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Autore: Mari_Criscuolo    20/02/2020    1 recensioni
Leila (Ella) ha 22 anni e vive a Napoli, ma, dopo la laurea triennale in psicologia, si trasferisce a Roma, per continuare il suo percorso di studi.
Sofia, sua amica da otto anni, ha deciso di seguirla.
Entrambe mosse dalla stessa chimera: lottare per la propria felicità.
Ella ha compiuto una scelta che ha fatto soffrire molte persone.
Nonostante non ne se ne sia mai pentita, sa che ogni decisione comporta delle conseguenze e lei sta ancora scontando la pena che le è stata imposta.
È convinta di essere in grado di affrontare ogni difficoltà la vita le metterà sul suo cammino, perché l'inferno lo ha vissuto, deve solo trovare il modo di non ritornarci.
Una ragazza con le sue piccole manie e le sue paure.
Una ragazza che usa il sarcasmo e l'ironia per comunicare il suo affetto e, allo stesso tempo, proteggersi da chi si aspetta, da lei, cose che non può e non vuole fare.
La sua famiglia, Sofia con suo fratello Lorenzo e, infine, un incontro inaspettato, la sosterranno nella sua scalata verso la tanto agognata libertà.
Genere: Generale, Introspettivo, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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«Basta! Non ce la faccio più!» esclamò Ella, sbattendo sul quaderno la penna nera con cui stava schematizzando un paragrafo del libro di psicologia dinamica.
 
«Che ti prende?» le chiese Sofia, alzando lo sguardo dalla pagina che stava sottolineando, per rivolgerle la sua totale attenzione.
 
Ella aveva trascorso tutta la giornata a studiare, perché nell’ultima settimana era stata così distratta da essersi ritrovata a buttare il suo programma di studio e a doverlo rifare. Per recuperare tutti i capitoli arretrati e raggiungere una preparazione decente per il parziale della prossima settimana, non avrebbe dovuto dormire, mangiare e lavarsi per una settimana. Era talmente incasinata che anche il secondo usato per starnutire le sarebbe stato utile.
 
L’orologio del forno segnava le sei di sera di un giovedì che avrebbe dovuto regalarle un po’ di tregua dallo stress, ma che in realtà era persino peggio di tutti gli altri giorni, perché se avesse dovuto lavorare, l’essere impegnata fisicamente avrebbe potuto agevolare, in qualche modo, i suoi tentativi di distrarsi dai pensieri che convergevano sempre nello stesso unico punto.
 
«Ti prego, raccontami qualcosa. Ho bisogno di pensare ad altro» la supplicò Ella, intrecciando le dita delle mani in segno di preghiera.
 
«Volevo dirtelo più tardi, perché ancora non ho digerito la notizia, ma, data la situazione, mi vedo costretta ad anticipare», rispose Sofia, rassegnata all’idea di dover esporre ad alta voce l’enorme problema che cercava in tutti i modi di ignorare da giorni, come se potesse bastare per farlo sparire.
 
«In altre circostanze avrei pensato potessi essere incinta, ma, considerando che non hai di questi problemi, ti consiglio di finire il discorso.»
 
Ella era già estremamente preoccupata per cose che poteva solo immaginare, non aveva bisogno che altre incognite si sommassero a quelle che nessuno ancora aveva risolto.
 
«Mia madre ha avuto la brillante idea di venire qui a Pasqua. Staranno un paio di giorni e saranno i più lunghi e terrificanti della mia vita», confessò Sofia con un tono di voce piatto che aveva il sapore amaro di sconfitta.
 
«Cosa? Perché?» chiese Ella sconvolta.
 
«Lorenzo è troppo impegnato per scendere e io non sarei mai tornata a casa senza un supporto morale, ma non sia mai che non si insceni la commedia della famigliola riunita felice, quindi ecco a te il risultato. Io lo so che il karma mi sta facendo scontare le pene che ho accumulato in un’altra vita, altrimenti tanta sfiga non si spiega», affermò affranta.
 
La sola idea che i genitori potessero incrociare Cristina, anche solo per sbaglio, le faceva accapponare la pelle. Non poteva proteggere se stessa dalle parole e dai gesti che i genitori le rivolgevano ogni volta che ne avevano l’occasione, ma avrebbe potuto proteggere una delle persone più importanti, che rendeva tutte le sue giornate luminose e piene di significato.
 
