Anime & Manga > L'Attacco dei Giganti
Segui la storia  |       
Autore: Ackerbitch    15/02/2020    2 recensioni
COMPLETA
ModernAU - MiniLong /// EreRi-RiRen
"Credo che tutti siamo bersaglio di una componente di sistemi infinitamente più grande di noi, che non siamo altro che piccoli e insignificanti ammassi di carbonio organico agli occhi dell'Universo. Siamo sottoposti alle sue leggi e invischiati nei suoi meccanismi, vittime della ruota della sua casualità, spaventosa e ingiusta. E lo sa cosa rende questa cosa ancora più spaventosa? Il fatto che siamo esonerati da niente, anche se tendiamo a conferirci una sorta di immunità di fronte alle eventualità negative che sappiamo esistere, ma che non associamo mai a noi e alla nostra vita. Forse lo facciamo per rendere l'esistenza un po' più sopportabile, o forse perché l'animo umano è animato da un disgustoso senso dell'ottimismo e tende a lasciare fuori dal proprio campo visivo e dalla propria concezione stessa tutto ciò che non è oggettivamente considerabile come positivo. Quello che voglio dire, è che non sappiamo mai come la ruota girerà. Adesso ci sei, fra cinque minuti non si sa. Ora stai bene, ma fra tre giorni potresti essere in un letto d'ospedale e combattere fra la vita e la morte [...]"
Genere: Introspettivo, Sentimentale, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai | Personaggi: Eren Jaeger, Hanji Zoe, Isabel Magnolia, Kuchel Ackerman, Levi Ackerman
Note: AU | Avvertimenti: Tematiche delicate
Capitoli:
 <<    >>
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
Legge sei - Attrazione
 
Come si erano ritrovati ad uscire insieme quasi ogni giorno dopo quei pomeriggi passati in biblioteca, per allentare la pressione con cui lo studio li caricava, Levi non lo sapeva con esattezza. Il corvino ricordava però la loro prima uscita in una maniera talmente vivida che gli pareva di riviverla soltanto carezzandola con il ricordo.
 
Era stata un giorno qualunque, uno di quelli col cielo plumbeo e ingrigito che minacciava pioggia; Eren gli aveva portato un the a lezione. E il corvino avrebbe apprezzato il suo gesto, se solo il suddetto the non fosse stato uno di quegli intrugli industriali in lattina, talmente carichi di zucchero da fargli accapponare la pelle al solo pensiero. Gli scaldò comunque il petto la premura del castano dei suoi confronti, e l’invito che gli aveva rivolto, lasciò le sue labbra prima che riuscisse a processare il significato delle parole. “E questa porcheria tu la chiami the? Ti ci porto io a bere il the, quello vero, quando avremo finito con questa roba.” Inutile dire che Eren aveva acconsentito e si era fatto trascinare nel piccolo bar che Levi aveva scelto, col sorriso stampato sulle labbra e riflesso nelle iridi di smeraldo.
 
Erano un’accoppiata inusuale, un ossimoro vivente; freddo glaciale e calda esuberanza a contrasto. Eppure, in quei momenti, riuscivano a coesistere e a trovare una loro armonia, unica e irripetibile per quanto rara. Insieme avevano girato parecchi bar di Shiganshina, –Eren aveva reso una missione di vita il riuscire a trovare il cappuccino perfetto – erano andati al cinema e avevano passeggiato senza una meta precisa per il solo gusto di stare insieme. Una volta avevano addirittura fatto un giro in centro per vetrine, perché il castano doveva comprare il regalo di compleanno per Mikasa, la sua sorella adottiva, e allora Levi lo aveva accompagnato. Era stato proprio in quell’occasione che avevano deciso di cenare insieme. Nulla di particolare, semplicemente qualche pezzo di pizza al taglio consumato seduti sugli sgabelli piuttosto scomodi della prima pizzeria che trovarono sul loro percorso, sorseggiando Coca-Cola.
 
