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Autore: Naco    07/02/2020    1 recensioni
Quando la sua professoressa di tesi propone a Lucia - seria e coscienziosa laureanda in Lettere - di dare ripetizioni di francese al proprio figlio, la ragazza capisce subito che, accettando, rischia di cacciarsi in un mare di guai: Giulio Molinari è il classico figlio di papà che pensa solo alle ragazze e assolutamente disinteressato a costruirsi un futuro Insomma, il tipo di persona che lei detesta.
Ma è davvero così impossibile che due persone così diverse possano avvicinarsi? In una girandola di battibecchi, scontri e incomprensioni, tra parenti ficcanaso e fedeli amici, tesi da preparare e lezioni di francese da seguire, Lucia e Giulio si renderanno presto conto che non sempre l’altro è poi così diverso da noi e che, forse, la nostra anima nasconde un ritratto molto più bello di quello che noi preferiamo mostrare agli altri.
Genere: Commedia, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Universitario
Capitoli:
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XV


«Vorrei farti un ritratto» se ne uscì all’improvviso Giulio la mattina successiva.
Alzai gli occhi dallo schermo del mio computer e lo guardai con attenzione. Eravamo nella cucina di casa mia e ci eravamo ormai alzati da qualche ora: Giulio, giulivo, aveva iniziato a proporre un sacco di attività divertenti da svolgere, ma io l’avevo freddato con un implacabile «Devo studiare!»
«E dài, è sabato! Usciamo! Andiamo dove vuoi!» mi aveva proposto: aveva i capelli castani ancora arruffati e un sorriso allegro, come quello di un bambino a cui viene proposto di andare al parco giochi.
«Non posso, devo lavorare alla mia presentazione. Lunedì voglio almeno far vedere una bozza ad Antonio e devo preparare il discorso. Le sedute iniziano fra due settimane, e io devo ancora dare gli ultimi ritocchi alla tesi, portarla in copisteria e...»
«Ok, ok,» aveva alzato le mani in segno di resa. «Ma dopo la seduta non avrai più scuse!» mi aveva puntato un dito contro ed era scomparso in bagno.
Ne era uscito fresco, pulito e, secondo il mio modesto parere, con la voglia di sparare sciocchezze.
«E questa da dove viene fuori, adesso?» gli domandai, perplessa.
«Che c’è di male? Avevi un’espressione così concentrata che avrei voluto avere in mano una matita per disegnarla seduta stante.»
«Non provarci nemmeno!» nascosi la testa dietro lo schermo del portatile.
Giulio abbassò il coperchio del computer al contrario, in modo che non potessi celarmi dietro. «Non ti vergognerai, spero!»
«Certo che mi vergogno!» Perché quel ragazzo se ne usciva con frasi simili come se fosse tutto normale? A mala pena mi guardavo allo specchio la mattina, figuriamoci se gli avrei permesso di farmi un ritratto mentre lavoravo. Anzi, non gliel’avrei permesso in nessun caso. Non che mi considerassi brutta, ma non avevo prestato mai troppa attenzione al mio aspetto e mi dava fastidio che lui decidesse persino di metterlo su carta.
«E perché? Non è che dovrai indossare le coeur de la mer e posare nuda come Rose in Titanic. Anche se ammetto che sarebbe interessante...» sorrise sornione e io compresi al volo cosa gli stesse passando per la testa. Tirai su il monitor del portatile con violenza per evitare che mi vedesse arrossire.
«Ma non hai una casa a cui tornare, tu?» sbuffai. «Margherita sarà in pensiero.»
«Nah, passo spesso la notte fuori.» Scosse la mano con noncuranza.
Già, come avevo fatto a non pensarci? Sentii una strana sensazione alla bocca dello stomaco, ma decisi di ignorarla. Del resto, sapevo bene che Giulio non era mai stato un ragazzo casa e chiesa e lui non aveva mai cercato di nasconderlo.
«Impegni?» provai.
«No, mi spiace, sono tutto tuo.»
«Oh che fortuna!» commentai ironica e tornai al lavoro, decisa a ignorarlo. Ogni tanto, con la coda dell'occhio, mi accorgevo che continuava a guardarmi, ma ero decisa a non dargliela vinta. Dopo una decina di minuti, però, si alzò e tornò con una matita e un block-notes, perciò non riuscii più a resistere e riportai la mia attenzione su di lui.
