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Autore: Mari_Criscuolo    10/02/2020    1 recensioni
Leila (Ella) ha 22 anni e vive a Napoli, ma, dopo la laurea triennale in psicologia, si trasferisce a Roma, per continuare il suo percorso di studi.
Sofia, sua amica da otto anni, ha deciso di seguirla.
Entrambe mosse dalla stessa chimera: lottare per la propria felicità.
Ella ha compiuto una scelta che ha fatto soffrire molte persone.
Nonostante non ne se ne sia mai pentita, sa che ogni decisione comporta delle conseguenze e lei sta ancora scontando la pena che le è stata imposta.
È convinta di essere in grado di affrontare ogni difficoltà la vita le metterà sul suo cammino, perché l'inferno lo ha vissuto, deve solo trovare il modo di non ritornarci.
Una ragazza con le sue piccole manie e le sue paure.
Una ragazza che usa il sarcasmo e l'ironia per comunicare il suo affetto e, allo stesso tempo, proteggersi da chi si aspetta, da lei, cose che non può e non vuole fare.
La sua famiglia, Sofia con suo fratello Lorenzo e, infine, un incontro inaspettato, la sosterranno nella sua scalata verso la tanto agognata libertà.
Genere: Generale, Introspettivo, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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La dichiarazione di Gabriele si stava ripetendo ossessivamente nella mente di Ella.
 
Lo stesso giorno in cui lei gli aveva rivolto quelle parole, lui aveva ammesso di amarla ancora, eppure si stava preoccupando di non averle detto che anche lui era stato spaventato dall'idea che non avrebbe mai provato sentimenti tanto intensi per qualcuno che non fosse lei.
 
Per quanto a Ella sembrasse assurdo il suo ragionamento, non riusciva a smettere di pensare a quella frase, che inaspettatamente ebbe su di lei un impatto emotivo così forte da lasciarla senza parole.
 
Gabriele si stava limitando a osservare gli effetti della sua ammissione, con un sorriso dolce che gli ammorbidiva i tratti del viso.
 
Dal silenzio che si prolungava, ormai, già da un lungo minuto, aveva capito che Ella non sapeva cosa rispondere.
 
In realtà non si aspettava nulla, perché, dallo sguardo sorpreso con cui lo stava guardando, era palese che non avesse ancora rimuginato sui sentimenti che provava per lui.
 
La sua espressione lo spinse a pensare che alla fine di tutta quella storia sarebbe stato lui a essere lasciato.
 
Lei non gli aveva dato nessuna certezza, era stata chiara: non avrebbe fatto promesse che non sapeva avrebbe potuto mantenere.
 
Lui stava provando a darle tutto ciò di cui aveva bisogno, affinché si fidasse, ma non era sicuro che sarebbe stato abbastanza, perché in quella vita non esisteva certezza che potesse estinguere la possibilità che un giorno la persona che più si aveva amato avrebbe potuto andarsene senza voltarsi indietro.
 
«Sai, oggi sono di buon umore.» Ella non aveva trovato nulla di interessante o intelligente con cui rispondere, quindi si era limitata a cambiare argomento.
 
«Chissà come mai.»
 
Le sue parole caddero nel vuoto, anch'esse ignorate su tutti i fronti.
 
Gabriele ci provava a indurla a riflettere, lanciando, di tanto in tanto, frasi isolate tra i loro tanti discorsi. Non si azzardava a parlarle apertamente, perché era decisamente prematuro, ma più i giorni e le settimane passavano più il fondo del burrone da cui si era lanciato si avvicinava.
 
Rischiava di schiantarsi.
 
Nonostante le avesse detto chiaramente di non aspettarsi nulla da lei e facesse di tutto per non metterle pressioni, anche inconsapevolmente, persino i muri avevano capito che stava solo mentendo a sé stesso e immaginava che anche Ella lo avesse intuito.
 
«Ti va un altro momento di confessioni? Vorrei raccontarti più o meno ciò che mi ha spinta a porre fine alla relazione. Mi piacerebbe spiegarti cosa ho vissuto, per farti capire chi sono adesso.»
 
Ella desiderava solo vuotare il sacco impolverato e malconcio che aveva seppellito sotto il letto. Voleva chiudere definitivamente quell'argomento, sperando che una volta sigillata la porta sul passato, avrebbe potuto pensare al futuro e magari guardare proprio nella stessa direzione di Gabriele.
 
«Ti ascolto», rispose il ragazzo, tirando indietro le ciocche di capelli che si stavano già asciugando, ricadendogli sulla fronte.
 
«Devi sapere che persone come Matteo sono capaci di violentarti senza che tu te ne renda conto. Al punto in cui, le decisioni che pensi di aver preso di tua spontanea volontà sono in realtà manovrate e plagiate da chi ha sempre detto di amarti. Sebbene inconsapevolmente sapessi che in altri tempi non avrei mai agito in quel modo, continuavo a credere che la causa fosse l'aver trovato la felicità e che fossi una persona migliore.»
 
Ella resse con difficoltà lo sguardo di Gabriele. La vergogna che provava nell'ammettere le proprie debolezze e i propri fallimenti la stava costringendo a combattere contro l'istinto di abbassare il viso, per rivolgere l'attenzione alla lunga fila di galleggianti alla sua destra.
 
Negli occhi di Gabriele vedeva riflessi tutti gli errori che aveva commesso, tutte le colpe di cui si era fatta carico, anche quelle che non le appartenevano.
 
Faceva male e lei bruciava ancora in balia di quel dolore.
 
«Ti manipolava», dedusse Gabriele dal discorso di Ella.
 
