Anime & Manga > Le bizzarre avventure di Jojo
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Autore: _Zaelit_    19/02/2020    0 recensioni
[What if? in cui tutta la squadra di Bucciarati è sopravvissuta agli eventi di Vento Aureo.]
Irene è una ragazza cresciuta per strada e dal carattere ribelle che conduce una vita monotona e pericolosa. A salvarla dalle sue condizioni è Bruno Bucciarati, ora braccio destro del boss di Passione, Giorno Giovanna. Irene comprende di poter ricominciare daccapo e di poter far parte di una famiglia ma, non appena entra a far parte dell'organizzazione, una nuova minaccia ostacola Passione e i suoi membri. Una nuova organizzazione criminale, infatti, sta muovendo guerra a Giorno e ai suoi sottoposti, i cui fili vengono tirati da una figura misteriosa soprannominata "Arcangelo". Irene comprende di ritrovarsi in una battaglia che la coinvolge in prima persona e dovrà quindi scavare nel suo passato e trovare la forza e il coraggio necessari per impedire la sconfitta di Passione, tutto ciò in compagnia del saggio e protettivo Bruno e dei suoi formidabili compagni: Guido Mista, Narancia Ghirga, Leone Abbacchio e Pannacotta Fugo.
Genere: Avventura, Azione, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Altri, Bruno Bucciarati, Giorno Giovanna, Leone Abbacchio, Nuovo personaggio
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
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[ GANGLAND ]

Un trasloco. Non sembrava vero. Non dopo tutto quel tempo di buio. Irene aveva davvero scorto e raggiunto la fioca luce in fondo al tunnel?
Abitava da sola da quando era stata scacciata di casa dalla madre e dal patrigno, che non volevano avere nulla a che fare con una piccola delinquentella violenta come lei, specialmente dopo la sua tremenda lite con la compagna di classe, che ovviamente aveva rigirato la storia a suo favore grazie all'abilità di piangere a comando... e alle terribili condizioni in cui versava, il modo in cui lei l'aveva ridotta.
Quella mattina, dopo l'ennesima provocazione, Irene era esplosa.
"Non mettermi mai più le mani addosso."
Era questo ciò che aveva pensato.
Nessuno le aveva mai dato affetto, era come una di quei cani selvatici senza padrone dispersi in vicoli luridi della città: allo stesso modo viveva lei a Siracusa, abbandonata a se stessa, incapace di comprendere il significato di una carezza o di un abbraccio. Sapeva che, se qualcuno la toccava, era per farle del male. Uno schiaffo, un calcio... conosceva bene le punizioni. Essere toccata equivaleva a provare dolore, e lo sperimentava spesso nella casa di sua madre. Anche le maestre, di tanto in tanto, le colpivano le mani con le bacchette o la costringevano a inginocchiarsi sui ceci pungenti. E lei non aveva mai pianto, benché i più forti puntassero a questo. Volevano vederla piangere. Era divertente.
Solo adesso, da sola e seduta sul letto morbido e caldo della sua nuova stanza, ebbe l'impressione che una lacrima le avesse rigato il viso. Si guardò attorno con aria sperduta: una scrivania illuminata dal sole che filtrava da una finestra occupava l'angolo accanto alla parete di sinistra, un armadio con un grande specchio verticale stava invece sulla destra. Un tappeto blu di moquette la accoglieva quando scendeva dal letto e dietro la porta, che adesso era chiusa, vi era un termosifone su cui riscaldare i vestiti in inverno.
Provò a domandarsi se meritasse davvero tutto ciò e, per la prima volta in vita sua, si rispose di sì. Perché, lei che aveva sofferto così tanto a causa degli altri, doveva subire e basta? Aveva commesso degli sbagli, è vero, ma a causa della giovane età e della sua solitudine. Ciò non era un buon motivo per essere triste per sempre. Per essere sola.
Si alzò con calma e si affacciò alla finestra, che dava su un piccolo balcone ornato da fiori e piante grasse. Aprì l'anta e uscì all'aperto, ammirando la bellezza del golfo di Napoli, le barche a vela in lontananza e le persone che passeggiavano tranquille sul lungomare. Qualcuno era persino in spiaggia, benché facesse ancora un po' di freddo. La città era viva e tranquilla davanti a lei, che la guardava dall'alto del secondo piano della sua nuova casa, e non più da una stradina di periferia immersa nel buio.
Nessuno, tra i passanti, la guardava più con aria di superiorità, al contrario, non la guardavano affatto. Non avevano intenzione di giudicarla. Era come gli altri: una cittadina che si rilassava nella sua stanza in un bel pomeriggio soleggiato.
