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Autore: _camus_    15/02/2020    16 recensioni
Ogni solitudine esistente sarebbe scomparsa, assorbita da quella più grande di tutte: la sua.
Perché questo si avverasse doveva recidere l’ultimo legame rimastogli, a costo di affogarlo nel sangue; solo ricoprendo di ghiaccio anche ciò che gli stava annidato dentro avrebbe avuto abbastanza spazio per raccogliere su di sé il peso di tutto l’odio del mondo.

Nulla è più tenace di ciò che riesce ad attecchire sotto la neve perenne – o in un'interiorità devastata.
Prima classificata a "Il contest degli haiku" indetto da Juriaka sul Forum di EFP
Genere: Angst, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai | Personaggi: Sasuke Uchiha | Coppie: Naruto/Sasuke
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Naruto Shippuuden
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Salve a tutti!

Come si suole dire,  “Non c’è due senza tre”; così, dopo aver disturbato Naruto e Sakura, ecco che “Il contest degli haiku” indetto da Juriaka sul Forum di EFP mi ha offerto l’occasione per cimentarmi con la parte mancante del terzetto.

A mio parere, Sasuke è uno dei personaggi più complicati di sempre: ho cercato di rendere il suo pensiero nel modo più coerente possibile, ma non garantisco sul risultato.

Il pacchetto n. 1 che ho scelto doveva essere sviluppato secondo i seguenti criteri:  

Tematica generale: fallimento personale, sconfitta, solitudine

Luogo: casa (un luogo che il protagonista identifica come rifugio, non necessariamente la sua abitazione)

Prompt: genere hurt/comfort

Stagione: inverno

Orbene, a voi. Per eventuali chiarimenti e spiegazioni, ci vediamo dabbasso!

 

 

 

 

Il disgelo

 

 

 

 

Tu mi sveglierai e fuori correremo

a respirare il canto del disgelo.

Il disgelo, Francesco Guccini

 

 

 

 

Nell’estremo nord del mondo l’inverno è un’unica, infinita stagione.

In certe regioni il paesaggio si riduce ad un’immensa landa spazzata dal vento in cui non si vede nient’altro che bianco: zone sterili, intessute di ghiaccio, buio e silenzio, dove sembra che nulla cresca, né mai crescerà.

Talvolta, però, succede che la vita attecchisca persino sotto la neve perenne e, quando ciò accade, essa lo fa in modo tanto ostinato da creare radici più solide di quelle degli alberi secolari.

Non esiste gelo che le possa estirpare o lama in grado di reciderle: una volta penetrate nella terra, queste vi rimangono furiosamente attaccate con la tipica tenacia di chi combatta per conservare un privilegio conquistato a caro prezzo.

L’interiorità di Sasuke era esattamente così.

Non c’era emozione – eccetto il disprezzo – che intaccasse la sua faccia di luna, pallida e spigolosa al pari di un piccolo iceberg; nessuna scintilla rischiarava mai il crepuscolo nero dei suoi occhi, se non quella – rossa di sangue – dello Sharingan.

Tuttavia, al livello in cui si sedimentano le cose indicibili, anche Sasuke Uchiha aveva la propria fauna di sentimenti nascosti.

Era un terreno incolto, molto diverso dal giardino rigoglioso di un tempo, ma c’era; e, benché avesse passato anni ad innaffiarlo di odio e rancore, tutt’ora pulsava.

Della pianta più grande e più colorata rimaneva adesso solo un troncone, stratificato nella sua memoria come un fossile bellissimo e altrettanto morto.

Aveva dedicato gran parte dell’esistenza a fortificarsi per amputarne personalmente l’ultimo ramo – il più amato di tutti –, realizzando l’enormità del proprio abbaglio un attimo dopo averlo fatto: il corpo di suo fratello emanava ancora calore, quando Sasuke aveva scoperto che spesso la cosiddetta “verità” è solo un genjutsu lanciato ad arte.

Da allora il seme di Itachi se lo portava impresso nello sguardo, ed esso era la sola traccia che effettivamente risaltasse all’esterno – la luce dei miei occhi.

Anche i germogli verde speranza della squadra 7 erano avvizziti in fretta, vinti da quasi un lustro di nefandezze commesse ai danni di chiunque.