Ascoltare quelle due semplici parole fu come ricevere un fendente allo stomaco. Le faceva così rabbia rimuginare su tutto ciò che di brutto c'era stato nella sua relazione, perché non era stata solo quello.
 
Era stata davvero felice con Matteo. Avevano riso fino alle lacrime, avevano condiviso gioie e dolori, avevano fatto l'amore e lui con lei aveva saputo essere dolce, gentile e premuroso, ma purtroppo la vita insegna che il male vince e supera sempre il bene che si è fatto.
 
A Ella non era rimasto altro che un amaro dolore che aveva inevitabilmente soffocato ogni suo lieto ricordo.
 
«Mi faceva sentire obbligata a comportarmi e a pensare determinate cose soltanto perché lui ragionava e agiva in quel modo. Dovevamo scriverci costantemente tutto il giorno, altrimenti l'avrebbe vista come una mancata dimostrazione d'amore e dovevamo parlare tutte le sere a telefono. Quando andava a vedere la partita con gli amici ero la persona più felice del mondo, perché finalmente avrei potuto vedere un film nella pace più totale. Sai quanto per me sia un momento sacro per rilassarmi, ma lui si annoiava. Era insopportabile condividere questa mia passione con lui, così ho smesso di farlo, ho smesso di essere me stessa. La mia vita stava diventando la sua ed io stavo morendo.»
 
Era tanto innegabile quando impossibile da accettare il fatto che fosse stata in parte colpa sua. Non perché non fosse stata abbastanza forte o troppo debole da contrastarlo, ma solo perché non aveva compreso prima la gravità della situazione che si stava venendo a creare, dannosa non solo per lei, ma anche per lui.
 
Gabriele preferiva limitarsi ad ascoltare senza fiatare, perché non avrebbe saputo cosa dire e, dal suo punto di vista, tacere era più consigliabile del parlare a vuoto.
 
«La sua gelosia è un'altra nota dolente», continuò Ella. «Ricordo quando una sera gli dissi che avrei visto un film con la mia famiglia e lui iniziò a scrivermi freddamente come se gli avessi fatto chissà quale torto. Era geloso che trascorressi del tempo con loro invece che con lui. Sembra assurdo, vero?» chiese Ella, scuotendo il capo incredula nell'udire le sue stesse parole.
 
Si era ritrovata a domandarsi spesso se non provasse gelosia anche per il gatto di sua zia, quando si strusciava sulle sue gambe in cerca di attenzioni e carezze.
 
«No, sembra solo innaturale», rispose, cosciente di avere stampata sul viso un'espressione di puro sconcerto.
 
Ella annuì, sospirando.
 
Aveva accettato da molto tempo il suo passato, ma non si era mai rassegnata all'idea che il suo futuro non potesse essere migliore.
 
Mantenendosi a galla con solo il gomito del braccio sinistro poggiato sul bordo della piscina, iniziò a disegnare distrattamente cerchi e figure astratte sull'acqua con le dita della mano destra.
 
«Uscire con le mie amiche era diventato un incubo. Mi augurava buon divertimento, ma, puntualmente, durante la serata litigavamo. Si aggrappava alle cose più assurde al solo scopo di rovinarmi l'umore. Una volta si arrabbiò perché avevo risposto a un suo messaggio cinque minuti dopo avermelo inviato. Un'altra, invece, successe che durante la settimana mi ero vista due sere con le mie amiche e alla terza si oppose perché dovevo stare con lui, dal momento che ero uscita già troppe volte.»
 
Quell'attaccamento morboso e innaturale che aveva mostrato per lei l'aveva, per i primi tempi, confuso e giustificato con l'amore che diceva di provare. Si era sentita unica, desiderata al di sopra di tutti gli altri e, per una ragazza che non aveva la minima idea di come funzionasse una relazione, quegli atteggiamenti non avevano nulla di sbagliato. Più i mesi passavano più la situazione degenerava e prese così forma l'idea che, spiegargli tranquillamente quanto fossero sbagliati i suoi modi, sarebbe stato sufficiente a fargli allentare la presa.
 
Niente di più inutile.
 
«Tu che facesti?»
 
Frase dopo frase, Ella costruiva la storia della sua relazione, mentre, parola dopo parola, la rabbia e l'angoscia di Gabriele distruggevano tutta la calma che da sempre lo aveva caratterizzato.
 
Adesso capiva il motivo per cui Ella era sempre stanca e irritata, lottare ogni giorno contro pensieri ed emozioni così negativamente intense avrebbe sgretolato anche la roccia più solida.
 
Davanti ai suoi occhi non vi era più la ragazza riccia e minuta di sempre, ma uno scoglio in riva al mare, che veniva corroso dal sale dopo ogni onda e mareggiata in una lenta e devastante agonia.
 
«Mi conosci. Per quanto fossi innamorata mi sono sempre sforzata per non farmi mettere i piedi in testa, quindi sono uscita. Non mi importava che avremmo litigato, perché doveva imparare che io non sottostavo alle regole di nessuno. Era diventata una situazione ingestibile.»
 
Anche nei momenti di fragilità, Ella riusciva a trovare la forza per agire con coraggio e determinazione.
 
Ecco di cosa si era innamorato di lei; ecco cosa avrebbe continuato ad amare ogni giorno della sua vita.
 
