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Autore: lolle_dancer    05/08/2009    1 recensioni
Non so se continuerò questa storia, per farlo ho bisogno dei vostri pareri. Ne vale la pena? è la storia di Adele, figlia di una grande ballerina, e della sua passione per la danza. Un incidente purtroppo le farà cambiare strada e da bambina solare che era, diventerà una ragazza triste e cupa. Aspetto commenti e consigli! Grazie!!
Genere: Drammatico | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: Spoiler!
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Capitolo 5

Spazio autrice: e dopo un secolo tornò a pubblicare XD

Dettagli, grazie a quelli che leggono e alla mia Annuccia =)

In questo capitolo ci saranno un po’ di sviluppi, ma non avete ancora letto niente =)

Ciauuu!!

5. La felicità dura solo un istante...

 

Il mio riflesso diceva tutto quello che c’era da sapere. “Sei una cretina Adele!” Cosa speri di ottenere?” e aveva ragione. Mi guardavo allo specchio, in una tuta più larga del solito e stretta in una canottiera. Avevo passato tutto il pomeriggio a guardare video su youtube ed era ora di mettere in pratica qualcosa. Avevo visto di tutto: coreografi, lezioni di danza, programmi televisivi, semplici ragazzi e ragazze che ballavano in camera o in mezzo la strada, ed ero rimasta sbalordita. C’era così… tanto. Alcuni ballavano solo per fare, altri per professione, altri ancora erano semplicemente vivi, quando si muovevano a ritmo di musica. Passi, salti, tutti tipi diversi di movimenti che racchiudevano la stessa passione. Mi chiesi a che livello fossero Manuel e i suoi amici; se cercavo di immaginarlo ballare mi perdevo in altri pensieri che non dovevo nemmeno considerare, ma oltre ai suoi occhi, riascoltavo continuamente le sue parole. “Non ti ci vedrei male a ballare…”. Di una cosa ero certa però: lui non sapeva niente di me e io non potevo farmi condizionare da una frase buttata li, giusto per dire qualcosa. E allora perchè non riuscivo a smettere?

Benché non sapessi ballare hip hop, non ci avessi mai provato e neanche pensato, me ne stavo davanti allo specchio a cercare di improvvisare qualche passo. Tornai allo stereo per cambiare ancora musica: era la quarta volta che lo facevo, ma non riuscivo a trovare la musica adatta. Avevo provato T-pain, i Black Eyed Peas e Missy Elliott. Niente. Cercai qualcosa di R’n’b e trovai Justin Timberlake.

La prima canzone che partì fu “What goes around… comes around…” e li, i miei piedi partirono da soli.

Non avevo tecnica, ma mi accorsi che con quella musica se ne poteva fare a meno. Era completamente diverso dalla danza classica, non c’erano movimenti da studiare, regole da seguire, passi da ricordare… bastava sentire la musica e il cuore. Osservavo il mio corpo muoversi, stupita di me stessa. Non ci avevo mai provato e, forse troppo tardi, mi ero resa conto che mi piaceva.

Non pensavo a niente, avevo solo voglia di ballare. Se qualche anno fa avessi pensato così, mi sarei subito data della pazza, ma lì non c’era il maestro, non c’era mia madre e ai piedi avevo dei caldi calzettoni, non delle scomode punte.

Inserivo salti, passi, movimenti che avevo studiato da piccola, ma che lasciavo liberi e non bloccavo per rispettare una coreografia. Mi prendevo il tempo e lo spazio necessario. Avevo voglia di esprimermi.

Ad un tratto mio padre aprì la porta. Mi bloccai. “Cazzo cazzo cazzo!!! Ora che gli dico??”.

-Ehm… ciao papà!- lo salutai nervosamente andando a spegnere la musica.

-Ciao…- il suo tono era sorpreso e aveva un’espressione corrucciata. -…stavi ballando?- disse l’ultima parola con un misto di sconcerto e ammirazione.

Non dissi niente, sia perchè non sapevo cosa dire, sia perchè l’ultima persona con cui avrei voluto parlare (se ce ne fossero state) era mio padre. Mi appoggiai alla scrivania incrociando le braccia ed evitando il suo sguardo.

Senza dire niente, lo vidi entrare e sedersi sul letto e parlando si mise le mani tra i capelli.

-Dove ho sbagliato con te, Adele?- non mi ricordavo di averlo mai sentito così distrutto.

-Papà, non sei tu il problema… e lo sai- lui sapeva tutto. Era con lui che parlavo, quando piangevo ancora per la mamma, è stato solo dopo che mi sono chiusa in me stessa.

-Pensavo che la danza ti ricordasse Celine…-

-Questo è diverso. Non è danza classica. Volevo solo provare, non mi sembra ci sia niente di male…-. Mormorai cercando di non peggiorare la situazione.

