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Autore: Star_Rover    14/02/2020    4 recensioni
Un valoroso soldato nella sua impeccabile divisa che marcia con orgoglio a testa alta. Una figura imponente, un volto severo e due iridi smeraldo che caratterizzano uno sguardo intenso e impenetrabile.
Il detective Eric Dalton ricorda così il maggiore Patrick O’ Donnell. Era soltanto un ragazzino quando aveva assistito ai festeggiamenti per la fine della guerra civile, al tempo quell'uomo era apparso ai suoi occhi come l’incarnazione dell’eroe invincibile e incorruttibile.
Nell’autunno del 1936, tredici anni dopo quel primo e fatidico incontro, Patrick O’ Donnell ricompare nella vita del giovane investigatore in un modo del tutto inaspettato. Infatti è proprio il suo nome ad apparire tra le pagine di un pericoloso fascicolo.
Eric accetta il caso, ma è intenzionato ad indagare a fondo prima di portare a termine l’incarico più difficile della sua carriera, ovvero condannare l’eroe di una Nazione.
Genere: Drammatico, Storico, Thriller | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: Violenza | Contesto: Il Novecento
Capitoli:
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Un’automobile era ferma sul lato della strada, proprio davanti alla locanda. Dalton non prestò attenzione al veicolo, mentre camminava a testa bassa rimuginava sui suoi problemi. Sullivan aveva deciso di non testimoniare, egli non aveva intenzione di parlare nuovamente in pubblico di quella faccenda.
Il detective poteva comprendere le sue ragioni, ma ciò avrebbe reso il suo lavoro ancora più difficile. Poi c’era anche la questione di Robert, dopo aver scoperto la triste verità su suo padre il giovane aveva deciso di tornare a Fenit. Così i due si erano separati, Dalton era certo che per quel ragazzo sarebbe stato meglio restare per un po’ lontano dalle indagini.
Eric era ancora immerso in questi pensieri quando la portiera si aprì e un poliziotto in uniforme uscì dall’auto. L’uomo si posizionò davanti all’investigatore mostrando il distintivo.
«Detective Dalton, deve venire con noi»
Eric rimase qualche istante interdetto, indeciso su cosa fare. Non conoscendo i motivi di quel fermo e notando le pistole ben in vista decise di non opporsi.
Prima di farlo salire sul retro della vettura un secondo agente pensò a perquisirlo requisendogli la Browning.
«Non si preoccupi, è il protocollo, non possiamo fare eccezioni»
Eric restò impassibile sistemandosi sul sedile e studiò con attenzione l’aspetto dei suoi compagni di viaggio. Poté constatare che essi erano davvero agenti di polizia, dunque poteva considerarsi in mani sicure. Guardando fuori dal finestrino riconobbe la strada che portava verso il centro della città.
«Per quale motivo mi trovo qui?»
Il poliziotto seduto al suo fianco rispose con calma: «il commissario vuole parlare con lei, è per una questione importante»
«Suppongo che non si tratti solamente di una semplice chiacchierata…»
L’agente si limitò ad alzare le spalle: «purtroppo non posso dirle altro signor detective»
 
L’automobile si fermò davanti al commissariato, Dalton fu scortato dai poliziotti fino all’entrata. Il detective iniziò a innervosirsi, percorrendo il lungo corridoio avvertì gli sguardi sospettosi degli altri agenti, quella situazione non gli piaceva affatto.
Finalmente giunse davanti all’ufficio del commissario, l’agente Reynolds bussò con decisione, dopo aver atteso la risposta aprì la porta e spinse Eric all’interno.
Egli si ritrovò solo davanti al commissario Delaney, il quale si rialzò dalla sua scrivania per accoglierlo.
«La prego di accettare le mie scuse, mi spiace di averla trascinata qui in questo modo, ma è tutto per la sua sicurezza»
«La mia sicurezza?» domandò Eric restando diffidente.
«Certo, suppongo che preferisca trovarsi in una centrale della Garda piuttosto che in un rifugio di ribelli con una pistola alla tempia»
Egli si stupì: «lei come fa a sapere...»
Delaney interruppe la sua domanda: «anche noi abbiamo i nostri informatori nell’IRA, eravamo già a conoscenza del loro piano, ma non pensavamo che ci saremmo trovati ad aver a che fare con un detective di Dublino»
Dalton parve confuso: «la polizia di Tralee era a conoscenza delle mie indagini?»
«Oh, no…le nostre spie sapevano che i militanti avevano intenzione di organizzare un attentato al maggiore O’ Donnell, ma a quanto pare qualcuno deve aver cambiato i piani. Così l’IRA ha deciso di collaborare con la polizia…è davvero una storia assurda, non crede?»
«Non capisco, per quale motivo mi avete portato qui?»
«Per prima cosa per tenerla sotto controllo e al sicuro, e poi per convincerla ad abbandonare questa folle impresa. Mi spiace, ma io stesso mi sono ritrovato nella sua situazione e sono stato costretto a rinunciare alla verità»
«Di che sta parlando?»
«Mi occupai del maggiore O’ Donnell tredici anni fa, quando ero ancora un giovane ufficiale pieno di ideali e speranze»
«Fu lei ad archiviare il caso?»
Il commissario annuì: «sì, ma non per mia scelta»
L’uomo aprì un cassetto che era chiuso a chiave ed estrasse alcuni documenti.
«Questa lettera mi fu mandata dal Generale Mulcahy in persona, al tempo non potei far altro che rispettare i suoi ordini»
Dalton iniziò a leggere con morbosa curiosità.
 