E a distanza di settimane, camminavano fianco a fianco lungo il grosso viale alberato, stanchi e tesi per le sessioni di studio estenuanti a cui si sottoponevano. Levi si beava della sensazione rigeneratrice che l’aria fresca gli donava ogni qualvolta abbandonava quella stantia della biblioteca dopo averci passato ore, pesante e permeata dall’odore dell’inchiostro. Amava la sensazione delle lingue di vento gelide che raggiungevano la pelle sensibile del suo volto e si insinuavano nel cappuccio che vi portava sempre calato sopra per passare inosservato al mondo esterno, scompigliandogli le ciocche color pece.
 
Il fatto che lui ed il castano avessero imparato a coesistere non significava che Levi fosse meno spaventato da Eren e dalla sua imprevedibilità costante; per quanto avesse fatto il callo alla sua esuberanza e alla sua non curanza nei confronti dell’Universo, quel moccioso impertinente non aveva perso la capacità di stupirlo. Non importava come: poteva essere a gesti o a parole, perfino con un semplice sguardo. Lo scombussolava, ribaltava le sue certezze e gli faceva dischiudere le labbra per la sorpresa in continuazione, ma Levi non poteva più nascondere a sé stesso il fatto di averlo rivalutato. Era stranamente piacevole trascorrere del tempo insieme, e anche la logorrea di Eren non lo innervosiva più come ai primi tempi. Lo ascoltava, faceva suoi pezzi del castano e li custodiva preziosamente nel cassetto della memoria che gli aveva dedicato. Più di qualche volta si rifilava anche qualche schiaffo mentale, quando si scopriva a far indugiare distrattamente e più del dovuto il pensiero sulle sue gemme di preziosissimo smeraldo.
 
Levi si voltò a guardarlo per saggiarne le linee armoniche e decise del profilo statuario. il naso di Eren leggermente all’insù era appena arrossato dal freddo, e lo stesso colorito roseo si spandeva sugli zigomi alti e perfettamente scolpiti; nuvolette di condensa evanescente si levavano dalle sue labbra piene, e alcune ciocche color cioccolato, che sfuggivano dal suo berretto in lana bordeaux, frustavano l’aria, mosse dal vento leggero. Il suo incarnato bronzeo e naturalmente baciato dal Sole creava un contrasto particolare con il paesaggio invernale che li circondava, fatto di alberi spogli e brina sottile posata sui prati. Era uno di quei momenti in cui condividevano il loro silenzio, rotto soltanto dallo scricchiolio prodotto dalla poca neve che macchiava il sentiero, calpestata dalle suole spesse dei loro anfibi. Li avvolgeva quella quiete tranquilla, e i due si lasciavano cullare senza opporre resistenza, sfidando il freddo che lambiva tagliente ogni centimetro della loro pelle scoperta; Levi lo amava davvero, quel freddo che lo faceva rabbrividire.
 
Si addentrarono per le viuzze pavimentate del parco, camminarono fianco a fianco tenendo le mani guantate all’interno delle tasche dei rispettivi giubbotti e nascondendo il più possibile i visi nelle sciarpe calde che portavano attorno al collo. Levi non l’avrebbe mai saputa descrivere a parole, la sensazione di profonda pace interiore che l’inverno gli infondeva nell’animo ogni volta che ne ammirava le splendide creazioni, dalle fontane ghiacciate al semplice candore della neve.
Sembrava tutto così fermo, sotto controllo, congelato nel tempo e nello spazio; spettacolare, etereo. Anche Eren sembrava essere stato catturato dalla ragnatela di ghiaccio di quello spettacolo, e i suoi occhi impossibili sembravano bere avidi ogni particolare del paesaggio di cui erano spettatori. Proseguivano in religioso silenzio, quasi come se le loro voci avessero potuto turbare e rompere l’equilibrio incantato e magico di fronte a loro. Il tempo era ormai diventato un parametro totalmente irrilevante.
 