«Non credo sia consapevole che si trasformerà in una tragedia», constatò Ella, ancora incredula per la sconsiderata decisione che sua madre aveva deciso di prendere.
 
Era a conoscenza che sua figlia fosse fidanzata e che la sua ragazza vivesse a Roma, quindi Ella, così come Sofia, non riusciva a capire cosa potesse aspettarsi dalla situazione che stava creando.
 
Forse credeva che piombando in casa con il crocifisso in una mano e l’incenso nell’altra, avrebbe debellato lo spirito di Satana dal corpo di Sofia, da quello di Cristina ed esorcizzato l’appartamento dal demone che era solito dimorare nelle giovani fanciulle che scoprivano la loro sessualità.
 
«Credimi, non so come mi devo comportare con Cristina. Non voglio impedire di vederci per due giorni, ma allo stesso tempo non voglio che incontri la reincarnazione del membro più fanatico dell’inquisizione, perché sono sicura che la farebbe a pezzi», ammise, imprigionando il viso tra le mani.
 
Stava vivendo un conflitto impossibile da gestire ed Ella, purtroppo, non poteva dirle come risolverlo, ma avrebbe comunque provato a farla ragionare.
 
«Capisco che tu voglia proteggerla, ma Biancaneve non è fragile e indifesa. Mettiti un attimo nei suoi panni e pensa, al suo posto, cosa vorresti fare», le disse Ella, spronandola a riflettere.
 
«Vorrei starle accanto per sostenerla e aiutarla ad affrontarli, ma non so se sbattere in faccia la realtà ai miei genitori in questo modo sia giusto.»
 
Sofia, da più di un anno, aveva cercato di rimanere in un territorio che fosse il più neutrale possibile, per tutto ciò che riguardava la sua relazione, ma non avrebbe potuto nascondere la testa sotto la sabbia per sempre.
 
Forse sua madre stava provando a fare un passo verso di lei, o forse sarebbe giunta con l’intento di distruggerla, ma non lo avrebbe saputo fino a quando non le avesse aperto la porta di casa.
 
Tutto ciò che poteva fare era prepararsi al peggio, ma continuare a sperare nel meglio.
 
«So, questa è la realtà e continuare a ignorarla non fa bene a nessuno, ma, qualunque decisione tu prenda, sai che io e Cristina ti sosterremo.»
 
Sofia non era sola ed era un bene che glielo facesse presente, perché nei momenti di sconforto, quando tutto il mondo sembrava vuoto e spento, sapere di poter contare su qualcuno poteva fare una grande differenza tra il vivere e il soccombere alla sofferenza.
 
«Lo so, ma, per una volta, mi piacerebbe che fosse più semplice», rispose affranta, portando dieto le orecchie le ciocche di capelli troppo corte per essere raccolte dello chignon disordinato.
 
«Hai ancora del tempo per decidere e se avessi bisogno di un consiglio o inveire contro tua madre, sai dove trovarmi», la rassicurò Ella, stringendole con forza la mano abbandonata sul tavolo.
 
Con quel semplice gesto, sperava avrebbe potuto infonderle un po’ di fiducia in se stessa e speranza per il futuro.
 
Il suono breve e acuto del campanello si diffuse nell’aria, richiamando la loro attenzione. Ella stava per alzarsi dalla sedia, per lasciare che Sofia riprendesse il controllo delle proprie emozioni, ma fu fermata dalla mano dell’amica che le stringeva delicatamente il braccio.
 
«Vado io», aggiunse. «Dovrei metterti un po’ di colla nelle ciabatte, così almeno non cammineresti più scalza», continuò, indicando i piedi di Ella posati sul pavimento freddo.
 
«Quanto sei esagerata, ho i calzini», ribatté, sbuffando annoiata, mentre Sofia si allontanava in direzione dell’ingresso.
 
Era da quando aveva memoria che si sentiva ripetere quelle parole da chiunque la vedesse camminare in giro per casa senza pantofole, che fosse estate o pieno inverno non poteva farci nulla se le dimenticava sempre da qualche parte in giro per casa e poi si scocciava di cercarle.
 
