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Autore: LeapOfFaith1489    08/02/2020    1 recensioni
Per Anathema Bennet-Fell, figlia di un vicario e di una strega ripudiata, essere sotto la custodia di Aziraphale e degli Arcangeli è alle volte francamente frustrante. Soprattutto quando i suoi padrini si mettono in testa di accasarla con Newton Pulsifer, il ricco giovanotto che si è appena trasferito a Netherfield, per adempiere a chissà quale Piano Divino.
La situazione si complica quando Newt si rivela essere sotto la protezione dello scontroso Mr Crowley, un demone in incognito tra gli umani. Gabriel e gli altri ne sono consapevoli, e Anathema si fa sospettosa. Qualcosa non torna. Da quando i demoni collaborano con gli angeli?
Senza contare che Aziraphale e Mr Crowley sembrano aver iniziato da subito una guerra privata, fatta di costanti punzecchiamenti e discussioni infinite, segno di una totale incompatibilità e profonda antipatia reciproca...
Oppure, l'angelo e il demone stanno flirtando spudoratamente davanti all'intera società dell'Herfordshire e ai rappresentanti di Inferno e Paradiso.
Il che è ancora più preoccupante, alla luce del Piano Divino...
Genere: Romantico, Sentimentale, Storico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Slash, FemSlash | Personaggi: Anatema Device, Aziraphale/Azraphel, Crowley, Newton Pulsifer
Note: AU, Cross-over | Avvertimenti: nessuno
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Capitolo 2: Vade retro

“Prima di iniziare questa guerra di volontà, mia cara, ti sei almeno assicurata che il giovanotto in questione sia piacente?”

Fin dal primo momento in cui aveva bussato alla porta di Mrs Tracy e Miss Pepper, Anathema aveva capito di aver compiuto la mossa sbagliata. Dopo la terribile delusione che la discussione con Aziraphale le aveva inferto era corsa a Potts Lodge per cercare nelle sue amicizie umane il conforto che non aveva trovato a Fellbourne; tuttavia, proprio la natura umana delle sue confidenti non le permetteva di spiegare appieno il fulcro del malessere che l’aveva portata laggiù.

Come poteva raccontare loro del libro di profezie che Gabriel teneva sotto chiave?

Come spiegare che una schiera intera di angeli le ordinava di sposarsi, e lei aveva il terribile presentimento che da questo matrimonio dipendesse molto di più della sua vita?

“L’aspetto di Mr Pulsifer non cambia la situazione, Mrs Tracy,” decise di ribattere, soffiando sull’infuso al gelsomino che la sua ospite le aveva premurosamente offerto. Doveva contenere la frustrazione. Spiegare la natura divina della Grande Profezia e il peso biblico del suo destino non era un’impresa da intraprendere all’ora del tè.

La padrona di casa si portò una mano affusolata contro il petto.

“Ma certo che la cambia, mia cara. Se Pulsifer è adeguatamente avvenente, che motivo hai di rifiutare almeno un incontro?”

“Per come la vedo io,” intervenne Pepper, che, nonostante la giovane età, raramente si tratteneva dal contribuire a una conversazione quando questa le dava l’opportunità di esprimere le proprie idee, “è tutta colpa della pressione sociale sulle donne, zia Tracy. Miss Anathema è intelligente e capace, non ha bisogno di un uomo vicino. Se la sua famiglia non lo capisce, può venire a vivere con noi. Siamo libere, qui.”

Mrs Tracy rise di buon cuore, riservando alla nipote un buffetto indulgente, di quelli che costringevano la ragazzina a roteare gli occhi al soffitto in maniera piuttosto plateale.

“Tu ed io siamo nascoste, qui, tesoro mio. Lontano dagli occhi di chi ha deciso che siamo merce invendibile.”

“Nessuna di noi è una merce!” sbottò Pepper, oltraggiata. 

Mrs Tracy annuì. “Certo che non lo siamo, questo va da sé. Ma la nostra posizione è delicata, mia cara, e ci costringe ad agire come saggi amministratori di noi stesse. In questo dobbiamo essere molto più scaltre e calcolatrici di quanto non lo siano gli uomini, non concordi?”