A Levi parve scorgere con la coda dell’occhio le iridi verdissime di Eren puntate su di sé, unico dettaglio colorato che spezzava il candore da cui erano avvolti. Vibranti, bellissime, sempre accese; se il castano fosse stato una stagione, il corvino aveva deciso che sarebbe stato la primavera. Frenetica come lui, mentre faceva un gran casino, con quello sbocciare di piante e il risvegliarsi della natura, profumata dell’odore di mille fiori colorati e pervasa dai cinguettii concitati delle rondini.
 
Erano magneti bollenti quelle iridi verdissime che ogni tanto si posavano indagatrici su di lui, gli facevano rizzare i peli sulla nuca più del vento che riusciva a farsi strada nel suo cappuccio. Era assurdo il modo che aveva di essere sempre il centro di tutto, capace di stimolare reazioni che Levi credeva che il suo povero cuore arrugginito non potesse più provare. A volte il muscolo cardiaco gli balzava in gola sotto quello sguardo smeraldino, altre volte sembrava perdere qualche battito, e il corvino non se ne capacitava. Era Eren in sé ad essere assurdo per definizione.
 
Viveva in una maniera così spensierata che faceva venire voglia a Levi di assaggiarla, quella spensieratezza, di sentirne il sapore; ma lui non era Eren, ed era incapace di lasciarsi alle spalle la colpa di essere sopravvissuto a sua sorella. Come il castano vivesse in quella maniera, pur portando zavorrato all’animo il fardello della morte di sua madre, proprio non lo sapeva e neanche riusciva ad immaginarselo o a capacitarsene. Andava oltre ogni sua concezione quel modo di comportarsi e di approcciarsi alla vita che tanto amava e odiava al tempo stesso.
 
Eren gli faceva cose strane, perché era stato in grado di aprirsi a forza un varco nella sua indifferenza con la sola forza della sua determinazione ferrea e la dolcezza dei suoi sorrisi, capaci di portare luce anche negli antri più bui e reconditi del suo animo. Era testardo, ostinato, irritante, imprevedibile e maledettamente bravo a infilarsi sotto la pelle di Levi. Dannato moccioso.
 
Camminarono ancora avvolti nel silenzio, inspirando boccate d’aria gelida che nei loro polmoni assumevano la consistenza pungente di aghi ghiacciati; proseguivano l’uno al fianco dell’altro, talmente vicini che le stoffe dei loro cappotti pesanti si sfioravano appena. Una scia intossicante dell’odore di Eren investì le narici di Levi, e il corvino dovette fare appello a tutto il proprio autocontrollo per darsi un contegno, quando un lungo brivido che gli percorse la spina dorsale rischiò di farlo rabbrividire visibilmente. Quel vento glaciale alla fine gli stava giocando brutti scherzi.
 
La bolla di silenzio incantato che li aveva avvolti venne spezzata all’improvviso dall’abbaiare di due cani in lontananza, impegnati a rincorrersi e ad azzuffarsi giocosamente fra la neve, lasciando impronte di zampe dietro di loro.
 
“Ti piacciono i cani, Lee?”
 
Levi si trovo ad annuire al suono mellifluo della voce del castano.
 
“Preferisco i gatti però. In genere, fanno meno casino.”
 
Il sorriso che gli rivolse Eren nascondeva il potenziale di sciogliere tutto il ghiaccio attorno a loro e richiamare a sé il Sole, completamente ammantato da una fitta coltre di nubi appena grigiastre. Si preannunciava un’altra nevicata.
 
Conversarono ancora su come il gatto fosse effettivamente l’animale perfetto per Levi, poi parlarono ancora delle loro lezioni di Dinamiche e della relativa data d’esame che si faceva sempre più vicina sul calendario. Meno di un mese, e tutto quello sarebbe finito. Niente più Eren e i suoi occhi assurdi che gli impedivano di rifiutare le uscite che gli proponeva, niente più imprevedibilità; sarebbe tornato alla calma metodica della sua agenda e ai suoi vecchi schemi mentali precisi e incorruttibili. Quanto gli mancava, la sensazione della pelle nera del suo taccuino sotto i polpastrelli e il rumore della sua penna che scorreva sui fogli di carta ruvida, lasciandosi alle spalle sottili e precisi tratti d’inchiostro. E anche Levi era pronto a lasciarsi alle spalle tutto quello, quei mesi in cui era stato vittima di un ragazzino troppo entusiasta della vita e che gli aveva capovolto e sconvolto le giornate.
 