«La gelosia ha messo in difficoltà ognuno di noi almeno una volta nella vita. Il problema è che si tratta di un sentimento naturale tanto quanto la tristezza o la felicità, eppure, a differenza di questi, ce ne vergogniamo così tanto da soffocarla, con conseguenze potenzialmente devastanti. È giusto avere paura di perdere chi si ama, bisogna accettarlo e parlarne senza il bisogno di buttarlo in faccia all'altra persona come se non fosse un nostro problema, perché, fondamentalmente, la maggior parte delle volte chi si trova dall'altro lato non ha fatto nulla di sbagliato. È un'emozione tanto bella quanto terrificante, che se nessuno ti insegna a gestire può trasformarsi in possessione.»
 
Gabriele era stato geloso in passato e lo era tutt'ora, quando rifletteva sul fatto che avrebbe potuto perderla senza mai averla vissuta completamente.
 
Una paura che si insinuava viscidamente nella sua testa, impedendogli di pensare o fare altro che non fosse tormentarsi o angosciarsi.
 
L'aveva accettata, perché era parte di quel perverso gioco chiamato vita, ma non per questo era meno logorante.
 
«Non hai idea di quante volte gli ho ripetuto di parlarmi con calma delle sue paure, senza reprimere tutto per poi farmi esplodere quella bomba in faccia. L'ho giustificato, ho provato a capirlo andandogli incontro nelle sue esigenze, ma poi sono arrivata al punto in cui mi sono chiesta se essere gelosi di Sofia solo perché è lesbica fosse un atteggiamento normale.»
 
Ella aveva studiato abbastanza da riconoscere che problemi di attaccamento di questo genere potevano risalire all'esempio e al rapporto che i genitori avevano instaurato con lui da bambino. Le sue mancanze, derivate da bisogni insoddisfatti, si erano accumulate arrivando a formare una personalità basta sulla paura della perdita e sulla paranoia.
 
Aveva rimuginato così tante volte su tutte le teorie psicoanalitiche analizzate nel corso dei suoi tre anni di studio, spinta dalla necessità di dare un senso al suo comportamento. Un possibile blocco nella posizione schizoparanoide, una fissazione nella fase anale, una forma di attaccamento insicuro, ma nulla sembrava abbastanza.
 
Anche se alla fine l'avesse trovata, non era più sicura le sarebbe servita a cauterizzare le ferite, quindi aveva rinunciato.
 
«Cosa?» chiese di getto Gabriele, non riuscendo a regolare il tono di voce, che risultò più altro del normale, risuonando tra le mura della struttura.
 
«Non so quante volte me lo faceva presente con frecciatine o discussioni iniziate dal nulla, solo perché non voleva che andassi da lei per una delle nostre serate a base di pizza, film e sano divertimento. Tutto questo accadeva sempre qualche minuto prima che uscissi di casa, dopo avermi detto che mi avrebbe fatto bene trascorrere del tempo con le amiche. Era tremendamente subdolo, perché in quel modo riusciva sia a rovinarmi la serata, sia ad addossare a me la colpa della discussione, dal momento che lui mi aveva dato il suo benestare.»
 
«Ti ha spinta a chiuderti di più in te stessa per non doverti condividere con nessuno. Che bastardo.»
 
Ella vide le mani di Gabriele stringersi e formare due pugni così serrati da far sbiancare leggermente le nocche.
 
Eccola la rabbia che prendeva forma e si manifestava.
 
Soffrire era devastante, ma ascoltare le pene altrui senza poter fare più nulla era una sensazione impossibile da descrivere per quanto fosse visceralmente conturbante.
 
Gabriele, avendo venti centimetri più di Ella, aveva i piedi poggiati saldamente sul fondo della piscina e, non dovendo sforzarsi per rimanere a galla, non aveva alcun tipo di impedimento ad incanalare la collera.
 
Ella allungò il braccio destro, posando la mano sul pugno sinistro di Gabriele. Dopo aver esercitato una piccola pressione con il pollice, riuscì a farsi strada tra le lue dita, liberandole dalla forte stretta in cui le aveva imprigionate.
 
Non era molto, ma era tutto il conforto che poteva offrirgli al momento.
 
«Già. Non sono mai stata una persona a cui piace uscire spesso la sera, ma sono sempre stata libera di scegliere. La cosa divertente è che mentivo a me stessa dicendo che ero stanca per il troppo studio, che stare fuori casa mi annoiava, che se rimettevo era colpa dell'ansia per gli esami. Mi aggrappavo a qualunque scusa per non vedere la realtà e più la reprimevo più diventavo agitata, nervosa, arrabbiata.»
 
Ripensare a quei giorni le faceva venire i brividi. Quando trascorreva la maggior parte del suo tempo con la testa nel gabinetto a vomitare tutte le proprie paure e angosce, sperando che bastasse per allontanarle definitivamente da lei.
 
«La tua famiglia non si è accorta di questo tuo cambiamento?» chiese Gabriele, mentre osservava le dita di Ella giocherellare con il palmo della sua mano.
 
Erano piccoli e impercettibili movimenti che servivano a tranquillizzare entrambi.
 
«Si, ma è una questione complicata», disse Ella sospirando. «Vedi, Matteo non li ha mai rispettati, perché la mia educazione è stata molto diversa dalla sua. Prima di fare qualunque cosa io dovevo chiedere il permesso, avevo delle regole, mentre lui poteva fare ciò che voleva, quando voleva. I miei mi hanno sempre impedito di andare a dormire a casa sua o di organizzare un viaggio con lui e sinceramente non ho mai insistito più di tanto, sia perché sapevo che a loro Matteo non piaceva, sia perché stavamo insieme da poco. Non mi avrebbero mai negato queste cose se avessi dovuto farle con Sofia, il problema era lui. Litigavamo così tanto per questo, con le sue parole arrivò addirittura a mettermi contro i miei genitori, perché non capivo il motivo che li spingeva a non fidarsi di lui, non capivo perché non volevano che io fossi felice. Per mesi e mesi non ho fatto altro che discutere con Matteo, con mia madre, mia sorella, con Sofia. Tutti loro avevano già capito quale fosse la sua natura, ma io ho continuato a vivere nell'illusione, cercando di convincere loro e me stessa che mi rispettasse, che mi amasse davvero, poi un giorno ho aperto gli occhi, non so come né il perché, ma l'ho fatto.»
 