Lo vidi alzarsi e venirmi incontro, mi poggiò le mani sulle spalle e mi disse:

-Non ho niente in contrario, fai quello che ti senti…- poi con mio grande stupore cambiò discorso e mi chiese del liceo. Non parlavamo molto da un po’ di tempo, figurarsi della scuola!

Gli raccontai di Elena e di Clara, facendolo ridere a crepapelle, ma sorvolai su Manuel, non mi sembrava proprio il caso.

Ad ogni modo qualcosa stava cambiando in me, forse mi stavo decidendo ad uscire dal mio passato.

 

La mattina dopo trovai Manuel sul lungo mare, appoggiato alla ringhiera con l’Ipod alle orecchie. Mi avvicinai senza dire una parola, spensi la mia musica, mi passai una mano tra i capelli e mi appoggiai anch’io alla ringhiera. Dopo un po’ vidi con la coda dell’occhio che mi stava fissando.

-Non riesco mai a capire cosa guardi…-. Disse lui pensieroso.

Il mio sorriso fu coperto dai capelli mossi dal vento, ma ero quasi certa che lui l’avesse visto.

-Io non guardo, ascolto-. Risposi chiudendo gli occhi e concentrandomi sulla risacca.

Si ravvivò i capelli con un gesto che mi ricordò molto il mio. Lo vidi sorridere senza smettere di guardarmi, si tolse le cuffie, spense l’Ipod e m’imitò. Tra noi c’era solo il rumore del mare. Avevo sempre preferito restare da sola ad ascoltare la calma, ma stranamente il fatto che ci fosse un’altra persona accanto a me non dette fastidio.

-Io sento solo Jay-Z-. Disse dopo un po’ sorridendo. Scoppiai a ridere, nascondendo la testa tra le braccia.

-Meglio andare- dissi con ancora un mezzo sorriso. Senza dire una parola mi seguì come il giorno prima e camminammo vicini, spesso senza dire niente, a volte chiacchierando del più e del meno.

Arrivati alla sede centrale notai subito i suoi amici, che avevano sguardi ancora più stupiti di quelli che mi ricordavo.

-Allora… io vado-. Dissi incerta.

-Ti rivedo dopo scuola?-. Lo disse quasi con urgenza, pronunciando quelle poche parole frettolosamente. Restai un po’ basita e le mie labbra si allargarono in un sorriso.

-La strada è sempre quella…- sorrise a sua volta.

-Lo prendo come un si- e corse via, mentre io riprendevo psicologicamente il controllo.

 

Quando Elena mi vide entrare in classe, non seppe controllarsi e quasi gridò.

-Voglio sapere TUTTO!- Clara-la-velenosa aveva uno dei suoi soliti sguardi truci, quindi decisi che la cosa migliore era dileguarmi almeno per il momento da quel clima poco amichevole gestito dalla Regina dei ghiacci. Chiesi ad Elena di accompagnarmi alle macchinette e ci dileguammo.

Siccome continuava a riempirmi di domande, non riuscii a fare una frase di senso compiuto senza che lei m’interrompesse; finito l’interrogatorio inziò a commentare parola per parola tutta agitata.

-Ehi, calmati Elena! Sei più agitata di me!- la interruppi sorridendo. Prese fiato, anche lei con un sorriso stampato in faccia e mi spiegò.

-Si, hai ragione, scusa… è che a me piacciono troppo queste cose! È così… romantico!- In effetti i suoi occhi a cuoricino confermavano e io non riuscii a trattenermi dal ridere.

Tornate in classe non smise un secondo di chiedermi di lui, di cosa provavo e se avevo idea di cosa provasse lui per me; ma io non cercavo niente di tutto questo, non volevo uno spasimante e tanto meno una storia!

Avevo le idee piuttosto confuse, non sapevo cosa mi stesse succedendo… ad un tratto avevo ricominciato a parlare con mio padre e avevo stretto con due persone… non era da me, ma forse era arrivato davvero il momento di cambiare.

 

Uscita dalla scuola tirai un sospiro di sollievo. I primi giorni le lezioni erano molto noiose e passare la giornata a raccontare ad Elena quanti capelli avesse in testa Manuel non era il massimo.

-Oh, ma insomma! Dimmi di più su di lui!- mi aveva scongiurato poco tempo prima.

-Che ti devo dire? Ha due occhi, un naso e una bocca- con una risata trattenuta mi aveva spinta a continuare. –E… beh, è figo da far paura- ecco, lo avevo detto.

Al pensiero mi venne da sorridere, mentre m’incamminavo verso casa.

-Sei di buon umore?-

Un brivido mi percorse la schiena al suono di quella voce. Mi girai e trovai i suoi curiosi occhi verdi studiarmi ad un palmo dal mio viso. Sembrava divertito.

-Non particolarmente- forse avvertì puzza di bugia, ma non lo diede a vedere. Sorrise soddisfatto, portandosi le mani dietro la testa e guardando il cielo. –Tu piuttosto sembri felice- azzardai.