Madame Tracy alzò uno sguardo calmo e sorridente su Anathema. C’era una saggia gravità nel suo sguardo, smentita dal tono leggero della voce.

“Per questo, ragazza mia, io penso che dovresti dare a Mr Pulsifer almeno un’occasione. Se puoi uscire vincitrice da questa partita, devi giocare ogni carta a tua disposizione.”

“E il matrimonio rappresenterebbe la vittoria?” ribatté Anathema, con più disprezzo nella voce di quanto avesse inteso imprimervene.

“La sicurezza, mia cara, è la vera vittoria.”

Mrs Tracy poggiò la tazza sul piattino con un’affettata eleganza che tradiva in parte i suoi trascorsi in teatro. Eppure, nonostante i tocchi di leziosità e l’abbigliamento chiassoso che si concedeva nel privato, quando era in pubblico la ricca vedova non si comportava mai in modo meno che misurato, sfoggiando le maniere di una lady e la compunzione di una suora. Essersi sposata con un uomo rispettabile le concedeva una nicchia di decoro, a patto che non lasciasse mai trapelare il suo scandaloso passato.

Che tremenda fatica doveva essere, cambiare maschera in continuazione. Anathema non riusciva a mettersi nei suoi panni, e tremava all’idea che forse, un giorno, per mantenere la sua indipendenza avrebbe dovuto imparare quelle stesse arti di finzione e inganno.

Pepper gonfiò le guance, alla strenua ricerca di qualcosa da controbattere di fronte all’icastica conclusione della zia. Quando l’ispirazione non giunse, dichiarò che avrebbe ricostruito con le sue bambole la campagna militare di Boadicea contro gli invasori Romani.

Ad Anathema non sfuggì lo sguardo di traboccante affetto che Mrs Tracy rivolse alla nipote mentre questa si allontanava verso l’angolo opposto della stanza.

“Le ho permesso di coltivare idee scomode”, mormorò la donna, non senza una traccia di rimpianto.

“Almeno, sono idee che le appartengono,” constatò Anathema, e non disse che le condivideva. Forse, abbracciare la stessa prospettiva di una ragazzina di undici anni, per quanto intelligente e precoce, non faceva propriamente onore alla sua supposta maturità.

Mrs Tracy poggiò la tazza sul tavolino, e il movimento del polso portò con sé un tintinnio di ciondoli smaltati e argento.

“La società è un luogo crudele, Anathema. Lo è per le donne troppo fragili e per quelle troppo forti. Per tutte quelle che non sono nate per riempire calze di seta e hanno invece dovuto lottare per un paio di scarpe. Può diventare un inferno per coloro che verranno messe nella pila degli scarti a prima occhiata, solo perché non hanno ricevuto buone carte nella loro mano.”

Gli occhiali di Anathema si erano fatti straordinariamente più pesanti. Li spinse indietro, schiarendosi appena la voce mentre guardava Pepper giocare con le sue bambole all’altro lato della stanza.

L’adorata pupilla di Mrs Tracy non appariva spesso in società, per la sua stessa protezione. Da quando era venuta a vivere con l’eccentrica zia, c’erano stati spiacevoli commenti in quel di Tadfield, e non poche malignità gratuite susurrate tra gli stessi banchi della Chiesa, alla domenica. Figlia di un’avventura del giovane, scapestrato nipote del defunto Mr Tracy, Pepper portava il marchio dell’illegittimità addosso. Era bella, intelligente e colma di spirito; e confinata in campagna, lontano dalla società che contava e da qualsiasi connessione che l’avrebbe aiutata a fiorire. Perché il padre, pur amandola e provvedendo affinché non le mancasse nulla, rifiutava di mostrarsi in pubblico con una figlia dalla pelle scura.

Anathema si morse l’interno delle guance. Avrebbe dato a Pepper il mondo intero, se avesse potuto.  Conosceva l’amarezza dell’amore condizionato, e la rabbia che provava per la sua giovane amica rinfocolò il mai sopito astio nei riguardi di Gabriel.

Nat, cara. Più impari e meno possibilità avrai di trovare marito.

