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Autore: Mari_Criscuolo    07/02/2020    1 recensioni
Leila (Ella) ha 22 anni e vive a Napoli, ma, dopo la laurea triennale in psicologia, si trasferisce a Roma, per continuare il suo percorso di studi.
Sofia, sua amica da otto anni, ha deciso di seguirla.
Entrambe mosse dalla stessa chimera: lottare per la propria felicità.
Ella ha compiuto una scelta che ha fatto soffrire molte persone.
Nonostante non ne se ne sia mai pentita, sa che ogni decisione comporta delle conseguenze e lei sta ancora scontando la pena che le è stata imposta.
È convinta di essere in grado di affrontare ogni difficoltà la vita le metterà sul suo cammino, perché l'inferno lo ha vissuto, deve solo trovare il modo di non ritornarci.
Una ragazza con le sue piccole manie e le sue paure.
Una ragazza che usa il sarcasmo e l'ironia per comunicare il suo affetto e, allo stesso tempo, proteggersi da chi si aspetta, da lei, cose che non può e non vuole fare.
La sua famiglia, Sofia con suo fratello Lorenzo e, infine, un incontro inaspettato, la sosterranno nella sua scalata verso la tanto agognata libertà.
Genere: Generale, Introspettivo, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Ella e Gabriele camminavano sul bordo piscina, calpestando le azzurre piastrelle antiscivolo leggermente bagnate con le loro infradito di gomma e il rumore provocato dalle loro suole riverberava tra le travi del soffitto.
 
«Mi piace l'odore di cloro al mattino», disse Gabriele inspirando profondamente l'aria calda e umida che impregnava le mura di quella struttura privata.
 
«Non per distruggere la tua autostima, che crede di aver proposto la migliore versione della citazione, ma vorrei farti notare che siamo nel tardo pomeriggio», lo punzecchiò Ella, indicando la luce tenue e arancione del tramonto, che filtrava dalle finestre posizionate alla medesima distanza e separate da un pilastro l'una dall'altra.
 
«E io non vorrei fare altrettanto con la tua, ma hai un po' di bava nell'angolo della bocca.» Gabriele si fermò e, voltandosi nella sua direzione, allungò la mano verso il suo viso con l'intenzione di eliminare l'immaginaria saliva accumulata.
 
Ella fece un piccolo passo indietro, tenendo conto della distanza che la separava dal bordo della prima corsia della vasca, per evitare di cadere in acqua.
 
«Non sono sufficienti i muscoli a fare un uomo.» Non avrebbe potuto trovare citazione migliore se non quella tratta da Mezzogiorno di fuoco, ma la risposta, che aveva creduto essere tanto brillante, fece sorridere Gabriele in modo ambiguo e provocatorio.
 
Dal luccichio che vide illuminare il suo sguardo, capì che era esattamente la frase con cui sperava Ella avrebbe ribattuto e lei gliel'aveva servita su un piatto d'argento.
 
«Vero, ma bastano per leggere il desiderio nei tuoi occhi. Scommetto che muori dalla voglia di toccarmi le braccia.»
 
Il fisico del ragazzo che aveva di fronte lo aveva già visto e, per quanto fosse indiscutibilmente attraente, i suoi neuroni erano ancora perfettamente attivi e funzionanti.
 
Ella spostò sul braccio sinistro l'accappatoio azzurro, come il colore delle pareti e delle mattonelle della piscina.
 
La sua mano destra, adesso libera, si posò sul suo fianco inclinato leggermente verso sinistra.
 
«Non proiettare i tuoi sogni erotici su di me» lo canzonò Ella, che non aveva potuto evitare di sentire come lo sguardo intenso di Gabriele scivolasse sul suo corpo, percorrendone ogni curva e bruciandole la pelle al suo passaggio.
 
«Credimi, nei miei sogni si va ben oltre te che tasti i miei addominali», la sfido con un sorriso sornione stampato sulle labbra.
 
Gabriele aveva immaginato ciò a cui sarebbe andato incontro invitandola a nuotare, ma la realtà aveva superato di molto la fantasia.
 
Il suo corpo era cosparso di piccoli nei, il cui colore variava di tonalità. Uno in particolare, posizionato esattamente sul seno sinistro, richiamava la sua attenzione.
 
