Come un salto
sulla trave
Arianna era la
più brava del suo corso. Anzi, di tutta la
società. Quella stagione, a soli undici anni, gareggiava
insieme alle ragazze
di quindici e arrivava sempre prima.
Alla Mortoni, la
società sportiva di ginnastica artistica
dove si allenava, tutti conoscevano Arianna e quello che sapeva fare:
era un
vero talento e, data la giovane età, non le costava nessuno
sforzo allenarsi e
compiere quelle eleganti acrobazie sulla trave e sulle parallele.
Tutte le
ragazzine la volevano in squadra perché, essendo molto
brava, non ci voleva molto ad avere un punteggio alto e a far vincere
la
squadra.
Ma le gare la
annoiavano. Ad Arianna piaceva tantissimo la
ginnastica: danzare leggiadra sulla trave, librarsi in volo sulle
parallele,
saltare sul trampolino e volteggiare erano le cose che preferiva al
mondo. Le
sembrava di volare e si sentiva leggera, in quei momenti non pensava a
niente e
si lasciava andare, sapendo che il suo corpo avrebbe svolto da solo
ciò che
sapeva fare.
Le gare, invece,
erano noiose e piene di regole, tempi e
punteggi. Le altre ragazze piangevano quando non salivano i gradini del
podio,
lanciavano sguardi di fuoco alle vincitrici e rosicavano con le madri
quando
uscivano dal palazzetto.
Gli applausi, lo
sguardo orgoglioso di sua madre e le medaglie
erano gli unici premi per cui valesse la pena stare tutte quelle ore al
palazzetto, fra una gara e l’altra, ad annoiarsi in attesa di
potersene tornare
a casa.
Per fortuna
c’erano Jacopo, Andrea e Giuseppe. Erano i
fratelli minori delle sue compagne di squadra e, più o meno,
avevano tutti
l’età di Arianna. La ragazzina si divertiva
più con loro che con le altre
ragazze: loro erano grandi, parlavano di ragazzi e di trucchi, di
professori
severi e del ‘centro’, il posto dove andavano
quando non avevano né allenamento
né gare. Arianna, invece, non capiva niente di quelle cose
lì, non usciva da
sola, non aveva problemi a scuola, non poteva truccarsi e non sapeva
niente di
ragazzi. Così passava il tempo in attesa dei risultati delle
gare a giocare con
i fratelli delle sue compagne.
Quella volta in
cui il suo mondo cambiò, stavano giocando a
calcio con una pallina di carta stagnola di uno dei panini di Giuseppe.
Erano in alto,
nel punto più grande della tribuna, con uno
spiazzo di diversi metri. Ogni tanto lanciava uno sguardo a sua madre
Cinzia,
seduta con le altre mamme a chiacchierare, che ricambiava
l’occhiata con un
sorriso. Ad Arianna bastava questo: sua madre era contenta e lo era
sempre
quando Arianna era felice.
Con le scarpe da
ginnastica e i pantaloncini sopra il body,
gridava ad Andrea di passarle la pallina per poter fare gol a Giuseppe
che
proteggeva la porta. Quando il ragazzino le passò la palla
improvvisata,
Arianna tirò un colpo velocissimo che oltrepassò
le gambe aperte di Giuseppe e
finì oltre la ringhiera delle scale, andando a perdersi
dall’altra parte della
tribuna, dove c’era il corridoio della tribuna dei padri
fotografi.
“Scusate,
scusate” disse, passando fra gambe e treppiedi di
padri costretti dalle mogli a stare ore in attesa dello scatto perfetto
sull’esibizione della propria figlia. Foto che tanto poi, una
volta a casa,
sarebbero state criticate e bistrattate dalle loro stesse
commissionatrici, che
comunque avevano già comprato le foto dal fotografo
ufficiale.
“Tieni,
Arianna.”
La voce che le
si rivolse era calda e bassa e apparteneva a
uno dei più bei ragazzi biondi che Arianna avesse mai visto.
“Come sai il mio
nome?” gli chiese stupita. Lui rise e le porse la pallina.
“Sono
il fratello di Vittoria” le spiegò, indicando una
ragazza bruna che gesticolava con le altre della sua squadra. Vittoria.
Arianna
la osservò: Vittoria non era male. Con lei era gentile e le
sorrideva spesso.
Non come Rosa, che le faceva il verso e ridacchiava alle sue spalle.
Arianna se
ne accorgeva, ma non diceva niente. Sua madre sospettava che fosse
invidiosa e
le aveva detto di starci lontana. Sì, come se fosse stato
facile!