Certo, con l'eccezione di essere sotto il controllo di cinque malavitosi intenti a proteggerla da uno strano culto nemico o qualcosa del genere, ma questo gli altri non lo sapevano.
Qualcuno bussò alla sua porta e lei si ridestò dal suo stato di ammirazione. Tornò in stanza, lasciando la finestra aperta per rinfrescarla, e aprì senza problemi dopo aver aggirato qualche scatolone ancora da sistemare.
«Ti disturbo, Cacciatore?» domandò Bucciarati, apparso davanti a lei. Teneva una mano appoggiata allo stipite della porta e, benché avesse un'aria del tutto composta, la sua voce mostrava una punta sbrigativa.
«No.» rispose Irene, inaspettatamente contenta di trovarlo di fronte. Non perché fosse lui, ma perché i segni del vivere insieme a qualcuno iniziavano a manifestarsi: qualcuno bussava alla sua porta, dal piano di sotto provenivano voci che discutevano su un qualche insolito argomento e il silenzio non la straziava più, non la assordava.
«Bene... allora dovremmo andare, se non ti spiace. Più tardi ti aiuteremo a sistemare il resto se vuoi, ma adesso dobbiamo raggiungere la villa del Boss.» comunicò l'uomo, spostandosi per permetterle di passare.
Irene annuì, afferrò cellulare e portafoglio e li mise in tasca, per poi affiancarlo e richiudere la porta dietro di sé.
«Bucciarati...» chiamò all'improvviso.
Lui si voltò, fermandosi dopo aver mosso un singolo passo.
«Questo Boss... credi che mi accetterà nell'organizzazione?» si preoccupò. Ovviamente. Non aveva ancora imparato a credere realmente in se stessa. «Insomma... io non sono come voi. Non so nemmeno come usare il mio Stand, o che potere abbia... o se addirittura esista davvero.»
«Cacciatore,» il tono pacato del capo la calmò subito, così come il suo sguardo deciso, «Non hai nulla in meno di noi. Abbiamo tutti attraversato la fase in cui ti trovi tu, devi credermi. So cosa provi in questo momento e so che hai paura.»
La ragazza distolse l'attenzione dai suoi occhi, odiando ammettere che aveva ragione.
«Se la cosa può rassicurarti, il Boss è un mio caro amico. L'ho presentato io alla squadra perché sapevo che avrebbe realizzato il suo sogno. Mi fido ciecamente di lui, e lui ripone fiducia in me. Quando saprà che ti ho accolta personalmente accetterà subito, vedrai.» le sorrise per rassicurarla.
Irene ricambiò appena. Non era abituata nemmeno ai sorrisi.
«Giorno, giusto?» esclamò poi.
Lui piegò la testa, confuso. «Cosa...?»
«Giorno, il Boss. Si chiama così, non è vero?»
«Come fai a saperlo? Non te ne ho mai parlato.»
«Potrei aver origliato la tua conversazione con Abbacchio al Libeccio. In ogni caso, l'avrei scoperto comunque, no?»
Bruno sollevò un sopracciglio.
«Devo ammetterlo, Cacciatore, sei una ragazza furba e con la risposta sempre pronta. La tua grinta ci farà comodo.» la lodò non potendone fare a meno, divertito dalla sua astuzia, e tornò a camminare verso le scale. «Ora andiamo. Gli altri sono al piano di sotto ma non verranno con noi, devono riscuotere alcuni dividendi dai casinò della zona.» spiegò.
Come annunciato, Fugo e Narancia erano al piano terra, seduti al tavolo della sala da pranzo con dei libri aperti e molti fogli stropicciati in giro.
«Ragiona, Narancia: hai imparato a risolvere le equazioni semplici, una con le frazioni non sarà un problema. E hai una verifica su questo argomento il mese prossimo! Non vorrai rovinare la tua media ora che hai preso quel sei?»
Spronato dall'amico, un annoiato Narancia si grattava la testa dolente.
«Ma non lo capisco! Questo minimo comune multiplo deve essere il numero più grande o quello più piccolo? E perché qui è sei?!? Da dove diamine è spuntato quel numero?»
«Non è così difficile! I denominatori da entrambi i lati dell'equazione sono due e tre. Ora dimmi, qual è il numero più basso per il quale possono entrambi essere divisi?»
«Non lo so... otto?»
«...Otto? E da quando otto sarebbe divisibile per tre?»