«Ella, dovresti…»
 
«Se Lorenzo ti manda per fare da mediatore digli che…» Ella alzò lo sguardo dal quaderno e, dopo aver elaborato visivamente la figura che aveva davanti, si rese conto che doveva iniziare a non interrompere le persone quando le volevano comunicare qualcosa. «Gabriele?» chiese con tono di voce così basso da dubitare che l’avessero sentita.
 
«Vi lascio soli», annunciò Sofia, senza aspettarsi alcuna risposta.
 
Ella aveva un’espressione così sconvolta che probabilmente non si era nemmeno accorta di essere rimasta sola con Gabriele.
 
«Io… mi dispiace.»
 
Non rispose alle sue scuse, non avrebbe potuto, perché era troppo impegnata a scrutarlo meticolosamente per avere la certezza che stesse bene.
 
Era sempre lo stesso. Non aveva lividi o abrasioni, sembrava solo profondamente stanco. Occhiaie violacee incorniciavano due occhi spenti, mentre la barba, che segnava i contorni del suo viso, era cresciuta molto dall’ultima volta che si erano visti, probabilmente non si radeva da allora.
 
«Ella, dì qualcosa. Ho bisogno di sapere che non sei arrabbiata con me, ti prego», la supplicò Gabriele, riducendo la distanza che li separava.
 
La sua voce angosciosa interruppe la analisi accurata. Probabilmente la reazione di Ella sarebbe sembrata esagerata, ma vederlo, dopo quegli interminabili giorni di ansia e preoccupazione, fece esplodere le sue emozioni. Si sentiva sopraffatta e sull’orlo delle lacrime, sembrava che piangere fosse l’unico modo per alleviare la tensione accumulata, ma si sbagliava, perché c’era qualcos’altro che avrebbe potuto farla stare meglio e, al contempo, soddisfare un desiderio che aveva represso per troppo tempo.
 
Aveva sprecato così tanti anni a ragionare su ogni sua singola decisione, arrivando comunque a compiere quella sbagliata, quindi adesso avrebbe scelto ciò che sapeva l’avrebbe resa felice.
 
Avrebbe scelto di seguire l’istinto.
 
In una frazione di secondo, Gabriele si ritrovò il corpo di Ella schiacciato contro il suo. La sorpresa fu tanta da impedirgli di capire subito cosa stesse accadendo e perché non gli stesse urlando contro, ma, mentre il suo cervello cercava di elaborare la situazione, le sue braccia le avvolsero automaticamente la schiena, imprigionandola in un abbraccio forte e rassicurante.
 
Percepiva chiaramente il tocco deciso delle mani di Ella esercitare una leggera pressione tra le sue scapole, per tirarlo più vicino a sé.
 
Gabriele aumentò la presa del braccio sinistro sulla sua vita e spostò l’altro per immergere la mano destra tra i suoi morbidi ricci. La fronte di Ella era poggiata sul suo torace e, mentre si lasciava cullare dal calore delle carezze che lui le stava regalando, sorrise, ascoltandolo respirare profondamente il suo profumo.
 
Sentiva chiaramente che ogni parte di lui si stesse prendendo cura di lei, con la delicatezza con cui percorreva la lunghezza dei suoi capelli; con la decisione con cui la teneva vicina e ben salda al suo corpo; con la morbidezza delle sue labbra che le sfioravano la fronte; con la tenerezza che aveva visto riflessa nelle sue iridi, nonostante fossero spente dalla stanchezza.
 
Era quello l’amore e non servivano parole per esprimerlo, lo sapevano entrambi, chi con maggior consapevolezza e chi vagava, invece, ancora nell’insicurezza, ma Gabriele riconosceva che non vi era alcun tipo di incertezza nei gesti di Ella.
 
E mentre lei strofinava la guancia poco sotto la sua spalla destra, alla ricerca di un maggior contatto, come un gatto che faceva le fusa, lui la respirava a fondo per imprimere tutto di lei nella sua anima, come se avesse potuto assorbirla.
 
«Come facevi a sapere che un tuo abbraccio era proprio ciò di cui avevo bisogno?» sussurrò Gabriele, ancora stupito dal suo gesto.
 
Doveva aver letto sul suo viso la totale mancanza di forze per affrontare anche lei, così aveva messo da parte qualunque sua emozione sia per fare spazio e accogliere quelle di Gabriele, sia per essere rassicurata.
 
Mentre lui lavava la sua preoccupazione, lei assimilava ogni suo dolore.
 