Era di un marroncino chiaro e i suoi bordi erano così indefiniti da confondersi con il rosa pallido della sua pelle, ma, nonostante ciò, era bene visibile, perché il reggiseno nero a forma di caramella che indossava era leggermente piccolo per contenere il seno sinistro che era evidentemente più grande di quello destro.
 
La coppa stretta lo schiacciava e innalzava, mettendo così in risalto quel grazioso neo, che sembrava in procinto di cadere nel profondo e sbilanciato solco creatosi al centro del suo petto.
 
«Non chiedermi il perché, ma lo immaginavo. Ora, se hai finito di squadrare il mio lato A, ti do anche la visuale del lato B, così avrai più materiale da usare nelle tue notti solitarie.»
 
Ella gli diede le spalle, sperando che quel gesto fosse sufficiente a scacciare l'imbarazzo che le provocava la consapevolezza dei suoi occhi scuri puntati su di lei come fari. I difetti del proprio corpo non le creavano disagio, perché era cosciente della sua bellezza, eppure mostrarsi sicura e priva di vergogna le risultava decisamente più facile con qualche strato di vestiti in più a coprirla.
 
Mentre si allontanava, lo sguardo di Gabriele accarezzava, scivolando sulla figura proporzionata di Ella. Aveva raccolto i suoi capelli in uno chignon che le lasciava scoperta la schiena. Le curve delicate della sua vita stretta si aprivano morbide sui fianchi, delineando un fondoschiena piccolo, ma anche alto e perfettamente rotondo, che si muoveva in armonia con l'oscillare del suo bacino.
 
«Grazie per il tuo sostegno. Se anche tu ne avessi bisogno, non esitare a chiedere una mia foto» le rispose, raggiungendola in poche falcate.
 
Dopo aver appeso il suo accappatoio a uno dei ganci di ferro fissati al muro con delle piccole viti, si voltò a guardare il sorriso vizioso che increspava le labbra di Gabriele, ma Ella sapeva come trasformare quella che credeva fosse una vittoria in una dolorosa sconfitta.
 
«Se avessi bisogno di un aiuto esterno, andrei a cercare in un sito porno.»
 
Ella sorrise compiaciuta nel vedere l'ilarità abbandonare i tratti del viso di Gabriele per essere sostituita da un'espressione fintamente sconvolta e spaventata.
 
«Non puoi lanciare queste bombe con così tanta leggerezza», la rimproverò, allontanandosi di qualche passo per mettere distanza tra i loro corpi.
 
«Ti ho traumatizzato? Dove hai vissuto fin ora, nel bosco dei cento acri con Winnie The Pooh?» gli chiese Ella tremendamente divertita dalla reazione del ragazzo.
 
Avrebbe voluto avere a portata di mano il suo cellulare per immortalare in una fotografia il suo viso così sofferente da risultare comico.
 
«Noi ragazzi siamo deboli di cuore. Se inizi a parlare di porno, mentre sei in costume, rischio un infarto», rispose Gabriele, posando teatralmente una mano in corrispondenza del cuore.
 
Gli uomini non erano certamente così deboli, ma quella parola magica aveva inevitabilmente ricreato un'infinita serie di immagini che si era visto costretto a censurare per evitare di creare situazioni imbarazzanti e reazioni impossibili da nascondere con un costume.
 
«Poi sarei io la drammatica. Tu vai pure a farti una doccia fredda, io entro in acqua», lo provocò, salutandolo con la mano prima di voltargli nuovamente le spalle.
 
Si dirigeva soddisfatta verso la scaletta che scompariva nell'acqua della piscina, quando sentì la presa forte e decisa di un braccio circondarle e stringerle la vita e, subito dopo, un secondo braccio flettersi a contatto con le sue gambe.
 
In un attimo, si ritrovò con la parte destra del corpo appiccicata ai muscoli di Gabriele, che la trasportava con una mano posata decisamente troppo vicina alla sua natica sinistra e l'altra che le accarezzava il fianco.
 
Ripresasi dallo stato di iniziale confusione causato da quell'improvvisa aggressione, Ella aprì la bocca con l'intenzione di intimarlo a riportarla con i miei a terra, ma proprio nel momento in cui le parole stavano per trasformarsi in suoni, Gabriele la lasciò andare e tutto ciò che fuoriuscì dalle sue labbra fu un verso stridulo.
 
