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Autore: Enchalott    11/02/2020    5 recensioni
Questa storia è depositata presso lo Studio Legale che mi tutela. Non consento "libere ispirazioni" e citazioni senza il mio permesso. Buona lettura a chi si appassionerà! :)
"Percepì il Crescente tatuato intorno all'ombelico: la sua salvezza, la sua condanna, il suo destino. Adara sollevò lo sguardo sull'uomo che la affiancava, il suo nemico più implacabile e crudele. Anthos sorrise di rimando e con quell'atto feroce privò il cielo del suo colore".
Genere: Avventura, Introspettivo, Sovrannaturale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Pioggia
 
Anthos continuò a tenere lo sguardo nel suo senza manifestare l’intenzione di intervenire attivamente, neppure quando Adara gli si mise accanto, rabbrividendo per la rigida inclemenza dell’ambiente e per l’emozione straripante, che la stava invadendo a causa di quella strana e pretesa inversione dei ruoli. Eppure, qualcosa in lei aveva iniziato a funzionare in maniera difforme, la percezione era molto chiara.
Forse era ciò che lui aveva in mente di farle comprendere: quanto potesse essere forte scegliere di partecipare direttamente senza limitarsi a tollerare. Anche se Anthos non era certo l’uomo con cui avrebbe desiderato dividere la vita ed era infinitamente lontano dai suoi sogni, anche se la loro indotta condivisione era il frutto solitario delle pressioni del reggente e non di una scelta spartita. Equivaleva forse a concedergli una possibilità che non aveva contemplato?
La sensazione di lui era energica, sebbene non lo stesse neppure toccando: la riconobbe simile a quella che aveva tinto di bianco il Crescente il giorno prima, solo infinitamente più vigorosa. Era questo ciò di cui suo marito stava parlando, quando le aveva chiesto di afferrare saldamente le proprie percezioni? Era forse l’insolito modo in cui aveva deciso di esserle d’aiuto, affidandole la gestione della propria emotività, legandola al loro rapporto? Davvero non esisteva un altro sistema, che evitasse il coinvolgimento fisico, per istruirla a padroneggiare l’Imis’eli?
Il principe si girò agilmente sulla schiena, sollevando le braccia sopra la testa e socchiuse gli occhi, come se non avesse interesse per lei, anche se il suo corpo stava inviando segnali opposti e inequivocabili.
Saldare il debito… Non era così.
La salvezza concessa alla comandante della Xiomar non aveva nulla a che vedere con la richiesta che le era appena stata rivolta, la ragazza lo tenne per certo. Anthos, a prescindere dai suoi scopi discutibili, era in credito di presenza quando rimanevano da soli nel loro talamo e ora desiderava solo pareggiare i conti.
Fino a quel punto, però, non si era sbagliato. Ciò che Adara stava provando era del tutto nuovo, differente da quando lui la trascinava nel suo abbraccio - indesiderato, non era così? - e cercava di portare a termine quanto avevano pattuito come in un contratto asettico e imparziale. O così si era forzata a credere.
Adesso era talmente intenso, sebbene lui apparisse deliberatamente indifferente. Cosa sarebbe accaduto, se Anthos avesse deciso di tornare a essere parte attiva, non unica ma ripartita e accettata anche da lei?
La principessa spinse la riflessione entro la parte più remota del proprio io, sfrangiandola dalle paure, dai rancori, dall’orgoglio personale. Conservò la propria soggettività e la unì a ciò che intese di sé, evitando di negare ciò che non le piaceva, che la spaventava, che addirittura la faceva sentire in colpa.
Il Crescente ebbe un tremito lieve, fatto di un baluginio rosato.
Anthos socchiuse gli occhi e la fissò, quasi inerte, tranne per il brillare profondo delle sue iridi dorate, che denunciava a chiari segni il suo coinvolgimento.
“Concentra ciò che senti” sussurrò piano, senza muoversi dalla posizione supina.