Non avrebbe più sentito le ciocche sciolte dei suoi capelli castani lambirgli la spalla quando sbirciava gli appunti dal suo PC, non sarebbe più rimasto intossicato dal suo odore dolce che gli pungeva le narici, o ancora non sarebbe rimasto elettrizzato da quei brevi contatti pelle a pelle che si erano scambiati. Era capitato che, qualche volta, le loro dita si fossero sfiorate mentre Levi passava ad Eren penne e matite con le quali imbrattava – perché quello non poteva chiamarsi scrivere in maniera civile e comprensibile, assolutamente – il suo squallido bloc-notes. Erano quasi dolorosi quei contatti, per quanto il corvino li percepiva intensi. Lo destabilizzavano, così come l’essenza stessa del ragazzo che proseguiva al suo fianco con falcate lunghe e decise. Maledetto lui e le sue gambe lunghe. Tuttavia, Levi non riuscì a dare un nome alla sensazione che gli appesantì il petto a quei pensieri, e non ebbe il tempo di decifrarla perché la voce di miele di Eren gli colò nuovamente nelle orecchie.
 
“Cos’è quello?”
 
Gli chiese all’improvviso, indicando una piccola cupola poco lontana con la mano guantata. Levi neanche si accorse che le sue labbra sottili si erano un po’ distese nel riconoscere la struttura, gli angoli leggermente piegati all’insù e l’anima piena di emozioni in tumulto, contrastanti.
 
“Mai visto un planetario, moccioso?”
 
Gli occhi di Eren parvero brillare di luce propria alle sue parole, e la bocca piena del castano si dischiuse appena. Era capace di mostrare lo stesso entusiasmo di un bambino anche per le piccole cose, ed era l’ennesima capacità che Levi gli invidiava. Quando quelle iridi di smeraldo catturarono le sue, il corvino rabbrividì nello scoprirle così tanto luminose, intrise del desiderio di visitare il piccolo edificio a cupola. Non seppe con quale forza pronunciò quelle parole, né perché lo fece. Semplicemente, gli scivolarono dalle labbra prima che potesse rendersene conto.
 
“Non credo sia aperto a quest’ora, ma conosco il custode. So dove lascia le chiavi e so anche come azionare i diversi proiettori, me lo ha spiegato lui. Non credo che gli dispiaccia se ci fermiamo per un po’ di tempo.”
 
Se possibile, Eren si illuminò ancora di più, e il sorriso che rivolse a Levi, bianchissimo e stupefacente, sarebbe stato in grado di ridurre le gambe di chiunque in gelatina. Il corvino fece schioccare sonoramente la lingua contro il palato.
 
Era tanto che non tornava al planetario, mesi interi addirittura. Non aveva mentito ad Eren, conosceva davvero l’uomo che si occupava della gestione del posto. Il signor Hannes era un tipo tranquillo e alla mano, e Levi era in grado di confermare quanto fosse di animo gentile ed estremamente disponibile. C’era stato un periodo in cui quel piccolo planetario per lui era diventato una specie di rifugio, un santuario in cui purificare e risanare la sua anima ridotta in brandelli. Le visite in quel posto avevano fatto parte della sua serrata e imperturbabile routine, segnate sempre in inchiostro rosso sulle sue agende.
 