Comdt. Delaney,
non posso che esserle grato per il suo impegno e la competenza dimostrata durante l’inchiesta sul caso O’ Donnell. Nonostante ciò sono costretto a revocarla dal suo incarico. Come avrà modo di constatare il processo avvenuto il 16 settembre ha scagionato da ogni accusa il maggiore O’ Donnell. La corte militare non ha avuto dubbi nel considerare l’imputato non colpevole. Dunque continuare queste indagini sarebbe un inutile spreco di energie e di risorse.
Al fine dei recenti sviluppi le indagini saranno sospese, il caso O’ Donnell può considerarsi archiviato.

 
«Insieme alla lettera era presente una copia dell’interrogatorio al maggiore O’ Donnell» disse Delaney porgendo al detective un altro foglio.
 
D: Dunque, che cosa accadde quella notte?
R: Dopo aver radunato i prigionieri li informai sulle conseguenze delle loro azioni. Ammetto di aver mentito, per convincerli a portare a termine il compito dissi loro che alcuni soldati del National Army erano stati uccisi mentre tentavano di disinnescare le loro mine. Ciò non è mai accaduto, ma si trattava solo di una questione di tempo e probabilità. Così ordinai ai prigionieri di rimuovere la barricata, avvertendoli che avrebbero dovuto prestare attenzione considerando l’eventuale presenza di mine o esplosivi. Io stesso mi presi la responsabilità di esaminare la barricata, in quel caso non notai alcuna mina, probabilmente era nascosta dai detriti e dall’oscurità.
D: Che cosa ha da dire a riguardo delle accuse di maltrattamento dei prigionieri?
R: I repubblicani non si opposero in alcun modo, ovviamente erano nervosi, ma non furono affatto costretti o maltrattati. I miei soldati avevano solo il compito di controllare che essi non tentassero la fuga.
D: Alcuni testimoni affermano di aver udito degli spari quella notte…
R: E’ una menzogna insinuare che dei sopravvissuti siano stati abbattuti a colpi di arma da fuoco, tutti rimasero uccisi nell’esplosione. Non ci fu alcun fuggitivo.
D: Quindi come dovremmo considerare il testimone T. Sullivan?
R: Suppongo che egli sia un impostore, probabilmente ha perso la testa in prigione. Per errore il suo nome deve essere stato riportato tra i detenuti coinvolti nell’incidente, ma egli non lasciò mai le prigioni di Fenit. Ho letto il rapporto del dottor J., egli è convinto che quell’uomo sia rimasto traumatizzato dalla guerra, se non sbaglio dovrebbe trattarsi di un grave caso di nevrosi.
D: Lasceremo a chi di dovere le considerazioni mediche del caso. Altre testimonianze dichiarano di aver visto alcuni dei suoi uomini in un locale di Tralee quella stessa notte, poco dopo il terribile incidente. Può spiegarci il motivo?
R: E’ vero, i miei uomini tornarono in città, ma di certo non per festeggiare in un pub. Alcuni di loro furono coinvolti nell’esplosione, quella notte cinque o sei soldati furono trasportati con urgenza nell’ospedale di Tralee. Anche io venni ferito, un taglio alla mano e uno alla testa, entrambi causati dalle schegge e dai detriti.

 
Il detective Dalton rimase perplesso nel leggere il verdetto finale.
 