Ma lei non aveva bisogno di raccomandazione alcuna, perché in quell’attimo era riuscita a comprendere che cosa la stesse frenando. L’aveva già sfiorato con i pensieri senza riuscire a definirlo con nitidezza. Ora non aveva più dubbi. Accolse quella consapevolezza con un groppo alla gola e fu tentata di fuggire da lui, ma il peso della promessa la obbligò a restare, a respingere il nodo che la attanagliava.
Anthos aveva ragione, ancora una volta. Si trattava di un’emotività non accolta che, invece, nell’interpretare da sola il ruolo principale tra di loro, si era rivelata in tutta la sua drammaticità. Una folgorazione necessaria e onesta. Aveva risolto il proprio dilemma grazie a quella sorta di costrizione passiva scaturita dalla mente intricata di suo marito… si trattava di dover accettare la verità su di sé. Per Adara esisteva solo un modo, quello da lui indicato con lucidità estrema e forse inconsapevole, per dissipare la propria vergogna, il senso di difetto insopportabile che era andato ad annidarsi nel suo subconscio, traducendosi nello spostamento violento del Crescente che riusciva persino a respingere il signore del Nord.
Si chinò sul suo viso, coscientemente inespressivo, e gli sfiorò le labbra. Lui non rispose intenzionalmente al gesto, mantenendosi distaccato.
“Non è paura di te…” gli sussurrò timidamente.
“Lo so…”.
Adara fece salire una carezza tra capelli biondi che gli ricadevano sul volto, con l’effetto di renderlo ancora più attraente.
“Non è ostilità… non rancore…”.
“Lo so…” ripeté lui, sempre immobile.
Adara gli appoggiò la guancia sul petto e il martellare frenetico del cuore di lui le rivelò quanto stesse faticando a contenersi. Eppure ancora non reagì.
“Non è orgoglio… o disprezzo”.
“Dimmi che cos’è” mormorò Anthos, fissando il soffitto “Convoglialo…”.
“No” rispose lei, con la voce soffocata dall’emozione “Dovrei allontanarlo, invece”.
Il principe si sollevò su un gomito, serio, ma non si sottrasse al contatto.
“È l’ostacolo o la soluzione ad esso che ambiresti eliminare?”.
“L’impedimento che imprigiona le mie emozioni. Ieri, pur di uscire da qui, devo averlo dimenticato… voler aprire la porta non è stato considerato un egoismo…”.
Il reggente inarcò un sopracciglio e indugiò con lo sguardo su di lei.
“E in che cosa sarebbe insito l’egoismo che ti fa sentire in colpa?” domandò, palesemente sorpreso “Tutto ciò che ti ho visto fare, scegliere o difendere è stato unicamente a favore del tuo prossimo. Piuttosto lo definirei un altruismo nauseante”.
“Ma in mezzo a quello che hai elencato” bisbigliò Adara, turbata “Ci sei tu…”.
“È di te che si tratta, non di me…”.
“Anthos…” mormorò lei, in preda a quell’irrazionale parte di sé che stava tentando di esprimersi “Io sto con te non perché me lo hai ordinato… ma perché lo voglio”.
“So anche questo” replicò lui, leggermente irritato “Non giocare con la mia insolita disponibilità, Adara. Perché Leuhan ti ha quasi assecondata ieri?”.
“Ti prego… non guardarmi così o non riuscirò a giungere al punto…”.
Il principe sospirò, abbassandosi sulle coltri morbide. Lei gli girò le spalle e sentì subito sulla schiena il contatto con i muscoli armoniosi del suo petto mentre si avvicinava, il suo respiro regolare sulla nuca, il solletico della sua chioma sulla pelle.
“Lo desidero” continuò, confusa dal suo profumo familiare “Perché sono… contenta. Nonostante tutto, sono felice di stare con te! E mentre il mondo collassa, io provo questa assurda gioia e mi sento spaventosamente… colpevole”.