Era tutto iniziato come un modo per memorizzare meglio le costellazioni e per studiarne la posizione, e quel planetario piccolo e vecchio si era rivelato un ottimo aiuto per uno studente al primo anno di astrofisica. Era stato solo dopo che era diventato molto di più. Un luogo per maledire l’Universo, per piangere la morte di sua sorella e urlare fino a strapparsi i capelli senza che sua madre lo sentisse, per maledire la vita che lo aveva calpestato, per prendersela con quel Cosmo tiranno che dettava leggi e pretendeva senza mai dare in cambio. Aveva urlato per mesi lì dentro, singhiozzato fino a togliersi il fiato dei polmoni; poi all’improvviso era arrivato il periodo in cui, semplicemente, se ne stava in silenzio a guardare la cupola stellata e faceva finta di annullarsi in essa.
 
Hannes era sempre stato comprensivo, e Levi era sicuro di essere stato beccato più di qualche volta con gli occhi gonfi e rossi di pianto quando abbandonava il planetario. Era semplicemente successo che in un giorno come gli altri l’uomo gli avesse semplicemente mostrato dove nascondeva la chiave d’emergenza e come far funzionare i vari schermi e proiettori della struttura. Il corvino non seppe mai cosa lo avesse mosso a farlo, ma gliene era sempre stato segretamente grato nei momenti di sconforto in cui cercava sollievo immerso nelle stelle, fingendo di assumere la stessa consistenza di una nebulosa e di perdersi nello spazio siderale. Hannes non gli aveva neanche mai chiesto il perché piangesse e si disperasse tanto lì dentro, cosa lo turbasse così nel profondo da fargli desiderare di scomparire. Rispettava la sua privacy, rimaneva un’ombra silente e gli rivolgeva brevi cenni del capo quando Levi visitava il planetario negli orari in cui era normalmente aperto al pubblico e in quelle occasioni a volte scambiavano un paio di battute, talvolta l’uomo gli riservava una pacca d’incoraggiamento sulla spalla nei giorni in cui era più giù di morale. Era proprio per i suoi modi di fare che Levi aveva deciso che Hannes gli piaceva e che non era irritante come considerava la maggior parte del genere umano.
 
Si incamminarono nella direzione della cupola lasciandosi alle spalle le loro impronte sulla neve, l’eccitazione che pervadeva in maniera visibile ogni cellula di Eren e lo faceva quasi brillare di luce propria. Non passò molto tempo prima che Levi raggiungesse la chiave nel suo nascondiglio e la fece girare nella serratura. I cardini della porta cigolarono appena, e i due trovarono sollievo dai morsi del freddo non appena raggiunsero l’interno. Levi si premurò di attivare il generatore di corrente e di accendere la luce, mentre Eren si guardava intorno con aria spaesata e meravigliata al tempo stesso. Volse lo sguardo alla cupola, poi le sue belle iridi passarono ad analizzare le poche poltrone imbottite che occupavano, disposte in cerchi concentrici, gran parte della sala.
 
“Sembra quasi uno strano cinema.”
 
Disse, rivolgendo lo sguardo a Levi, ancora talmente carico di emozioni e luminoso che al corvino fece fisicamente male sostenerlo. Si limitò ad abbozzare di rimando un mezzo sorriso di circostanza, insicuro su come replicare. “È molto di più di un cinema,” avrebbe voluto dirgli, ma le parole gli rimasero incastrate fra le labbra screpolate.
 
Continuò ad armeggiare ancora con i vari interruttori del quadro di corrente, tentando di ignorare la presenza del castano dietro di lui. Era stato strano averlo portato al planetario, un’azione dettata dall’impulso ed eseguita in pilota automatico, senza pensare. Avrebbe potuto dirgli semplicemente che era chiuso e che l’avrebbero visitato un altro giorno, ed Eren non sarebbe mai venuto a conoscenza della chiave che garantiva al corvino il libero accesso alla struttura. Era stato stranamente intimo, varcare quella soglia insieme a qualcuno. Non aveva mai portato nemmeno Hanji in quel luogo, e la castana non aveva fatto altro che domandargli per mesi dove scomparisse quando lo chiamava al telefono per ore e lui non rispondeva.
 