«Che c'è ancora?»
«Niente. Non posso guardarti lavorare?»
«Non con quelli in mano» gli indicai i suoi attrezzi del mestiere.
«Neanche uno schizzo?»
«No» decretai e gli tolsi la matita dalle mani.
Lui assunse un'espressione da cucciolo bastonato e mi ci volle tutta la mia forza di volontà per non scoppiare a ridere. «È solo che mentre lavori sembri così... felice. Non te l'ho mai chiesto, ma di cosa parla la tua tesi di preciso?»
«Beh...» era la prima volta che mi faceva una domanda diretta sui miei studi nonostante, a conti fatti, fosse stato quello il motivo per cui ci eravamo conosciuti. «Tu sai chi è Seneca, no?»
«Certo. Un tizio che scriveva al suo amico Lucilio un sacco di lettere noiosissime. Era stato il precettore di Nerone, ma in seguito il loro rapporto degnerò e si suicidò. Ho sbagliato qualcosa?»
Dunque non era stato poi così disattento a scuola.
«A parte quel noioso su cui preferisco soprassedere, no, è tutto corretto. Sintetico, ma corretto. Sai anche che ha scritto delle tragedie, vero?»
«Qualcosina, ma non molto.»
«È normale, a scuola non si studiano quasi per niente. Seneca scrisse nove tragedie di argomento mitologico, tutte molto truculente – roba che Dario Argento sembra un dilettante al confronto – per questo si pensa che, più che per essere messe in scena, fossero state scritte per essere lette. Oltre a queste nove, sotto il nome di Seneca ci è giunta un’altra tragedia spuria, cioè attribuita a lui ma verosimilmente scritta da un’altra persona, l’Octavia. Sono vari i motivi per cui si pensa che questa opera non appartenga a Seneca. Primo,» sollevai il pollice «perché è a tema storico, mentre le altre, come ti ho già spiegato, hanno tutte soggetti mitologici; secondo,» stavolta fu il turno dell’indice «è meno truculenta delle altre; terzo,» sollevai il medio «in questa tragedia non solo appare Seneca come personaggio, ma vengono raccontate delle vicende che sono avvenute all’epoca della morte di Nerone, quando ormai Seneca era già morto da tre anni. Perciò, qualcuno deve averla scritta in un momento successivo, ma non di molto, perché è palese che abbia attinto a piene mani dalla produzione senecana.» Giulio annuii, per indicare che stava seguendo il mio discorso «A questo punto, io mi sono detta: e se, invece, l’opera fosse stata iniziata davvero da Seneca e poi lui, per qualche ragione, l’avesse lasciata a metà e qualcun altro, magari dello stesso ambiente, avesse deciso di proseguirla?»
«Teoria affascinante. Ma perché?»
«Non so, magari come tributo per un personaggio così importante. Dopotutto, all’epoca non esistevano i nostri sistemi editoriali né il diritto d’autore, quindi è plausibile che qualcuno, dopo la morte di Seneca, ne sia entrato in qualche modo in possesso e abbia voluto proseguirla, forse per “dire la propria” sull'evento che voleva narrare; così ha apportato delle modifiche in modo da raccontare la propria versione dei fatti, nascondendo la propria identità dietro quella di una persona molto più influente, che gli avrebbe dato più notorietà e che, ne sono convinta, stimava lui stesso. Così ho letto con molta attenzione la tragedia e tutte le opere di Seneca e mi sono accorta che…» mi bloccai un attimo «Ma sono certa che queste cose non ti interessano e ti sto annoiando» conclusi tornando al mio file.
Giulio, infatti, aveva appoggiato la testa su una mano e mi guardava divertito.
«Al contrario. Spieghi in modo molto chiaro ed è un piacere starti a sentire. Dovresti vederti: gli occhi ti brillano, mentre ne parli. Sarai un'ottima insegnante, prof
Il cuore iniziò a battermi all'impazzata, tuttavia non volevo che si accorgesse del turbamento che il suo complimento mi aveva causato, così decisi di cambiare argomento. «Piuttosto, visto che siamo in tema: ma per questa famigerata prova preselettiva non dovresti studiare qualcos’altro oltre al francese?»
«Credo di sì. Perché?»