Che così fosse, allora. Lei non aveva bisogno di nessuno. Sarebbe stata felice a Potts Lodge, con Pepper e Mrs Tracy. Isolate dal mondo, tutte e tre, eccentriche e schiette finché lo desideravano, senza nessuno a puntare il dito sulla loro supposta inadeguatezza.   

Quasi sussultò, quando sentì la mano di Mrs Tracy posarsi sulla propria.

“Ascoltami bene, ragazza mia. Non so cosa tu stia elaborando in quella testa calda, ma pensaci due volte prima di rifiutare questa occasione. Pepper ed io ti adoriamo, lo sai, ma tu non sei come noi.”

“Mrs Tracy…”

“Tu hai ricevuto carte migliori delle nostre. Non lo capisci? Vincendo la tua partita, vincerai anche per noi due.” La mano della donna era avvolta in un guanto di seta. Attraverso la stoffa preziosa, Anathema avvertiva la ruvidezza di dita che avevano conosciuto il lavoro e la fatica. “Puoi farlo, sai? Puoi riempire la figurina che la società ti vuole ritagliare intorno. Non ribellarti, cara: calzala come un guanto, impara a muovertici dentro. Dai margini, dove stiamo noi, non potresti fare nulla. Prendi il palcoscenico invece, indossa quella maschera e falla tua. Solo così puoi diventare libera.”

Anathema pensò a quelle parole a lungo e duramente. Vi pensò sulla via del ritorno verso Fellbourne, valutò ogni angolo della prospettiva di Mrs Tracy - anche se il solo pensiero le stringeva la gola.

Andare incontro alle aspettative per poterle sovvertire. Giocare secondo le regole per poterle, di tanto intanto, piegare. Richiedeva un’abilità che non era certa di possedere, una capacità di programmazione che la stremava al solo pensiero. Anathema non era brava a celare se stessa. Avrebbe dato tutto ciò che possedeva per mettere le mani su un incantesimo che le insegnasse a mescolarsi tra la folla, abbassare la voce, rendersi invisibile.

Guardò le condizioni del cielo. Era ancora plumbeo,  le nuvole tendevano a un lilla carico di pioggia ed ombre. Accarezzò l’idea di fermarsi in uno sprazzo tra le fronde, e leggere, finalmente, il libro di incantesimi che portava sempre con sé. Ma la luce del giorno stava calando. Avrebbe dovuto fare ritorno a Fellbourne, prima che Gabriel sguinzagliasse una schiera intera di Virtù per ritrovarla.

Si fermò bruscamente quando, nel campo poco lontano, distinse uno sbuffo di fumo nero. Non era raro in quei giorni vedere colonne cupe salire verso il cielo: appena prima di San Michele i contadini avevano iniziato a raccogliere le foglie secche, pronti a farne falò per ripulire i campi e i giardini. Tuttavia, nessuno di quei fuochi aveva mai scoppiettato così intensamente, né odorava tanto distintamente di zolfo.

Il ciondolo alato sul petto di Anathema divenne incandescente, in un’unica, improvvisa fiammata. Dovette estrarlo da sotto i vestiti, e studiarlo portandoselo vicino agli occhi. L’oro pallido si era  acceso di una tinta arancione acceso, come una brace ravvivata.

Quando Anathema si trovava in presenza degli angeli, il ciondolo era sempre freddo come ghiaccio.

Secondo una logica molto elementare, se ora il metallo benedetto aveva reagito a quel modo poteva soltanto significare che...

“Ancora un minuto, Mr Crowley. Lasciatemi soltanto sistemare questo bullone, sono sicuro che...”

Voci maschili provenivano dal campo. Il ciondolo non reagì alla prima, ma quando la seconda la seguì il calore si irradiò lungo la catena, costringendo Anathema a lasciare la presa e a portarsi le dita ustionate alle labbra, mentre il manufatto angelico cadeva, fumante, sul terriccio umido.

“Quanto tempo ancora dobbiamo perdere qui fuori, Newt? Fa freddo. È umido. Non sta succedendo niente di interessante. Se non hai intenzione di mandare a fuoco i campi entro cinque minuti, io me ne torno a Turpinfield.”

