In quel periodo ero a un passo
dall’esaurimento nervoso.
Ren – il mio
eroe, idolo e amico – era morto e io non
avevo avuto il
tempo di vivere quel
lutto né di processare che lui era
diventato
un drogato senza che
nessuno lo potesse aiutare.
Nana non parlava,
sembrava voler ignorare la faccenda e
aspettare il
ritorno del suo amore
ormai perduto.
Hachi era venuta a
vivere nel comprensorio e i nostri
sentimenti, mai sopiti,
si erano risvegliati con
la violenza di un uragano.
Asami dal conto suo non
faceva che tormentarmi con crisi
di gelosia.
Non ne potevo
più.
-Nobu
“Oh, stai bene. Quindi
non hai più bisogno della moglie
di Takumi al tuo fianco, no?”
Quella frase fece trasalire Nobu, nemmeno gli avessero
tirato un secchio di acqua gelata addosso.
Ora vedeva Asami Matsumoto per la prima volta e ne era
disgustato, non era Nana quella che se ne fregava di tutto, era lei:
Asami.
Lei non sapeva nulla dell’amicizia che legava Nana e
Hachi eppure si era pronunciata con una leggerezza imperdonabile
perché era
gelosa di lui.
Egoismo allo stato puro.
“Asami!”
Disse, scattando in piedi.
“Dov’è? Se n’è
andata finalmente?”
La finta bionda non lo aveva nemmeno sentito, normalmente
non ci avrebbe fatto nemmeno caso – erano tante le persone
che non lo
ascoltavano – questa volta però la misura era
colma.
La prese per un braccio senza alcuna gentilezza.
“Vieni, dobbiamo parlare.”
Il tono gli era uscito più duro di quello che avrebbe
voluto, ma la rabbia ribolliva e non riusciva a contenerla.
Era arrivato il momento di sistemare le cose con la sua
ragazza una volta per tutte, ora come ora non riusciva a sostenere
anche il
carico psicologico dei complessi di Asami, il suo era già
fin troppo pesante.
Uscirono dalla stanza e lui la guidò fino a una camera
vuota accanto alla sala comune, lì la lasciò
libera e chiuse la porta con uno
scatto nervoso.
“Asami, non possiamo andare avanti così!”
Sbottò.
“È per via della moglie di Takumi? O del mio
lavoro che
ti fa schifo?
Sii sincero per una volta nella tua vita!”
“Il problema non è né Nana
né il tuo lavoro, tu sei il problema, Asami!”
La vide impallidire, probabilmente non era la prima volta
che si sentiva rivolgere un’accusa simile.
“Io?”
Nobu sentì del trambusto nella stanza accanto,
lasciò perdere la sua donna e
andò a dare un’occhiata: Nana era stesa terra con
un sacchetto di carta sulle
labbra.
Era in preda a uno dei suoi attacchi e lui sapeva bene
quale fosse stata la causa, tornò nella stanza dove lei lo
aspettava con una
strana espressione sul volto, lui non aveva voglia o tempo di
decifrarla.
“Sarai contenta, Yuri.
Grazie alle tue parole Nana ha avuto un attacco
d’ansia.”
“La moglie di Takumi?”
“No, la mia amica! Quella che tu accusi di non soffrire per
la morte di Ren.”
“Ma…”
“Zitta! Tu non sai niente di Nana o di me.
Nana ha bisogno di Hachi perché è la sua migliore
amica e
la sua unica certezza in questo periodo difficile, quindi ha tutti i
diritti di
stare qui e smettila di usare la sua gravidanza come alibi.
Io sono stanco della tua gelosia e di come ti comporti,
Yuri.
Prima dici che non ti piace il lavoro che fai e fai finta
di non voler stare con me per via dei tuoi film, costringendomi a
trovare una
soluzione.
Ti ho detto che ti avrei mantenuta una volta che il tuo
contratto fosse scaduto e lo volevo fare davvero, perché
credevo di amarti e
credevo che quello fosse il modo migliore di dimostrartelo.
Insomma, così avresti capito che non me ne fregava nulla
del fatto che tu eri una pornostar e che volevo fare sul serio con te.
Ma per te non era abbastanza, vero?
Tu volevi tutto. Volevi me e il lavoro.
Così hai firmato un altro contratto senza dirmi nulla e
mi hai costretto a fare buon viso a cattivo gioco una volta che ho
scoperto
tutto.
Non era ancora abbastanza.