Nessuna responsabilità può essere imputata ad alcun ufficiale o soldato coinvolto nelle operazioni effettuate nella notte del 5 marzo 1923, durante la quale dieci prigionieri repubblicani hanno perso la vita in un terribile incidente.
In conclusione, considerando le particolari condizioni dell’area in cui si sono svolti questi fatti e le stringenti esigenze della guerra, la corte dichiara che il maggiore O’ Donnell ha agito nel massimo delle sue possibilità per mantenere disciplina e rigore all’interno dell’Esercito, il suo unico scopo è stato quello di riportare ordine e pace nella nostra Nazione.

 
«Alla fine O’ Donnell ha ricostruito un’accurata versione dei fatti fornendo anche un alibi perfetto» commentò Eric.
«Già, al tempo non fui l’unico a sospettare che questo processo fosse in realtà una sceneggiata dell’Esercito»
«Che ne pensa di tutto questo?» domandò il detective con indignazione.
Delaney sorrise amaramente: «direi che alla fine il Generale Mulcahy ha trovato il modo di insabbiare la faccenda accontentando tutti quanti»
«Tutti tranne le famiglie delle vittime» precisò Dalton.
Il commissario rimase impassibile: «l’unico testimone non era affidabile, in mancanza di prove nessuno avrebbe potuto opporsi»
«Adesso però è diverso»
«Lei è un grande idealista signor detective, ma deve essere obiettivo…nessuno è disposto a lottare per una verità ormai sepolta e dimenticata»
«L’IRA vuole giustizia per le famiglie che hanno sofferto»
«No, l’IRA vuole riportare in superficie il dolore della guerra per scatenare nuove insurrezioni»
Eric fu costretto ad accettare anche quella verità.
«Dunque è tutto vero? Patrick O’ Donnell è stato al comando di uno squadrone di assassini?»
Delaney prese un profondo respiro: «il Comitato di visita era irregolare, anche se l’Esercito conosceva perfettamente l’esistenza di questa organizzazione. O’ Donnell è stato considerato innocente dalle stesse persone che gli avevano ordinato di commettere quei crimini. Sinceramente è difficile trovare un reale colpevole in tutto questo»
«Non possiamo dimenticare che il maggiore O’ Donnell torturò e condannò ingiustamente quei prigionieri»
Il commissario non poté contraddirlo, ma ciò non lo preoccupò particolarmente.
«Al momento condannare O’ Donnell non è una nostra priorità, anzi, paradossalmente il nostro compito è proteggerlo»
 
***

Robert aveva deciso di tornare a Fenit per un motivo ben preciso. Aveva detto al detective di voler trascorrere un po’ di tempo con la sua famiglia, ma in realtà le sue intenzioni erano differenti.
Ormai aveva preso la sua decisione, ora che finalmente aveva scoperto la verità era intenzionato ad andare fino in fondo a quella storia. Sapeva anche che la legge non avrebbe potuto aiutarlo ad ottenere giustizia. In quel momento poté comprendere a pieno le motivazioni che avevano spinto suo padre ad unirsi ai ribelli dell’IRA.
Così decise di raggiungere il suo villaggio per incontrare il comandante O’ Ryan.
Robert entrò in un pub e con discrezione raggiunse il retro del locale, si fermò davanti ad una porta e bussò scandendo con precisione ogni colpo. Dopo pochi attimi di attesa la serratura scattò. O’ Neil entrò in quel luogo buio e polveroso, appena i suoi occhi si abituarono all’oscurità riconobbe una figura in piedi accanto alla finestra sbarrata, la prima cosa che vide fu la pistola che sporgeva dalla cinta dei suoi pantaloni.
«Il piccolo Bobby è tornato!» esordì O’ Ryan accogliendo il ragazzo con un abbraccio.
Quella volta Robert non protestò nel sentirsi chiamare in quel modo, apprezzò quell’affettuoso benvenuto.
«Sono felice di vederti, mi hanno riferito che a Dublino tutto è andato secondo i piani»
O’ Neil si limitò ad annuire.
«Dunque, come mai hai deciso di tornare?» chiese il comandante.
«Lei aveva ragione, furono i soldati del National Army a uccidere mio padre e i suoi compagni»
O’ Ryan non fu sorpreso da quella rivelazione, in fondo conosceva la verità da molto tempo.
«Quindi le indagini sono concluse?»
Robert sospirò: «temo che il detective Dalton non possa più fare nulla a riguardo»
Il militante assunse un’aria pensierosa: «già, avevamo considerato anche questa eventualità…»
«Questa storia non può finire così! La verità è rimasta nascosta per troppo tempo e O’ Donnell deve pagare per quello che ha fatto!»
O’ Ryan fu colpito da quelle parole: «ciò significa che hai finalmente deciso di sostenere la nostra causa?»
Il ragazzo annuì con decisione.
Il comandante si avvicinò mostrando la sua espressione soddisfatta: «sapevo di potermi fidare di te, ero certo che il figlio di O’ Neil non mi avrebbe deluso!»
«Sono disposto a portare avanti la missione dell’IRA, ma solamente ad una condizione»
«E quale sarebbe questa condizione?» domandò O’ Ryan con diffidenza.
«Il detective Dalton deve restare fuori da questa storia»
«Per quale ragione?»
«Quando egli ha scoperto che ero in contatto con l’IRA ha scelto di non denunciarmi, non posso tradire la sua lealtà»
Dopo qualche istante di riflessione O’ Ryan acconsentì: «Dalton può considerarsi al sicuro se non interferirà con i nostri piani»
«Dunque ha intenzione di assegnarmi questa missione?» chiese il ragazzo con tono speranzoso.
Il comandante sorrise: «ovviamente, tu sei la persona perfetta per quest’incarico. Il popolo irlandese vuole ottenere giustizia, ma per te si tratta di una questione privata. Presto potrai avere la tua vendetta»
 