La schiena fu la prima ad entrare in violento contatto con l'acqua, seguita dal resto del corpo che sprofondò nelle viscere della piscina. Non avendo fatto in tempo a chiudere la bocca, lo sgradevole sapore di cloro le invase le vie aeree, facendola agitare nel tentativo di raggiungere la superfice alla disperata ricerca di aria.
 
Quando finalmente riemerse, mentre annaspava, tossendo e sputacchiando acqua, vide che Gabriele era entrato in piscina e si trovava a poco distante da lei, guardandola divertito.
 
«Ma che problemi hai?» chiese Ella alterata, respirando lentamente per rallentare le pulsazioni del cuore che sembrava impazzito.
 
«Sei una strega. Mi hai provocato di proposito», rispose, scrollando le spalle, come se non avesse appena tentato di ammazzarla.
 
«Perché avrei dovuto sprecare così tante energie?» Ella si diede la spinta con qualche bracciata per fermarsi solo quando i suoi piedi toccarono le piastrelle azzurre che pavimentavano l'intera vasca.
 
Si appoggiò con le spalle al bordo della piscina per calmarsi del tutto, prima che potesse mettere in atto qualche piano crudele che prevedeva la morte lenta e dolorosa di Gabriele.
 
«Ti stai vendicando per quello che ho fatto giovedì sera.»
 
Se le parti fossero state invertite, probabilmente anche Ella sarebbe giunta alla sua stessa conclusione, ma si stava sbagliando.
 
«Davvero credi che sia così subdola?» domandò Ella, ridendo.
 
No, tu sei il diavolo.» Gabriele le puntò il dito contro, come se bastasse a intrappolarla.
 
Le sue intenzioni non erano mai state quelle, però nulla le vietava di fargli credere che avesse ragione, anche perché se avesse pensato a una vendetta non si sarebbe limitata solo a qualche semplice provocazione.
 
«Non è colpa mia se voi uomini a volte siete così prevedibili. Il vostro sangue smette di affluire al cervello troppo velocemente.»
 
«Se così fosse non ti avrei solo lanciata in acqua, ma sono un gentiluomo.»
 
Ella si perse ad osservare le goccioline di acqua che si raccoglievano sulle punte dei capelli scuri di Gabriele, ricadendo sulle sue spalle e sugli avambracci che emergevano in superficie.
 
Era innegabile che in quel momento, nel suo elemento, fosse persino più bello di quanto non lo fosse sulla terraferma.
 
«È una minaccia? Dovrebbe anche incutere timore?» lo schernì Ella.
 
«Ti conviene iniziare a nuotare prima che decida sul serio di affogarti», disse Gabriele, avanzando pericolosamente nella sua direzione.
 
Teneva troppo alla sua vita per farsela portare via da un delfino un po' troppo aggressivo.
 
Immergendo la testa sott'acqua, oltrepassò i galleggianti che separavano la prima corsia dalla seconda.
 
Risalì in superficie e, dopo essersi accertata di aver messo tra loro una certa distanza, unì le mani davanti a sé e, dandosi un piccolo slancio in avanti con i piedi, si tuffò. Le sue gambe si toccavano senza mai incrociarsi e, insieme, seguivano il bacino, spingendo verso l'alto, mentre le sue ginocchia si flettevano leggermente.
 
Subito dopo, le distendeva, allungando il petto verso il basso e rilassando i fianchi per trasmettere il movimento ondulatorio alle gambe.
 
Ripeté la sequenza, battendo i piedi come fossero una frusta, fino a quando non riuscì a toccare la pavimentazione con la punta delle dita. Poggiando i palmi di entrambe le mani sulle mattonelle, lasciò che anche il resto del suo corpo entrasse in contatto la superficie fredda, in contrasto con l'acqua riscaldata della piscina.
 
Si mosse sul fondo, fino a quando non sentì i suoi polmoni bruciare e i battiti del cuore accelerare per la mancanza di aria, a quel punto si diede una spinta con le punte di entrambi i piedi, nuotando per risalire in superficie.
 