«Non lo sapevo, ma lo desideravo da così tanto tempo, che aver temuto ti fosse accaduto qualcosa mi ha fatto capire che non volevo più aspettare.» Nonostante la sua voce risuonasse attutita dalla maglietta di Gabriele, su cui la sua bocca si trovava in contatto, lui riuscì a capire perfettamente la sua risposta.
 
Avrebbe potuto contare sulle dita di una sola mano le volte in cui Ella si era lasciata stringere tanto a lungo o quelle in cui era stata lei stessa a prendere una tale iniziativa, ma ognuna di esse valeva decisamente l’attesa.
 
Quell’abbraccio rappresentava una parentesi di pace in un mondo in guerra e quelle sensazioni così intense, che solo lui riusciva a suscitare in lei, le fecero comprendere qualcosa che aveva rinnegato per anni e che ancora faceva fatica ad accettare.
 
Erano l’uno la certezza dell’altro; erano la sicurezza che in qualunque tempo, in qualunque spazio si fossero ritrovati, avrebbero sempre saputo riconoscere il cammino che li avrebbe ricondotti dove si trovavano in quell’esatto istante.
 
Lei era la sua casa e le sue braccia l’unico luogo in cui avrebbe voluto fare ritorno ogni singolo giorno, in qualunque momento, anche nel mezzo di un furioso litigio.
 
Avrebbe messo in pausa tutta la sua vita, solo per godere di attimi preziosi come quello.
 
Ne avrebbe custodito gelosamente il ricordo, ma non era intenzionata a lasciarlo vivere in solitudine su una mensola abbandonata.
 
«Ti ho portato una cosa, ma l’ho lasciata all’ingresso per evitare che la usassi per picchiarmi», disse Gabriele, rompendo quegli attimi di silenzio.
 
Per quanto desiderasse trascorrere tutta la serata con Ella tra le sue braccia, sentiva anche il bisogno di raccontarle cosa fosse accaduto in quei giorni.
 
«Ma se non ti ho mai messo le mani addosso da quando ci conosciamo», ribatté Ella, alzando il viso all’insù per guardarlo negli occhi.
 
«Meglio prevenire», rispose, allentando la presa su di lei fino a quando non sentì più il calore del suo corpo che lo avvolgeva.
 
Sospirò frustrato, chiedendosi se sarebbe mai ricapitato un momento lontanamente simile a quello appena vissuto e, mentre si dannava, le voltò le spalle per recuperare dal mobile dell’ingresso il piccolo regalo che le aveva portato.
 
Quando ritornò, l’attenzione di Ella fu catturata da cinque intense macchie rosso carminio, che spiccavano sullo sfondo nero della maglietta di Gabriele.
 
«Sono ancora i tuoi fiori preferiti, vero?» chiese, mentre le si avvicinava nuovamente, fermandosi nello stesso punto in cui si trovava qualche minuto prima.
 
«Si. Grazie, sono stupendi», rispose Ella, allungando le mani per prendere quei cinque papaveri che lui le stava porgendo.
 
Il loro colore era così acceso, che sentiva bruciare la punta della sua dita ad ogni delicata carezza dei petali.
 
Erano vivi, erano nati in un periodo che non apparteneva loro, eppure ce l’avevano fatta, almeno fino a quando Gabriele non aveva avuto l’idea di spezzare la loro vita. Un tempo anche lei lo avrebbe fatto, ma adesso la pensava diversamente, tuttavia, nonostante questa sua avversione, non poté negare la dolcezza e la tenerezza di quel piccolo gesto.
 
«Ne ho presi pochi perché so come la pensi sull’estirpare questi fiori dal terreno, ma quando li ho visti non potevo non coglierne qualcuno. L’ho interpretato come un segno del destino, come un momento sfuggito al controllo della legge della causalità.» La giustificazione di Gabriele la fece sorridere.
 
«Perché proprio cinque?» chiese curiosa.
 
«Uno per ogni anno che ci ha separato.»
 
Non sentiva il bisogno di dirgli nulla, perché sembrava aver pensato a una risposta ben congeniata per prevenire qualunque suo rimprovero, che, in ogni caso, non li avrebbe rivolto.
 
Ormai la loro vita ruotava attorno a quel numero.
 