Segnare una x su quella parte della sua vita non sarebbe bastato a cancellarla. Da quando si era trasferita si era ritrovata spesso a pensare che se avesse conosciuto adesso Matteo, probabilmente la maggior parte dei problemi riscontrati quando ancora viveva con i genitori non sarebbero esistiti, dal momento che era diventata molto più indipendente.
 
Sicuramente avrebbe continuato a non piacere loro, ma almeno si sarebbe risparmiata parecchi pianti, notti insonni e abbracci al gabinetto.
 
«Cos'è successo?»
 
La domanda di Gabriele le fece capire di essere giunta alla al nocciolo di tutta la questione, perché da lì in poi la strada era cosparsa di letame lasciato a marcire sotto il sole rovente.
 
Provò ad allontanare la mano, ma Gabriele glielo impedì.
 
Aveva ancora bisogno delle sue carezze.
 
Ella sorrise di fronte a quel gesto, lasciando che si prendesse ciò che lo avrebbe fatto stare meglio.
 
«La tempistica è stata pessima, perché l'ho lasciato il giorno dopo il nostro anniversario, però non potevo più aspettare. Due giorni prima avevamo litigato, mi aveva dato un ultimatum: o disobbedivo ai miei genitori e andavo a dormire da lui o mi avrebbe lasciato. Io ho implorato, piangendo, mia madre di lasciarmi andare, perché sapevo che se l'avessi fatto senza il suo permesso avrei incrinato definitivamente il nostro rapporto. Lei mi disse che ero libera di fare ciò che volevo, ricordandomi che se Matteo mi avesse realmente amata non mi avrebbe mai messa di fronte a quel bivio. Capisci? Ero arrivata a dover scegliere tra la mia famiglia e il mio ragazzo. Se ripenso a quei momenti, provo una vergogna inimmaginabile.»
 
Gabriele non sapeva cosa dire, anzi, l'istinto lo avrebbe spinto a formulare una serie di insulti che non sarebbero serviti a nulla e di certo non avrebbero aiutato Ella a sentirsi meno a disagio con sé stessa.
 
Una persona del genere, nella propria vita, doveva necessariamente aver ricevuto sempre dei sì. Non aveva idea di cosa significasse avere delle regole e non appena si era trovato di fronte a delle persone che avevano risposto "no" alle sue richieste, aveva iniziato a sbattere i piedi a terra, comportandosi come un bambino a cui i genitori hanno negato le caramelle prima di cena.
 
Non poteva essere più normale crescere con tipi di educazioni diverse, ciò che invece era per lui inconcepibile era imporre la propria visione delle cose sulla volontà altrui, continuando a vivere con i paraocchi e ignorando le difficoltà che sicuramente stava vivendo l'altra persona.
 
Tropo egocentrico e al di sopra di tutto il resto per abbassarsi a comprendere cosa fosse il rispetto.
 
«Cos'hai fatto?»
 
Adesso era Gabriele ad accarezzare il palmo della mano di Ella, con tutta la dolcezza e delicatezza di cui era capace.
 
La sua presenza era la sola cosa che gli permetteva di non sfogare tutta la rabbia e la paura contro qualunque cosa gli capitasse a tiro, ma più tardi si sarebbe sicuramente rinchiuso nel garage di casa sua per dare un numero incalcolabile di pugni al sacco da box, che usava quando sentiva il bisogno di scaricare la tensione accumulata tra le mura domestiche.
 
«Ho deciso di non scegliere. Gli ho dato il mio regalo in anticipo e sono tornata a casa mia. Il giorno dopo sembrava essere tornato tutto normale. Lui non mi aveva lasciata e la sera siamo andati a festeggiare, ma al risveglio, mi resi conto di quanto fossi stanca, di quanto il mio corpo e la mia mente si fossero appesantiti. Quella sensazione di disagio mi fece capire che una parte di me aveva sperato mi lasciasse, ma non lo avrebbe mai realmente fatto, non ne aveva il coraggio. La nostra vita sarebbe stata riempita da gelosie, possessione, ossessione, prevaricazione, mi avrebbe allontanata da tutti e, se non avessi messo fine a quella situazione, il peso che sentivo aumentare di secondo in secondo mi avrebbe soffocata. Mi stava privando della libertà, mi stava uccidendo e, sulla scia di questa riflessione, capì che Sofia e la mia famiglia avevano cercato solo di proteggermi. Ero stanca di sentirmi debole, così gli ho dato appuntamento a metà mattinata e l'ho lasciato.»
 
Vedeva le conseguenze della sua decisione ancora riflesse negli occhi di Matteo dopo che ebbe pronunciato la frase più dolorosamente liberatoria della sua vita: "Credimi, mi dispiace, ma tra noi si è rotto qualcosa che non può essere più aggiustato. Se sono qui oggi, è perché voglio porre fine a questa relazione, perché per me non ha più un futuro."
 
Come aveva detto Gabriele, non esisteva un modo per lasciare qualcuno che non fosse doloroso, così aveva cercato di essere il più chiara e precisa possibile, anche se ciò avesse comportato l'essere brutale.
 