Quando riemerse, inspirò lentamente e profondamente più volte prima di farsi avvolgere nuovamente dall'acqua.
 
Non le piaceva nuotare in superfice, si sentiva molto più a suo agio a muoversi nel silenzio delle profondità trasparenti dai riflessi azzurri.
 
Nessun suono disturbava i suoi pensieri, che erano finalmente liberi di uscire dalla sua mente e disperdersi in quell'abisso.
 
Il resto del mondo, con tutte le paure e ansie che lo accompagnavano, scompariva, mentre intorno a lei si creava una bolla che la rendeva immune al dolore e alla sofferenza.
 
Si sentiva felice e veramente libera dopo tanto tempo, perché in quel luogo, in quel momento, nessuno le avrebbe potuto fare del male.
 
Era al sicuro.
 
Mentre Ella si godeva ogni istante di quel pomeriggio, Gabriele la osservava muoversi sotto la superficie con una grazia disarmante. Sembra una sirena e non aveva bisogno di cantare per ammaliarlo.
 
Si ritrovò a desiderare che sciogliesse i suoi capelli per vederli ondeggiare, mentre seguivano, danzando liberi, le fluttuazioni del corpo. Immaginò che, se ricci le accarezzavano la vita, una volta bagnati sarebbero arrivati a sfiorarle il fondoschiena.
 
Quella ragazza non aveva la minima idea del potere che aveva su di lui.
 
Seguendo con lo sguardo i movimenti del suo corpo, che sembrava essere diventato un tutt'uno con l'acqua, la vide nuotare nella sua direzione.
 
Emerse, appoggiandosi con le braccia incrociate sul bordo della piscina.
 
«Perché sei fermo come uno stoccafisso? Non nuoti?» Chiese Ella, scostando dal viso le ciocche scure di capelli che non era riuscita a imprigionare nello chignon.
 
«Ho fatto qualche vasca, ma oggi non mi sento molto concentrato.»
 
Entrambe le volte in cui ci aveva provato, si era ritrovato a fermarsi a metà vasca per accertarsi che Ella risalisse ogni tanto per riprendere aria.
 
Alla fine ci aveva rinunciato, d'altronde quel lunedì sarebbe dovuto ritornare per gli allenamenti, quindi poteva rilassarsi e godersi semplicemente l'acqua e lo spettacolo che Ella aveva messo in scena.
 
«Se in tutti questi anni mi hai mentito e non sai nemmeno rimanere a galla, non ti giudico. Certo, ti prenderei in giro, ma dopo ti aiuterei a non affogare.»
 
Ella proprio non riusciva a fare meno di dire ad alta voce le ridicole battute sarcastiche che le venivano in mente.
 
Se non avesse corso il rischio di essere rinchiusa in un ospedale psichiatrico, avrebbe riso delle sue stesse frasi.
 
Gabriele scosse la testa, accennando un sorriso. Avrebbe detto dalla sua espressione che fosse incredulo, ma dal momento che la conosceva quasi meglio di quanto conoscesse sé stesso, non era assolutamente possibile.
 
Per lo meno, così credeva Ella, ma la verità era un'altra. Proprio quando Gabriele aveva ragione di pensare che quella piccola strega non avesse più segreti per lui, che non avrebbe potuto dire più nulla che lo potesse sorprendere, lei faceva crollare ogni sua convinzione usando una sola frase.
 
«Vai con gli occhi aperti sott'acqua?» le chiese cambiando argomento.
 
Osservando le piccole gocce scivolare lungo le guance di Ella, si accorse delle striature rossastre che coloravano il bianco dei suoi occhi.
 
«Si. Non mi piace non vedere dove vado, così non rischio di andare a sbattere contro i bordi della piscina.»
 
«Sono arrossati. Ti bruciano?»
 
Ella non riuscì a trattenere un sorriso di fronte alla sua espressione preoccupata. Un po' di cloro negli occhi non era la fine del mondo e, che lei sapesse, non aveva ancora mai ucciso nessuno.
 
«Leggermente, ma ne vale la pena. Avevo dimenticato quanto fosse rigenerante immergersi fino a scomparire, fino a dimenticare di esistere. Non so davvero come ringraziarti.»
 