«
Stavolta ne sono sicuro! Tre per uno tre, tre per due sei, tre per tre otto.»
Bucciarati entrò nella stanza un attimo prima che Fugo spiaccicasse il tomo di algebra in faccia a Narancia in un impeto di rabbia.
«Ragazzi, io e Cacciatore siamo diretti alla villa di Giorno. Torneremo nel giro di un'ora, salvo imprevisti. Voi cercate di non fare tardi con il lavoro.» avvisò il capogruppo, sollevando un indice e folgorando Fugo con una semplice occhiata.
Narancia schizzò giù dalla sedia come un gatto che trova la porta aperta sul giardino, pronto a uscire in libertà.
«Ottimo! Vengo con voi, così saluto Giorno!» sorrise vivacemente.
Fugo lo acchiappò per la maglia a scacchi arancione legata attorno alla vita e con uno strattone lo fece cadere a terra.
«Tu non ti muovi da qui. Abbiamo ancora almeno quindici minuti di tempo e non hai ancora finito i compiti per domani.» lo sgridò come se fosse lui il suo professore. «Inoltre quella di Bucciarati non è una visita di cortesia. Non possiamo permetterci di disturbare Giorno solo perché vuoi chiacchierare con lui.»
Il capo scosse le spalle. «Spiacente, Narancia, ma Fugo ha ragione. Pensa a studiare, porterò io i tuoi saluti al Boss.»
Il ragazzo più giovane sospirò e tornò a sedersi massaggiandosi il fondo schiena, con il quale aveva colpito il pavimento.
Bucciarati, dopo i saluti, condusse Irene fuori dalla casa e verso il parcheggio, attraversando la strada.
«Quei due fanno sempre così?» domandò divertita la ragazza. Non riusciva a non pensare che Bruno sembrasse proprio la mamma del gruppo pronta a riappacificare i suoi bambini.
«A volte, sì... ma ci farai l'abitudine. Fugo non gestisce bene la rabbia e Narancia spesso sembra provocarlo di proposito, eppure vanno molto d'accordo. Non preoccuparti per loro.» la rassicurò ancora.
Quando furono saliti sull'auto, un vecchio modello ma molto pulito e ordinato, Irene prese posto sul sedile del passeggero anteriore, pensando persino di mettere la cintura per non infastidire il conducente, come se avesse dovuto mantenere un rigoroso comportamento per sempre per evitare che quel sogno finisse all'improvviso.
Partirono poco dopo e Bucciarati, senza staccare gli occhi dalla strada, parlò con Irene per non costringere entrambi a un imbarazzante silenzio.
«Non ti ho ancora chiesto come ti sembra la casa. Capisco che vivere con tre uomini potrebbe darti fastidio, ma cerca di capire che...»
«Sto benissimo.»
La risposta di Irene non era secca o annoiata, anzi molto sincera. Pronunciata forse con troppa enfasi, ecco perché si corresse in fretta.
«Insomma... intendo che non è male. Un po' chiassosa, sì, ma sempre meglio di quella fogna dove abitavo prima.»
Spostò lo sguardo fuori dal vetro del finestrino, seguendo gli oggetti in movimento con gli occhi prima che sparissero alle sue spalle.
«Spero solo che il cambio improvviso che ha subito la tua vita non ti sconvolga. So cosa significa vedere tutto attorno a sé mutare e non sapere come reagire...» mormorò l'uomo.
«Lo sai?» chiese quindi la ragazza, «E perché? Credevo fossi l'incarnazione del cittadino perfetto, che fa la bella vita e aiuta gli altri che non hanno avuto la sua stessa fortuna.» borbottò, senza dimostrarsi riconoscente anche se avrebbe voluto. Era una questione d'orgoglio.
Lui strinse le palpebre per un momento.
«Lasciamo stare, l'ho detto senza pensarci.» si giustificò, «Sei pericolosa, Cacciatore. Sicura che il tuo Stand non abbia il potere di spingere gli altri a rivelare scomode verità?»
«Sarebbe decisamente imbarazzante. Spero non sia così.» ridacchiò la rossa.
Alla breve risata si aggiunse anche lui.
«Magari è semplicemente una questione di carisma.»
«Carisma!» replicò, «Voleva essere un complimento?»
«Solo un'osservazione.»
«In ogni caso credo che il mio Stand abbia doti più... materiali, che psichiche.»
«E cosa te lo fa pensare? Hai notato qualcosa di rilevante durante il tuo scontro con Hungry Planet?»