Riportò
lo sguardo sul ragazzo e prese la pallina. “Grazie”
disse,
girandosi per tornare dagli altri. A metà strada,
però, si voltò e lo osservò
ancora: era alto, forse più alto di Vittoria, indossava
degli stivali neri e
sotto il braccio aveva quella che sembrava una giacca di pelle scura.
Continuò
a osservarlo e neanche si accorse del tempo che
passava, fino a quando Andrea non venne a chiamarla.
“Ari,
che fai? Vieni?” La ragazzina si voltò e
annuì.
“Arrivo.
Andre, tu sai chi è quello?” Andrea si
voltò nella
direzione che lei gli indicava e storse la bocca.
“Sì,
è Riccardo il fratello gemello di Vittoria”
rispose.
“Gemello?”
Arianna era stupita: non avrebbe detto neanche che
fosse suo fratello, figuriamoci il suo gemello! Lui era biondissimo e
lei così
mora!
“E
come fa a sapere il mio nome?”
Andrea
alzò una spalla. “Tutti ti conoscono”.
Mentre tornavano
da Jacopo e Giuseppe, Andrea le raccontò
quello che sapeva di Riccardo: loro si conoscevano da tempo,
perché le sorelle
erano nella stessa squadra da qualche anno.
Arianna
continuò a giocare, ma si distrasse più volte e
gli
altri la rimproverarono spesso. Quando furono annunciate le
premiazioni, la
mamma la chiamò e anche gli altri ragazzini tornarono a
sedersi sulla tribuna
insieme alle proprie famiglie, in attesa di scoprire il verdetto
dell’ennesima
gara.
Tolte le scarpe
e i pantaloncini, con il body blu della
società, Arianna accarezzò il ricamo del logo: lo
faceva tutte le volte che
affrontava un attrezzo per la prima volta. Quando c’era
qualcosa di nuovo, la
sua mano scattava sempre lì. Non si rese conto di farlo in
quel momento, finché
sua madre non le fermò la mano per stringerla.
“Andrà
tutto bene” le disse, pensando che fosse nervosa per
la premiazione. Arianna voleva annuire per tranquillizzarla ma, per la
prima
volta in vita sua, non ci riuscì. “Per me sei la
più brava. Ora vai!” La baciò
sulla guancia e con una piccola spinta la fece andare verso il tappeto
commemorativo.
La ragazzina si
sedette vicino alle compagne sul tappeto e
attese il momento della premiazione della sua categoria come le altre
volte.
Uguale ma in maniera differente: le
piaceva aspettare e sentire il suo nome detto al microfono, soprattutto
per
ultimo, perché la classifica partiva sempre dal basso, ma
quella volta non
prestò la giusta attenzione.
Le altre erano
agitate e ridacchiavano muovendo le gambe, ma
lei era tranquilla e lasciò che i nomi delle altre
vincitrici le passasse oltre
il cervello.
Quando fu
annunciata la sua squadra come vincitrice della
categoria, quasi si scordò di alzarsi. Vittoria dovette
tirarla per un braccio
per salire con le altre sul gradino più altro del podio. Poi
ci fu il solito
susseguirsi delle altre premiazioni, quella generale singolare e quelle
dei
vari attrezzi.
Per la trave ci
fu un podio solo della società Mortoni e le
ragazze si presero per mano, alzando le braccia. Quando Arianna
alzò lo sguardo
sulla tribuna, vide Riccardo: applaudiva e guardava sorridendo verso di
loro.
Pensò
che il suo stomaco volesse ribellarsi come quella volta
che aveva mangiato troppi dolci a Natale ed era andata
all’ospedale. E invece
non successe niente. Solamente, si sentiva strana: non riusciva a
guardare
nient’altro che non fosse la ringhiera della tribuna alta e i
suoi occhi
continuavano a posarsi sul ragazzo biondo.
“Vieni,
Ari, anche se fra poco ti chiamano ancora, devi
scendere dal podio” la richiamò Vittoria. Quando
la guardò, la ragazza le
chiese se si sentisse bene e lei annuì senza rendersene
conto.
In macchina
verso casa, sua madre chiacchierò di quello che
si erano dette lei e le altre mamme, di qualche aneddoto avvenuto
durante la
gara e di qualche altra osservazione che Arianna non
ascoltò: continuava a
pensare a Riccardo.
***
“Ti
sei divertita?” le chiese la mamma quando fu il momento
di andare a letto. Arianna annuì mentre Maria, la sua
sorellina, girava per la
stanza senza le mutande. Cinzia dovette più volte correrle
dietro e sgridarla,
tanto che Arianna non se la sentì di parlarle di cosa le era
successo.