Ella spostò il braccio destro, posando la mano sulla spalla bagnata di Gabriele. Il contatto lo fece rabbrividire e se avesse posato lo sguardo sui suoi avambracci avrebbe potuto osservare gli effetti di quel tocco delicato.
 
Quella piccola e semplice carezza ebbe il potere di risvegliare i suoi sensi dal torpore indotto dalla placida calma dell'acqua.
 
Era la prima volta che Ella sfiorava il suo bicipite, senza che vi fosse una barriera a separare le sue piccole dita dalla sua pelle.
 
Mi basta vedere l'espressione spensierata e felice sul tuo viso», rispose Gabriele, ricambiando il sorriso.
 
Non faceva mai qualcosa, aspettandosi che il gesto venisse ricambiato in futuro. Ogni azione, ogni pensiero e ogni parola doveva essere sentita nel profondo, altrimenti sarebbe stato meglio rinunciare.
 
«Ti è sempre risultato facile riuscire a capire ciò di cui ho bisogno.»
 
Alle superiori era stato così e non era cambiato praticamente nulla. Gli era bastato un attimo di riflessione per sapere cosa l'avrebbe fatta stare meglio e quella certezza aveva spazzato via ogni dubbio potesse nutrire sul loro rapporto.
 
Stava facendo di tutto per riconquistare la sua fiducia. Aveva lottato per entrambi, quando Ella aveva pensato di abbandonare una battaglia ancora prima che fosse iniziata, e aveva continuato a combattere ogni giorno da quando anche lei aveva deciso di buttarsi nella mischia.
 
Adesso erano in due e la sensazione che la sua presenza le donava alimentava la fiducia che nutriva nei suoi confronti giorno dopo giorno.
 
«Forse prima, ma adesso devo ammettere che sta risultando un po' più complicato.» Il tono di voce di Gabriele nascondeva un pizzico di amarezza mescolato con il rimpianto.
 
Si ritrovò inevitabilmente a pensare che avrebbe potuto fare sicuramente di più per lei, se avesse messo da parte l'orgoglio e fosse ritornato già qualche anno prima.
 
Tutti quegli anni trascorsi a combattere con il dubbio di inviarle un messaggio sembrarono improvvisamente essere stati vissuti inutilmente. Minuti, ore, giorni, sprecati a chiedersi come avrebbe reagito se lui l'avesse chiamata, quando avrebbe dovuto semplicemente ignorare ogni paura e agire.
 
Alla luce di quanto era accaduto nelle ultime settimane ogni cosa era diventata vana e priva del significato che lui, in tutto quel tempo, aveva attribuito loro.
 
«Hai ragione e in parte è stata colpa mia, ma sto provando a renderti le cose più semplici fornendoti i pezzi del puzzle che ti mancano.»
 
Ella non era mai stata tanto sicura di una decisione come in quel momento. Era stanca di nascondere le proprie emozioni e le proprie cicatrici, solo perché mostrarle l'avrebbe resa vulnerabile.
 
Non le era mai piaciuta la sensazione che provava quando si esponeva troppo, ma l'intensità dello sguardo che Gabriele le rivolgeva ogni volta che i suoi occhi si posavano su di lei e la sicurezza che le trasmetteva attraverso il suo tocco, i suoi gesti e le sue parole avevano scacciato dal cuore e dalla mente di Ella ogni timore.
 
Lei si fidava.
 
«Non devi rimproverarti nulla», la rassicurò Gabriele.
 
«Qualcosa, invece, ci sarebbe. Ci siamo concentrati sempre sulla mia vita e non mi sono preoccupata di ascoltare la tua di storia. Devo fare in modo che anche tu ti possa fidare di me», ammise Ella, ingoiando il sapore amaro lasciato dalla consapevolezza di essere stata egoista.
 
Era stata così ossessionata da paure e paranoie di ogni genere, da aver completamente ignorato le cicatrici che avevano segnato in quegli anni il corpo e la mente di Gabriele.
 
«Stai tranquilla. Non ho mai smesso di fidarmi di te, solo che non c'è nulla degno di nota da raccontare»
 
La rassicurazione di Gabriele non riuscì ad alleviare il suo senso di colpa. Avevano deciso di percorrere una strada a doppio senso, ma, fino a quel momento, era stata solo Ella a camminare e non voleva che lui rimanesse indietro.
 