«Questa volta ti perdono, ma solo perché le circostanze hanno reso perfetto questo momento», disse, in fine, adagiando delicatamente i fiori sul tavolo, in modo da avere le mani libere per cercare qualcosa che fosse simile a un vaso.
 
Dopo aver aperto tutti gli sportelli dei mobili presenti in cucina, riuscì a scovare una brocca di vetro della lunghezza giusta per consentire agli steli di rimanere relativamente dritti.
 
«Ti devo delle spiegazioni.»
 
L’affermazione diretta di Gabriele interruppe i movimenti di Ella, che aveva appena finito di posizionare quel vaso improvvisato al centro del tavolo.
 
«Non mi devi niente, se non vuoi», rispose con calma.
 
«Ho bisogno di dirti ogni cosa, ma il problema è un altro», ammise sospirando.
 
«Ti senti così in colpa per ciò che hai fatto in passato, da non credere di meritare che io ti ascolti, ti dedichi il mio tempo e la mia comprensione.»
 
Gabriele alzò lo sguardo incupito dal pavimento per rivolgerlo alla ragazza che adesso gli stava accarezzando una spalla per incoraggiarlo a sfogarsi.
 
«È così evidente?» chiese, sorridendole amaramente.
 
«No, ma sono dentro questa storia tanto quanto te, quindi capisco cosa provi più di quanto pensi. Tanto vale essere sinceri.»
 
Ella non lo avrebbe mai spronato a parlare, se non fosse stata assolutamente certa che lui ne sentisse la necessità e fosse pronto.
 
I suoi occhi comunicavano più di quanto potessero fare le poche frasi che aveva pronunciato da quando era arrivato.
 
«Mi sento bloccato», ammise.
 
Conosceva perfettamente le sensazioni che quella lotta intestina gli stava provocando e i loro effetti si stavano manifestando anche all’esterno.
 
Ormai nemmeno il suo corpo riusciva a reggere il peso che si ostinava a portare da solo ed Ella doveva necessariamente fare qualcosa per evitare che ne fosse schiacciato.
 
«Io ti ho perdonato, ma adesso sei tu a dover perdonare te stesso. Punirti, reprimendo tutto il tuo dolore, non ti aiuterà a lenire quello provocato dal senso di colpa. Permettimi di aiutarti, così come tu stai facendo con me. Ti assicuro che dopo ti sentirai meglio e se mi dovessi sbagliare, potrai continuare a modo tuo», propose Ella, fiduciosa del fatto che avrebbe ceduto a quel compromesso.
 
Da qualche parte avrebbe dovuto iniziare e, sebbene il suo silenzio fosse tutt’altro che incoraggiante, non poteva arrendersi e non lo avrebbe fatto fino a quando non fosse riuscita nel suo intento.
 
«Sapevi che il papavero è simbolo dell’orgoglio sopito, della consolazione e della semplicità?»
 
La domanda di Ella catturò l’attenzione di Gabriele, prima che si perdesse completamente nei suoi pensieri.
 
«No», rispose, scuotendo la testa, per avvalorare la sua affermazione.
 
«Bene, adesso che ne sei venuto a conoscenza, metti con semplicità da parte l’orgoglio e lascia che ti consoli. Reagisci!» esclamò Ella, scuotendolo leggermente, come se in quel modo avesse potuto svegliarlo dal suo sonnambulismo.
 
Avrebbe sfruttato tutte le sue capacità persuasive per indurlo ad aprirsi, perché entrambi ne avevano bisogno per andare avanti insieme.
 
Non aveva nessuna intenzione di continuare a camminare, mentre lui rimaneva indietro a guardarla allontanarsi. Dovevano rimanere uniti e insieme darsi forza a vicenda come sempre avevano fatto.
 
Prendersi cura l’uno dell’altro anche quando sarebbero stati così arrabbiati da non sopportare la vista dell’altro. Ella avrebbe conservato un po’ di pazienza per proteggerlo da se stessa, mentre Gabriele avrebbe usato tutto il coraggio che possedeva per restare al suo fianco.
 
Nessuno dei due sarebbe più scappato.
 
Erano tornati per restare.
 
