sentimenti volevano continuare a percorrere, perché quando una persona importante se ne andava, che fosse per qualche minuto, un'ora, un giorno o per sempre, apriva una voragine difficile da richiudere.
 
«Ella, ti reputavo una ragazza più responsabile. È entrato da due minuti nella tua vita e lasci già che ti si spiaccichi addosso come una cozza.»
 
Il tono di rimprovero, che aveva colorato la voce di Lorenzo, la strappò con violenza alle sue riflessioni.
 
«Trentatré trentini entrarono a Trento tutti e trentatré trotterellando» rispose, dandogli le spalle per dirigersi in cucina a prepararsi un caffè molto forte e molto amaro.
 
«Non credo di aver capito il senso.»
 
Ella gli concesse la propria attenzione, mentre inseriva la capsula nella macchinetta.
 
Era ancora in pigiama, quindi, con molta probabilità, si era svegliato da poco. Questa osservazione la spinse a chiedersi come potesse avere la volontà e la pazienza di essere tremendamente irritante appena sceso dal letto.
 
«So che questo scioglilingua non è all'altezza della tua brillante affermazione, ma non credo riuscirei mai a trovare qualcosa di più inutile, insensato e superficiale di ciò che hai appena avuto il coraggio di pronunciare.»
 
L'affetto che Sofia e Lorenzo provavano per lei sembrava gli avesse conferito il diritto di indossare i panni di angeli custodi strafatti di acqua santa.
 
Avevano sempre avuto il brutto vizio di trattarla con i guanti, ma alla luce degli ultimi accadimenti la situazione era drasticamente peggiorata.
 
Capiva la preoccupazione, ma darle dell'irresponsabile poco di buono era decisamente troppo. Esistevano modi decisamente più amabili per manifestare il proprio riserbo, che Lorenzo, evidentemente, non conosceva.
 
«Non poteva tornare a casa sua?»
 
Quella domanda poteva essere confusa per una semplice curiosità, ma, dal tono e dallo sguardo con cui gliel'aveva rivolta, Ella capì che celava un'implicita accusa.
 
Proprio non riusciva a capire cosa ci fosse di così sbagliato, tanto da essere stata capace di suscitare tutto quell'astio.
 
«Si è offerto di farmi compagnia fino al tuo ritorno, ma io gli ho detto che se voleva rimanere avrebbe trascorso qui la notte e ci siamo addormentati sul divano. Perché diavolo ti sto dando delle spiegazioni sulla mia vita privata?» chiese Ella a sé stessa, con voce eccessivamente acuta.
 
La stava trattando come se avesse commesso un genocidio di poveri bambini innocenti, anzi, in quel caso sarebbe stato sicuramente più comprensivo.
 
«Perché viviamo sotto lo stesso tetto» rispose Lorenzo, indicando con entrambe le braccia lo spazio circostante.
 
«Beh, non mi pare che quando Cristina o Luca dormono qui, io trasformi la questione in un affare di stato» ribatté Ella, mentre schiacciava con troppa forza il pulsante che azionava la macchinetta del caffè.
 
Desiderava così ardentemente che sotto il suo dito si trovasse, invece, la testa di Lorenzo solo per il gusto di spremerla come se fosse un brufolo brutto e fastidioso.
 
«Loro sono nostri amici, invece, Gabriele chi è per noi?»
 
Ella aveva intuito che Lorenzo provasse per lui una sorta di antipatia dal giorno della partita di Sofia.
 
Nemmeno il tempo di presentarsi e già si stava impegnando nel tentativo di farlo sentire a disagio, per non parlare di quando erano ritornati sugli spalti. Aveva trascorso tutto il tempo del secondo set a rivolgergli occhiate sospettose e avverse, come se si aspettasse che da un momento all'altro potesse cacciare un coltello dalla tasca del pantalone e puntarglielo alla gola per prenderla in ostaggio.
 
«Ti ricordo che, prima di diventare anche miei amici, Cristina era la ragazza di Sofia e Luca il tuo collega di università. In più, io, Sofia e Gabriele siamo stati compagni di classe alle superiori.
 