La sincerità non poteva essere addolcita, se non voleva essere fraintesa, ma, nonostante ciò, Matteo era riuscito comunque a non capire nulla, nemmeno dopo un'ora di spiegazioni.
 
Alla fine Ella aveva dovuto fingere una chiamata da parte di sua madre per uscire da quel circuito di suppliche, ingiurie e vani compromessi.
 
«Hai avuto la forza di chiudere una relazione malata e non smetterò mai di ammirare il tuo coraggio. L'unico debole in tutta questa storia è Matteo. Eri troppo forte per lui, per questo motivo ha provato a plagiarti.»
 
Era la stessa ragazza che aveva attirato la sua attenzione in classe quel giorno di tanti anni fa. La tenacia, il coraggio e la determinazione che lesse allora nel suo sguardo erano le stesse che in quel momento vedeva riflesse nelle sue iridi azzurre.
 
Prima si limitava a mostrare agli altri il suo reale carattere solo saltuariamente, perché aveva paura di sé stessa e quindi preferiva soffocarsi, mentre adesso era fin troppo cosciente del proprio essere e lo usava a proprio piacimento per difendersi o per attaccare.
 
Aveva smussato gli angoli della timidezza e affinato il suo lato combattivo, facendo in modo che le persone vedessero solo la sua forza.
 
Era bellissima.
 
«Ho smesso di sprecare tempo a ragionare sui suoi comportamenti e sulle sue azioni. Il passato è passato e non può cambiare, ma il mio presente sì e non ho intenzione di farmi incatenare di nuovo.»
 
Ella alzò lo sguardo dalle loro mani per immergerlo in quello di Gabriele, sulla scia delle ultime parole pronunciate.
 
Era un avvertimento, una promessa che aveva fatto a sé stessa, era la sua paura più grande e, anche se sapeva che il ragazzo che aveva di fronte non lo avrebbe mai fatto, voleva che la questione fosse chiarita prima di poter anche solo pensare a un possibile futuro insieme.
 
«Sono convinto che non accadrà di nuovo» rispose Gabriele, ricambiando l'intensità dello sguardo di Ella.
 
Ciò che gli stava comunicando era impossibile da fraintendere. Non avrebbe mai cercato di limitarla, perché era proprio il suo carattere indomabile e sfuggente ciò che amava di lei, ma, in ogni caso, avrebbe prestato sempre attenzione a tutti i suoi comportamenti, anche i più piccoli, per evitare che involontariamente potesse commettere qualche errore che avrebbe potuto ferirla.
 
«Lo spero», disse in un sospiro, allontanando la sua mano da quella di Gabriele. «Il problema fondamentale è stato la nostra diversa concezione di relazione, perché sono sempre stata convinta che la vita sia libertà e che la libertà sia la forma più alta di amore che io conosca. Devo poter amare senza temere di uscire dai comuni parametri e circondarmi di persone che capiscano che se una mattina mi sveglio e voglio stare per conto mio senza sentire nessuno, non significa che non siano importanti. Ho bisogno che capiscano che qualunque siano i motivi che mi spingano ad allontanarmi per qualche ora o un giorno, alla fine tornerò sempre. Perché non è la quantità di chiamate che misura l'amore, ma la maturità di comprendere che ognuno ha bisogno dei propri spazi senza che io debba sentirmi costretta ad implorarli. Insomma, non vivo con il telefono in mano e non è necessario che sappia quante volte al giorno vado in bagno.»
 
Se non si vivevano determinate situazioni, non si poteva immaginare il senso di claustrofobia che una persona riusciva a farti provare, senza che fosse necessariamente presente fisicamente.
 
Era come prendere il proprio tempo e consegnarlo nelle mani di qualcuno che, invece di prendersene cura, lo usava per rattoppare i buchi della sua vita vuota e priva di senso.
 
I secondi, i minuti, le ore, le settimane, i mesi non erano più di Ella, ma di Matteo. Sapeva dove fosse in ogni istante della sua giornata e, se si spostava, pretendeva un resoconto di cosa stesse facendo, perché così lui si comportava con lei e, di conseguenza, Ella non poteva essere da meno.
 
Era arrivata al punto in cui gli mandava un messaggio anche quando doveva scendere per buttare la spazzatura, perché nella sua coscienza si era innescato un meccanismo basato sul senso di colpa che la spingeva a dirgli ogni cosa.
 
Nessuno poteva pensare di vivere in quel modo.
 
«Praticamente più diversi di così non potevate essere», constatò Gabriele, richiamando la sua attenzione.
 
Tutte le volte che qualcuno le aveva chiesto cosa ci trovasse in lui, di cosa si fosse innamorata, Ella si stupiva nel realizzare che non ne aveva la minima idea, allora si limitava a rispondere che avesse un qualcosa che la affascinava.
 
Ancora non lo aveva capito, ma, a quel punto, si chiedeva che valenza avrebbe potuto avere.
 
«Non ne hai idea. Sono consapevole di non essere una persona facile con cui relazionarsi, però il fatto che attorno a me ci siano persone che mi sopportano mi dà speranza.»
 
Sapevano quanto il suo essere inavvicinabile potesse incantare le persone. Conquistare la sua fiducia diventava una sfida contro sé stessi e molto spesso, quando ci riuscivano, per i primi tempi si mostravano felici ed entusiasti, ma dopo tutto cambiava.
 
Si accorgevano che tutto ciò che non poteva essere controllato era irritante, a quel punto c'era ci se ne andava e chi restava, lanciandosi in una nuova sfida: ammaestrare l'animale selvatico, immaginando quanto potere avrebbe conferito alla loro autostima quella onorificenza da mostrare al mondo con orgoglio.
 