Irene ripercorse la battaglia con i propri ricordi. Non aveva dimenticato di aver visto un intero macigno trasformarsi in metallo davanti ai suoi occhi. Eppure non poteva esserne sicura.
«No. È stato Narancia a lottare, io ho solo suggerito un'idea.» mentì, o almeno sperò che la realtà fosse quella.
Bucciarati tacque per un attimo, probabilmente poco convinto.
«Non importa.» aggiunse poco prima di raggiungere la loro meta, «Abbiamo ancora del tempo per scoprire il tuo Stand. Quando ne avrai bisogno, vedrai che si manifesterà da solo.»
«Posso... posso farti una domanda?» tentò poi, senza un motivo preciso oltre alla semplice curiosità, Irene.
«Dipende di che tipo.»
«Ecco... volevo sapere, come hai fatto a ottenere il tuo Stand? Avevi accennato a una freccia un mese fa o ricordo male?»
Bucciarati rallentò premendo gradualmente il freno con un piede e , senza distrarsi, continuò a conversare con lei.
«Non dimentichi nulla, eh?» dovette ammettere, «In ogni caso non ti sbagli. Ho sostenuto una prova per entrare a far parte di Passione, quando ero anche più giovane di te. Pensavo di averla fallita e invece mi ha portato... a questo.»
Una mano opaca si materializzò affianco alla sua, le dita strette attorno al volante. Era Sticky Fingers ma scomparve dopo poco.
«Uno dei precedenti Capi Regime possedeva una freccia in grado di risvegliare il potere sopito negli umani. Non tutti, però, sono inclini al possedimento di uno Stand. Per quanto ne so, fin troppi hanno perso la vita in quella prova... io sono solo stato fortunato.»
"O forte", aggiunse mentalmente Irene.
La macchina accostò in un altro parcheggio e il motore si spense.
«Siamo arrivati. Seguimi, finché sarai con me nessuno ti farà domande.» diede disposizioni poi, prima di uscire.
Irene annuì e richiuse lo sportello qualche attimo dopo, incamminandosi con lui verso quella che sembrava una meravigliosa villa nella campagna più vicina a Napoli, circondata da cancelli di cespugli ben curati e chiusa da un cancello di ferro nero verniciato alla perfezione. Due statue di leoni realizzate in bronzo dorato vegliavano sull'ingresso in compagnia di due uomini vestiti in modo elegante, con il borsalino in testa. Bastava uno sguardo per capire che fossero anche lei dei gangster. Guardie, per di più.
Bucciarati si avvicinò a loro dopo aver chiuso a chiave la macchina. Un cenno della mano e i due chinarono la testa in segno di rispetto.
«Bentornato, capo.» disse uno.
L'altro, invece, studiò con attenzione Irene.
«E la guagliona?» domandò curiosamente con un forte accento napoletano.
«È con me. Devo presentarla al Boss, fa parte della mia squadra adesso.» chiarì Bruno.
Il primo rise. «Non ho mai visto un malavitoso di buon cuore come voi, capo.»
Bucciarati gli rivolse un'occhiata scontenta e quello tacque. La confidenza non era un tabù, ma sarebbe stato meglio mantenere una certa formalità con lui.
I cancelli vennero aperti e i due passarono senza problemi, entrando in un giardino che avrebbe potuto fare concorrenza all'Eden stesso. Alti alberi da frutto, orti coltivati, cespugli che prendevano la forma di animali, fontane di marmo e piccole piscine erano ovunque. La grandezza di quel posto era quasi intimidatoria.
Irene capì che il Boss non andava sottovalutato. La sua ricchezza era inferiore solo al suo potere in Italia.
Quando entrarono, dopo che altri due uomini del Boss si fecero da parte e salutarono il capo, la ragazza ebbe occasione di parlare con lui.
«Quindi anche tu hai una certa influenza in città, dico bene?» domandò scettica. Non credeva di star davvero vivendo quel momento.
«Pensavo di avertelo spiegato, ma lo ripeterò per sicurezza.» rispose lui, «Sono il "braccio destro" del Boss, il secondo in carica nell'organizzazione. Mi occupo del controllo di tutta la zona di Napoli da circa un anno e in più posso conferire direttamente con il Boss e con qualsiasi altro membro di Passione senza necessità di un permesso.» illustrò impeccabilmente. Non vi era alcun segno di vaneggiamento nella sua voce: non aveva intenzione di apparire potente o di sbandierare i suoi vantaggi al vento per il solo piacere di farlo. Era chiaro che prendesse molto seriamente il suo incarico, riuscendo a ricoprire quella carica in modo doveroso. Passione di fidava si lui, il Boss era stato un suo sottoposto e i cittadini di Napoli lo amavano e rispettavano. Bruno Bucciarati era, senza ombra di dubbio, una persona molto importante.