***
I giorni
passarono tutti uguali come sempre e Arianna
continuò ad allenarsi divertendosi, saltando sul trampolino,
roteando sulle
parallele e danzando sulla trave. Soltanto quel pensiero fisso di un
ragazzo
grande e biondo, continuava ad affacciarsi nella sua mente. E quando
succedeva,
lei si sentiva strana. Sentiva il petto leggero e le sembrava quasi di
riuscire
a saltare più in alto. Il suo stomaco le vibrava e sentiva
il vuoto ma non
aveva fame, si sentiva soddisfatta ed eccitata come per una grossa
sorpresa. Era
come fare le rovesciate in avanti sulla trave senza cadere mai. Quando
se ne
accorgeva, sorrideva.
Una sera, quasi
alla fine dell’allenamento, Arianna vide
entrare in palestra la causa del suo strano cambiamento: Riccardo.
Stava camminando
sulla trave ma, distraendosi all’apertura
della porta, mise un piede in fallo e cadde rovinosamente a terra. Due
ragazzine le corsero vicino e anche l’allenatrice si
preoccupò, ma Arianna non
si era fatta niente e lo disse mentre si alzava e muoveva nervosamente
le mani.
Per gli ultimi
dieci minuti di allenamento, il fratello di
Vittoria e sua madre rimasero a osservare le ragazze che finivano gli
esercizi.
Per Arianna fu disastroso, non riuscì più a stare
in equilibrio sulla trave e
sbagliò anche due esercizi a corpo libero. La ragazzina era
sempre più
stranita: sentiva le guance andare a fuoco, non capiva
perché e non voleva
assolutamente sembrare un’imbranata. Anche perché
lei non lo era. Era capace di
svolgere qualsiasi esercizio, non si tirava mai indietro, neanche la
prima
volta che lo faceva, neanche per quelli difficili. Cosa le stava
succedendo?
Corse nello
spogliatoio prima del saluto finale e si cambiò
lentamente, lasciando che le altre finissero di prepararsi e se ne
andassero.
“Tutto
bene? Ti sei fatta male?” Vittoria le si sedette
vicino quando rimasero sole. Arianna scosse la testa, ma non disse
niente.
“Sicura?” Questa volta annuì.
“Bene, allora ci vediamo domani!” la
salutò la
ragazza prima di uscire dallo spogliatoio.
In macchina sua
madre la osservava dallo specchietto
retrovisore. “Stai bene, tesoro?”
“Mamma…
Mi è successa una cosa strana oggi. Cioè,
è un po’
che mi succede, ma oggi è stato più
strano.”
Cinzia, che era
una donna in gamba e sapeva quando la figlia
avesse bisogno di parlare, parcheggiò la macchina ma non
scese e aspettò che la
ragazzina le raccontasse ciò che le stava succedendo: della
sensazione strana
allo stomaco solo a pensare al fratello di Vittoria, della sua strana
reazione
quando lo aveva visto e del fatto che si sentisse più
leggera.
“…Come
quando ho fatto il primo salto sulla trave e non sono
caduta. Il mio cuore batte tantissimo e mi sento felice senza un
motivo”
concluse il suo discorso la piccola.
Cinzia sorrise
di gioia quando le disse: “Penso che tu ti sia
innamorata”. Arianna spalancò gli occhi e la
bocca.
“Io?”
“Sì,
tu, tesoro. È una bella cosa, non devi averne paura se
ti fa sentire bene.”
Arianna non
disse niente e rimuginò sulle parole della madre.
E, nei giorni successivi, lasciò che quella cosa
strana la facesse sentire così diversa.
Pensò
a Riccardo in tutti i momenti liberi, gradendo il fatto
di sentirsi così spensierata e agile. Le piaceva come fare
un fioretto sulla
parallela. Lasciava che il suo cuore facesse capriole quando la testa
bionda
del ragazzo entrava in palestra e aveva iniziato a sorridergli come
quando la
mamma le comprava un regalo. Era riuscita più volte a
parlargli e lui era
sempre stato gentile, anche quando all’inizio lei balbettava.
Dopo due mesi
Vittoria si fece male a una gamba e dovette
fermarsi dagli allenamenti. Arianna, invece, passò di
categoria e cambiò
società per poter accedere a un team diverso di preparatori.
E Riccardo
lasciò il posto a un altro.
***
“Mamma!
Mamma! Ho una nuova maestra!” La figlioletta le
saltò
in braccio appena Arianna varcò la porta della sua vecchia
palestra.
“Tesoro!
Ti sei divertita?” le chiese, spostandole i capelli
dalla fronte e dandole un bacio.
La piccola,
nell’irruenza dei suoi cinque anni annuì, prese
per mano la madre e la trascinò verso il tappeto gonfiabile
azzurro, dove le
allenatrici stavano sistemando le ultime cose.