Ti consiglio di smetterla perché più parli e più peggiori la tua situazione.»
 
Non riusciva a capacitarsi di come facesse a non accorgersi di quanto si stesse comportando in modo ridicolo e infantile.
 
«Beh, a me non piace» affermò soddisfatto, incrociando le braccia sotto lo sguardo incredulo di Ella, che non faceva che ripensare a quando gli avesse chiesto un parere a riguardo
 
«Mi susciterebbe più interesse vedere due farfalle riprodursi che considerare un'opinione viziata basata sul nulla cosmico che si espande nel tuo cervello ogni secondo che passa. Insomma, che ti prende?»
 
Ella bevve un lungo sorso di caffè nella speranza che le desse la forza necessaria per condurre una conversazione completamente priva di senso.
 
«Non è una persona su cui poter fare affidamento. Cosa gli impedisce di andarsene di nuovo come un codardo?»
 
Quella era decisamente la domanda più sbagliata che potesse farle: primo, perché non erano affari suoi; secondo, perché chi parlava senza cognizione di causa le faceva perdere la pazienza alla stessa velocità con cui Sofia schiacciava un pallone al di là della rete.
 
«Tu non lo conosci, quindi non puoi permetterti di fare insinuazioni. Solo io posso insultarlo e se voglio andare a sbattere contro un muro, dopo mi assumerò la responsabilità delle mie azioni. Sono capace di intendere e di volere e posso prendere una decisione da sola.»
 
Ella era così arrabbiata che posò, con poca delicatezza, la tazzina nel lavandino, prima che prevalesse l'istinto di lanciarla in faccia a Lorenzo.
 
«Ti farai del male.»
 
Quello che doveva essere un avvertimento aveva assunto le sembianze di una minaccia.
 
Ella dovette domandarsi se non fosse esattamente ciò che Lorenzo sperava che accadesse solo per rinfacciarle che lo aveva previsto.
 
«L'oracolo di Delfi era più criptico. Dovresti fare un corso accelerato di cultura greca prima di poterti atteggiare a profeta. In questo momento sembri solo un gran coglione, fidati.»
 
«Perché sei così ottusa?» chiese Lorenzo con voce fin troppo esasperata.
 
«Evidentemente ho delle tendenze masochistiche represse che vogliono vedere la luce del sole. La prima volta non mi è bastata visto che sono ancora viva, ma magari potrebbe andarmi meglio con la seconda. Non vedo l'ora di poter pregustare la terza, magari invece di uno stalker riesco a trovare un serial killer, tu che dici? Potrebbe essere la base per una buona sceneggiatura, devo parlarne a Gabriele.»
 
I toni si stavano innalzando drasticamente, mentre l'aria intorno a loro era diventata più calda e densa di particelle negative. Non si sarebbe stupita se da lì a qualche minuto si sarebbe scatenata una tempesta di tutto rispetto.
 
Ella ci sperava, perché era intenzionata ad affondare lui e i suoi istinti primordiali.
 
«Sei caduta di testa di prima mattina?»
 
«Sei tu che l'hai sbattuta nel cesso. Valla a recupereremo assieme alla merda che ti è uscita dalle orecchie, deve essere ancora in ammollo nell'acqua.»
 
Quando la rabbia prendeva possesso di lei diventava più volgare di uno scaricatore di porto, non che le importasse, perché a tratti era anche divertente dare libero sfogo al suo animo rozzo.
 
«Tra noi sono l'unico abbastanza lucido da vedere chiaramente tutta questa situazione. Sembri sempre così controllata emotivamente, ma, a quanto pare, basta che nella tua vita ricompaia un nuotatore di un metro e ottanta per mandare il tuo cervello fuori uso.»
 
Ella dovette sbattere più volte le palpebre, perché si rifiutava categoricamente di estrapolarne il significato implicito da quelle parole.
 
Le aveva appena detto di essere una ragazza facile e lui se ne stava tranquillamente appoggiato con la schiena all'isola della cucina, come se le avesse domandato cosa si mangiasse a pranzo.
 