Tra le stelle, ecco dove si rifugiava Levi, qual era il suo nascondiglio più recondito e intimo e nascosto da tutto e da tutti; e in quel momento Eren, lo stesso moccioso che lo aveva tediato con la sua presenza dirompente per mesi, ne era venuto a conoscenza. Alla fine il corvino aveva ceduto e gli aveva aperto una finestra sulla sua anima fin troppo grande. Lo terrorizzava a morte il sorriso del castano, lo paralizzava sul posto il modo colmo di gratitudine con cui sentiva il suo sguardo di smeraldo bruciargli la schiena.
 
Lo aveva lasciato entrare, e non solo nel planetario. Lo aveva lasciato entrare e la paura lo piegava, lo straziava. Gli urlava che creare legami non era nulla di buono, tormentava la sua anima del bisogno di scappare e di lasciarsi tutto alle spalle. Ma c’era stato qualcosa che aveva percepito nelle iridi di Eren che glielo impedì: un bagliore, una piccola scintilla dell’anima del castano che gli aveva fatto capire più di quanto Levi volesse ammettere. Quel moccioso irritante gli aveva mostrato rispetto e comprensione, quasi come sapesse dell’importanza che quel luogo preciso aveva per lui. Il corvino dovette ingoiare a vuoto un paio di volte prima di voltarsi.
 
Trovò lo sguardo di Eren vagare fra le file di poltrone, vide le sue dita lunghe ed affusolate saggiare la consistenza del rivestimento di velluto grigiastro con un timore quasi reverenziale. Trasudava rispetto per quel posto, del genere che si riserva ai templi e ai luoghi sacri. Le sue gemme verdissime saettarono poi sulla grossa sfera posta al centro dell’edificio, attorno alla quale erano disposte le sedie in tre file di cerchi concentrici, come fossero orbite di pianeti.
 
“Quelli sono i proiettori.”
 
Spiegò Levi, indicandogli la poltrona migliore da cui poter ammirare lo spettacolo della volta celeste stellata. Il castano prese posto in silenzio, continuando ad osservare l’amico darsi da fare con cavi e interruttori. Il silenzio li avvolse per un tempo indeterminato, e Levi fu sicuro che in quella quiete anche Eren riuscisse a sentire lo sfrigolare della sua pelle pallida, lì dove le belle iridi smeraldine del castano si posavano.
 
“Ci siamo. Sei pronto?”
 
Eren produsse un mugolio di assenso in risposta; gli morì in gola, spezzato dallo stupore non appena il corvino spense la luce all’interno dell’edificio. Venne investito dal blu più intenso che avesse mai visto in vita propria, costellato di luci intense e fisse; in alcuni punti la volta celeste si colorava di viola, assumendo sfumature di colore che tolsero il fiato nei polmoni del castano. Le labbra piene erano dischiuse, le stelle spruzzate sulla cupola si riflettevano nelle iridi verdissime di Eren, accendendole; e allora Levi seppe con un solo sguardo come l’amico si sentiva in quel momento. Era come fluttuare nello spazio, essere immersi nell’Universo tenendo i piedi saldamente ancorati a terra ma la mente e l’anima lontane anni luce dall’atmosfera terrestre. Lo sapeva, perché vide disegnata sul volto di Eren la stessa espressione che gli aveva disteso i lineamenti quando per la prima volta Hannes aveva azionato il planetario per lui.
 
“È meraviglioso, Lee…”
 
Sussurrò appena, e Levi lo vide rabbrividire visibilmente quando prese posto accanto a lui, concedendosi di volgere gli occhi alla cupola per immergersi al suo interno e annullarsi, cancellare tutto. Pensieri, paure, preoccupazioni: tutto perdeva significato, ammantato da quel blu profondissimo che li inghiottiva.
 