Quando ti sei vista minacciata ti sei attaccata a me fino
a soffocarmi!”
Prese fiato un attimo e si preparò alla stoccata finale.
“Io sono stanco, Yuri.
Non sei la persona che credevo che fossi, non ne posso
più dei tuoi capricci e, a dirla tutta, non ti amo
nemmeno.”
“Mi stai lasciando, Nobu?”
La voce di Asami tremava.
“Sì, ti sto lasciando.
Mi dispiace.”
Lei lo prese per mano.
“Ti prego, non farlo!
Posso cambiare, essere meglio di così.”
Nobu la compatì, probabilmente non era la prima volta che un
uomo la lasciava
per ragioni simili e lei non voleva che accadesse. Il biondo poteva
capirla, ma
non accontentarla: era stanco di farsi mettere la testa sotto i piedi
da tutti.
“No, non puoi cambiare e la ragione è semplice:
questa è
la vera Yuri.
Qualsiasi altro volto mi mostreresti sarebbe una maschera
e io non posso stare con una maschera.
Ho bisogno di una persona vera, mi dis…”
Non finì la frase perché lei gli diede uno
schiaffo.
“È la moglie di Takumi che ami?”
“Non sono più affari tuoi.”
“Sì, hai ragione.
Vuoi sapere una cosa, Nobu?
Sono stata con te solo perché eri il chitarrista di una
band famosa, se fossi stato uno comune non ti avrei nemmeno
guardato.”
Lui le rivolse un sorriso storto.
“Grazie per aver confermato uno dei miei sospetti, adesso
sono sicuro di aver fatto la cosa giusta.”
Lei uscì sbattendo la porta, Nobu uscì poco dopo
e andò
nella sala comune, era rimasto solo Yasu che fumava una delle sue
sigarette.
“Come sta Nana?”
“Si è ripresa
anche questa volta, adesso è con Hachi.
Tu?”
“Io cosa?”
“Hai rotto con Asami?”
“Ah, quello. Sì, ho rotto con lei, non riuscivo
più a sopportare la sua
gelosia.
Non eravamo fatti per stare insieme e poi lei stava con
me solo perché sono il chitarrista dei Blast e sono
abbastanza sicuro che non
lo sarò più per molto.”
Yasu non disse nulla.
“Vado a dormire, è stata una giornata piuttosto
lunga.”
Il batterista annuì, era perso in chissà quali
pensieri.
Nobu era sicuro che non fossero positivi e che qualcosa
di disastroso li stesse aspettando dietro l’angolo.
Sai, Hachi…
Anche dopo che capii che
Ren era morto sul serio
e che non era solo un
sogno il tempo continuò a
rimanere fermo. La
lancetta non riusciva a scattare in
avanti. Potevo solo
cantare contro il volere di Ren
stesso.
La mattina dopo fui la prima a
svegliarmi, Hachi sembrava
così indifesa nel sonno con quella pancia enorme.
Mi chiesi cosa avesse provato mia madre quando era
incinta di me e poi di Misato, mi aveva voluto bene o aveva voluto bene
solo a
mia sorella?
In fondo era lei che aveva scelto di crescere e non me,
io ero quella che era stata lasciata davanti alla stessa porta da cui
la Misuzu
adolescente era uscita per non rientrarci mai più.
Ero stata abbandonata da mia madre e ora anche da Ren.
Mi toccai il tatuaggio, chiusi gli occhi e lottai per non
piangere, non potevo, non ancora.
Ora probabilmente dovevo prepararmi a una guerra per
evitare che la mia band venisse scaricata dalla casa discografica e non
potevo
crogiolarmi nel dolore come avrei voluto.
I Blast erano l’unica cosa che mi rimaneva, lì
potevo
cantare per tutti: i miei amici, Hachi, i fan e Ren.
Lì potevo ancora aiutare qualcuno o almeno così
speravo.
La lettera che Misato mi aveva spedito continuava ad
apparire e sparire nella mia testa, mi indicava la via da seguire,
ormai non ne
avevo un’altra.
“Buongiorno, Nana.
Come stai?”
La voce di Hachi mi riscosse dai miei pensieri.
“Ciao, Hachi. Sto bene, non ti preoccupare.”
“Dove sei andata stanotte? A un certo punto non
c’ero più.”
“Sono andata da… Ren.”
Chiusi gli occhi e abbassai la testa, ma quando li riaprii mi accorsi
che Hachi
stava sorridendo.