Irene batté le ciglia, impressionata.
«E... quanti anni hai, se posso chiedere?»
«Ventuno.»
«E hai ottenuto tutto questo... a soli ventun'anni?! Incredibile...»
Bucciarati sorrise.
«Se questo ti sembra incredibile, aspetta di conoscere il Boss.»
Irene provò a immaginare questo fantomatico Giorno, che tipo di persona potesse essere: nel suo immaginario lo dipingeva come un omone elegante di almeno trent'anni, coperto di gioielli e dall'aria saggia, una figura quasi biblica, con tante persone a lui devote. Ora le parole del capo la stavano facendo dubitare di quella sua impressione.
Raggiunto l'atrio della casa, Bruno chiese informazioni su dove poter trovare il Boss. Una signora che si occupava di ricevere i suoi ospiti disse che Giorno si trovava in biblioteca, a studiare, e che lo avrebbe avvisato del loro arrivo.
«Non c'è bisogno di scomodarsi,» la tranquillizzò il giovane, «Non voglio infastidirlo mentre studia. Andrò a trovarlo e lo lasceremo tornare ai suoi impegni fra poco.»
In un attimo i due si ritrovarono ad attraversare i corridoi della villa e Irene poté chiedere altre informazioni.
Scoprì che Giorno non si occupava solo di Passione ma, per l'appunto, stava anche completando il suo percorso di studi, il che significava che era più giovane di quanto Irene pensasse. Spesso si recava alla biblioteca di un'università locale per prepararsi agli esami, e che prima di tornare alla villa aveva l'abitudine di fermarsi a comprare un gelato. A volte si occupava anche di volontariato e una consistente somma del ricavato dell'organizzazione, quella che non finiva nelle tasche dei gangster al suo servizio, andava in beneficenza.
Mai e poi mai Irene aveva pensato che potesse esistere un Boss così. Nella città in cui era nata la mafia non aveva una forte presenza ma i criminali e le organizzazioni non mancavano. Nessuno dei delinquenti con i quali aveva avuto a che fare in un modo o nell'altro le erano mai apparsi così buoni.
Che Giorno avesse preso dal suo precedente capo, Bucciarati? Era possibile, anzi, molto probabile. Evidentemente era un uomo dotato di una certa sensibilità e dalla mente aperta.
Raggiunta la biblioteca, i due fecero il loro ingresso. Una guardia li scortò in una zona della grandiosa sala e, prima di raggiungere il Boss, li lasciò soli, un altro segno di assoluta fiducia.
«Lascia che sia io a introdurti al Boss.» consigliò Bruno sottovoce, «Giorno è una persona educata e accogliente ma non si è mai troppo prudenti.»
Prima che lei potesse rispondere, Bucciarati si avventurò verso un'altra fila di altissimi scaffali, tutti ordinati per genere e titolo.
E infine raggiunse l'ala della biblioteca che stava cercando.
Immersa in quel labirinto di cultura dall'aspetto rustico e ordinato, una figura se ne stava seduta nella penombra, in cima a una scala di legno che terminava con una sedia, la quale poteva essere spostata in orizzontale e in verticale quasi come una sorta di ascensore.
La persona là seduta teneva le gambe incrociate con una certa grazia e un libro in mano, mentre l'altra reggeva la testa all'altezza di una tempia. Era un giovanissimo ragazzo, affatto spaventato o almeno preoccupato dalla notevole altezza alla quale si trovava. Il suo viso era nascosto dall'ombra dello scaffale dalle labbra in sù.
Bucciarati si fermò ai piedi della scala e chinò appena la testa, lanciando un'occhiata a Irene per ricordarle di fare lo stesso.
«Giorno, perdona il disturbo.» salutò con calma l'uomo.
L'altro rispose con la sua stessa tranquillità.
«Tu non mi disturbi mai, Bucciarati.»
Irene rabbrividì. Quella... era la voce di un ragazzino!
Quando sollevò lo sguardo e mise a fuoco il Boss riconobbe subito un giovane di certo più piccolo di lei, che poteva avere non più di quindici o sedici anni.
Un liceale. Il Boss della più potente organizzazione malavitosa italiana era un liceale.
Non chiuse il libro, non smise di leggere e forse nemmeno rivolse loro uno sguardo. Il suo accento non era napoletano, né italiano in generale, e il suo vestiario era di un curioso color magenta acceso.