***

Il detective Dalton tornò a Dublino con due obiettivi ben chiari in mente: contattare qualcuno di importante al Castello e trovare Patrick O’ Donnell.
Per quel che riguardava le indagini era ormai rassegnato, l’unica cosa che poteva fare era scrivere un rapporto che probabilmente sarebbe stato distrutto o nascosto insieme agli altri documenti ufficiali.
L’idea di incontrare O’ Donnell invece gli procurava sensazioni contrastanti, ovviamente disprezzava quell’uomo per ciò che aveva fatto, ma allo stesso tempo non riusciva a rinunciare all’ideale che si era creato di lui, e che era rimasto come suo esempio di vita per tutto quel tempo.
Dalton cercò di distrarsi da quella dolorosa delusione. Pensò ad Aileen, aveva intenzione di mantenere le sue promesse, ma temeva che non sarebbe stato semplice. Sapeva che sua moglie aveva cercato in ogni modo di aiutarlo in quel momento difficile, egli invece non aveva fatto nulla per lei. Quel caso l’aveva costretto a stare lontano dalla sua famiglia, aveva lasciato sola la persona più importante della sua vita quando ella aveva più bisogno del suo sostegno. Eric poggiò la testa sul sedile e socchiuse gli occhi, si sentì in colpa per aver trascurato la donna che amava, in quel momento desiderò soltanto stringerla nuovamente tra le braccia.
Credeva di poter cambiare le cose, invece era stato costretto a fare i conti con la dura realtà. Ora che i suoi ideali erano stati distrutti non gli restava altro che fare il suo dovere e rinunciare per sempre al caso O’ Donnell.
 
Il treno si fermò alla stazione, era ormai tardi, dal finestrino Eric scorse le luci della capitale che brillavano nell’oscurità. Appena scese dal vagone trovò una pattuglia di polizia sui binari, inizialmente non rimase particolarmente sorpreso, i controlli erano sempre più frequenti. All’improvviso due agenti lo fermarono afferrandolo bruscamente per le braccia.
«Signor detective, la stavamo aspettando»
Egli non ebbe il tempo di reagire, stanco e frastornato per il lungo viaggio non riuscì a realizzare ciò che stava accadendo. In quel momento si avvicinò un ufficiale, Eric riconobbe la sua figura illuminata dalla fioca luce di un lampione.
«Colbert!»
Il tenente si fermò davanti a lui: «avrei preferito accoglierti in modo differente»
Dalton non capì, un poliziotto strinse le manette intorno ai suoi polsi.
Eric si rivolse all’amico: «che diamine sta succedendo?»
Il tenente si sforzò di guardarlo negli occhi: «non avrei voluto arrivare a tanto, ma i servizi segreti sono stati chiari a riguardo»
«Non puoi farmi questo! Credevo che tu fossi mio amico!»
«Mi dispiace, so che non mi crederai, ma sto cercando di aiutarti»
Dalton tentò di protestare mentre gli agenti lo trascinarono lungo la strada.
 