Per il suo sommo orrore, Anathema vide il ciondolo della famiglia Bennet coprirsi di una patina nera. Si inginocchiò accanto al cimelio, estrasse il fazzoletto e ve lo avvolse intorno. Attraverso gli strati di stoffa, il calore sembrava essersi disperso abbastanza da permetterle di stringere l’involto tra le mani.

“Io voglio restare,” intervenne una terza voce, decisamente più acuta delle prime due. “Sto scrivendo un libro: mille e una maniera in cui Newt può rendersi ridicolo. Questa mi sembra una buona premessa per il capitolo ottocentotrentadue.”

A quelle parole, il ciondolo non ebbe alcuna reazione.

Anathema strinse fazzoletto che conteneva il gioiello dentro il pugno, e, protetta dal tronco di una betulla, si affacciò al limitare del boschetto per spiare il trio radunato nel campo al di là del sentiero.

Distinse tre figure umane – o, almeno, che di umano avevano la forma. Una, più piccola ed esile delle altre, doveva appartenere a un ragazzino a stento più grande di Pepper. La seconda era piuttosto alta, dinoccolata nei movimenti: un giovane uomo in maniche di camicia, indaffarato intorno a quella che, a tutti gli effetti, sembrava una scatola di metallo grossolanamente munita di pistoni e...

Zampe? Ne avevano di certo la forma e le precise articolazioni.

Era quell’aggeggio non meglio definito a rilasciare il fumo pestilenziale che Anathema aveva visto da lontano.

“Non è una perdita di tempo”, ribatté quello che sembrava l’entusiasta ingegnere del gruppo. “Questa volta funzionerà, ho studiato il progetto per cinque mesi prima di toccare anche solo un bullone.”

“Non potevi lasciare questa carcassa a Londra? No, certo, dovevi per forza trascinarla nell’Oxfordshire. Sai quanto ci ha rallentato nel trasloco? Potevamo arrivare qui una settimana fa. Quando, di certo, non faceva ancora questo freddo dannato.”

A parlare era stata una snella figura in nero, avvolta in una sciarpa dello stesso colore - nonostante il giorno di San Michele fosse ancora lontano e la temperatura fosse tutt’altro che rigida. L’uomo era piuttosto slanciato, un insieme di arti lunghi e languidi fasciati in abiti cupi di cui, anche da lontano, era impossibile non notare il taglio perfetto. Dietro al tronco dell’albero, Anathema vide una ciocca di capelli di un rosso intenso che sbucava da sotto il cilindro color carbone.

Il ciondolo alato pulsò attraverso gli strati della stoffa, in allarme.

Chi era quell’uomo inquietante? L’amuleto benedetto non sembrava gradire affatto la sua vicinanza.

“È un miracolo che questo aggeggio sia rimasto tutto intero fino ad ora,” disse il ragazzino.

“Warlock,” L’uomo in nero abbassò la montatura di quelli che, a distanza, sembravano un paio di occhiali dalle lenti oscurate. “Quante volte devo dirtelo? Modera le parole, o prima o poi ti taglio la lingua e la do in pasto ai ratti.”

L’interpellato scrollò le spalle, per nulla inquietato dall’orrida minaccia.

“Mi dispiace, Mr Crowley,” cantilenò, “volevo dire: è una disgrazia che sia rimasta tutta intera.”

Il meccanico si asciugò il sudore dalla fronte con l’avambraccio. La manica, macchiata di quella che pareva essere una patina densa e scura, si lasciò dietro una lunga sbavatura nera che disegnò un ponte tra le sopracciglia del giovane. Se se ne accorse, lui non parve curarsene troppo.

“Varrà la pena, Mr Crowley, ve lo prometto. Il vostro cavallo meccanico sarà un portento, parola di...”

Mentre il giovane uomo formulava quella solenne promessa, l’accozzaglia di lamiere si mosse con un gran salto in avanti, e uno scoppiettio decisamente più rumoroso degli altri.

“Ah!” esclamò il meccanico, vittorioso, “Ve l’avevo detto, si muove, funziona!”

“Se fossi in te, scenderei da quell’affare prima di lasciarci le penne,” commentò, atono, il ragazzino chiamato Warlock.