«Mi hai portato qualcuno?» domandò poco dopo. Solo a quel punto poggiò con cura il tomo nello scaffale, dopo aver lasciato scivolare le dita fino allo spazio vuoto dove si trovava prima che lo prendesse. A quel punto si sistemò una corta treccia bionda dietro la testa, lasciandola ricadere sulla spalla sinistra.
«Ti porto i saluti di tutta la squadra. E sì, volevo anche presentarti una novellina che ho deciso di accogliere tra noi.»
Il Boss sorrise. I suoi occhi non erano visibili, ma sembrava sinceramente contento. Visto di sfuggita, così, non sembrava affatto pericoloso.
«Non sei cambiato di una virgola. È un bene.»
Irene quasi non si accorse del suo movimento, quando raggiunse la scala e scese con agilità, scuotendosi la polvere di dosso e incamminandosi verso di loro. Poco dopo, iridi color verde acqua le perforarono l'anima, come se fossero state lance da guerra o proiettili di un mitra.
Solo a quel punto iniziò a comprendere il motivo per il quale fosse diventato chi era in quel momento.
«Qual è il tuo nome?» le domandò Giorno, pacato.
Era a pochi metri da lei e già le gambe di Irene presero a tremare. Non perché avesse un aspetto spaventoso, al contrario: il ragazzo sembrava un serafino, un angelo dalla pelle chiara e i capelli aurei, emanava persino un buon profumo.
Era la sua aura. La sua stessa presenza... era terrificante.
Emanava un'aria di potere, di pericolosità. Come se lo spazio attorno a lui godesse di una maggiore gravità. Irene non aveva mai percepito una sensazione simile e, per la prima volta in vita sua... desiderò davvero di non diventare mai nemica di qualcuno. Comprese che deludere il Boss, per quanto giovane e gentile sembrasse, sarebbe stato un vero e proprio suicidio.
Chinò del tutto la schiena, terrorizzata, e sperò di non dare una cattiva immagine di sé. Non sapeva quale fosse il suo potere Stand e non voleva scoprire. Qualunque esso fosse, era certa che in caso di battaglia l'avrebbe spedita all'altro mondo in un battito di palpebre.
«I... Irene Cacciatore, signore!» quasi urlò, sull'attenti.
Sia Giorno che Bruno la guardarono sorpresi, ma il primo di loro non ci fece troppo caso. Evidentemente era abituato a reazioni del genere.
«Irene... una volta ero al tuo stesso posto, lo sai?» le raccontò.
La ragazza alzò la testa abbastanza per osservarlo con aria interrogatoria.
«Se oggi sono il Boss di Passione, il merito è solo di Bucciarati. Aveva ricevuto l'incarico di uccidermi ma non portò a termine la missione. Al contrario, investì su di me e mi presentò al Capo Regime presso il quale superai la prova di iniziazione.» si spiegò meglio il ragazzo.
Irene lanciò un'occhiata a Bruno, che intanto manteneva un'aria sicura, affatto imbarazzata.
«Se è stato lui ad accoglierti, non ci sono problemi. Qual è la tua missione, Irene?» continuò Giorno, voglioso di conoscere il suo sogno.
«A dire il vero,» intervenne l'altro, «Avevo inizialmente deciso di non immischiarla negli affari di Passione. Solo dopo ho scoperto che, in realtà, potrebbe essere in pericolo.»
«Pericolo?» chiese Giorno, aggrottando la fronte.
«L'altro motivo per il quale sono corso a parlarti. Sembra che un'altra organizzazione, forse una strana setta, stia agendo alle spalle di Passione qua a Napoli.» riportò fedelmente quanto constatato da Fugo il giorno prima, «Un portatore di Stand ostile ha cercato di uccidere o rapire Cacciatore ieri mattina. Narancia l'ha fermato prima che potesse riuscirci e poi l'ha portata al Libeccio. Il nemico rispondeva agli ordini di qualcuno, ma non sappiamo chi o quanti siano i suoi compagni.»
«Capisco...» rispose Giorno.
Si sfiorò il mento con un dito, voltando loro le spalle e tornando ad allontanarsi, di nuovo nelle ombre. «Mi ricorda molto la nostra guerra contro la squadra esecuzioni. Potrebbero essere come loro, o anche più pericolosi, considerato che non appartengono alla nostra stessa organizzazione.»
«Dovremmo agire prima di loro o attendere che facciano la prima mossa e poi contrattaccare?» domandò Bruno.