Eric si ritrovò nuovamente in un'automobile della polizia, stavolta in viaggio verso il Castello.
Il tenente McGowan rimase in silenzio per tutto il tempo, non era ancora certo di aver fatto la scelta giusta, ma in fondo aveva agito solamente per il bene del suo amico. Sapeva che i servizi segreti avrebbero cercato di corromperlo e di indurlo a rinunciare alla verità, ma Colbert preferiva essere considerato un traditore piuttosto che ritenersi responsabile di una prevedibile tragedia.
L’automobile della polizia si fermò davanti al Castello, Eric fu spinto con forza fuori dalla vettura.
McGowan rimproverò gli agenti: «lasciatelo! Non cercherà di scappare, il detective Dalton non è un criminale!»
Eric fu accompagnato nell’ufficio dell’agente Beckett, il quale si mostrò particolarmente soddisfatto nel vedere il detective in manette.
«Bene, finalmente tutto è tornato al suo posto» commentò con un amaro sorriso.
Dalton non esitò a protestare: «non avete il diritto di arrestarmi, non potete condannarmi per aver svolto il mio dovere!»
«Non sia così riluttante, in fondo non conosce ancora il motivo per cui si trova qui» replicò Beckett.
Eric rimase perplesso, un’altra ombra comparve sulla soglia. Un uomo vestito di grigio entrò nella stanza, doveva avere circa quarant’anni, avanzava a passo sicuro con un’espressione seria e altezzosa sul viso.
«Piacere di conoscerla detective. Io sono il sovrintendente David Neligan, ma suppongo che le presentazioni non siano necessarie»
«Lei è il comandante della Garda» esclamò Dalton con sincero stupore.
«Ad essere precisi sono anche il fondatore del Special Branch» rispose il nuovo arrivato.
«Devo dedurre che ci sia lei dietro a questa storia» continuò Dalton con una certa avversità.
Neligan annuì: «al tempo il caso O’ Donnell era una bomba pronta a scoppiare, il mio compito è stato quello di spegnere la miccia prima dell’esplosione»
«Al momento non sono interessato alle vostre menzogne! La vita di O’ Donnell è in pericolo»
Il comandante si accese con calma una sigaretta: «questo è il motivo per cui l’abbiamo portata qui»
Eric gli rivolse uno sguardo interrogativo.
«Lei è il miglior detective della città, ha scoperto tutta la verità su questa storia e soprattutto ha già avuto a che fare con l’IRA. Ho sentito parlare molto bene di lei, signor Dalton, ho anche seguito le sue avvincenti indagini sui giornali. Il caso Mulligan era sulla prima pagina del Times, lei ha arrestato uno dei terroristi più ricercati d’Irlanda…»
«Crede di potermi adulare in questo modo?»
«Oh, no. Le mie sono sincere congratulazioni, voglio che lei lavori per me. Dovrebbe sentirsi onorato per questo»
«Che cosa volete esattamente da me?»
«Le sto chiedendo di collaborare con i miei agenti per sventare l’attentato all’ex maggiore O’ Donnell e per catturare quei criminali repubblicani»
Dalton rifletté qualche istante: «per quale motivo avete bisogno di me?»
Neligan rispose con estrema serietà: «perché non abbiamo più molto tempo, e lei è l’uomo giusto per noi»
«Ciò significa che sono sacrificabile?»
Il comandante sorrise: «lei mi piace signor Dalton, spero davvero che non le accada nulla di male»
Dopo aver detto ciò Neligan uscì dalla stanza affidando il detective nelle mani di Beckett.
Eric si mostrò irritato e spazientito: «direi che lei si è divertito abbastanza, adesso potrebbe togliermi queste dannate manette?»
 