Le braccia di Anthos le circondarono la vita, chiudendosi come una tagliola sul tatuaggio della mezzaluna. Una trappola di malia e raziocinio, un ossimoro, una seduzione involontaria e irresistibile… lui era tutto quello e ben di più.
“È … un’idiozia” tranciò incisivo, anche se la sua voce ebbe un’esitazione.
“Devi credermi! Anche se tu sei… tu… io non vorrei essere altrove…”.
“È un’idiozia che tu ti ritenga in fallo per questo!” la interruppe lui, sbrigativo, quasi iroso “Sono due ambiti distinti. Il tuo inspiegabile stare bene qui non arreca alcun male al resto del creato. Non saranno certo i tuoi sentimenti tanto positivi quanto insensati a decretare l’apocalisse o a scongiurarla nel…”.
Si interruppe di colpo, come fulminato da altre considerazioni.
Adara lo sentì irrigidirsi contro di lei, in ciò che lesse come un palpito ansioso.
“Cosa intendi?” gli domandò.
Ma lui la interruppe, serrando il contatto, mentre le pulsazioni di entrambi salivano esponenzialmente, fino quasi a essere udibili nell’aria immobile.
“Hai paura, Adara?” sogghignò, recuperando nell’immediato la consueta e arrogante sicurezza “Non di me… hai paura di innamorarti di me?”.
“No…” rispose lei, irrequieta e impacciata, avvertendo comunque qualcosa di diverso nel pur rinnovato atteggiamento provocatorio di suo marito.
“Hai paura che possa accadere, non è così?”
“No”.
“Hai paura che sia quanto stai rincorrendo?”.
“No... No!”.
“O che io non sia fatto per ricambiarti?”.
“No!!”.
“Qual è la differenza? Dimmelo, Adara…” sussurrò, mentre le sue mani prendevano a sfiorarle la pelle e la sua bocca le percorreva la linea morbida della spalla “Qual è la differenza tra ciò che è avvenuto tutte le volte precedenti e quanto sta succedendo adesso? Perché io la sento…”
Le sue dita si spostarono, inesorabili, facendola fremere. Le sfiorò il collo, scostandole i capelli, prolungando le carezze, incollandosi a lei con il corpo nudo.
“Percepiscimi… concentra ciò che provi, non lasciarlo sfumare…”.
Raggiunse le sue labbra e le mani scesero, togliendole il respiro, infiammandole il sangue, le mani salirono, strappandole il fiato, tornarono a lei, senza pietà.
“Vuoi che mi fermi, Adara?” sussurrò lui sulla sua bocca, approfondendo il bacio e mostrandole che poteva essere differente in mille modi, ora che l’aveva coinvolta semplicemente portandola a occupare il ruolo che di solito era lui a rivestire.
La ragazza non riuscì a rispondergli, persa nei sospiri, mentre il giovane le restava alle spalle affinché il Crescente inviasse il suo fascio distruttivo altrove, perché lei sentisse che lasciarsi andare era semplicemente… bello.
“Concentra le emozioni, avvertile in questo punto di te, ora sono solo più forti, più chiare, più istintive…”.
L’Imis’eli vibrava placido sotto il tocco dell’uomo, mentre lei bruciava e perdeva il controllo del sé cosciente, rinunciava a considerarlo un estraneo, un male necessario, un’ingiunzione.
Anthos era un’onda rovente che si tratteneva a fatica, concentrava il proprio desiderio sul semplice scorrere dei palmi sulla sua epidermide sensibile, stentando a non oltrepassare il limite per consentire che lei prendesse graduale coscienza di come la mezzaluna riuscisse ad accendersi, per fare in modo che la dominasse.
“Devo fermarmi?” incalzò ancora, implacabile, conoscendo già la risposta.
Ma lei non aveva la presenza per replicare, divisa com’era tra l’ascolto delle sensazioni insorgenti, sempre più distinte, concentrate come un fuoco nel suo centro disegnato dal Crescente e il piacere fisico che, contemporaneamente, le carezze intime delle mani di lui le stavano procurando.