“Non prima di aver compiuto il mio giro inaugurale. Guardatemi, Mr Crowley! Il cavallo meccanico funziona, finalmente! Dopo tutti i miei fallimentari tentativi, ho costruito una macchina che funz... Ehi, perché la leva direzionale non... questo filamento non doveva...”

Un altro scoppio, più intenso, proiettò l’aggeggio diverse iarde in avanti, spingendolo oltre il sentiero a velocità sostenuta.

“Scendi, razza di sconsiderato,” gli gridò dietro l’uomo in nero, “Ti romperai un altro osso se...”

“Non posso, io... i freni non funzionano... Mr Crowley? Mr Crowley, aiut...”

In un attimo, la macchina infernale sbandò a velocità impazzita; con orrore, Anathema realizzò che si stava schiantando proprio in direzione della macchia di betulle. Specificatamente, verso il punto in cui lei era nascosta.

Quello che accadde dopo, Anathema avrebbe avuto per sempre difficoltà nel definirlo, perfino a se stessa.

Un miracolo?

Una fortunata coincidenza con conseguenze relativamente catastrofiche?

L’unica cosa di cui era sicura era che l’aggeggio metallico si era schiantato contro l’albero dietro cui fino a pochi attimi prima era nascosta, sbalzando a terra il malcapitato meccanico. Se l’impatto aveva spezzato il tronco della betulla, tuttavia questo si era fermato a mezz’aria, come congelato nel tempo; Anathema, che si era gettata a terra per proteggersi dal crollo, si era tuttavia ritrovata presto con un peso del tutto umano addosso, mentre sassi e rami premevano contro la schiena dolorante. Gli occhiali le erano sbalzati via dal naso. Quando si risollevò, scostandosi di dosso una balbettante massa di scuse avvolta in abiti macchiati d’olio, cercò a tentoni sul terreno fangoso per ritrovarli.

“Siete... siete per caso impazzito?” sbottò, stordita e confusa. D’accordo, non vedeva bene senza occhiali, ma davvero quel tronco spezzato stava levitando a mezz’aria? Qualcosa doveva aver interrotto la sua discesa, ma Anathema non riusciva davvero a capire cosa. “Condurre... esperimenti del genere! In aperta campagna! Che cosa vi è saltato in mente, sir, io davvero non...”

D’improvviso, sentì il peso della famigliare cornice sul naso. Uno dei suoi occhi riacquistò una visione nitida; l’altro dovette adattarsi alla crepa che attraversava la lente. Oltre quello sfregio, Anathema vide con chiarezza che dall’altra parte c’erano a fissarla le iridi più grandi e più intensamente azzurre che avesse mai incontrato.

“Le... le mie più sentite scuse, miss, io non avevo idea... Vi prego, ditemi che state bene. State bene? A me sembrate più che perfetta. No, ah, voglio dire...”

“Newt!”

La voce dell’uomo in nero e quella del bambino si fusero in un richiamo preoccupato, mentre i due correvano loro incontro.

“Stai bene?”

“Razza di incosciente senza cervello, quando lo capirai che queste cose non fanno per te?”

“Te l’avevo detto che ci avresti lasciato le penne. Ehi, credo di aver appena pestato i tuoi occhiali.”

“Questa è l’ultima volta, Newton Pulsifer, giuro su S-“

Mentre il ragazzino porgeva al giovane un paio di occhiali molto più malconci di quelli di Anathema, l’uomo in nero sembrò accorgersi di lei per la prima volta. La squadrò dietro le lenti oscurate. Anathema colse un guizzo del suo sguardo attraverso quegli schermi di tenebra, ed ebbe paura.

“Su, coraggio, in piedi,” le disse l’uomo. “Non è successo niente.”

C’era una nota suadente nella sua voce, come se non la stesse soltanto incitando ad alzarsi. Come se stesse piantando il seme di una realtà nella sua mente e attendesse di vederlo germogliare.

“Non ci hai incontrato, ragazza. Non hai visto nessuno nei campi. Ti sei spaventata perché un fulmine ha fatto cadere il tronco poco lontano da dove ti trovavi, ma per fortuna ti sei spostata in tempo.”