Entrambi dovevano aprirsi e non le sarebbe importato se Gabriele le avesse parlato di gare di nuovo, di esami universitari, dell'umidità presente nell'aria o di cose di cui non avrebbe capito assolutamente nulla, lei voleva conoscere ogni aspetto del ragazzo dolce e premuroso che stava guardando negli occhi.
 
«Questo non ha importanza. Voglio sapere anche le cose più inutili della tua vita e poi c'è sempre qualcosa da raccontare. Per esempio, se hai anche tu qualche ex psicopatica nascosta sotto il letto.»
 
Ella si era resa conto che della vita sentimentale di Gabriele sapeva meno di zero, mentre lui era a conoscenza praticamente di tutto, mancava solo qualcosa che aveva intenzione di approfondire nei prossimi giorni.
 
La curiosità l'aveva spinta a formulare in modo meno diretto e più scherzoso quella che avrebbe potuto essere una domanda un po' troppo invadente.
 
Generalmente, Ella non si curava di parlare con diplomazia o di trattare le persone con i guanti, ma Gabriele le stava facendo scoprire un lato del suo carattere che la spingeva ad essere meno brusca con lui, perché temeva costantemente di ferire i suoi sentimenti.
 
«Mi dispiace deluderti, ma no. Le uniche due ragazze con cui sono stato erano fin troppo normali», rispose tranquillamente.
 
Gabriele non stava facendo il prezioso, semplicemente, l'unico dramma di cui avrebbe potuto parlare lo viveva tutti i giorni in casa e non gli andava di pensarci anche nel tempo libero.
 
«In effetti deve essere estremamente noioso vivere una relazione con persone sane di mente», commentò Ella, con tono sarcastico.
 
«Non ne hai idea», le rispose, accennando un sorriso.
 
«Vi siete lasciati in buoni rapporti?»
 
A differenza di Ella, che quando si apriva parlava a ruota libera, a Gabriele si dovevano tirare le frasi da bocca con la pinza. Si comportava in quel modo perché, quando si trattava della sua vita, era, se possibile, persino più riservato di lei.
 
Non gli piaceva raccontare di sé tanto quanto a Ella entusiasmava l'idea di interagire con altri esseri umani, tuttavia alcune volte era inevitabile.
 
«Con Chiara, la mia prima ragazza, all'inizio ci sentivamo alle ricorrenze, ma ormai non più, perché sono trascorsi, credo, quattro anni da quando ci siamo lasciati. Siamo stati poco insieme, sei mesi circa, quindi appena il tempo di conoscerci più approfonditamente e capire che non fossimo la persona giusta l'uno per l'altra. Alla fine è stata una decisione voluta da entrambi, ma con Marta è stato diverso, perché sono stato io a troncare il rapporto.»
 
Gabriele non fu infastidito dalla domanda e nemmeno l'idea di rispondere lo turbò, ma quella strana sensazione di tranquillità dipendeva dalla ragazza che lo fissava con curiosità.
 
Lui le aveva chiesto di aprirgli le porte del suo mondo per lasciarlo entrare e, adesso, era Ella a mostrare interesse per la sua vita. Lei era l'unica a cui non avrebbe mai negato l'accesso, perché era anche la sola a cui, anni prima, aveva affidato la chiave del proprio mondo, ma lei ancora non lo sapeva.
 
«Deve essere stato difficile. Prendere questo tipo di decisione può essere devastante.»
 
La flebile voce con cui aveva pronunciato quella frase, lasciava trasparire la tristezza legata ad alcuni ricordi appartenenti al proprio passato.
 
La responsabilità di mettere fine alla felicità di una persona con cui si condivideva tutto era come diventare un boia che affilava l'ascia poco prima di un'esecuzione, ma era un male necessario per entrambe le parti.
 
Fingere di amare era molto peggio, perché si torturava non solo sé stessi, ma specialmente chi si costringeva a vivere nella menzogna di un amore finito che si illudeva di esistere ancora.
 