Si sentì liquefare tra le sue dita, innescare, esplodere, pensò che fosse impossibile incentrarsi sull’Imis’eli mentre le braccia virili di Anthos l’avvincevano e in quell’istante l’anima virò a lui soltanto, come se fosse origine unica del sentimento più potente che avesse mai provato: la mezzaluna tatuata iniziò a splendere sul suo ventre, bianca e abbagliante, priva di qualsiasi aggressività.
Il principe avvertì che lei aveva raggiunto l’apice ancor prima di scorgere il riverbero chiaro proveniente da Leuhan, quando stava quasi per arrendersi al fatto che neppure così, concedendole la facoltà di prevalere e stabilire il confine, Adara avrebbe accettato quell’insegnamento indispensabile per entrambi, seppur con scopi differenti. Impartito nell’unico modo che gli risultava accettabile, senza perdere il proprio orgoglio, senza intaccare ciò che era. Senza parole, senza sfide aperte, senza prevaricazione, con un linguaggio antico come l’universo.
La sentì tendersi e poi rilassarsi, stremata, ma la luce rimase, anche quando lui fece indietreggiare dolcemente le dita dal suo corpo accalorato, quando lei lo fronteggiò voltandosi sul fianco opposto, guardandolo negli occhi e prendendogli con foga il volto tra le mani per baciarlo.
Il Crescente era bianco e irradiante, anche se sua moglie era senza fiato e lui stesso ansava, in preda a quello che aveva terminato di essere il compito che si era assunto per ridiventare desiderio spasmodico di lei.
Ricambiò il tocco morbido delle sue labbra e percepì che la disturbante sensazione di mancanza era scomparsa. Pur allontanando dai pensieri tutto quanto non fosse destinato ai propri fini e quasi raggiunto, non riuscì a impedire che un’umanità gonfia di malinconia e di dolore emanasse dal suo essere, ma avvertì, tuttavia, che la sua rabbia implacabile, ancora una volta, si era sciolta nella donna che stava stringendo.
“È diverso?” domandò ancora, osservando i suoi occhi scuri di velluto, lucidi.
“Sì…” sospirò lei, consentendogli di cingerla più forte.
“Adesso mi vuoi, Adara?” ripeté ancora, come in una formula magica.
“Sì…”.
Anthos si adagiò tra le sue braccia, lasciandosi avvincere, fremendo di una passione incontenibile, che lei non ostacolava e non ignorava più.
Invece l’Imis’eli ruotò, implacabile e crudele, come sempre. Non lo scaraventò a terra lontano, fu più come un magnetismo di una polarità identica alla sua che gli impedì ancora una volta di averla, persino in quell’amplesso vibrante che entrambi anelavano. Fu intollerabile, come nelle altre occasioni.
Di quella infinitesimale e gravosa distanza, di quel divieto difficile da subire Adara non poteva più essere imputata. Il reggente se ne rese conto senza dubbio alcuno, non solo perché lo sguardo di lei si velò di lacrime o perché la sua mano corse a soffocare la luce lunare che lentamente si diradò, non perché le sue braccia rifiutarono di aprirsi quando lui si scostò con un moto di frustrazione.
“Anthos…”.
Era lui a non voler impiegare completamente se stesso e Leuhan ne era consapevole. L’empatia profonda della donna che aveva sposato avvertiva l’ultima, tenace, fiera scintilla del non voler concedere fiducia, il rigetto di lasciar cadere l’idea di solitudine e mancanza di sentimenti che era specchio della sua vita, l’orgoglio preponderante posto a difesa di quel punto vulnerabile e umano che, da quando c’era lei, bruciava sempre più spesso. Il rifiuto tagliente di amare.
“Lasciami” rispedì lui, adombrandosi e allontanandosi dall’abbraccio.