Tra l'esame di abilitazione, il lavoro e lo studio di avvocati, i neuroni doveva esserseli bruciati davvero tutti, altrimenti non riusciva e non voleva spiegarsi quelle insinuazioni.
 
«Lorenzo ma invece dello zucchero, hai messo la cocaina nel caffè? Non lo so, stai iniziando ad avere le allucinazioni? Devo farti internare per schizofrenia?»
 
Preferiva attribuire il suo comportamento alla sua momentanea incapacità di intendere, piuttosto che sentirsi dire che sapeva esattamente cosa stesse farneticando.
 
«Sto provando a farti aprire gli occhi»
 
Quella misera giustificazione faceva acqua da tutte le parti. Forse la regina di cuori nella notte era uscita dal romanzo di Lewis Carroll e gli aveva tagliato la testa nel sonno, perché nulla in lui era al posto giusto in quel momento.
 
«Davvero stai facendo tutto questo casino perché ci hai visti addormentati sul divano? Se ci avessi trovati nudi, ti sarebbe venuto direttamente un infarto?»
 
Ella ormai stava urlando e non si sarebbe stupita se i vicini di casa si fossero appostati fuori alla porta del loro appartamento per seguire con interesse quella commedia spicciola, che Lorenzo aveva deciso di mettere in scena.
 
«In quel caso probabilmente lo avrei preso a calci.»
 
«Adesso mi sto seriamente incazzando» Ella sbatte violentemente i palmi di entrambe le mani sul tavolo, dedicandogli uno sguardo così freddo da farlo bruciare. «Ma chi ti credi di essere per dirmi cosa fare e come comportarmi? Non puoi avere la presunzione di poter mettere bocca sulle mie decisioni, soprattutto con questo atteggiamento dispotico, arrogante e maleducato. Ho lasciato che insultassi la mia intelligenza, perché speravo ritrovassi il buon senso che evidentemente ha perso in quel dannato cesso stamattina, ma non ti permetto più di parlare di Gabriele in questo modo. Ti è chiaro il concetto?»
 
Ella non gli avrebbe mai alzato le mani su di lui, ma nessuno in quel momento avrebbe potuto lontanamente immaginare il desiderio che aveva di prendere qualunque oggetto avesse intorno e lanciarglielo addosso.
 
«Quando ti accorgerai di aver fatto un replay di ciò che è accaduto con Matteo, forse riuscirai a capire la mia preoccupazione e il significato delle mie parole.»
 
Da mangiauomini era appena diventata una piccola anima indifesa.
 
Ella pensò che fosse una vera sfortuna che nella sua vita ci fossero solo i nomi di due ragazzi, altrimenti avrebbe potuto inaugurare un'attività molto redditizia.
 
«Voi siete tutti completamente fuori di testa. Prima Sofia che minaccia Matteo a telefono e poi tu che mi dai della stupida irresponsabile, ma che razza di geni avete in famiglia? Capisco che ci conosciamo da una vita, ma state oltrepassando il limite. Nemmeno i miei genitori mi parlerebbero mai in questo modo, quindi ridimensionati se non vuoi finire nella busta dell'umido.»
 
«Non venire da me quando ti verrà un esaurimento nervoso.»
 
Ella stentava a credere che quello fosse lo stesso Lorenzo che la andava a prendere spesso a lavoro, che la sopportava nelle lunghe maratone di film e serie tv, che le faceva compagnia quando non riusciva a dormire. Adesso sembrava completamente un'altra persona.
 
L'affetto di una persona poteva davvero spingerla a reagire in quel modo pur di metterla in guardia?
 
Forse, ma Ella non avrebbe mai potuto giustificarlo. Come minimo avrebbe dovuto scusarsi ogni giorno per tutti quelli che gli restavano ancora da vivere.
 
«Non lo farei mai, so che non hai le palle per affrontare una donna che piange. Un giorno il karma farà soffocare voi uomini nel vostro stesso testosterone, mentre io osserverò la scena con un sacchetto di pop corn in mano. Vedervi dire addio al vostro inutile ego sarà meglio di un orgasmo.»
 