“Io...”

Anathema si lasciò sollevare per il gomito dall’estraneo in nero. Per un attimo, tra gli alberi, uno sprazzo della debole luce del tramonto le permise di vedere l’ombra della sua pupilla. Allungata, come quella di un serpente.

Il sangue di strega le ribollì nei polsi. La fiammata avvolse il fazzoletto, divampando rapida per poi rattrappirsi e consumare la stoffa su se stessa.

Il ragazzino e il giovane trattennero il fiato. L’uomo in nero strinse le labbra sottili.

“E così, tu saresti...”

“Anathema!”

La voce di Aziraphale cadde su di loro come una frusta.

Anathema avvertì la mano dell’angelo intorno al polso, e in un attimo si trovò al riparo della sua schiena. Le grandi ali bianche lacerarono il tessuto della realtà e si dispiegarono alle spalle del Principato, facendole da scudo.

Quando Aziraphale parlò di nuovo, la sua voce risuonò degli echi della Creazione.

Vade retro, demonio. La ragazza è protetta.”

 

***

 

Non riesco a credere a quello che sto vedendo, in questo momento.

La mia bambina, accanto a lui.

La mia Anathema, a pochi passi dall'unico essere in tutto l'universo che avrei voluto non incontrare mai più.

Appena ho capito che avrebbe ripreso a piovere, sono uscito con l'ombrello più grande che potessi creare con un miracolo; ero determinato a trovare la mia cara ragazza, a riportarla a casa. Avremmo discusso di nuovo dell’argomento che ci aveva allontanato nel pomeriggio, ma per il momento l’unica cosa importante per me era saperla al sicuro.  

Ho in qualche modo sentito che la mia pupilla era in pericolo? Di certo vorrei poterlo dire: ma no, non è andata così. Ma non sono mai stato quel tipo di creatura, vero? Sono troppo egoista per connettermi in questo modo con le emozioni umane. Riesco a farlo soltanto attraverso il mezzo vicario di una pagina, quando mi immergo in un mondo fatto di parole e immaginazione. Tutti i secoli che mi sono lasciato scivolare tra le dita mi hanno reso emotivamente distante. Uno come me non ha premonizioni.

Non avevo idea che Anathema avesse bisogno di me. Ho camminato verso l'unico posto che le avrebbe dato rifugio lontano da Fellbourne, e ho avuto la fortuna di trovarla a metà strada.

Dire che non mi aspettavo di vederla in una tale compagnia è un eufemismo bello e buono.

Avrei dovuto portare io la suddetta compagnia da lei, sotto la protezione di un sigillo sacro impresso dagli Arcangeli. Di fronte al Frutto dei Lombi di Caino e al suo guardiano occulto.

Non c'è alcuno scudo benedetto, ora, tra la mia Anathema e le creature demoniache che la circondano. E che dire di questa specie di...  carro metallico che se ne sta schiantato e fumante contro il tronco spezzato di un albero? Fa parte di un contorto rituale di caccia degli Avversari? Non ricordo di aver letto nulla a riguardo. Non mi hanno passato alcun memo dalla Direzione.

Non importa. Impugno il mio ombrello come una spada, e, poiché sono certo che lo farà, l'ombrello viene subito avvolto in una vampata che non lo consuma, ma continua ad ardervi intorno, minacciosa. L’eco di un ricordo mi fa tremare le ossa.

“Era tutta ricoperta di fiamme. Che fine ha fatto? Non mi dire che l’hai persa...”

“L’ho data a qualcun altro.”

“Tu cosa?”

“L’ho data a qualcun altro!”

Stringo più forte il manico dell’ombrello infuocato. Crowley ha dimenticato quello scambio, di certo. Non c’è alcun motivo per cui dovrebbe ricordarlo.
Il ragazzo dai capelli scuri– un altro innocente in cui il Male ha affondato i suoi artigli, povera anima – emette un suono strozzato di fronte alla mia improvvisata arma. Gli occhi chiari si riempiono di meraviglia.