Mentì come non aveva mai sentito la necessità di fare. Si riparò dall’evidenza spaventosa del contingente. Respinse la palese consapevolezza di ciò che avrebbe dovuto dire. Per autoconservazione pura e disperata.
“Anche quando riesci a concentrare le tue emozioni” sferzò, impietoso e gelido “Io sono il bersaglio, non altro. Hai commesso un errore di valutazione, puoi tranquillizzarti. L’essere felice in mia compagnia è un’ulteriore prova della tua ingenuità o delle tue vane speranze sul mio inattuabile ravvedimento. Confortante sapere che esiste qualcosa che non può mutare, vero?”.
“Che cosa stai dicendo?” esclamò lei, turbata nel profondo “Non ho proferito il falso e non sono capace a dissimulare! Anthos… e se dipendesse da te?”.
Lui rise, privo di calore, infilandosi rapidamente i vestiti sparsi sul pavimento.
“Vuoi per caso provarlo andando a letto con un altro?” asserì, incolore “Magari hai già un’idea sul possibile candidato…”.
“Non ti permettere! Non ho mai tradito un giuramento!”.
“Nemmeno io. Il tempo che ho previsto per noi è quasi scaduto. In mancanza di una soluzione a breve, deciderò di non aver più bisogno di te”.
Adara lo osservò agganciarsi la spada al fianco e dirigersi verso l’uscita con inesorabile calma. Un indizio evidente del furore incontenibile che lo stava sconvolgendo in quel frangente. L’immane tristezza in lui vibrò come un assolo, stingendo il creato intero.
“Dove stai andando?” gli domandò, sconfortata, arrabbiata, preoccupata.
“A sfogare i miei istinti” ribatté lui, crudo.
La porta si serrò alle sue spalle con un tonfo.
 
C’era riuscita, ma il prezzo era stato insospettabilmente alto. Aveva compreso come il Crescente si risvegliasse quando le sue emozioni divenivano identificabili; quelle che si erano celate nell’inconscio avevano finora sfruttato la possibilità offerta dalla mezzaluna per fuoriuscire silenziose dall’io e metterla in allerta. Ora erano limpide.
Avrebbe dovuto rallegrarsene, ma la verità era che si sentiva sconfitta. Come se avesse osservato da una posizione privilegiata il peggiore fallimento della sua vita.
Anthos l’aveva accusata di interpretare ancora l’impedimento, mentre lei era certa che non fosse così. Era stato il principe a rifiutare di aprirsi, a recedere all’ultimo, a sollevare uno scudo che, invece, lei aveva deciso di gettare al vento.
Il motivo per cui l’Imis’eli si illuminava mentre erano insieme era Anthos stesso, non Adara, sin dall’inizio, che quella manifestazione fosse incontrollata o meno. Ed era sicura che lui lo avesse capito. Aveva rifiutato di compiere quel passo che era riuscito a far ultimare a lei chiedendole conto del debito contratto. Avrebbe voluto trovare un modo altrettanto efficace per convincerlo a fare lo stesso, ma il principe era troppo forte, troppo scaltro, troppo carico di rabbia e di dolore. Troppo orgoglioso.
Con lui le tattiche segrete o il gioco degli opposti non avrebbero mai funzionato. Così come l’essere diretta lo avrebbe piegato verso una lontananza ancor più irrecuperabile. Sempre che il suo abbandono di poco prima non ne fosse già il segnale infausto.
Si era addormentata con le sue ultime, ponderose affermazioni nella mente: il tempo che le aveva riservato era agli sgoccioli… stupida lei per aver creduto in un “per sempre” che lui non aveva mai pronunciato.
Si sorprese a piangere, rannicchiata nel grande baldacchino vuoto. Si disse che quella del reggente era stata una minaccia vana, dettata dalla collera e dalla delusione del momento. Forse dal timore di cambiare o mostrare qualcosa di sé. Ma lui era Anthos, non un uomo qualunque… dunque non poteva essere né interpretato né prevedibile. Tantomeno da lei, che non ne aveva i mezzi.