«È vero, a volte sei impossibile, specialmente quando ti arrabbi e inizi con i tuoi assurdi deliri, ma credimi quando ti dico che preferirei litigare con te tutta la vita, piuttosto che ricevere coccole e gentilezza da qualcuno che non sia tu. Quando perdi la calma, dimostri tutto l'amore che provi per la persona contro cui la dirigi, altrimenti non sprecheresti tante energie per qualcuno di cui non ti importa.»
 
«Ma tu come fai a trovare sempre la cosa giusta da dire?» chiese Ella, rivolgendogli un sorriso intimidito dalla dolcezza di quelle parole.
 
«Facile. Dico sempre la verità», rispose Gabriele, ricambiando quello sguardo traboccante di gioia.
 
Una gioia che era stato lui a donarle.
 
«Direi che per oggi può bastare, ti ho depresso abbastanza.»
 
Il racconto era appena giunto a metà della storia, mancava ancora un bel pezzo per poter leggere finalmente la parola fine, ma non aveva intenzione di caricare le spalle di Gabriele con altre informazioni che avrebbero potuto fargli perdere completamente la calma.
 
Stava facendo il possibile affinché il passato non rovinasse il presente, ma era impossibile prevedere le conseguenze della collisione tra quei due mondi così diversi.
 
Non esisteva un momento adatto per affrontare determinati argomenti, ma Ella non importava, perché il suo unico desiderio era chiudere al più presto la questione.
 
Quando ne aveva parlato con Luca, aveva impiegato solo metà pomeriggio, così come con Cristina, perché non aveva scucito tutti i dettagli, ma con Gabriele era diverso.
 
Tutto con lui era sempre stato diverso.
 
Orientativamente le sarebbe bastata un'altra giornata per esaudire il suo desiderio, quindi preferiva rimandare per non rovinare completamente quel bellissimo pomeriggio in piscina.
 
«Di la verità, mi racconti poco alla volta per aumentare la mia curiosità e così ti assicuri che non sparisca di nuovo», la provocò Gabriele, cercando di alleggerire la tensione nell'aria.
 
«Mi hai beccata», disse Ella, alzando le mani in segno di resa. «Sto usando la mia storia da piccola fiammiferaia solo per farti così tanta pena da rimanere. Ci sono riuscita?» chiese.
 
«Direi di sì», rispose sorridendole.
 
«Grazie.»
 
Ormai Ella aveva perso il conto di tutti i ringraziamenti che aveva dispensato nelle ultime due settimane.
 
«Non devi. Non posso fare a meno di pensare che se fossi stato con te in questi anni, se non me ne fossi mai andato, tu non avresti dovuto vivere nulla di tutto questo.»
 
Il viso di Gabriele si rabbuiò sotto il suo sguardo impotente.
 
I "se" e i "ma" non portavano da nessuna parte e rimanere fermi a rimuginare ossessivamente sugli errori commessi non aveva senso. Sbagliare era una parte fondamentale della vita, perché altrimenti nessuno avrebbe avuto la possibilità di migliorarsi.
 
«Non è colpa tua. Tutti dobbiamo affrontare delle difficoltà e quest'esperienza mi ha fatto capire quanto posso essere forte, quanto sia coraggiosa e quanto ami me stessa al punto da scegliermi sempre.»
 
Piangersi addosso non sarebbe servito a nulla e di lacrime ne aveva già versate troppo. Con il senno di poi, nonostante le conseguenze delle sue decisioni, poteva dire di non avere alcun rimorso perché aveva gestito la propria vita negli ultimi due anni.
 
Era fiera di sé stessa e non esisteva nulla che potesse eguagliare quella sensazione.
 
«Non ne avevi bisogno per scoprirlo», ammise con profonda amarezza nel tono di voce.
 
«Forse no, ma adesso sto bene e sono felice, perché ho ritrovato una persona che credevo aver perduto per sempre.»
 
Ella ci stava provando a consolarlo, ma nulla sembrava farlo stare meglio.
 
Sul suo viso traspariva tutto il dolore che doveva aver represso per anni e che la sua storia aveva riportato brutalmente alla luce. Sembrava così indifeso, in balia di quei sentimenti troppo forti per essere contrastati da soli.
 
Proprio mentre stava per dire qualcosa, Gabriele la guardò e tutta la sofferenza che lesse nei suoi occhi lucidi velati di lacrime le fece morire le parole sul fondo della gola.
 
«Mi dispiace così tanto. Anche io ti ho fatto del male e non posso biasimarti se non mi credi, ma mi sono dannato così tanto per averti lasciata, per aver preso da solo una decisione che riguardava entrambi.»
 
La sua voce leggermente incrinata fu come un richiamo al quale non poté resistere, così allungò istintivamente una mano, posandola sulla sua spalla nuda che fuoriusciva dall'acqua.
 
Attirata tutta la sua attenzione, disse: "All'inizio ho provato ad odiarti, poi ho odiato ed incolpato me stessa e lo avrei continuato a fare se non avessi vissuto questi ultimi due anni. Ho imparato che le cose accadono per un motivo, perché, anche se ci feriscono, ci distruggono e ci separano, ci aiutano a rimettere le nostre vite nella giusta prospettiva. Se non avessi conosciuto Matteo, adesso non saprei la differenza tra l'amore che merito e l'ossessione, tra ciò che voglio e chi voglio nella mia vita da chi non deve entrarci nemmeno per sbaglio; se non avessi conosciuto Matteo, non mi sarei mai trasferita a Roma e tu, probabilmente, non mi avresti mai vista quel giorno in metro.»
 