Si lasciarono avvolgere e cullare dal silenzio, e Levi non poté fare a meno di osservare furtivamente Eren con la coda dell’occhio più di qualche volta; in un paio di occasioni, i loro sguardi si incontrarono e si fusero assieme, creando un magnetismo unico che fece venire rizzare i peli sulla nuca al corvino. Ogni tanto Eren gli chiedeva qualche curiosità sullo spazio, e lui rispondeva. Gli illustrava i nomi delle stelle più importanti e le loro costellazioni, si cimentava in vere e proprie brevi lezioni di astronomia di cui il castano beveva avidamente ogni parola; neanche si accorsero di essersi fatti sempre più vicini, attratti l’uno dall’altro come se esercitassero una gravità propria.
 
Poi all’improvviso furono di nuovo occhi negli occhi, verde smeraldino fuso al grigio, e Levi si irrigidì quando sentì una mano di Eren raggiungere il cappuccio che portava sul capo per abbassarlo; era calda, grande, rassicurante. Il respiro gli si mozzò rumorosamente in gola quando il castano si rigirò fra le dita lunghe ed affusolate una ciocca d’inchiostro.
 
“Sei bello, Levi.”
 
“M-Ma che vai dicendo?!”
 
Si ritrasse bruscamente, passandosi una mano fra i capelli per scrollarsi di dosso la sensazione del tocco elettrico del castano e scompigliandoli, portandosi le ciocche più lunghe dietro le orecchie per evitare che attirassero nuovamente l’attenzione del compagno di corso. Di nuovo, Eren gli aveva inferto senza pietà uno dei suoi colpi bassi e imprevedibili, sconvolgendolo e facendogli sgranare gli occhi per la sorpresa. In quel momento Levi ringraziò di trovarsi al buio, perché sentì le gote ardere come se gli scorresse fuoco liquido nelle vene; fu sicuro di non aver mai provato tanto imbarazzo in vita propria.
 
La replica di Eren, sussurrata con la stessa voce di miele con la quale gli aveva rivolto il complimento che lo aveva fatto avvampare, fece perdere il ritmo al suo povero cuore, che saltò qualche battito.
 
“La verità.”
 
“Smettila!”
 
Il muscolo cardiaco gli martellava la gabbia toracica, gli rimbombava nelle orecchie facendo un fracasso peggiore di una grancassa; sperò solo che Eren non lo sentisse, che il buio nel quale erano immersi ammantasse la tempesta che le sue parole gli avevano scatenato nell’anima e di cui i suoi occhi d’argento liquido erano divenuti lo specchio.
 
Lui lo guardava col solito sorriso stampato sulle labbra, labbra di cui all’improvviso Levi si ritrovò a desiderare di conoscere il sapore e la consistenza, di assaggiare direttamente con le proprie. Fino ad un momento prima non sapeva neanche che potessero interessargli i ragazzi – anzi, gli esseri umani in generale – e subito dopo si trovava a desiderare che la bella bocca di Eren catturasse la sua in un bacio. Voleva esserne intossicato, e quella consapevolezza ebbe il potere di paralizzarlo.
 
Non si spiegava il perché di quell’urgenza improvvisa a cui doveva resistere a tutti i costi, lo schiacciava quella sensazione che faceva fare cose strane al suo petto e gli annodava lo stomaco; Eren era imprevedibile e glielo aveva dimostrato tante, troppe volte. Vivevano su due piani di realtà differenti e guardavano la vita attraverso ottiche completamente opposte: non c’era motivo di sentire quell’attrazione che li reclamava e che rendeva i loro corpi elettrici e tesi. Il castano sfidava l’Universo e Levi non ne era più capace, non dopo essere stato costretto ad ingoiare le amare conseguenze della sua noncuranza nel sottostare alle sue leggi. Era pericoloso. Eren era pericoloso e doveva allontanarsi al più presto da lui e dalle conseguenze che il loro legame aveva già creato.
 
Lo desiderava, lo odiava, lo voleva, doveva tenersene alla larga.
 