Si era assopita, sconvolta e spaesata. Incollerita con se stessa… perché avrebbe dovuto dirglielo… dirgli che lei…
 
Un rumore insolito, continuativo e sommesso, l’aveva destata. Si era sollevata sul letto, nel languire buio delle braci del camino. Il suono straordinario e cristallino dell’acqua, quello che nel suo deserto era considerato un dono pietoso degli dei.
Dovette tendere l’orecchio per coglierne la provenienza. Dall’esterno… eppure non stava sognando. Era sveglia e sola e… no.
Lui era lì, appoggiato alle imposte della finestra, quasi mimetizzato nella penombra.
Indossava una lunga tunica bianca, che non gli aveva mai visto, stretta in vita da una fascia aurea cangiante. Le maniche ampie con le code lunghe fin quasi a terra gli celavano le mani affusolate… quelle che l’avevano toccata con troppa passione per indurla a pensare che si trattasse di una mera lezione a suo vantaggio.
Niente spada, niente mantello. La sottile corona del Nord scintillante sulla fronte ambrata, i capelli biondi e lisci sciolti sulla schiena.
Lo sguardo intensamente malinconico, perso a fissare il torrente d’acqua che il cosmo stava riversando sull’infelice Iomhar.
Adara si alzò e lo affiancò, senza parlare, osservando le gocce picchiettare i vetri. Cercò la sua mano sotto la stoffa candida e intrecciò le dita alle sue.
Anthos non si ritrasse e le sue iridi sfolgorarono intense, immerse nella sofferenza.
Si volse leggermente e il Medaglione scintillò di due soli colori. La pietra spezzata era stata rimossa e al suo posto c’era un’orbita vuota e triste.
“La Gemma blu…?”.
“Mi infastidiva” spiegò semplicemente il principe, che invece aveva scagliato l’amuleto contro il muro di Leu-Mòr con tutta la forza che aveva in corpo, in disperazione e furore, mandando definitivamente in pezzi la contraffazione.
“Non dovrebbe piovere, vero?” sussurrò lei, costringendosi a soffocare l’agitazione.
“Già…” rispose lui piano.
“È la Profezia…?”.
“Sì”.
Rabbia e dolore in una sola sillaba, riverberati sul suo volto bellissimo e assorto.
Adara sospirò, contemplando l’acquazzone, che avrebbe sciolto la neve, il ghiaccio, l’inverno eterno e la stessa Jarlath, innalzando ulteriormente il livello del mare, inondando terre, stroncando vite e speranze.
“Smetterà?”.
“No. Forse rallenterà. La fine non ha mai fretta”.
“Irkalla ha quindi deciso di annientare il creato?”.
Il principe non rispose, ma serrò la presa della mano sulla sua.
La ragazza socchiuse le palpebre e si appoggiò alla sua spalla, rabbrividendo.
Le fiamme del focolare si ersero guizzanti, rossastre e roventi verso il tiraggio a un suo sguardo, illuminando il loro strano abbraccio.
Divino Irkalla, attendete ancora un po’, vi imploro… lasciate che io trovi il coraggio e le parole… sono disposta al sacrificio, prendete me… ma non permettete che lui…
La preghiera si elevò, accorata, intensa, sincera. Incendiata di un amore infinito.
Il principe serrò gli occhi, con pena immensa, strappandosi alla contemplazione del suo Regno languente.
“Esiste un modo per fermare la pioggia, Anthos? Hai sempre detto che la Profezia non è attendibile, perché allora sta accadendo?”.
Non gli stava rinfacciando nulla, nessuna delle azioni che lui aveva commesso e che avevano annientato tutte le soluzioni, conducendoli sull’orlo di un baratro. Era solo l’ennesimo tentativo della ragazza di salvare il creato. Di salvare lui.
“Bisognerebbe interpellare il Distruttore” mormorò.