«Credi?» ribattei.
Giulio sbuffò: sapevo che l'argomento non gli piaceva, ma, testarda, decisi di non mollare. «D'accordo. devo studiare roba noiosissima sul diritto dell’Unione Europa e sul diritto internazionale.»
«E come mai io ho la vaga sensazione che tu non abbia aperto alcun libro su questi argomenti?»
«Perché li ho già studiati all'università e, ti dirò, è una roba pallosissima e non ho alcuna intenzione di perdere tempo rivedendo cose che non m'interessano. Non ho alcuna voglia di passare quella preselettiva, e tra l'altro sono più che sicuro che mio padre troverà il modo per farmela superare comunque. Quindi a che pro perdere tempo?»
Lo fissai dura: non mi piaceva questo suo modo di pensare.
«E non ti vergogni?»
«Di cosa dovrei vergognarmi, scusa?»
«Di passare una prova in questo modo, senza neanche impegnarti.»
«Mi pare di averti detto che io non voglio fare questo dannato tirocinio» stavolta era arrabbiato, ma io lo ero ancora di più.
«E allora non ti presentare.»
«Conosci mio padre, sai che non me lo permetterebbe mai, neanche se mi facessi ricoverare in ospedale.»
«Può darsi» concessi. «Ma che può fare? Ti può diseredare? Hai venticinque anni, non quindici, non diciotto. Te l'ho già detto, è ora che tu prenda in mano la tua vita. E se proprio non vuoi, almeno presentati a quella preselettiva studiando e superandola con le tue forze. Non vuoi dimostrare a tuo padre che sei capace di farcela anche senza il suo aiuto?»
Per qualche minuto non parlammo più e un pesante silenzio cadde tra noi. Tornai al mio lavoro senza prestarci alcuna attenzione. Mi rendevo conto che, forse, avevo esagerato, ma non mi pentivo per quello che avevo detto: più volte Giulio mi aveva dimostrato che non era affatto uno stupido e volevo che se ne rendesse conto e si allontanasse dall'ombra di suo padre che, come un incantesimo, sembrava gravare su di lui. Lo facevo per lui, perché gli volevo bene e volevo che si rendesse conto di quanto valesse. Perché non ci arrivava?
«Sei identica a tua madre» mi apostrofò una vocina nella mia testa. Sciocchezze: lei pensava di risolvere tutti i miei problemi con un matrimonio; io, al contrario, volevo che lui tirasse fuori la sua grinta.
«Hai ragione» mi disse infine. «Potrei provare. Immagina che shock sarebbe per lui scoprire che suo figlio può farcela benissimo anche senza raccomandazione!» un timido sorriso si affacciò sulle sue labbra.
Ricambiai e attraverso il tavolo gli allungai una mano che lui strinse con dolcezza.
«Che ne dici, allora, di festeggiare questo momento facendo qualcosa di bello?» provò di nuovo a convincermi con un sorriso sornione «Possiamo anche restare a casa, se vuoi...»
Per tutta risposta, tirai via la mano e voltai il computer verso di lui: «Niente affatto. Adesso cerchiamo i testi che ti mancano per la preparazione e lunedì andiamo in libreria per vedere se sono disponibili.»
«Sei una persona noiosa, lo sai?» sbuffò ma, alla fine, avvicinò a sé lo schermo, sconfitto.


Giulio andò via verso le dodici, più sotto mia costrizione che perché intenzionato; tuttavia, avevo perso un sacco di tempo per quei libri e dovevo tornare a concentrarmi su quello che stavo facendo se il lunedì successivo volevo portare qualcosa di concreto ad Antonio. Dopo aver mangiucchiato qualcosina, mi misi al computer e lavorai per ore senza sosta tanto che, quando alzai gli occhi, mi resi conto che era ormai pomeriggio inoltrato.
Mi stiracchiai, soddisfatta di aver recuperato così in fretta il tempo perduto e mi ritrovai a canticchiare senza accorgermene. Negli ultimi giorni, benché la seduta si avvicinasse sempre di più, mi ero scoperta sempre meno agitata e sempre più entusiasta sia di quello che stavo facendo che della mia vita in generale ed ebbi il forte sospetto che Giulio Molinari avesse avuto un ruolo determinante in quella trasformazione.