«In questi anni ho fatto spesso avanti e indietro tra Roma e Napoli e, quando mi annoiava viaggiare in autostrada, percorrevo le strade interne. Attraversando le campagne ho scoperto molti campi di papaveri e tutte le volte che li vedevo, mi ricordavano il tuo viso. Ogni cosa, anche la più insignificante, sembrava riportare a te i miei pensieri, come se fossero tuoi e non potessi più controllarli, ma con il tempo ho capito che ero io a cercati, inconsciamente, in qualunque persona o oggetto che si fosse ritrovato casualmente sulla mia strada.»
 
Gabriele era completamente immerso nei ricordi e, nonostante Ella fosse felice del fatto che avesse formulato un discorso articolato, non riusciva a capire a cosa avrebbe portato.
 
«Perché mi stai dicendo questo?» chiese, spingendolo a continuare.
 
«Li ho presi in uno di quei campi in cui da anni avrei voluto fermarmi, ma solo l’idea faceva troppo male, così ingoiavo l’amaro e premevo sull’acceleratore. Sono masochista, perché ammetto che spesso ripercorrevo quella strada, perché era bene che ricordassi il disastro che avevo combinato, ma questa volta sono sceso dalla macchina. Forse non ci crederai e penserai che sia impazzito, ma confondevo le carezze dei loro petali con il tocco delle tue mani. Il dolore per gli errori commessi era ancora presente, ma si era anche affievolito e solo grazie alla consapevolezza che tu fossi qui.»
 
Esternare quei sentimenti estremamente infelici legati a ricordi tanto penosi sembrava, effettivamente, alleviare la pungente sofferenza che appesantiva da anni le sue membra.
 
Spesso si era chiesto se fosse umano amare una persona fino a sfiorare la follia, fino a viaggiare per più di cinque ore, solo per vedere dei fiori che avevano lo stesso colore dell’anima della ragazza a cui aveva detto addio.
 
«Non sei pazzo, ma se lo fossi allora lo sarei anche io, perché sapessi quante volte mi giravo per strada sentendo qualcuno chiamare il tuo nome.»
 
Lei si era ritrovata ad affrontare le sue stesse emozioni e a vivere le medesime situazioni.
 
Lo aveva immaginato troppe volte in quel banco, rimasto vuoto per un intero anno scolastico e, ogni volta che si voltava sperando di incontrare il suo sorriso impertinente, si sentiva presa in giro da quella mancanza che nessuno avrebbe mai potuto colmare.
 
Lo aveva sognato troppe volte; sussultato al suono del citofono illudendosi che potesse essere lui; pensato all’uomo che era diventato; ricordato il suo viso e il suono della sua voce, temendo di dimenticarlo; rivisto nei volti dei passanti quando camminava per le strade della città.
 
Si erano torturati solo per mantenere vivo il ricordo di un sentimento che non aveva mai accennato a volerli abbandonare.
 
«Mi dispiace così tanto», sussurrò con voce debole e incrinata, mentre si sfregava il viso tra le mani, per cancellare le lacrime che avevano iniziato a scivolare lungo le sue guance.
 
Non voleva che Ella lo vedesse esternare tutta la sua sofferenza in modo così incontrollato, perché ancora si sentiva in debito con lei per come stavano andando le cose tra loro.
 
Si era ripromesso di mostrarsi perfetto, privo di debolezze e forte, di lasciare che Ella lo usasse come sacco da box e riversasse su di lui tutta la rabbia che lui stesso e il resto del mondo le avevano causato quando non c’era stato per proteggerla e aiutarla a risollevarsi, ma non c’era riuscito.
 
Il dolore provocato dal senso di colpa era diventato impossibile da gestire e da contenere all’interno. Aveva commesso l’errore di sottovalutare le acute capacità osservative di Ella, che non aveva impiegato molto a capire il suo reale stato d’animo.
 
Lo aveva smascherato e adesso non poteva più nascondere le ferite che ancora gli bruciavano l’anima, solo lei avrebbe potuto guarirle e, sebbene non volesse, era troppo debole e stanco per continuare a opporsi.
 
«Andrà meglio, delfino, te lo prometto e sai bene quanto valgono le mie promesse.»
 
Ella non poteva rimanere a guardare mentre si sgretolava e l’unica idea sensata che le venne in mente, per impedire che si sfracellasse al suolo e tenere insieme i pezzi del suo cuore, fu abbracciarlo.
 