“Sono felice che tu ci sia andata.”
Almeno lei non mi giudicava, ma la cosa non mi stupiva, non
lo aveva mai fatto.
Dopo una doccia ed esserci cambiate scendemmo nella sala
dove si pranzava, erano tutti, mancava solo Yuri Kosaka.
Mi sedetti accanto a Nobu, volevo evitare che la mia
amica si sentisse a disagio e mi guardai intorno, stavano tutti
mangiando, solo
io non lo stavo facendo.
“Nobu… Dov’è Yuri
Kosaka?”
“Non lo so.”
Gli rivolsi un’occhiata perplessa.
“Ci siamo lasciati.”
“Capisco.”
Adesso sapevo perché questa notte mi era stato risparmiato
il loro concerto,
iniziai a mangiare anche io, non avevo più nulla da dire per
ora.
Una volta che tutti ebbero finito, Hachi e Miu sparirono
con le stoviglie e lasciarono la mia band da sola, iniziammo a guardare
Yasu
che si accese una sigaretta: quello era il suo modo di iniziare a dare
un
annuncio.
“Ieri ho parlato con la Gaia Records e la Shikai
Corporation, volevano scaricarci, per loro non siamo stati altro che
una
perdita di soldi. Prima Shin e poi Nana, hanno speso più di
quanto hanno
guadagnato.”
“È finita?”
Domandò con voce neutra Shin.
“No, ho convinto Kanemoto e Sugimura a darci
un’ultima
possibilità grazie all’aiuto di Misato e Kawano.
L’idea è quella di fare un concerto per strada
come ai
primi tempi per attirare di nuovo l’attenzione sulla band, ma
prima vogliono
incontrare Nana.”
“Vogliono assicurarsi che io non svenga o mi metta a
piangere durante i concerti?
Non lo farò, non ho tempo per essere triste.”
“Io lo so, ma loro no.”
“Ma almeno ti manca Ren?”
L’urlo esasperato di Shin mi fa voltare verso di lui.
“Certo che mi manca! Mi manca ogni momento adesso che so
che non ritornerà, vorrei poter tornare indietro e dirgli un
sacco di cose, ad
esempio che lo amo.
Ma non si può tornare indietro e adesso non posso nemmeno
piangere o per la band è finita, lo capisci questo?
Ci hanno fatti debuttare solo perché avevano scoperto che
ero la donna di Ren, adesso ci vogliono scaricare perché una
band punk non la
volevano fin dall’inizio.
Ti sembra giusto?
Io devo lottare affinché questo non accada e dovresti
farlo anche tu!
Cosa farai se i Blast dovessero sciogliersi?”
Shin abbassò gli occhi.
“Sì, hai ragione.”
Qualcuno – Yasu – mi appoggiò una mano
sulla spalla.
“Nana, alle nove abbiamo appuntamento con Sugimura e
Kanemoto.”
“Ok.”
Salii di nuovo in camera mia e mi vestii come la ragazza aggressiva che
conoscevano: mini di pelle nera, maglietta di Vivienne Westwood,
maglione,
calze nere tipo autoreggenti.
Mi truccai, sentendomi più che altro come un guerriero
che si prepara alla battaglia, recuperai i miei gioielli e indossai il
mio
cappotto leopardato preferito.
Il batterista alzò un pollice e insieme ce ne andammo,
persa nella mia nebbia non mi ero accorta che marzo stava per finire e
che era
freddo.
“Sei sicura, Nana?”
“Non ho scelta, Yasu.
Lo sai benissimo, che io sia pronta o no non conta nulla,
loro vogliono che io gli porti dei soldi.”
“Non sei obbligata a farlo.”
“Non voglio che la band muoia e poi cosa ne sarebbe di Shin
se la band andasse
a puttane?
Non ha una casa a cui tornare, non ha finito il liceo,
finirebbe per tornare sulla cattiva strada.”
Yasu sorrise.
“Hai perfettamente ragione, sono felice che tu abbia
detto queste parole.”
Io gli sorrisi a mia volta, in quei brevi momenti mi
sembrava davvero di stare meglio.
La verità era che camminavo mano nella mano con un
fantasma e non lo sapevo.
Kanemoto e Sugimura ci aspettavano alla Shikai
Corporation, chiesero come me la stessi cavando per cortesia
più che altro, le
mie risposte non gli interessavano minimamente, mi scrutavano come
rapaci.