Giorno si voltò girando su un solo piede.
«Lo chiedo a te, Bucciarati. Sei sempre stato il migliore a ideare piani. Cosa pensi che dovremmo fare?»
L'altro si rinchiuse in un breve silenzio, a testa bassa, una bocca appoggiata alla punta del naso in segno di riflessione.
«Potrebbe essere rischioso» esordì dopo, «ma credo che la soluzione migliore sia aspettare che agiscano per catturare di nuovo Cacciatore.»
«Cioè usarmi come esca?!» tuonò Irene, pentendosene un attimo dopo avendo parlato senza essere stata interpellata. Si calmò solo quando notò un'espressione comprensiva sul volto del Boss.
«Il vero problema non è proteggere te» spiegò direttamente, «ma il fatto che potrebbero agire da un momento all'altro, con qualsiasi potere e in numero superiore.» Subito dopo tornò a parlare con il suo precedente capo: «Qualcuno ha già trovato un indizio o sta indagando?»
«Sì. Cacciatore ha notato uno strano marchio sul collo dell'uomo che potrebbe ricondurre a una setta. Fugo si è mobilitato per fare ricerche.»
«Fugo... sono lieto che stia cercando di rendersi utile come possibile ma non vorrei che si sentisse ancora in colpa per quella volta.»
«Purtroppo non ha ancora superato questa difficoltà. Vuole riscattarsi, ti è davvero grato per avergli offerto una seconda possibilità.»
«La meritava. È stato un compagno formidabile e ha salvato la mia vita e quella di Abbacchio contro Illuso.»
Irene ascoltava alternando l'attenzione visiva tra l'uno e l'altro, ma non riusciva comunque a comprendere ciò che stessero dicendo. Dopotutto faceva parte della squadra da circa ventiquattr'ore, non poteva conoscere tutto il passato del team Bucciarati.
«Vorrei aiutarvi, dico davvero, ma non mi sarà possibile.» cambiò poi argomento lo stesso Giorno.
«Non credo ne valga la pena. Ci limiteremo a fare rapporto a ogni azione degna di nota e sconfiggeremo questo nemico per mantenere alto l'onore di Passione.»
«Non mi sono spiegato bene, ti chiedo scusa. Intendo dire che non sarò in città.»
Bucciarati sollevò un sopracciglio.
«Devi partire? Per dove?»
Il giovane Boss abbassò lo sguardo.
«Florida, Stati Uniti. Mi sono giunte voci che potrebbero aiutarmi a fare chiarezza... su mio padre. Il mio vero padre. Spero tu possa comprendermi.»
Irene sentì una fitta al petto far bruciare le sue costole.
Il Boss era nelle sue stesse condizioni, allora? Non sapeva chi fosse suo padre e voleva scoprire qualcosa?
Lei sapeva solo che il suo era un vagabondo e un delinquente da quattro soldi, che non aveva esitato a divertirsi un po' con sua madre e poi abbandonarla con una bambina in grembo senza mai fare ritorno. Non provava amore per quell'uomo, ma avrebbe voluto saperne qualcosa di più.
Bucciarati annuì comprensivo.
«Non preoccuparti, Giorno. Immagino quanto ciò sia importante per me.»
Il ragazzo sollevò di nuovo gli occhi verdi, sforzando un sorriso.
«Ti ringrazio, Bucciarati. Contavo di dirtelo prima della partenza ma sei venuto da me prima che lo facessi io. Posso lasciare in mano tua la gestione di Passione fino al mio ritorno?»
Bucciarati si portò una mano al petto.
«Con piacere. Manterrò l'ordine, Boss, è una promessa. Quando tornerai avremo già sventato la minaccia.»
Giorno affondò una mano in una tasca e lanciò una rapida occhiata a Irene prima di tornare a parlare con l'amico.
«Ti fidi di lei, Bucciarati?» chiese improvvisamente.
«Cosa?» fiatò lui, non perché non avesse capito ma per lo stupore. Tacque per un momento, poi replicò con più sicurezza: «Sì, immagino di sì.»
Stranamente, quella risposta significò molto per Irene. Era la prima volta che qualcuno diceva di fidarsi di lei.
«Allora mi fiderò anche io.»
Giorno estrasse la mano dalla tasca e mostrò il palmo: su di esso vi era una chiave dorata, con un bassorilievo a forma di coccinella sopra.