All'improvviso, il cellulare squillò e mi ritrovai a fissare sul display il nome della persona cui stavo pensando.
«Hai finito di studiare?» mi interrogò senza neanche salutare.
«Uhm, sì, ho appena finito. Perché?»
«Molto bene» mi sembrò quasi di vederlo annuire da solo «Allora preparati, sto venendo a prenderti.»
«A prendermi? E per andare dove?» domandai guardinga.
«Questo non ha importanza. Tra mezz'ora sono da te» e, senza darmi neanche il tempo di replicare, chiuse la chiamata.
Fissai il mio telefono ormai muto e tutti i miei pensieri positivi circa la presenza di Giulio nella mia vita scomparvero. Dove diavolo voleva portarmi? Io odiavo le sorprese, e di questo doveva esserne accorto da solo. Mi infastidiva non programmare quello che dovevo fare, perciò quell'assurda telefonata mi mise ansia.
“Preparati” mi aveva detto, senza neanche specificare dove dovessimo andare. Al mare? In campagna? All'inaugurazione di una mostra molto chic? In una bettola fatiscente? Conoscendolo, poteva trattarsi di qualsiasi cosa. Alla fine optai per qualcosa che andasse bene in qualsiasi occasione, indossai il bracciale di Margherita da cui non mi separavo quasi mai, misi in borsa chiavi, portafoglio e cellulare e aspettai paziente che Giulio arrivasse e mi rivelasse il famigerato luogo in cui voleva trascinarmi. E se avesse avuto da ridire, beh, peggio per lui.
Esattamente mezz'ora dopo sua chiamata, il campanello suonò e mi ritrovai Giulio dietro la porta di casa: aveva i capelli scompigliati e sorrideva.
«Sei pronta?» mi salutò.
Lo guardai malissimo. «Sarebbe stato quanto meno carino da parte tua lasciarmi qualche indizio. Dove andiamo?»
Lui mi fece l'occhiolino, per nulla toccato dal mio tono molto poco amichevole. «È una sorpresa» mi rispose enigmatico.
Incrociai le braccia al petto. «Non mi piacciono le sorprese, lo sai.»
Ma Giulio non si scompose e mi tese la mano. «Ti fidi di me?»
«No!» lo fulminai; tuttavia, malgrado le mie parole, gli diedi la mano e lasciai che mi portasse con sé.
Appena usciti ci dirigemmo verso la sua auto, parcheggiata a pochi metri di distanza; la mia ansia crebbe. «Non c’era alcun bisogno che salissi a prendermi, avrei potuto benissimo scendere io.»
Giulio fece finta di non sentirmi e, raggiunta l'automobile, mi aprì la portiera, accompagnando quel gesto con un piccolo inchino; mi accomodai lanciandogli un’occhiata in tralice che però lui non colse.
«Bene, e adesso che siamo qui, mi vuoi dire dove andiamo?» gli richiesi una volta che mise in moto.
Giulio sbuffò: «Proprio non ce la fai a goderti la vita, eh? Ok, allora: andiamo a festeggiare il tuo compleanno. Soddisfatta?»
Per niente.
«Ma il mio compleanno è stato la settimana scorsa! Ricordi? Il pranzo a casa di mia nonna? Mi pare che ci fossi anche tu.»
«Certo. Ma non ti ho ancora dato il mio regalo.»
«Non voglio un regalo. Lo sai che non mi piace festeggiare il mio...»
«Infatti oggi non è il tuo compleanno, mi pare. È il tuo non compleanno.»
«Scusa?» Lo guardai perplessa.
«Oggi non è il tuo compleanno, no? Perciò possiamo dire che il mio non sarà un regalo di compleanno in senso stretto, ma più un regalo di non-compleanno dato che è passata una settimana dal tuo compleanno; diciamo che è un regalo di quasi compleanno. Ci sei?»
Oddio, mi stava venendo il mal di testa.
«Ma tu non eri quello che non ha mai visto cartoni animati?» lo rimbeccai.
Giulio scosse la testa. «Per il caro Walt i miei facevano un’eccezione.»
Chiusi gli occhi e mi massaggiai le tempie: «Ok, mi arrendo. Andiamo dove vuoi, hai vinto. Basta che la smetti di drogarti di film della Disney, perché ti fanno male.»
Giulio sogghignò soddisfatto, ma non aggiunse altro.