“Vittoria!
Vittoria! Vieni a conoscere la mia mamma!” gridò
la piccola rivolta all’allenatrice. La donna bruna si
voltò e, quando vide
Arianna, il suo viso si distese in un sorriso. Arianna riconobbe la
vecchia
compagna di squadra e le sorrise di rimando.
“Vittoria
Macchi? Che bello ritrovarti alla Mortoni ad
allenare!”
“Ma…
Arianna?” Vittoria riconobbe l’amica e
l’abbracciò
calorosamente. “Quindi
Marta è tua
figlia? Avrei dovuto immaginarlo!” disse ancora, guardando la
piccola con uno
sguardo dolce, che la bambina ricambiò.
Arianna si
strinse nelle spalle. Era arrivata alle olimpiadi
e aveva vinto una medaglia di bronzo, poi, quando era nata Marta, aveva
deciso
di dedicarsi ad altro; le gare la tenevano troppo lontana
dall’altra sua
passione: fare la mamma.
“Mamma
mia, quanto tempo è passato da quando abbiamo fatto
squadra, eh? Che anno era?”
“Sono
passati vent’anni”
precisò Arianna. Mentre la bambina andava a cambiarsi nello
spogliatoio le due
donne rimasero a chiacchierare e si scambiarono racconti di ricordi e
piccoli
aneddoti.
“Oh,
Riccardo! Scusami, Arianna, mi sa che è arrivato il mio
passaggio. Comunque ci vediamo la prossima settimana, vero?”
disse
l’allenatrice andando nello spogliatoio riservato, quando
vide il fratello
entrare dalla porta.
“Arianna
Secri?” L’uomo che si avvicinò a lei,
porgendole la
mano era molto diverso dal ragazzino che si ricordava Arianna: era
alto, con i
capelli tagliati cortissimi e un accenno di barba. “Vittoria
ci ha parlato di
te per tantissimo tempo. So che sei andata alle
olimpiadi…”
Arianna gli
strinse la mano, stupita che lui si ricordasse di
lei e sapesse così tante cose. Riccardo, allo sguardo
stranito di lei rise e
disse: “Vitto ti ammirava tantissimo, diceva che eri la
più brava. Quando è
tornata dopo l’infortunio, si lamentava di quanto fosse tutto
diverso senza di
te”. La ragazza si sentì arrossire sulle guance,
se c’è una cosa che la
popolarità non cura, è la timidezza. Soprattutto
la timidezza che si ha nei
confronti di un ragazzo per cui il tuo cuore aveva battuto
così forte da
bambina.
Dopo dieci
minuti di chiacchiere leggere, Arianna disse che
doveva andare in cerca della figlia e si dileguò. Il suo
cuore batteva ancora forte
e le sue guance erano di nuovo rosse, ma il sentimento che provava ora
era diverso
da vent’anni prima: la tenerezza di un’emozione
primitiva le riempiva il cuore
e il desiderio di sentirsi ancora leggera come quella bambina le
lasciava una
malinconia struggente addosso.
Con quella
sensazione strana tornò a casa con Marta.
***
“Oggi
la mamma parlava con un signore…”
confidò Marta al papà
mentre stavano apparecchiando, dopo avergli raccontato della sua nuova
insegnante di ginnastica, che la mamma conosceva perché
erano state in squadra
insieme.
“Chi?”
le chiese lui. “Il papà di qualche
bambina?” La
piccola scosse la testa prendendo le posate.
“No,
non è un papà che conosco. Ilaria diceva che
è il
fratello di Vittoria, la nuova allenatrice.”
“Uh.
La tua allenatrice si chiama Vittoria? Ed era in squadra
con la mamma?” L’uomo corrugò la fronte
mentre la piccola, con la stessa
smorfia sul viso annuiva.
“Arianna!!”
“Sì,
Andrea?” Quando sua moglie uscì dalla doccia con
un
asciugamano sui capelli le andò vicino.
“Non
è che oggi hai visto un certo Riccardo? Un certo
Riccardo di cui ti sei innamorata quando eri una ragazzina?”
Arianna rise:
suo marito sapeva del suo primo amore e
sembrava proprio geloso.
“Sì.
Un certo Riccardo di cui il mio splendido marito mi ha
svelato il nome quando ancora non lo conoscevo.”
Il primo amore
non si scorda mai. Ti fa ricordare che c’è un
modo innocente di guardare il mondo e di sentirsi in continuazione a
fare acrobazie
sulla trave.
Ma lei non aveva
più bisogno di Riccardo per sentirsi leggera
e volteggiare. Si alzò sulle punte e baciò le
labbra di Andrea, il suo ultimo
amore.