Il suo sguardo incrociò di nuovo il mio.

-Beh… ad essere sincero si, ma in fondo la felicità dura solo un istante, no?-.

Mi bloccai a quelle parole. Un ricordo.

 

“Io bambina. Con le punte nuove ai piedi. Avevo pregato tanto per arrivare ad usarle e mia madre aveva esaudito il mio desiderio.

-Mamma sono bellissime!! Grazie ancora!- io, contenta come non mai, che mi alzavo e correvo verso di lei inciampando, ma continuando a sorridere.

-Sono così felice!- continuavo a dire, ballando una musica immaginaria.

-Piccola mia, la felicità dura solo un istante e poi è costretta a svanire… se durasse di più non la sapremmo apprezzare-”.

 

-Già- borbottai amara.

Il silenzio scese tra noi, mentre imboccavamo la strada del giorno precedente. Non sapevo che dire, in fondo era lui che si ostinava a fare la mia stessa strada, no? Non avevo nessun obbligo morale e…

-A che pensi?- disse ad un tratto interrompendo le mie riflessioni. “Diglielo Adele, tanto la tua vita non cambierà se lui ti mandasse a quel paese… o forse si?”.

-Mi chiedevo perchè ti ostini a fare la strada con me… sia all’andata che al ritorno-. Ecco, ora mi manda sul serio a fare nel…

-Ti risponderei volentieri… ma non lo so nemmeno io, penso però che per restare in tema con le nostre conversazioni ti dovrei dire… “è un reato fare la stessa tua strada?”- aggiunse scimmiottando la sua voce –ma siccome la battuta non mi è venuta al momento…-.

Senza rendermene conto scoppiai a ridere. Forse per la sua imitazione buffa o forse solo per la circostanza.

-Però… se ti do fastidio… farò una strada diversa- un secondo dopo aver visto la mia espressione esclamò –Che c’è??-.

Un’altra sua reazione che mi divertì molto. “Oddio chissà che faccia ho messo…”.

-Tu credi di darmi fastidio?- gli chiesi con un sorrisetto ironico. Fu come se non mi sentì.

-Beh… certo, mi dispiacerebbe se ti dessi fastidio… penso che sarei costretto a pedinarti, ma…-.

Un’altra mia risata fragorosa lo interruppe.

-… ma a quel punto scatterebbe la denuncia- finii io.

Mi affrettai a spiegare le cose per non rendere la situazione più imbarazzante di com’era.

-No, stai tranquillo non mi dai fastidio… ma se per caso scoprissi il motivo di tanto interesse per me, ti prego di dirmelo- aggiunsi sorridendo.

-Sarai la prima a saperlo-. Lo sussurrò soltanto, ma bastò per farmi battere il cuore.

Andò avanti così per più di un mese.

La mattina c’incontravamo sul lungo mare, senza darci un appuntamento vero e proprio. Andavamo a scuola insieme, qualche volta incrociando gli sguardi curiosi dei suoi amici. Al ritorno camminavamo a fianco a fianco, parlando o restando in silenzio.

Mi accompagnava fino a casa e poi se n’andava via, sempre con il sorriso sulle labbra, ma con uno sguardo malinconico, forse perchè almeno un po’ gli dispiaceva lasciarmi.

Poi, una mattina, arrivai con un libro sotto il naso: ripassavo per la verifica di storia.

Quando arrivai lui non c’era, allora mi appoggiai alla ringhiera voltando le spalle a quella splendida distesa d’acqua che mi avrebbe di certo distratta.

Con il libro forse un po’ troppo vicino agli occhi, non mi accorsi del suo arrivo.

-Libro di storia, volume uno, eh?- disse citando il libro del volume. –sai che sei una gran bugiarda?-

Gli scoccia un’occhiata irritata al di sopra delle pagine, ero già abbastanza nervosa, non mi aiutava di certo a migliorare la giornata.

-Non so a cosa ti riferisci-.

-Quando ci siamo conosciuti mi avevi detto di avere solo un anno meno di me, e invece sei in prima- sbuffai. Tirai fuori il mio portafoglio e gli mostrai la carta d’identità.

-Ho sedici anni idiota. Perchè avrei dovuto raccontarti balle?- Mi squadrò con un sopracciglio alzato e mostrandomi un sorriso a trentadue denti scherzò.

-Perchè mi trovi bello, affascinante, sexy e avevi paura che ti avrei considerata troppo piccola se tu avessi quindici anni.- Intanto si era avvicinato pericolosamente elle mie labbra, restando ad un soffio da me.

-E cos’altro ancora, mister splendore? Ma figurati…-. Intanto ci eravamo incamminati verso la scuola.

-Allora, sei stata segata?-

Lo fulminai con lo sguardo. –Oggi sei davvero irritante. Lasciami studiare-.

-Ok, ma dopo questo compito pretendo un po’ di spiegazioni.-

  
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