Anche se gli avevo detto che mi sarei lasciata portare ovunque volesse, i miei sensi continuarono a rimanere all'erta e a seguire tutti i cartelli che vedevo lungo la strada; quando però abbandonammo la tangenziale e ci immettemmo nelle stradine dell'entroterra, verso paesi che non avevo mai sentito nominare, mi resi conto che non sarei riuscita a cavare un ragno dal buco, così mi arresi e cominciai a godermi il viaggio: nonostante il sole tramontasse tardi, la luce era diminuita di molto e, in lontananza, potevo ammirare la palla incandescente del sole tuffarsi tra gli uliveti e i mandorleti. Le strade si facevano sempre più impervie e strette, tanto che bisognava marciare a passo d'uomo e spesso ci fermammo per far passare le auto che provenivano dalla direzione opposta. Giulio mi aveva pregato di fidarmi di lui, ma ogni tanto gli lanciavo occhiate irrequiete: dove diavolo mi stava portando? Tuttavia, mi morsi la lingua e tenni le domande per me.
Dopo neanche un'oretta, Giulio accostò l'auto e finalmente realizzai dove fossimo: si trattava di una villetta immersa nel verde e quasi del tutto isolata. Tutt'intorno, c'era un silenzio surreale, a parte l'ululato lontano di un cane.
Mi guardai intorno estasiata: qualcuno potrebbe considerare un simile posto alquanto inquietante, ma io adoravo i luoghi silenziosi e lontani dalla realtà. Erano l'ideale per restare a contatto con la natura e potersi concentrare nel miglior modo possibile.
«Fantastico! È il luogo adatto per studiare in tutta tranquillità!» commentai infatti.
Per tutta risposta, Giulio sospirò: «Sapevo che l'avresti detto. Ma sono d'accordo con te.»
«È vostra?» gli chiesi, mentre lui estraeva le chiavi dalla tasca e apriva la porta d'ingresso.
«In teoria, sì, i miei nonni materni l'hanno lasciata a mia madre, ma non ci veniamo mai: i miei sono troppo occupati per venire qui a rilassarsi, anche se ogni due settimane mandano qualcuno del posto a pulirla e a occuparsi del giardino.» storse la bocca «Io ogni tanto invece ci faccio un salto con qualche amico.»
«O qualche amica?» replicò la solita vocina irritante nella mia testa che continuava imperterrita a fare la sua apparizione, ma anche stavolta la ricacciai indietro.
Entrammo e girovagai un po' incuriosita: nella cucina, ben pulita e ordinata, c'era un caminetto che con molta probabilità veniva usato nelle sere di inverno, visto che ci trovavamo ormai sulle Murge e l'aria era più fredda rispetto a quella del capoluogo; c'erano anche due camere da letto, un soggiorno piccolo ma elegante e un bagno molto ampio. Tutte le stanze erano arredate con mobili di legno, dando così alla casa un aspetto rustico che adorai all'istante.
«Ti piace?» Giulio mi seguì con lo sguardo, divertito.
«Tantissimo, ma» mi voltai verso di lui «non ho capito cosa c'entri questo posto con il mio regalo di quasi-compleanno.»
«Beh,» mi si avvicinò e cominciò a giocherellare con il bracciale. «hai due opzioni tra cui scegliere. La prima» avvicinò il suo volto al mio, in modo che le nostre fronti si toccassero «è goderci questo splendido luogo isolato» Fece scorrere le sue mani sulle mie braccia con estrema lentezza, per rendere più chiaro il concetto. Come se non lo fosse già stato.
«E la seconda?» piegai la testa di lato, fingendo di ignorare i brividi che il movimento delle sue mani mi avevano causato.
«La seconda, invece,» si allontanò da me e aprì una porta-finestra che dava sul retro della casa «è venire qui fuori a prendere il tuo regalo.»
Incuriosita, uscii all'esterno: nell'ampio spazio fuori dall'abitazione, erano sistemati un tavolino e due sedie a sdraio su cui erano posate due coperte; su di noi, il manto della notte stava a poco a poco cancellando le ultime tracce del giorno e le prime stelle punteggiavano già la volta celeste.