Non le importava se pensasse di non meritare nulla da lei, avrebbe lottato contro quel muro e tutti quelli che avrebbe deciso ergere pur di trovarlo e stringerlo di nuovo, per rassicurarlo e dirgli che tutto quel dolore prima o poi sarebbe stato solo un lontano amaro ricordo e che non avrebbe retto il confronto con i momenti felici che insieme avrebbero potuto creare.
 
Gabriele aveva abbandonato il viso sulla sua spalla e lei sapeva che stava piangendo, aveva visto le lacrime, anche se aveva tentato di nasconderle.
 
Lasciò che prendesse da lei tutto ciò di cui avesse bisogno e anche ciò che non aveva, lei lo avrebbe cercato dentro di sé solo per farglielo trovare.
 
Cercò di infondergli tranquillità attraverso i movimenti lenti e continui delle mani che gli accarezzavano sia la schiena che i capelli. Quando sentì il suo respiro regolarizzarsi, sospirò di sollievo e si allontanò di poco per constatate che stesse meglio.
 
I suoi mugugni di protesta la fecero sorridere di riflesso, ma comunque non si lasciò intenerire.
 
«Forza, sediamoci sul divano. Hai una faccia stravolta», lo invitò Ella, mentre prendeva posto, trascinando con sé Gabriele, che sembrava camminare per inerzia.
 
«Si, sono a pezzi. Non dormo bene da giorni e da Napoli sono arrivato direttamente qui», confessò, sprofondando nello schienale.
 
«Potevi tornare prima a casa per riposarti, non era necessario venissi subito.»
 
Se solo non fosse stato ridotto uno straccio, Ella lo avrebbe volentieri rimproverato fino alla mattina successiva, ma dovette limitarsi a fargli notare con calma e pazienza la sua incoscienza.
 
«Invece sì, perché, se non ti avessi vista, non sarei comunque riuscito a chiudere occhio», ammise, guardandola per osservare la sua reazione.
 
Ella roteò gli occhi esasperata. Era distrutto e continuava a comportarsi come un bambino. Insomma, capiva il desiderio di vederla a qualunque costo, ma non poteva sottovalutare il suo stato mentale sull’orlo del collasso.
 
«Ti va di raccontarmi cosa è successo? Così, dopo ti stendi sul divano e ti fai una dormita come si deve, perché scordati che ti lascio guidare in queste pietose condizioni.»
 
Era un completo disastro e lui ne era assolutamente consapevole, ma anche Ella non era da meno con indosso un pantalone grigio della tuta, una felpa nera di una taglia più grande e occhiaie violacee che toccavano il pavimento, l’unica cosa che si salvava erano i capelli che fortunatamente aveva lavato quella mattina.
 
«Speravo lo dicessi», rispose, rivolgendole un piccolo sorriso.
 
Ella rimase in silenzio, in attesa che Gabriele trovasse il coraggio e iniziasse a parlare. Erano a buon punto, perché si era aperto già abbastanza da piangere e ammettere il senso di colpa che provava nei suoi confronti, adesso non gli restava altro che fare un piccolo sforzo e svuotarsi completamente.
 
«Ci siamo trasferiti a Roma perché mio padre all’epoca vinse il concorso per diventare uno degli avvocati della Banca d’Italia e si può dire che da quel momento sono iniziati tutti i nostri problemi.
 
Il suo lavoro gli richiede di viaggiare spesso e, a volte, anche per periodi molto lunghi. Non è stato facile, soprattutto per mia madre, che ha dovuto lasciare la sua cattedra di insegnante e chiedere il trasferimento. Così, mentre lei si adattava con molta fatica a questa nuova città, affrontava il nuovo ambiente di lavoro e si prendeva cura di noi, mio padre andava e veniva e, quando restava, si faceva vedere solo la sera, se andava bene.»
 
Ella non era a conoscenza dei motivi legati al suo trasferimento, quindi Gabriele non avrebbe potuto spiegarle la situazione, se non fosse partito dall’inizio di tutta quella storia.
 
«Situazione complicata», commentò, incapace di dire altro.
 
Era difficile per lei trovare la cosa giusta da dire quando qualcuno le mostrava il proprio dolore, perché nulla sembrava adatto e tutto, invece, era perfettamente inutile.
 
«Hanno ignorato il problema fin quando non gli è esploso in faccia e da un anno ormai non fanno altro che discutere e rinfacciarsi il passato, ma non posso biasimare nessuno dei due, alla fine hanno fatto ciò che hanno potuto e non è sempre facile gestire carriera e famiglia», continuò, passandosi una mano tra i capelli, palesemente frustrato.
 