Ricordargli che le sue decisioni non avevano spinto Ella tra le braccia di un fato crudele, non sarebbe servito a nulla, ma mostrargli con fatti tangibili il lato positivo delle loro scelte avrebbe potuto aiutarlo a fare pace con sé stesso.
 
Gabriele diceva che era lei a renderlo coraggioso, ma non si rendeva conto che in tutte quelle settimane era stato così forte da mettere da parte i propri sentimenti per lasciare spazio ai suoi, per abbracciarli e renderli propri.
 
«Da quando credi nel destino?»
 
La curiosità aveva in parte sostituito la tristezza, aiutato sia dal tocco rassicurante di Ella, sia dal suo discorso.
 
«Non ho mai iniziato a farlo. Penso solo che la vita sia governata dalla legge della causalità. I fenomeni si susseguano in un processo di causa-effetto e tutto ciò che non risponde a questa legge è dovuto al caso»
 
«Se così fosse, non esisterebbe il libero arbitrio.»
 
Ciò che Gabriele dedusse dalle sue parole lo lasciò alquanto perplesso. Lei, la prima sostenitrice della libertà in tutte le sue forme, credeva in qualcosa che la limitava fortemente.
 
«Certo che esiste», affermò con convinzione. «Vedi, un uomo è libero di scegliere se ammazzare o meno una persona che gli ha fatto un torto, ma deve anche saperne accettare le conseguenze. La nostra libertà è il carburante che innesca la legge della causalità, perché, prendendo una qualunque decisione, generiamo una causa che provoca il suo effetto, poi dobbiamo prenderne un'altra per affrontarne le conseguenze e questa darà vita ad un nuovo effetto. Capisci che è una reazione a catena. La vita è un insieme di scelte compiute liberamente, ma non possiamo aspettarci che non ci influenzino in qualche modo», spiegò nel modo più semplice possibile.
 
Quello era un argomento estremamente complesso da affrontare, ma, essendo Gabriele sempre stato sulla sua lunghezza d'onda, non aveva alcun dubbio che avrebbe capito il significato delle sue parole.
 
«Hai una visione molto pragmatica della vita», commentò dopo qualche istante di riflessione.
 
Era un meccanismo che lasciava poco spazio alle coincidenze e che riconduceva la causa del loro incontro a una semplice quanto complicata legge.
 
Non si poteva negare la presenza di una piccola punta di cinismo, ma ciò non la rendeva meno interessante, anzi, per Gabriele era estremamente intrigante e perfettamente in linea con la personalità di Ella.
 
Una visione che si scontrava con il pensiero romantico dell'umana esistenza, ma che non necessariamente lo negava o escludeva, a dimostrazione che entrambi potevano coesistere nelle idee di una sola persona.
 
«Negli ultimi anni ho capito che la libertà ha il suo prezzo e molto spesso è così salato che quando finalmente riesci ad estinguerlo hai la sensazione che il mondo tolga più di quanto abbia da offrire, così finisci per allontanarti da tutti e impari a non chiedere più aiuto a nessuno.»
 
Ella interruppe il contatto tra i loro corpi, riportando la mano sul bordo della piscina.
 
Da lì nascevano sia il suo bisogno di controllare gli eventi, sia la paura di affidarsi a qualcuno.
 
«A volte penso di non meritarti. Ho paura di incorrere nuovamente nello stesso errore senza accorgermene, di farti del male per l'ennesima volta quando vorrei solo renderti felice.»
 
Entrambi sapevano quanto fosse pericoloso mostrarsi vulnerabili, ma era anche l'unico modo per conoscere nel profondo la persona che si aveva di fronte.
 
Era come dire: "Mi affido a te. Custodiscimi, prenditi cura di me."
 
Ella ponderò con attenzione la confessione di Gabriele, prendendosi il giusto tempo per scegliere con cura le sue prossime parole.
 
Lui, in breve tempo, aveva alleviato il peso delle sue angosce più opprimenti e adesso era giunto il momento per lei di costudire le sue.
 
«La verità è che nessuno merita di avere qualcuno vicino, ma condurre un'esistenza in solitudine significherebbe condannarsi a una lenta morte, quindi preferiamo circondarci di persone che hanno minor probabilità di ferirci. La vita è un azzardo, piccolo delfino, e l'ho capito nel momento in cui ho sentito la tua voce al telefono. Ho paura di molte cose, davvero troppe, ma nell'ultima settimana ho scoperto che di te non ne ho, anche se sbaglierai di nuovo. Le persone a cui teniamo hanno più potere su di noi di chiunque altro, possono più facilmente farci del male, ma possono con altrettanta facilità lenire il nostro dolore. Credimi quando ti dico che, da quando sei tornato, sei riuscito a farmi sorridere più di quanto abbia fatto negli ultimi due anni.»
 
La dolcezza di Ella era poetica.
 
Non la mostrava spesso, la custodiva gelosamente per proteggerla da tutta quella rabbia, quella malinconia e l'ironia, ma, quando considerava qualcuno abbastanza degno per riceverla, riusciva a incastrare insieme frasi in modo così perfetto che, una volta terminato di ascoltarla, lasciava la sensazione che quelle parole fossero state create apposta per quel discorso.
 
Gabriele era più che convinto che quel suo giudizio non fosse contaminato dalle lenti colorate attraverso cui da sempre l'aveva guardata.
 
Ella aveva il potere di far battere il suo cuore a qualunque velocità lei volesse, perché reagiva al solo suono della sua voce o del suo tocco.
 