Erano alla ricerca di una crepa, un appiglio per farmi
desistere, ma io non avrei offerto il fianco: troppe persone
dipendevano da me
e io non potevo tradirle.
“Allora, Nana. Visto che stai meglio possiamo parlare di
lavoro, giusto?”
Iniziò Kanemoto.
“Sì. Io voglio cantare.”
“È la risposta che ci aspettavamo.”
Continuò Sugimura, in tono falsamente felice.
Nessuno dei due aveva mai voluto una band punk, ci
avevano fatto debuttare perché la trasmissione Morning Seven
aveva forzato loro
la mano.
“Bene.”
“Nana, purtroppo la tua carriera solista è stata
accantonata, ora preferiremmo concentrarci sulla band.”
Non ero ancora abbastanza stabile per tentare una carriera del genere.
“Abbiamo optato per un ritorno alle origini, qualcosa che
torni a farla conoscere a più gente possibile: concerti
all’aperto.
Nei live esprimi al meglio la tua energia e personalità e
siamo convinti che la sia la soluzione migliore: in studio ci sono
ancora dei
problemi, ma dal vivo sono tutti catturati dal tuo carisma.”
Io annuii.
“Per me va bene.”
“Perfetto, tra una settimana vi esibirete. Vi
comunicherò il luogo nei prossimi
giorni, cercate di provare.
Nana, come stai gestendo il lutto?”
“Bene, credo.”
Bugia numero uno.
“Hai avuto ancora degli attacchi di ansia?”
“No.”
Bugia numero due.
“Allora, è tutto a posto.
Dateci dentro.”
Sorridevano entrambi, ma tutti e due continuavano a scrutarmi alla
ricerca di
un qualche segno di debolezza, ormai eravamo zavorra, una band scomoda
di cui
non sapevano come liberarsi.
Li odiavo.
Sai, Nana…
C’è
stato un momento dopo la morte di Ren
In cui credevo che tutto
sarebbe andato bene.
Non sapevo ancora quanto
le tue ferite fossero
profonde e della forza
dei demoni che ti portavi dentro.
Tu eri il mio eroe, non
sapevo fossi fatta di cristallo.
Ero troppo egoista per
notarlo, perdonami se puoi.
Quando mi svegliai quella mattina
avevo l’impressione che
durante la notte fosse successo qualcosa di importante, Nana mi
guardava e i
suoi occhi erano diversi.
Sembrava pienamente consapevole di cosa fosse successo,
non si rifugiava più nella fantasia, ma era piena di dolore.
La patina di
tristezza che a volte scorgevo nel suo sguardo aveva preso il
sopravvento, ma
in fondo brillava una piccola luce e sapevo che Nana vi era
testardamente
avviluppata.
Non so perché mi sentii meglio, non ero sicura di niente,
poteva essere tutto frutto della mia immaginazione, volevo parlare con
lei e
allo stesso tempo temevo di intavolare il discorso.
“Buongiorno, Nana.
Come stai?”
Chiesi con il mio solito tono e il batticuore, speravo che mi dicesse
bene o qualcosa
del genere.
“Ciao,
Hachi. Sto
bene, non ti preoccupare.”
Sospirai internamente di sollievo, forse potevo procedere
con le domande.
“Dove sei andata stanotte? A un certo punto non
c’eri più.”
“Sono andata da… Ren.”
Qualcosa dentro di me esplose di gioia, ringraziai lo
spirito di Ren e sorrisi.
Si stava avviando verso la guarigione, forse.
“Sono felice che tu ci sia andata.”
Lei mi sorrise a sua volta.
Ci facemmo una doccia, prima lei e poi io, e scendemmo a
fare colazione, Yuri non era al nostro tavolo, Nana chiese a Nobu
perché, lui
disse che si erano lasciati a il mio cuore fece una capriola di gioia,
per
quale motivo il mio cuore voleva tenere legato a sé quel
ragazzo quando ormai
ero la moglie di Takumi?
Sapevo di essere egoista, ma non fino a questo punto,
decisi perciò di tenere tutto per me e di seguire il flusso
della situazione e
vedere dove mi avrebbe portato. In fondo il mio matrimonio non era mai
stato
molto saldo e Reira era la priorità di mio marito ora, forse
lo era sempre
stata.
Io e Miu sparecchiammo, lavammo le stoviglie e sparimmo,
Yasu doveva parlare alla band e comprensibilmente voleva un
po’di privacy.
“Io ho un copione da ripassare, tu cosa vuoi fare,
Hachi?”