Si era premurato di calpestarli a dovere, quelli, perché tutti – incluso lui stesso – si convincessero che, nelle tenebre, non c’è redenzione; che aveva sposato la propria abbacinante solitudine e non sarebbe più tornato indietro a chiedere aiuto a persone incapaci di darglielo.

Ogni tanto, nel limbo nebuloso tra il sonno e la veglia, si era domandato se quei bocci avrebbero mai potuto generare dei fiori in grado di ricoprire la brulla distesa della sua anima; dubbio che, tuttavia, aveva ben presto sedato spargendo intorno a sé tanto sale da sommergere qualsiasi ulteriore incertezza.

Infine, c’era quella cosa.

All’inizio era stato un piccolo, insignificante bulbo, spuntato per caso al limitare della sua attenzione.

Sasuke l’aveva osservato metter radici con una curiosità disinteressata, quasi scientifica, chiedendosi per quale bizzarro motivo stesse attecchendo proprio lì, in un ambiente totalmente incompatibile col suo habitat naturale – fatto di risate sguaiate, improbabili sogni e ingenuità così autentica da risultare persino ottusa.

Neppure nel momento in cui esso aveva cominciato a crescere si era allarmato più del necessario, considerandolo al pari di un inconveniente un po’ fastidioso, ma sostanzialmente sopportabile: in fondo si trattava soltanto un’innocua piantina, destinata a seccare alla prima gelata.

Non esisteva il pericolo che arrivasse a creare smottamenti e, comunque, mai le avrebbe concesso di spingersi a tanto.

Ecco, era stato allora che il più giovane degli Uchiha  aveva commesso il primo dei suoi innumerevoli sbagli.

Lungi dal lasciarsi intimidire dalle asperità del terreno, la cosa si era invece determinata a prosperarvi con la stessa caparbietà di un’erba infestante: scavando, modellando e facendosi spazio a suon di invidiabile pazienza, alla fine era riuscita a penetrargli a fondo oltre ogni legittima previsione, sino a minare il sostrato di vuoto cui Sasuke costantemente tendeva.

«Il fatto è che, dentro di te, non provi abbastanza odio».

Aveva lasciato Konoha in segreto, di notte, proprio nel tentativo di fuggire da quel cespuglio di sentimenti al quale non voleva dare nome e che, tuttavia, si chiamava in un modo ben preciso: Naruto.

Il teppista; l’emarginato; il jinchūriki, come veniva sussurrato con sguardo tagliente e voce cattiva al suo passaggio.

Eppure, non solo Naruto aveva sviluppato un invidiabile e inaspettato talento, ma era altresì arrivato proprio dove Sasuke aveva giurato che non sarebbe mai più entrato nessuno; con la sua zucca vuota e la sua ostinata, incrollabile fede nell’amicizia aveva rischiato di mandare a monte lo scopo cui lui aveva votato ogni respiro, ossia la vendetta – contro la persona più sbagliata possibile, ma di questo si sarebbe reso conto solo troppo tardi.

Avrebbe dovuto ucciderlo allora, alla Valle dell’Epilogo, dove gli aveva vomitato addosso tutta la propria insoddisfazione direttamente coi pugni e Naruto, alla stessa maniera, aveva risposto che farsi deserto non era la soluzione: non ci era riuscito.

Non ci era riuscito perché, nel momento cruciale, il respiro dell’idiota riverso sotto di lui gli aveva accarezzato la pelle come una mano amata, sì che qualunque tentativo di spegnerlo sarebbe stato come divellersi una porzione di cuore.

Anche quella debolezza si era in seguito rivelata un altro madornale errore.

Sasuke aveva cercato di porvi rimedio da lontano, durante il suo tetro soggiorno presso Orochimaru, iniettando veleno di serpe nel terreno dei propri ricordi e convincendosi che l’odio fosse il solo motore del mondo.

Si era allenato ad incrementare al massimo le proprie abilità oculari e, insieme, a gettare fango su ogni forma di vita fuori e dentro di sé, giacché i legami a lui non avevano portato altro che fallimento e sconfitta. 

Tuttavia, mentre tutto il resto appassiva, ciò che provava per Naruto aveva invece continuato ad espandersi contro la sua volontà, lento ed inesorabile, unica macchia di colore – arancione. Giallo. E blu – in mezzo al grigio metallico di sterpi ed arbusti ormai secchi.

In certi momenti era stata una presenza labile quanto un soffio di vento, degna a malapena di un impercettibile ed inconscio sussulto; in altri, invece, aveva tremato sino a causargli dei veri e propri terremoti interiori.