Era completamente suo: vulnerabile, ma immensamente felice.
 
«Per quanto mi piaccia la piccola ruga sulla tua fronte, preferisco di gran lunga il suono della tua risata.»
 
Gabriele era bravo con le parole, ma nulla avrebbe potuto eguagliare quel discorso così carico di emozioni.
 
Forse Ella poteva non aver ancora riflettuto sui sentimenti che da sempre li legavano, ma quella che aveva appena pronunciato era la dichiarazione più bella che qualcuno gli avesse mai rivolto.
 
Lei non lasciava mai nulla al caso, quindi era a conoscenza della sua portata emotiva e del significato nascosto, perché, per quanto ancora potesse negarlo a sé stessa, era evidente che lei lo amava ancora.
 
«Faccio quello che posso, ma è più difficile di quanto pensi», rispose Ella, abbozzando un sorriso che non aveva nulla in comune con il divertimento.
 
Gabriele le si avvicinò di qualche passo e, dopo aver sollevato il braccio sinistro nella sua direzione, le accarezzò delicatamente la guancia destra di Ella con la mano bagnata.
 
«Vorrà dire che mi impegnerò per semplificare le cose, perché sei molto più bella quando sorridi. Riusciresti ad illuminare una stanza».
 
Ella riconobbe la sincerità di quelle parole nell'intensità dello sguardo che le stava dedicando e, inevitabilmente, sorrise.
 
«E io che pensavo di essere il Sole, ma a quando pare sono solo una piccola lampadina», commentò sarcastica.
 
«Sai che se accettassi un complimento, non ne morirebbe nessuno?», chiese Gabriele, scuotendo la testa rassegnato.
 
Ella sbuffò, scocciata dalla sua inutile e noiosa domanda. La conosceva fin troppo bene per sapere quale fosse la risposta.
 
«Ci ho riflettuto in queste settimane e sono arrivata alla conclusione che, probabilmente, avevi ragione. Ero fragile e mi sarei spezzata, ma adesso non lo sono più, quindi mi piace pensare che se cinque anni fa te ne sei andato, è stato solo per poterci incontrare in futuro e vivere quello che probabilmente non avremmo mai avuto se tu non tu fossi rimasto."
 
Era giunto il momento di chiudere almeno una delle due porte aperte sul passato.
 
«Stai dicendo che mi hai perdonato?» La voce incredula e incerta di Gabriele, fece sorridere Ella.
 
Quando reagiva in quel modo così tenero, sembrava un bambino alla ricerca disperata di certezze sulla vita.
 
«Si, ma scappa di nuovo e ti giuro che ti troverò e te la farò pagare, con gli interessi», rispose, rifilandogli un piccolo e innocuo pugno sul braccio.
 
Il gesto repentino alzò un velo di acqua che schizzò sui loro visi umidi.
 
«Questa volta non voglio perderti», ammise Gabriele, guardandola negli occhi, cosicché il messaggio potesse arrivarle forte e chiaro.
 
«Sentiamo. Che intenzioni avresti?» lo provocò Ella, curiosa.
 
«Di tenerti stretta.»
 
Sebbene Gabriele non la stesse abbracciando né accarezzando, la profondità e la fermezza del suo tono di voce la fecero sentire protetta e al sicuro, come se realmente la stesse stringendo forte a sé.
 
«E se io non volessi?»
 
Considerati i fatti, probabilmente, Ella non avrebbe mai sognato di distruggere i suoi propositi, ma, era tremendamente curiosa di sapere come si sarebbe comportato, se ciò fosse invece accaduto.
 
«Sarei costretto a lasciarti andare.»
 
Pronunciare quelle parole provocò tanto dolore a Gabriele, quanto a Ella nell'ascoltarle.
 
«Davvero lo faresti?» domandò sconcertata.
 
«Ti ho promesso che ti avrei fermata nel momento in cui la paura avesse preso il sopravvento su di te e lo farò, ma se non la vedessi riflessa nei tuoi occhi non avrei nessun diritto di legarti a me.»
 
Non si sarebbe opposto alla sua volontà, l'avrebbe rispettata.
 
«Non ho idea di cosa mi riservi il futuro, ma posso dirti che in tutti gli scenari che ho immaginato tu ci sei. Ti ho aspettato troppo e non ho intenzione di scomparire.»
 
Ella non sapeva più di quale altra certezza avesse bisogno per ammettere finalmente i propri sentimenti, ma non era ancora giunto il momento, prima c'era una questione in sospeso da risolvere.
 
Dopo quella confessione, Gabriele era rimasto completamente allibito.
 
«Smettila di guardarmi come se avessi visto la Madonna. Riscalda i muscoli e vediamo chi arriva prima dall'altro lato della vasca», disse Ella, richiamandolo alla realtà.
 
Una sfida impossibile era proprio ciò di cui aveva bisogno per mettere in moto il suo mondo, dopo quella parentesi di immobilità.
 
«Sai che vincerò io», la constatazione di Gabriele non poteva essere più vera.
 
«Mi piace rendermi la vita difficile, diventa tutto più interessante. Pensa che se ti battessi, la vittoria sarebbe molto più piacevole e te lo rinfaccerei per il resto di tuoi giorni» La sola idea di poter gustare quel momento ebbe il potere di farla sorridere.
 
«Dubito che ciò accadrà», rispose ridendo.
 
«Forza delfino, prova a prendermi», lo sollecitò Ella, mentre si voltava e iniziava goffamente a muovere le prime bracciate.
 
«Sempre, piccola strega. Sempre», sussurrò Gabriele alla sua figura che si allontanava lentamente.
   
 
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