Mi chiese Miu, sapeva che mi piaceva provare con lei, ero
appassionata di sceneggiati e l’idea mi tentava.
“Adesso vado a fare la spesa, ci vediamo quando
torno.”
Lei guardò il mio ventre.
“Sei sicura di farcela? Non ti starai strapazzando
troppo?
Dopotutto partorirai tra un mese.”
“È tutto ok, vado al supermercato dietro
l’angolo.
Compro giusto un paio di sacchetti di roba.”
La ragazza di Yasu mi sorrise.
“D’accordo, dopo vieni da me. Il copione ti
piacerà da
morire.”
“Non vedo l’ora.”
Lei andò in camera sua, io mi misi il cappotto, controllai
di avere abbastanza
soldi e uscii, era già passato un anno da quando ero
arrivata a Tokyo piena di
sogni. Quasi non ci credevo e non mi capacitavo di come i miei sogni si
fossero
trasformati in incubi.
Dove avevo sbagliato?
Dove si era persa la ragazza che si meravigliava per
tutto e voleva l’amore più di ogni altra cosa?
Forse era solo una maschera a cui io stessa avevo finito
per credere.
Pensavo a questo mentre riempivo il carrello e poi
pagavo: due sacchetti precisi e nemmeno troppo pesanti, ormai avevo
l’occhio
della massaia esperta.
Non appena misi piede fuori dal supermercato un’ombra si
staccò dalla parete, era un uomo e io lo guardai carica
d’odio.
“Kurada! Cosa vuole ancora?
Non ha rovinato abbastanza la vita di Nana?”
“Signora Ichinose, io faccio solo il mio lavoro e non provo
piacere…”
“La smetta! Non mi frega più.
Devo andare.”
Quell’uomo non aveva fatto altro che giocare con me per
sapere il più possibile
su Nana e i Blast, non avrei commesso lo stesso errore due volte.
Una mano si chiuse sul mio polso e io mi voltai.
“Se non mi lascia immediatamente mi metto a urlare.”
“Devo dirle una cosa importante, mi permetta di prendere una
delle borse e di
comunicargliela, poi valuterà lei come agire.”
“Kurada, lei non ha fatto altro che giocare con me,
perché dovrei fidarmi di
lei?”
“Perché vuole bene a Nana e sa che in uno stato
delicato come il suo basta un
niente per farla crollare.”
La serietà nel suo sguardo e la voce ferma fecero
scattare i miei campanelli d’allarme, quell’uomo
non stava scherzando, doveva
esserci qualcosa di grosso che bolliva in pentola, qualcosa che poteva
sconvolgere Nana.
“Va bene.”
Kurada lasciò andare il mio polso e mi fece cenno di
seguirlo, ci infilammo in un piccolo bar, lui ebbe cura di scegliere il
tavolo
più riservato.
“Vuole qualcosa?”
“Un tè e che vada dritto al punto.”
“Va bene.”
Ordinò e poi mi guardò, i suoi occhi erano
diversi da quelli che avevo imparato
a conoscere.
Dopo la morte di Ren vi aleggiava sempre un alone di
tristezza che nascondeva a stento un tormento, mi avevano detto che era
stato lui
a trovare il mio amico ormai morto nelle lamiere accartocciate della
macchina.
Sicuramente era una cosa che segnava dentro.
“Misuzu Uehara vuole parlare con Nana, presto il giornale
pubblicherà questo scoop e lei farà meglio a
preparare psicologicamente la sua
amica.”
“Come lo avete scoperto?”
“Misuzu è venuta a riprendersi Misato qui a Tokyo,
l’ospitava una certa Shion,
un’amica di Yasu.
Uno dei nostri giornalisti ha sentito Shion dire a Yasu
che Misuzu desiderava incontrare sua figlia, con la morte di Ren
è stato tutto
accantonato, ma ora…”
“Ora sarebbe un bello scoop, vero?
Dopo la morte di Ren Nana dovrà affrontare la madre che
l’ha abbandonata a quattro anni.”
“Ha capito al volo e sa che ora Nana non è nello
stato adatto per ricevere una
notizia del genere senza che qualcuno la prepari.”
Io annuì.
La notizia mi aveva scossa, ma non potevo darlo a vedere,
dovevo essere forte per Nana.
Lei mi aveva sostenuta durante i miei stupidi drammi ora
toccava a me aiutarla in questioni molto più serie.
Glielo dovevo.