«Non esiste un modo carino per dire a qualcuno che non si prova altro che semplice affetto nei suoi confronti. L'ho conosciuta al primo anni di università. Era timida, riservata, diffidente e ho dovuto impiegare davvero tante energie per farmi accettare da lei. L'ho amata davvero, ma dopo un anno mi sono reso conto che non mi rendeva più felice come all'inizio della relazione. Dopo averle parlato, abbiamo provato a migliorare alcune cose nel nostro rapporto nella speranza di farle funzionare, ma in un mese non era cambiato nulla, anzi, mi sono solo convinto che lasciarla fosse la decisione più giusta per entrambi. Le giornate trascorse con lei sembravo sempre uguali, il suo carattere non aveva più nulla che lo rendeva ai miei occhi distinguibile da quello di un'altra persona, il suo tocco non mi provocava più alcun tipo di piacevole sensazione. Sembra terribile, ma mi ero reso conto che ciò che credevo di aver visto in lei era stato solo un'illusione.»
 
Il viso di Ella si contrasse in una smorfia che Gabriele non riuscì a decifrare. l'idea che, se le cose tra loro fossero andate diversamente, avrebbe potuto essere stata al suo posto le provocava una fastidiosa sensazione di bruciore alla bocca dello stomaco.
 
Il rimpianto tornava a imporre con prepotenza la sua presenza, non solo nella sua vita, ma anche in quella di Gabriele.
 
Il potere che aveva il passato mai esistito era impossibile da contrastare. Per quanti sforzi facessero per andare avanti, i ricordi, in un modo o in un altro, trovavano sempre la strada per farsi spazio nella loro mente.
 
Ella si chiese quando sarebbe davvero riuscita a vivere emozioni così intense e forti da farle smettere di immaginare una felicità che aveva popolato solo i suoi sogni.
 
«Penso di aver capito che intendi dire», disse infine.
 
«Davvero?» chiese Gabriele, curioso di conoscere il suo pensiero in proposito.
 
«Una sensazione di vuoto che credevi avresti colmato con ciò che ti imponevi di vedere in lei, ma che ha avuto l'unico scopo di farti capire quanto fosse profondo quel buco nero. Tutto quello che avevi pensato ti avrebbe fatto stare meglio, ha solo aumentato la portata del dolore.»
 
Ella deviò lo sguardo da quello di Gabriele, posandolo sull'acqua che ondeggiava attorno al suo petto a ogni minimo movimento.
 
«Non avrei saputo dirlo meglio.»
 
«So ciò che hai provato, perché è la stessa sensazione che ha influito in parte sulla mia decisione di lasciare Matteo. Non sei una persona terribile. Li abbiamo amati, ma non come avremmo desiderato, non come credevamo fosse giusto per noi. Non possiamo amare tutti allo stesso modo e con la stessa intensità.»
 
Quella verità avrebbe potuto essere una benedizione, ma, invece, era stata la sua condanna per anni.
 
Gabriele osservò il suo profilo rivolto verso il basso e, nel silenzio che seguì la sua ultima affermazione, capì il significato che Ella aveva nascosto nello spazio tra sue parole.
 
«No, decisamente non possiamo. Sono comunque esperienze e grazie a esse adesso sappiamo, con maggior chiarezza, chi vogliamo nelle nostre vite.»
 
Era lei, era sempre stata lei, ma, mentre lui era più che pronto a fare il grande passo, Ella non lo era e chissà se lo sarebbe mai stata.
 
Quel pensiero era diventato il suo tomento nelle ultime settimane.
 
«Sagge parole, delfino», commentò Ella, riportando su di lui la sua attenzione.
 
«Ricordi quando mi hai confessato di aver avuto paura che non avresti provato per qualcun altro un sentimento lontanamente simile a ciò che hai provato per me?»
 
Ella non avrebbe mai potuto dimenticare tutte le cose che si erano detti al loro secondo incontro. Quelle confessioni l'avevano devastata, non era mai stata così sincera sui propri sentimenti con qualcuno che non fosse sé stessa.
 
Ammettere di averlo amato era stato come accettare una parte di sé che credeva perduta per sempre.
 
«Si», ammise in un filo di voce, timorosa di sapere a cosa avrebbe portato quella sua domanda.
 
«Non te l'ho mai detto apertamente, ma il tuo tormento è stato anche il mio.»
 
 
   
 
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