“Tu… non puoi fare nulla?”.
Il reggente spostò il viso su di lei e le sue iridi d’oro sfavillarono, lucide come le gocce che scorrevano lungo i vetri.
“Sì” rispose in un sospiro stanco “Morire”.
 
“Ferito?!” sbottò Dare Yoon incredulo “Il principe? Ne siete sicura?”.
Màrsali annuì, ma il suo contegno non mostrò alcun atteggiamento trionfante o speranzoso: sarebbe stato contrario alla propria convinzione che il dolore altrui non dovesse mai essere motivo di tripudio. Neppure quello del peggiore dei demoni. La sconfitta del reggente l’aveva, inoltre, profondamente impensierita, come se qualcosa si fosse mosso all’interno della sua visione mistica. Ma era ancora qualcosa di non definibile. Si limitò a chiarire i fatti e le circostanze, mentre il soldato elestoryano seguiva il drammatico ragguaglio con stupore esponenziale.
Narsas ascoltò con pazienza il resoconto, aggrottando la fronte con tragica consapevolezza. Non solo quella di un male destinato a richiamare altro male, ma anche quella vanificante dell’impossibilità di rivaleggiare con il Traditore servendosi delle sue sole risorse di essere umano.
“Pensate che sia possibile rintracciarlo?” domandò grave.
“Forse sì” ammise la veggente, tormentandosi le mani per l’angoscia “Ha con sé il Diadema che, come catalizzatore magico, dovrebbe essere individuabile, ma…”.
“Ho come la fastidiosa sensazione che l’aiuto di Anthos sia necessario, ma che lui sia di un altro avviso” borbottò l’ufficiale, stringendosi nel mantello blu scuro.
“Indirettamente” replicò la fanciulla “Il Medaglione di cui lui è reggente è l’unica possibilità. I due manufatti sono collegati in qualche modo, però…”.
“Il fatto che sia l’unico a poterlo impiegare ci riporta al punto di partenza” concluse amareggiato l’arciere, incrociando le gambe sul tappeto.
“Credetemi… la collaborazione del nostro sovrano risulta attualmente un problema secondario” asserì lei, prostrata “Il gioiello del Nord è stato alterato da un ignoto sabotatore e una delle Tre Pietre è risultata fasulla. È indispensabile reperire quella originale per rinvenire poi l’attuale portatore del Diadema”.
“Cosa?!” sbottò Dare Yoon “Di bene in meglio! Avete idea di come fare?”.
Màrsali scosse il capo, frustrata.
“Né io né la principessa Dionissa, con cui sono in costante contatto spirituale. Vorrei domandare l’appoggio della regina Adara per accedere alla biblioteca del palazzo e svolgere qualche ricerca, ma l’ingresso di Leu-Mòr è sbarrato ormai da due giorni”.
Narsas serrò le dita intorno al legnetto snello che stava incidendo e il suo volto si fece teso e ancora più pallido.
“Tsk!” sbuffò il soldato “Il maledetto si sarà asserragliato lassù per leccarsi le ferite e l’avrà costretta a tenergli compagnia, unendo l’utile al dilettevole!”.
“Io ritengo che anche Anthos sappia della necessità di assestare il Medaglione” ragionò il guerriero del deserto “Evidentemente ha individuato priorità che non ci sono note. L’unica palese è quella di salvaguardare Adara e la Torre è il luogo più protetto del Regno. Sono sicuro che, quando avrà recuperato le forze, sarà il primo a mettersi a caccia di chi è riuscito a ingannarlo”.
“Gli dei vogliano che sia come dite voi” mormorò Màrsali, speranzosa” Potrà suonare stridente, ma non permetterà a nessuno di nuocere a sua moglie”.
“Ovvio!” grugnì Dare Yoon “Senza di lei, niente successore di sangue reale!”.