Giulio mi abbracciò da dietro. «Non sono riuscito a recuperare un telescopio, ma in compenso ho trovato un puntatore laser: ho letto che serve a indicare le stelle al buio. Ho anche controllato le fasi della luna: è nel suo primo quarto e sorgerà intorno alle tre» aggiunse tutto orgoglioso «Spero...»
Ma io non lo lasciai proseguire: mi voltai verso di lui e lo baciai, il cuore che quasi mi esplodeva in petto per la felicità.


Da perfetto cavaliere quale era, come si era premunito di farmi notare mentre andava avanti e indietro per sistemare le ultime cose, aveva pensato proprio a tutto: sul piccolo tavolino troneggiavano una candela e una bottiglia di vino rosso accompagnata da due calici, mentre dalla cucina proveniva il profumo di qualcosa di buono.
«Non mi dire che hai cucinato tu!» alzai la voce per farmi sentire dall’interno: sebbene avessi insistito, mi aveva proibito di dargli una mano e mi aveva ordinato di mettermi comoda perché avrebbe pensato a tutto lui.
«Mi sarebbe piaciuto» mi rispose venendo fuori con una porzione di pollo alle mandorle con contorno di patatine «Ma purtroppo avrei destato troppi sospetti in casa. Così, per ora, potrai ammirare solo la mia abilità nell'accendere il microonde.»
Presi al volo una patatina, prima che appoggiasse il piatto sul tavolo e me la gustai: «Per adesso, sei promosso.»
Giulio si sedette accanto a me piuttosto soddisfatto.
Mangiammo parlando del più e del meno, mentre il cielo si oscurava sempre di più e le stelle visibili a occhio nudo diventavano sempre più numerose.
«Non mi sono mai soffermato a guardare il cielo,» ammise alzando la testa «perciò non mi ero accorto che si potessero vedere così tante stelle.»
«Più la notte avanza, più ne vedi» gli spiegai mandando giù un cucchiaino di tiramisù. Guarda,» con un dito attraversai la volta celeste da destra a sinistra «la vedi quella striscia un po' più chiara? È molto labile, ma dovresti riuscire a scorgerla.»
Giulio seguì il mio dito e focalizzò l'attenzione sulla porzione dl cielo che gli indicavo: «Più o meno.»
«Quando spegneremo la candela la vedrai molto meglio. Quella è la Va Lattea, la nostra galassia. I greci la chiamarono Galaxias, appunto perché appariva come una striscia bianca nel cielo.»
Dopo aver terminato il dessert e aver sparecchiato, lasciando solo i due bicchieri e la bottiglia ancora a metà, spensi la candela, ci coprimmo con le coperte che Giulio aveva tirato fuori e aspettammo che gli occhi si abituassero all'oscurità. Intorno a noi, c'era un silenzio perfetto e non si udiva neanche il ronzio di una mosca; l’aria profumava di erba umida mista alla citronella che Giulio aveva acceso per tenere lontane le zanzare.
«Avevi ragione: adesso la vedo molto meglio» commentò e intuì che stesse parlando della Via Lattea.
«La prima cosa che ti insegnano è trovare la stella Polare che, si dice, rimanga immobile durante tutto l'anno; in realtà, non è vero, ma il suo movimento è così impercettibile per noi che non cambia nulla. Come penso tu sappia, la Stella Polare si può trovare partendo dall'Orsa Maggiore» Con il laser, gli indicai la parte a nord ovest del cielo «Le vedi quelle due stelle, una vicina all'altra? Moltiplica per cinque la loro distanza e troverai la Stella Polare» mi spostai con il puntatore, in modo da indicargli come fare, e mi fermai sulla Stella Polare. «Ora, guarda,» spostai il raggio rosso più in basso, sotto la Stella Polare, «queste due stelle si chiamano Pherkad e Kochab. Come puoi notare, sono molto luminose, ma non come la polare; adesso, uniscile tutte e tre come se volessi rappresentare un mestolo» mossi il puntatore per collegare le tre stelle «Ecco, hai trovato l'Orsa Minore o Piccolo Carro.»
Gli spiegai come, durante le stagioni, la posizione dei due carri sia diversa e come riconoscere i pianeti del nostro sistema solare; gli raccontai delle costellazioni e di tutto quello che ricordavo dai racconti di mio padre e, con mia grande sorpresa, mi accorsi che era più di quanto immaginassi. All'inizio, non mi fece domande, tanto che pensai si stesse annoiando o si fosse addirittura addormentato; poi, quando mi fermai un attimo per riprendere fiato, «È fantastico…» lo sentii commentare sottovoce.