“Questo sì che è un trucco come si deve. Crowley, lo sai fare anche tu? Perché non mi hai mai incendiato un fioretto? Mi eserciterei ogni giorno se lo facessi. ”

Il demone in nero non risponde. Studio le sue sembianze aquiline, gli zigomi affilati come lame. Pericoloso come sempre. Seducente come sempre. Fa parte del suo fascino malvagio, suppongo.

“Angelo.”

In risposta a quel suono, il nome del mio avversario mi risale lungo la gola, e per un delirante momento sono certo che lasci sangue sulle mie labbra mentre lo pronuncio ad alta voce. Non lo facevo da cinque decadi, almeno.

“Il demone Crowley. Se non sbaglio, il nostro ultimo incontro risale a qualche secolo fa.”

“Inghilterra elisabettiana, ricordo bene?”

“1613, l’incendio del Globe Theatre. Purtroppo per te, ero lì a sventare i tuoi piani.”

“Certo, come sempre.” C’è il morso del sarcasmo nella risposta del demone. È un retrogusto che non sono mai riuscito a disprezzare, perché segno di un’intelligenza vivace. Vedere il buono nel Nemico fa parte delle qualità di un angelo, suppongo. “Grazie ai tuoi celestiali miracoli tutti gli spettatori e gli artisti si sono salvati prima che il teatro crollasse. Punto per il Paradiso, quella volta.”

“La tua parte avrebbe mietuto un sacco di anime quel giorno, se fosse stato altrimenti.”

“Almeno mi sono goduto lo spettacolo. Caos da ogni parte, attori urlanti, nobili che piangono invocando la mamma. Dovrei ringraziarti. Non mi sono mai divertito tanto a teatro.”

“Il Bene, Crowley, è destinato a trionfare sempre sul Male. Dovresti saperlo, ormai.”

Sto fingendo una spavalderia che non riesco a sentire. Ma questa è la formazione che abbiamo ricevuto a riguardo: abbiamo fatto un corso di orientamento obbligatorio proprio per imparare ad Avvicinare il Nemico Ereditario. È così che dovremmo parlare con i Caduti, sto solo applicando il protocollo aziendale.

“Già”, mormora Crowley. “Riesci sempre a sventare i miei arguti piani, angelo.”

Il nemico cambia rapidamente umore e argomento, indicando il mio ombrello in fiamme.
“Vedo che le cose stanno andando bene dal tuo lato della barricata, eh? Nuova arma di servizio, buon per te.”

Dietro di me, Anathema tossisce, nervosa.

“Per favore, Aziraphale, dimmi che non era il mio ombrello preferito.”

“Che cosa?” Quasi soffoco nel pronunciare quelle due parole. “No! No, naturalmente, non avrei mai appiccato fuoco a...”

Mentre sto ancora cercando di trovare le parole che chiaramente si dilettano nel rifuggirmi, il giovane uomo dai grandi occhi blu e la pettinatura di un pulcino appena caduto dal nido fa un passo verso di me, per nulla impressionato dalle ali bianche che ancora se ne stanno innalzate come una barriera per proteggere Anathema.

“Mr Fell, presumo? È un onore incontrarvi, signore. Il mio guardiano, Mr Crowley, nutre il massimo rispetto per il vostro lavoro. Vi prego, permettetemi di presentarmi, sono...”

“Newton Pulsifer, ” dice Anathema, con lieve disprezzo, sbirciando da dietro le mie penne primarie.

“Be’, sì, ” il giovane ammette, come se stesse confessando un peccato capitale. “Miss, come fate a...”

“È lei, Newt,” interviene Crowley, impaziente come lo  ricordavo. “La ragazza. Per... quell’affare.”

“Oh”, dice il ragazzino al loro seguito. “Sei tu quello che ci guadagna nello scambio, eh, Newt? Una come lei potrebbe avere decisamente di meglio.”

Il volto di Mr Pulsifer si tinge di diverse sfumature di rosso scuro. La vista in qualche modo mi dà sollievo.

Il carattere del giovane mi causava una certa preoccupazione, ma devo dire che finora, per essere stato cresciuto dai demoni, sembra essere un gentiluomo a modo. A parte il fatto, naturalmente, che a quanto pare ha cercato di uccidere Anathema con una sorta di carro meccanico.