“Suppongo che siano state anche altre contingenze a portarvi da noi, Màrsali” asserì Narsas, cambiando argomento “Spero non ulteriori allarmanti novità da Elestorya…”
“No, tranquillizzatevi” sorrise lei “Mi imbarazza ammetterlo, ma vorrei che il vice capitano approfittasse della mancanza diretta del principe…”.
L’uomo inarcò un sopracciglio, spalancando gli occhi blu, sconcertato.
“Il vostro comandante della Guardia è sempre in isolamento, ma in questo istante la sorveglianza si è allentata come potete immaginare. Sono tutti impegnati nella difesa esterna della città e mio marito sorveglia i prigionieri con ben pochi secondini a disposizione. Ha studiato i turni di guardia lasciandosi come unico custode della cella di Aska Rei allo scopo. Dovete sfruttare l’occasione per incontrarvi”.
“Diavolo!” proruppe l’ufficiale, entusiasta “È una proposta fantastica! Sono pronto anche adesso! In piedi, Aethalas, non c’è un attimo da perdere!”.
“No…” mormorò la veggente, dispiaciuta “È preferibile che siate solo voi, Dare Yoon. Non vorrei attirare troppo l’attenzione… mentre voi, bailye, dovreste riguardarvi. Sento che siete molto provato e che avete bisogno di riposo”.
“Non vanto quel titolo” sorrise Narsas “Sul resto, invece, mi duole darvi ragione”.
La ragazza si avvicinò, serena, e si abbassò accanto a lui, porgendogli un involto.
“È un preparato che ho approntato personalmente, potete fidarvi” gli disse piano “Non conosco la vostra situazione e so bene che le genti del deserto sono ferrate nelle arti curative, ma chissà che non sia proprio un farmaco del Nord a restituirvi la salute che percepisco mancare dalle vostre membra”.
“Siete molto gentile” ringraziò lui, prendendo il regalo “Ma la mia gratitudine va soprattutto al fatto che vi stiate prendendo sincera cura di Adara”.
“Vorrei potere di più…”.
“Più della vita che state rischiando ogni giorno, è impossibile”.
La veggente arrossì allo sguardo profondo e riconoscente del giovane nomade. Nonostante l’evidente debolezza fisica, da lui emanava un valore estremo e indomito, una sicurezza che valicava il semplice coraggio. Intensità. Era quella la definizione adatta a lui. Il ragazzo viveva in quel modo ed era legato alla principessa in maniera indissolubile. Dionissa l’aveva chiamato “il tredicesimo uomo”, lasciando intendere che trasportasse un compito fondamentale e misterioso, essenziale per arginare la deriva dell’universo. Ma già per conto suo Màrsali aveva inteso che Narsas era ammantato di un’essenza straordinaria.
“Abbiate riguardo di voi, vi prego” sottolineò ancora “Se vi succedesse qualcosa, il cuore della principessa si spezzerebbe e non riuscirebbe più a trovare la forza per…”.
“Non è necessario aggiungere altro” disse lui, cordiale “Lo farò”.
Màrsali fu investita da una forte sensazione. Non era una visione, ma si avvicinava ai momenti in cui il suo dono prendeva inaspettatamente il sopravvento sulla sua coscienza. Fu certa del fatto che l’arciere Aethalas avrebbe fatto la differenza: lui e l’amore sconfinato che albergava nel suo animo indomito.
L’arciere osservò la fanciulla bionda precedere all’ingresso Dare Yoon, che gli fece un cenno di saluto e uscì rapidamente.
Poi assunse il medicinale che lei gli aveva portato. Slacciò il mantello di lana pesante e sciolse la sciarpa nocciola che gli avvolgeva la vita. La camicia bordeaux, di foggia nordica, gli si aprì sul petto e gli scivolò agilmente giù dalle spalle.
Il riflesso della sua schiena mascolina nello specchio mostrò il marchio circolare degli Anskelisia: non più rosso fuoco, ma di un arancio stinto e desolante.
“Dei…” pregò piano “Datemi la forza…”.
   
 
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