Dalton non era a suo agio in quella situazione, non avrebbe mai pensato che per svolgere il suo dovere avrebbe dovuto salvare la vita a un criminale di guerra.
Egli osservò l’agente Beckett, il quale stava leggendo con attenzione i rapporti del commissario Delaney.
«Dunque che ne è stato di O’ Donnell?» chiese il detective con curiosità.
Beckett rispose senza alzare lo sguardo dal foglio: «si è dimesso dal suo incarico nell’esercito nel 1924, un anno dopo la fine della guerra. E’ stato assegnato a un impiego d’ufficio a Wicklow, vive ancora lì con la sua famiglia»
Eric non riuscì a nascondere la sua delusione, di certo immaginava un’esistenza più fantasiosa per l’eroe della sua infanzia.
«Non sappiamo quando l’IRA colpirà, ma di certo agirà al più presto possibile. Dovremo sorvegliare O’ Donnell con estrema attenzione» continuò Beckett.
«Il commissario Delaney ha detto che i repubblicani erano intenzionati a mettere in atto quest’attentato già da tempo. Di certo conoscono bene il loro obiettivo»
«Non dovremo farci notare, se i militanti scoprissero che siamo a conoscenza dei loro piani sicuramente annullerebbero la missione e non avremo più l’occasione di arrestarli»
«Nemmeno O’ Donnell dovrà sapere di noi, anche lui potrebbe tradirsi»
«Però qualcuno dovrà avvicinarsi a lui senza destare sospetti»
Dalton non aspettava altro.
«Potrei continuare le mie indagini, l’IRA si fida ancora di me, non sospetterà della mia presenza»
Beckett rispose con una smorfia: «lei non ha proprio intenzione di arrendersi»
«Quale sarebbe l’alternativa? Utilizzare un ridicolo travestimento?»
L’agente sospirò: «in effetti la sua idea potrebbe anche funzionare…»
 
***

Wicklow era una tranquilla cittadina di mare situata sulla costa orientale, poco più a sud della capitale. Dalton camminò verso il porto e continuò la sua passeggiata lungo la Murrough, da un lato si estendevano ampie aree verdi, dall’altro invece poteva ammirare le spiagge deserte e le scogliere frastagliate. Davanti a sé, in lontananza, intravide le cime delle Wicklow Mountains.
Eric avvertì il tiepido calore del sole primaverile sulla pelle, l’aria fresca era intrisa di un intenso odore di salsedine. Per un breve istante il detective dimenticò la ragione del suo viaggio e si abbandonò alla contemplazione di quello splendido paesaggio naturale.
Tornò in sé quando individuò la sua meta: una casetta bianca situata vicino al promontorio. Si trattava di un’abitazione isolata e tranquilla, con un ampio giardino e la staccionata in legno appena verniciato.
Dalton sentì delle risate, tre ragazzini stavano giocando rincorrendosi nel prato fiorito. Il più grande doveva avere circa tredici anni, Eric suppose che si trattasse di Michael O’ Donnell. Gli altri due dovevano essere i suoi fratelli: un ragazzino allegro e vivace e una graziosa bambina dalle trecce bionde.
Dalton esitò prima di varcare il cancello e avvicinarsi alla porta. Prese un profondo respiro e bussò con decisione.  
Poco dopo una donna comparve sulla soglia, aveva un viso dolce e un sorriso cordiale.
Eric la identificò facilmente come Elizabeth Keating, la moglie di O’ Donnell.
«Salve, posso aiutarla?» chiese lei con gentilezza.  
Egli mostrò il distintivo: «detective Dalton, polizia di Dublino. Dovrei parlare con il signor Patrick O’ Donnell»
Elizabeth lo lasciò entrare, ma non riuscì a nascondere la sua preoccupazione.
«Le chiamo subito mio marito» disse spostandosi nell’altra stanza.
Eric mosse qualche passo nel salotto, la casa era ampia e confortevole, arredata in stile borghese e raffinato.
Il detective osservò le foto incorniciate poste sui mobili, una ritraeva i due coniugi nel giorno delle nozze, Patrick indossava la divisa repubblicana.
La seconda immagine raffigurava O’ Donnell in posa con l’uniforme da ufficiale del National Army, il suo petto era decorato con la medaglia dei Volunteers che avevano combattuto durante la Rivolta del 1916.
Nelle altre cornici invece erano presenti i volti sorridenti dei bambini. Eric sospirò, la vita di Patrick O’ Donnell sembrava quella di un perfetto padre di famiglia, nulla riconduceva più al suo tormentato passato.
Il detective era ancora immerso in quei pensieri quando avvertì l’eco di alcuni passi.
Eric sussultò, per un istante rimase immobile, quel momento gli parve surreale.  
Si voltò lentamente, il suo sguardo incrociò due profondi occhi verdi.




Nota dell'autrice
Questo capitolo in teoria doveva essere il penultimo della storia, ma alla fine per non affrettare troppo le vicende ho scelto di realizzare 10 capitoli + epilogo. 
Ringrazio tutti coloro che stanno continuando a leggere e seguire questo racconto. 
Un ringraziamento speciale ad alessandroago_94 e mystery_koopa per le recensioni e il sostegno^^
   
 
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