Non poteva scottarsi con la sua fiamma, eppure desiderava più di ogni altra cosa esserne vittima e lasciarsi ardere per poi rinascere dalle sue ceneri come una fenice, come un Levi nuovo, capace di vivere la propria vita e non di sopravvivere. Voleva il nero e il grigio che dominavano i suoi giorni, e non c’era altro che bramasse se non l’avvelenarsi dei fumi dell’esistenza vuota che avrebbe condotto fino al giorno in cui il richiamo freddo della morte non lo avrebbe strappato al mondo; ma per la prima volta dopo anni, desiderò di vivere per lei. Di godere di tutto ciò che la quotidianità aveva da offrirgli, di bearsi del calore del Sole e di non nascondersi più sotto i cappucci delle sue numerose felpe per fingersi un’ombra fra esseri di luce. Desiderò che quel moccioso non avesse mai messo piede nella sua vita.
 
Iridi metalliche erano fisse in quelle di Eren, e il castano assorbì come una spugna il terrore che scuoteva le membra di Levi, vittima di una cascata di pensieri che lo avevano investito e congelato sul posto, stordendolo.
 
Vattene via, non voglio più vederti.
 
Rimani.
 
Potrei ferirti da un momento all’altro senza volerlo, oppure potresti farlo tu stesso. Siamo così fragili, e le nostre volontà non contano nulla davanti ai meccanismi del Cosmo.
 
Ti prego, insegnami a vivere come fai tu. Mi pare quasi di riuscire a respirare quando ti sono vicino.
 
Vattene. Vattene, vattene, vattene. Tu e la tua maledetta imprevedibilità dovete uscire dalla mia vita.
 
Dimmelo ancora, che sono bello. Sorprendimi ancora, e poi fallo di nuovo. Sei meraviglioso con le galassie riflesse negli occhi, Eren; cazzo, fai impallidire l’Universo stesso. Sono sicuro che i miei invece abbiano il colore della paura e siano macchiati di codardia. Sono una tale nullità…
 
Mi disgusti, ti odio. Dovrei essere come te e non ci riesco; sei il promemoria del mio fallimento. Maledetto il giorno che ti ho conosciuto, perché in quel momento sono stato dannato. Hai sconvolto la mia vita, di nuovo. Non te lo perdonerò mai.
 
Possiamo provare a stare insieme, ad essere amici o qualunque altra cosa tu voglia? Non sono bravo con queste cose, non so neanche come funzionano e quanto tu sia interessato a me. Magari, posso imparare ad aprirmi con le altre persone e ad uscire allo scoperto, ogni tanto. Possiamo, Eren? Mi staresti vicino, anche se dentro sono così tanto rotto?
 
Non possiamo provare a stare insieme, assolutamente no. Potresti ferirmi irrimediabilmente e io finirei completamente di rompermi, e di me non rimarrebbe altro che polvere troppo sottile per essere rimessa insieme. Che sia perché tu ti sia stufato di uno scarto della società come me o per un beffardo scherzo del destino, non m’importerebbe, perché io soffrirei comunque. E non voglio essere ridotto ad un cumulo di cenere ed essere costretto a mandare avanti un’esistenza ancora più vuota di questa. Ti odio per tutto quello che hai fatto, per avermi dato l’illusione che per me ci sia una speranza. Le nostre realtà sono differenti, lontane anni luce come le stelle che ci osservano dall’alto in silenzio, mute testimoni dei nostri conflitti interiori e dei nostri demoni. Perché non lo vedi quanto sono irrecuperabile? Perché non capisci che devi starmi lontano?
 
Però ti prego, Eren… Nonostante tutto, resta. Abbi pietà di me.
 
 
____________________
 
 SPAZIO AUTRICE
 
Ho letteralmente appena finito di scrivere questo capitolo e non l’ho ricontrollato, ma ho deciso comunque di caricarlo e spero che non ci siano troppi errori/orrori e che vi piaccia! E niente, manca solo un capitolo prima si salutare questa storia.
 
Alla prossima!
 
 
 
 
 
 
 
   
 
Leggi le 2 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<    >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Anime & Manga > L'Attacco dei Giganti / Vai alla pagina dell'autore: Ackerbitch