Come quando, nel ritrovarselo dinanzi dopo tre lunghissimi anni, l’impulso di toccare quel corpo decisamente più interessante rispetto al marmocchio che ricordava aveva frenato la sua katana per un secondo di troppo; oppure come sulla strada di ritorno dal Paese del Ferro, ove Sasuke aveva dovuto appellarsi a tutto il proprio disgusto affinché le parole del maledetto Uzumaki non gli lasciassero solchi sul volto di neve.

«Quel giorno, mi caricherò del fardello del tuo odio e morirò insieme a te».

Adesso, all’indomani di un conflitto vinto insieme a lui, il fatidico giorno era finalmente arrivato.

Ma quello appena sorto non sarebbe stato il suo ultimo mattino, nossignore: la ragione della propria esistenza gli era ormai chiara ed aveva percorso davvero troppa strada per permettersi di sbagliare ancora.

Sarebbe giunto esattamente dove Madara, Obito e persino Itachi avevano fallito  quest’ultimo, per un soffio che mi somiglia – e, a quel punto, ogni cosa avrebbe infine trovato l’equilibrio che il mondo Ninja cercava da millenni.

Niente più Nazioni messe a ferro e fuoco, battaglie, congiure e tradimenti; niente più lotte fratricide, famiglie distrutte, orfani.

Sotto il suo nuovo ordine nessun bambino si sarebbe mai trovato a non conoscere il nome dei propri genitori o a portare sulla schiena il simbolo di un clan fattosi cenere nell’arco di una notte. 

Non ci saranno altri Naruto, né altri Sasuke.

Ogni solitudine esistente sarebbe scomparsa, assorbita da quella più grande di tutte: la sua.

Perché questo si avverasse doveva recidere l’ultimo legame rimastogli, a costo di affogarlo nel sangue; solo ricoprendo di ghiaccio anche ciò che gli stava annidato dentro avrebbe avuto abbastanza spazio per raccogliere su di sé il peso di tutto l’odio del mondo.

Sasuke si mise in attesa, respirando a pieni polmoni la leggera brezza proveniente da est: la Valle della Fine era rimasta perfettamente uguale a quella che rammentava.

La cascata frusciante, le foreste ad estendersi fino alla linea dell’orizzonte, le statue di quegli eroi leggendari che, nel frattempo, aveva conosciuto e superato: tutto come allora – ma la conclusione non sarà la stessa.

Non appena l’avversario comparve nel raggio del suo campo visivo, la cosa iniziò a vibrargli nel petto con violenza imprevista.

Naruto si posizionò sulla sommità dell’effige di Hashirama Senju, tenendogli lo sguardo puntato addosso; nonostante vi fosse impressa un’ombra di ironia, il suo viso appariva segnato da una stanchezza che neppure la guerra è in grado di generare.

Ah, Naruto: l’unico che l’avesse mai capito davvero e, paradossalmente, il solo a essersi sempre frapposto con cieca determinazione fra lui e la sua inevitabile discesa nel buio, manco ne andasse della propria sopravvivenza.

«Perché siamo amici».

Naruto, che era ancora arancione, giallo e blu e non aveva smesso di ridere in maniera sguaiata neanche di fronte all’orrore; che, in fondo, era rimasto un ingenuo, convinto di poter raddrizzare qualunque torto con l’amore.

L’idiota non riusciva a concepire che non basta uno stupido abbraccio a cambiare un destino già scritto: quello di Sasuke scorreva nelle vene degli Uchiha da ben prima della sua nascita, e non era rimasto che lui a poterne invertire il corso.

Dinanzi al dovere è necessario che l’amore soccomba: la vanità del sacrificio di suo fratello ne costituiva l’esempio più lampante.

«Qualunque cosa tu faccia, io ti amerò sempre».

Itachi era stato ucciso dal troppo affetto nei suoi riguardi, ma lui non sarebbe caduto nel medesimo errore, non più; non avrebbe lasciato che i sentimenti per Naruto gli impedissero di fare ciò che doveva.

«Il tuo, Naruto, sarà l’ultimo sangue che verserò».

Sì, l’ultimo. Perché poi, dentro di me, ci sarà solo inverno.