Il rumore della porta di ingresso che si chiudeva, impedì a Lorenzo di rispondere.
 
«Buongiorno a tutti. Che succede? Si sentono le vostre grida dal pianerottolo» chiese sofia, entrando in cucina.
 
Ella le fu immensamente grata per aver evitato che l'ossigeno fornito da una povera pianta venisse sprecato per dare alito ad altre frasi stupide.
 
«Sei arrivata al momento giusto. Dici a tuo fratello di smetterla di dire stronzate.»
 
L'implorante richiesta di Ella non tardò a essere eseguita.
 
«Lorenzo dacci un taglio» lo ammonì Sofia, guardandolo male.
 
«Ma se non sai nemmeno di cosa stiamo parlando.»
 
«Mi fido di Ella. Ha ragione a prescindere.»
 
«Io sono allucinato» commentò Lorenzo, infilando entrambe le mani nei capelli, come se potessero aiutarlo a risolvere il pasticcio in cui si era cacciato.
 
«Zitto devi stare. Tuo fratello mi sta facendo una paternale perché, quando ieri è tornato da lavoro, ha trovato me e Gabriele addormentati sul divano» le spiegò Ella, nel modo più semplice ed esaustivo possibile.
 
«Era quasi ora che movimentassi un po' la tua vita. Mi devi raccontare tutto. Vi siete svegliati abbracciati?»
 
La reazione sovraeccitata di Sofia lasciò allibiti entrambi: Lorenzo, perché aveva creduto che la sorella lo avrebbe spalleggiato, conoscendo il senso di protezione che aveva nei confronti di Ella; quest'ultima aveva immaginato si sarebbe mostrata felice, ma non che avrebbe esultato come un'adolescente in piena crisi ormonale al concerto della sua band preferita.
 
«Cosa? No. Gabriele aveva la tasta sul mio addome.»
 
«Non ci posso credere. Tu davvero non sei preoccupata?» chiese Lorenzo ancora sconcertato.
 
«Perché dovrei? Sono entrambi adulti e vaccinati e mi fido di Gabriele. È l'unico ragazzo che conosco che sia degno di stare al fianco di Ella o che meriti di amarla.»
 
«La situazione sta decisamente generando. Preferivo i deliri sotto anfetamine di tuo fratello» disse Ella, passandosi esasperata una mano tra i capelli.
 
«È la verità e lo sai bene» rispose Sofia, puntandole contro l'indice.
 
«Ma se l'ha abbandonata. Chi ti dice che non lo farà di nuovo? Poi saremo noi a dover raccattare i suoi pezzi da terra» sbraitò Lorenzo in preda ad una crisi isterica.
 
«Non sono un cane e non ti ho mai chiesto rimettere insieme i pezzi della mia vita. La prossima volta che mi parlerai in questo modo, ti assicuro che ti ritroverai lo stampo della mia mano desta sulla tua guancia. Ti sto avvertendo solo perché, anche se sei un totale imbecille, ti voglio bene, ma ti consiglio di fare attenzione.»
 
L'avvertimento di Ella probabilmente non sarebbe servito a molto, considerato lo stato delirante in cui Lorenzo versava, ma almeno non avrebbe avuto sensi di colpa quando la sua testa sarebbe volata in Australia a saltellare assieme ai canguri.
 
«Gli psicologi non dovrebbero essere tolleranti e disponibili?»
 
«Tu gli stereotipi te li mangi al posto dei cereali a colazione, un giorno di questi ti ci strozzerai.»
 
«Ragazzi, per favore, calmatevi» intervenne Sofia, sperando fosse sufficiente a placare gli animi.
 
«Non ho più nulla da dire né interesse nell'ascoltare altre idiozie. Se vuoi litigare continua da solo, io me ne vado.»
 
Ella voltò le spalle a entrambi, sperando che il suo silenzio potesse essere più esaustivo e chiaro delle sue parole.
 
Lorenzo avrebbe capito il suo errore, in un modo o in un altro.
 
 
   
 
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