«Già. Ormai la scienza ha spiegato in modo inequivocabile cosa sono quei puntini luminosi, eppure la gente continua ancora a stare con il naso per aria per ammirarli. Non è incredibile?»
Continuammo a scrutare il cielo per ore: come avevo già avuto modo di appurare, Giulio era un allievo sveglio, che imparava in fretta, e infatti ben presto volle mostrarmi che aveva seguito con attenzione la mia spiegazione.
L'aria si era molto rinfrescata, eppure non l'avvertivo, anche se non era chiaro se ciò dipendesse dalle coperte o dal vino che, ormai, era quasi finito. Sentivo la testa leggera e quando Giulio affermò all'improvviso di aver visto una stella cadente, mi sentii così offesa dal cielo per aver preferito che ad avvistarla fosse stato lui e non io, che proposi una gara a chi ne avrebbe viste di più; inutile dire che non ne beccammo più neanche una e io ebbi il sospetto che, in realtà, mi avesse presa in giro e che non avesse avvistato un bel niente.
Quando la mattina seguente mi svegliai, mi ritrovai su un letto che non ricordavo affatto di aver raggiunto; l’ultima immagine chiara che avevo era quella di Giulio che continuava a difendere con veemenza il fatto che avesse davvero visto una stella cadente.
«Mi ci hai portato tu?» m’informai entrando in cucina, ancora mezza addormentata: Giulio stava mettendo a posto la borsa termica in cui aveva portato il dolce.
«Non ti volevo svegliare» si giustificò, capendo subito di cosa stessi parlando.
Scossi la testa. «È che... non pensavo di essere così leggera» ricordai che già in altre occasioni mi aveva presa in braccio senza il minimo sforzo.
«Mi sa che tua nonna ha ragione, sei troppo magra!» sogghignò prendendomi in giro.
«Molto, molto divertente» gli lanciai un'occhiataccia. «Faccio un caffè?»
«Ci avevo già pensato, ma non ce n'è. Mi sono dimenticato di prenderlo» si scusò «Perciò,» mise da parte la borsa frigo e mi raggiunse dall'altra parte del tavolo «visto che sono ormai le dieci, avrei un'idea.»
Un guizzo di malizia attraversò i suoi occhi celesti.
«Ah sì? E quale?» Gli sorrisi sorniona, intuendo benissimo dove volesse andare a parare.
«Beh,» la sua bocca si avvicinò al mio orecchio. «potremmo restare ancora un po' a goderci questo silenzio e dopo andare in paese a far colazione, prima di tornare a casa.» Senza fretta mi baciò il lobo dell’orecchio. «Dopotutto, la mia proposta numero uno di ieri sera è ancora valida...» e scese a baciarmi il collo.
Chiusi gli occhi. Come avrei potuto rifiutare la sua idea se la metteva in questi termini?
Gli misi le braccia intorno al collo e lui colse al volo la mia risposta.
Inutile specificare che, quel giorno, non facemmo mai colazione.


Note dell’autrice
Giusto un paio di note sull’argomento di tesi di Lucia: io non sono una classicista, la mia tesi di laurea è stata su tutt’altro argomento e in tutt’altra materia e non ho idea se la teoria di Lucia possa essere realizzabile. Ho scelto un simile argomento semplicemente perché, amando il teatro, al liceo rimasi malissimo nello scoprire che le tragedie di Seneca avevano così poco spazio nel mio libro di letteratura latina rispetto ad altre opere. Ed essendomi rimasto sempre questo pallino, ho voluto parlarne. Le opinioni secondo cui l’Octavia sia spuria vanno per la maggiore fra gli studiosi (e, in effetti, hanno motivazioni piuttosto solide), ma ovviamente la versione di Lucia doveva essere per forza controcorrente, altrimenti non avrebbe avuto senso l’interesse da parte della professoressa Galanti - che, ricordo a tutti, non esiste.
Perciò, mi perdonino i classicisti che leggono questa storia se ho scritto qualcosa di filologicamente assurdo: non vogliatemene, la mia Lucia vuole rubarvi il lavoro solo nella mia fantasia. XD
   
 
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