“Insomma”, dice Crowley, con la fastidiosa nonchalance che sfoggia da millenni. “Non è esattamente quello che avevamo pianificato, ma potremmo approfittare di questa... inattesa riunione, no? Tè a casa nostra?”

Che uomo irritante. Questo suo lato insopportabile mi ha colpito fin dall'inizio. Colpito, nel senso di: offeso. Urtato. Mi sento davvero urtato dalla sua inaspettata presenza, sì.

Stringo più forte il mio ombrello fiammeggiante. “Non credo proprio, diavolo maligno. Non senza aver piazzato gli opportuni sigilli.”

“Andiamo, angelo. Abbiamo una torta madeleine appena sfornata, e un sacco di macarons. Ho per caso dimenticato di precisare che il nostro cuoco è francese?”

Scaltro tentatore. Come fa a sapere che ho un debole per i dolci umani? Soprattutto quelli francesi.

Ma certo, che sciocco da parte mia. Raccogliere informazioni su di me e i miei fratelli fa parte del suo lavoro.

Scuotere la testa e afferrare la mano di Anathema richiede tutto il mio autocontrollo.

“Ci vedremo al ballo di Tadfield Hall. Non un'ora prima. E l'intera schiera angelica sarà presente, ovviamente.”

Crowley annuisce, il suo sogghigno è teso. Vorrei poter vedere cosa sta succedendo dietro quegli occhiali scuri.

“Ci sarà anche la nostra schiera. Ovviamente.

Il fellone si prende gioco di me? Oh, se ne pentirà. Non so come, ma lo farò pentire di questo, senza dubbio.

“Fino ad allora, signori, buona giornata.”

Non rivolgo un altro sguardo al giovane e al ragazzo, e me ne vado, trascinandomi dietro Anathema mentre le fiamme si disperdono intorno al mio ombrello. Le ali si ripiegano delicatamente nella tasca della realtà a cui appartengono. Cammino a grandi falcate; so che Anathema fatica a stare al passo. Il nervosismo potrebbe aver rilasciato un po' della forza angelica che normalmente cerco di mascherare.

“Quel giovane uomo era...” borbotta Anathema, incespicando al mio seguito.

“Sì.”

“E il gentiluomo insieme a lui, era senza dubbio...”

“Sì, cara, temo di sì.”

“Aziraphale.” Anatema smette di camminare. Il tiro di quella mano gentile è abbastanza per fermare anche me. Mi volto a guardarla, e inorridisco nel rendermi conto che il suo volto è spezzato da un dubbio profondo. “Comincio ad avere paura.”

La prendo per le spalle, i suoi occhi dentro ai miei. Non è diverso dalle volte in cui, da bambina, Anathema si risvegliava di soprassalto, e io mi sedevo al suo capezzale per calmarla nel cuore della notte.

Usa la voce giusta, Aziraphale, usa i respiri più delicati e le parole più gentili che puoi trovare.

Ma stavolta non mentirle.

Dille qualcosa di confortante, che sia anche vero.

“Non hai nulla da temere, mia cara. Non fino a quando io sarò al tuo fianco, e questo significa per sempre. Lo sai, vero?”

Anathema prende un respiro profondo, che si scioglie in un brivido. C'è una crepa nella lente dei suoi occhiali. Somiglia a una bambina caduta dal suo pony, che mette insieme un’espressione coraggiosa finché non nota i lividi sulle ginocchia.

Mi sorride per una frazione di secondo, poi preme il viso contro la mia spalla. Sento le lacrime impregnarmi il cappotto, ma non ne faccio menzione.

 “Sì. Sì, lo so,” dice Anathema, ed io le avvolgo un braccio intorno alle spalle. Le sussurro una canzone nell'orecchio. Lei sa cosa significa. È la mia promessa infrangibile, il mio primo e ultimo voto per lei.

Non avere paura, mia cara ragazza. Non permetterò che ti succeda nulla di male. Ti ho tenuto al sicuro sulla Terra; continuerò a farlo, dovessi toccare il fondo dell'inferno.

   
 
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