 

***

 

Quando Sasuke aprì gli occhi per la seconda volta, la notte stava mutando in un’alba dai contorni rosati; la tenue, delicata luce del giorno nascente avrebbe rischiarato il buio dell’ora più nera a poco a poco, sino a dissolverlo del tutto.

Nonostante si fosse a metà ottobre, l’aria aveva un vago sapore di nascita: come nel momento in cui, all’improvviso, si ha la chiara percezione che l’inverno ha finalmente ceduto il posto alla primavera.

Un suono a lui familiare lo strappò dal proprio torpore, costringendolo a voltare la testa di lato; nel guardare Naruto profondamente addormentato al suo fianco, non poté trattenersi dal sogghignare.

In condizioni simili solo quest’imbecille poteva essere in grado di mettersi a russare.

Ai tempi del team 7 non c’era stata missione in cui non avesse insultato Uzumaki per quel fastidioso, ripetitivo ronfare che gli impediva di prendere sonno; adesso, invece, il medesimo rumore gli faceva venire una gran voglia di ridere.

Sapere che, qualsiasi cosa fosse successa, certi aspetti di Naruto non sarebbero mai cambiati era un po’ come tornare in un luogo in cui si è stati felici e avere la certezza di trovarlo immutato.

Perché Naruto sprigionava il calore della cucina all’ora di cena, quando la sua famiglia ancora si riuniva intorno al medesimo tavolo, e riluceva dello stesso sfolgorio di stelle che aveva illuminato lui ed Itachi in quella notte passata sul pavimento della veranda.

Perché Naruto era giallo, arancione e blu, rideva sguaiatamente, amava tanto da far paura e, per Sasuke, voleva dire casa: una casa dalle mura di pietra e gli interni in legno, accogliente e solida come una promessa mantenuta.

Funzionava così con lui: quando si metteva in testa di raggiungere un obiettivo, potevate star certi che, prima o poi, ce l’avrebbe fatta.

Se aveva deciso di sedimentarvisi nel cuore, dunque, non rimaneva altra scelta che fidarsi e lasciarlo prosperare; trincerandosi nella propria solitudine Sasuke aveva soltanto rinnegato la parte migliore di se stesso, con l’unico risultato di paralizzare in uno strato di ghiaccio ciò che di buono sarebbe potuto diventare.

Ma forse, per il disgelo, non era ancora troppo tardi.

Forse.




.

 

Note dell’autore

Siete arrivati sino in fondo? Bravi!

Come spero sia facilmente intuibile, la narrazione si svolge in due momenti differenti: il primo è ambientato negli attimi antecedenti lo scontro con Naruto alla Valle dell’Epilogo, mentre l’altro ha luogo dopo lo stesso, allorquando Sasuke riprende coscienza per la seconda volta.

Pur avendo inserito l’avvertimento “Shōnen'ai”, specifico che la natura del rapporto fra Naruto e Sasuke è volutamente lasciata ambigua – come già avviene a livello canonico, a mio modesto avviso. Io preferisco leggerci del sentimentale, ma nulla vieta al lettore di interpretarlo secondo i suoi gusti.

Questa sorta di “flusso di coscienza” è inframmezzata da ricordi di dialoghi tratti direttamente dall’anime; nello specifico:

- «Il fatto è che, dentro di te, non provi abbastanza odio».

La frase è pronunciata da Itachi nell’episodio 85 (Questione tra fratelli) della terza stagione di Naruto;

- «Quel giorno, mi caricherò del fardello del tuo odio e morirò insieme a te».

Frammento del dialogo svoltosi fra Naruto e Sasuke nell’episodio 216 (Ninja d'élite) della decima stagione di Naruto Shippuden;

- «Qualunque cosa tu faccia, io ti amerò sempre».

Altra perla di Itachi, tratta dall’episodio 339 (Ti amerò sempre) della sedicesima stagione di Naruto Shippuden.

- «Il tuo, Naruto, sarà l’ultimo sangue che verserò».

Battuta di Sasuke presa dall’episodio 476 (L’ultima battaglia), dal quale è scaturita l’intera storia.

Mi pare che non ci sia altro da aggiungere; spero che abbiate apprezzato questo breve viaggio nell’interiorità di Sasuke, e ringrazio in anticipo chi sarà così gentile da lasciare un commento – se qualcuno ci sarà.

Auguro buona fortuna a tutti i partecipanti al contest, porgendo i miei complimenti a Juriaka per l’iniziativa!

 



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