«Vorrei che conservassi questa mentre io non ci sono. Non voglio rischiare di perderla in America.» mormorò mentre lui la prendeva e la osservava con attenzione, «È la chiave della cassaforte che si trova nel seminterrato della villa. La freccia... Requiem... è al suo interno.» pronunciò. «La affido a te.»
Bruno la strinse nella propria mano, annuendo una singola volta.
«Ti ringrazio, Giorno. Buona fortuna in Florida. Spero tu possa trovare le risposte che cerchi.»
«Lo spero anch'io.» sospirò il ragazzo. «Per quanto riguarda la faccenda della setta nemica, se non dovesse risolversi nel tempo sperato vi aiuterò certamente una volta che avrò fatto ritorno in Italia.»
Si rivolse a Irene e sorrise anche a lei, sorprendendola.
«Conosco Bucciarati e la sua squadra meglio di quanto conosca me stesso, sono stati la mia famiglia. Non temere, Irene, sei in ottime mani. Te lo assicuro.»
Quello era il segno che era arrivato il momento di salutarsi.
Irene guardò Giorno, poi Bruno e poi di nuovo il Boss. In un certo senso, un curioso istinto le consigliò di fidarsi di quelle parole.
I due si salutarono prima che il ragazzo tornasse al suo studio. Gli altri due lasciarono la villa in totale silenzio, una sorta di tacito rispetto nei confronti della situazione che si rivelava sempre più complicata.
In silenzio... finché la ragazza non pronunciò un'importante domanda.
«Cos'è Requiem?» chiese rompendo quel muro invisibile che aveva separato lei e il capo in macchina.
Bucciarati contrasse le sopracciglia e le labbra, come se stesse ricordando qualcosa. Non si stupì della sua curiosità, era più che normale che volesse conoscere meglio la storia di Passione.
«La freccia di Requiem...» pronunciò quindi, solennemente, «...è dotata di un'abilità molto potente, più di qualsiasi altra freccia conosciuta legata agli Stand. Era in possesso di Diavolo una volta, ma Giorno la ottenne dopo averlo sconfitto.»
«Sconfitto? Intendi dire che Giorno ha ucciso il precedente Boss di Passione?»
«Ucciso? No... meritava di peggio. Giorno l'ha condannato
«Condannato a cosa?»
«Fidati se ti dico che non vuoi davvero saperlo.»
«E quale importanza aveva la freccia nel loro conflitto?»
«Requiem ha il potere di rafforzare qualsiasi Stand entri in contatto con la freccia, purché sia abbastanza forte da sopportare il cambiamento. La freccia non è di chiunque, sceglie il suo padrone e lo rende invincibile. Senza di essa, temo che Giorno non sarebbe riuscito a sconfiggere Diavolo.»
Irene realizzò che, quindi, il potere del nuovo Boss dovesse essere ben più che pericoloso. Ecco il motivo per il quale la freccia era tenuta sottochiave in una cassaforte nascosta nelle fondamenta della sua villa.
«Dobbiamo proteggere questa chiave per poter proteggere anche te.» chiarì Bruno, continuando a guidare. «Se i nostri nemici dovessero riuscire a mettere le mani sulla freccia...»
«Sarebbe la fine.» comprese Irene, concludendo la sua frase con voce pensosa.
Appoggiò la testa al finestrino senza più fiatare per tutto il tragitto di ritorno a casa, di colpo più preoccupata.
Già, sarebbe stata la fine di tutti loro.

 
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Spazio Autrice:
Salve carissimi lettori! Eccoci giunti alla fine del sesto capitolo (che pensavo sarebbe stato un po' più corto e doveva avere una seconda parte, ma poi ho notato di aver già scritto molto e ho scelto di dividerlo). Ecco finalmente apparire anche lui, il nostro angioletto Giorno, nei panni del Boss di Passione! (Il riferimento a suo padre era d'obbligo, sono una fan di DIO all'ennesima potenza e quindi dovevo incastrarlo in qualche modo nella storia... e chissà, potrebbe riapparire più in là in qualche modo, è tutto da vedere). Bruno diventa il possessore temporaneo della freccia di Requiem, un incarico tosto, ce la farà a proteggere sia essa che Irene? E quando e come attaccherà il nemico? Non ci resta che attendere il prossimo capitolo per scoprirlo. Intanto vi invito, se vi va, a lasciare una recensione con le vostre impressioni e le vostre idee a riguardo, positive o negative che siano, perché mi fanno sempre molto piacere! Grazie anche ai nuovi lettori che hanno iniziato la storia solo da qualche giorno, cercherò di aggiornare il prima possibile. Un bacio e, come sempre... Arrivederci!
   
 
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