«Anche tu e tuo fratello ne avete risentito», sussurrò Ella, incapace di non dire ovvietà. La sua facoltà di pensiero aveva ormai chiuso i battenti.
 
«All’inizio non hai idea di quanto fossi incazzato con mio padre, quando seppi del trasferimento avevo preso in considerazione l’idea di rimanere e vivere a casa dei miei nonni materni, ma vedendo il coraggio e il sacrificio di mia madre mi sono sentito egoista anche solo per averlo pensato e il resto è storia. Ormai io e Simone siamo abbastanza grandi da capire che è solo questione di tempo.»
 
Gabriele sembrava ormai rassegnato all’inevitabile fine della relazione tra i suoi genitori e anche alla totale distruzione della sua famiglia.
 
Ella pensò che dovesse esserci per forza qualcos’altro per fargli vedere il mondo da una prospettiva così catastrofica.
 
«Credi che arriveranno al divorzio?» chiese Ella perplessa.
 
«Forse solo alla separazione, ma chi può dirlo», rispose, scrollando le spalle.
 
«Magari si tratta solo un brutto periodo.» Ella stava provando a mostrargli un punto di vista più positivo, ma, dalla smorfia di Gabriele, capì che nulla sarebbe servito a risollevargli il morale.
 
«Lunedì sera, mio padre è tornato a casa con una notizia che ha spalancato le porte dell’inferno. Entro la fine del mese dovrebbe trasferirsi a Milano a tempo indeterminato e mia madre ha avuto una crisi isterica, gli ha urlato contro di tutto e ha terminato la sfuriata dicendogli che aveva bisogno di qualche giorno per rimettere in ordine i pensieri. Non avendo, Simone, la patente, ho dovuto accompagnarla io a Castellammare, a casa dei miei nonni e sono rimasto con lei fino a stamattina. Mi ha implorato di ritornare, dicendomi che stava bene e che ci avrebbe raggiunti quando i giorni di permesso sarebbero terminati, quindi eccomi qui.»
 
Adesso capiva il motivo della sua rassegnazione, non si trattava di pessimismo, ma di puro e semplice realismo.
 
«Davvero un gran casino», commentò Ella, sprofondando anche lei nello schienale del divano.
 
Tutte le piaghe d’Egitto si erano riversate su di lui ed Ella non riusciva a spiegarsi come avesse fatto a resistere fino a quel momento senza crollare sotto il loro peso, a cui si era aggiunto anche il racconto felice della sua relazione.
 
Era un ragazzo forte che conviveva con sofferenze, purtroppo, più forti di lui, ma non si era mai arreso, nonostante ogni sua certezza stesse svanendo sotto il suo sguardo impotente.
 
Ella conosceva la sensazione, aveva bisogno di qualcuno a cui aggrapparsi, qualcuno che lo facesse sentire al sicuro quando il resto del mondo lo rendeva vulnerabile.
 
«Non so a quale conclusione arriverà, ma, qualunque essa sia, questa volta io non ho intenzione di cambiare di nuovo città e poi Simone sta frequentando il quarto anno di liceo, sarebbe un casino anche per lui cambiare di nuovo scuola e per mia madre cambiare lavoro. D’altra parte una relazione a distanza non so se riuscirebbero a gestirla, insomma, una bella merda.»
 
Gabriele sapeva che angosciarsi non sarebbe servito e che non poteva fare niente per cambiare il corso degli eventi. Era frustrante, ma confidava che, in qualche modo che non credeva possibile, i suoi genitori avrebbero preso la decisione più giusta per tutti.
 
«Anche se perderai l’orientamento, sappi che potrai fare sempre affidamento su di me. Certo, non sarà la stessa cosa, ma almeno ti sentirai meno solo.»
 
Ella posò la sua mano destra sulla sinistra di Gabriele, stringendola per dargli conforto.
 
«Tu forse non te ne rendiconto, ma sei il mio punto di riferimento. Ecco perché volevo vederti, mi fai sentire a casa e, anche se sei molto più di quanto merito, per una volta sono felice che non la pensiamo allo stesso modo», ammise Gabriele, guardandola negli occhi.
 
Lui era decisamente bravo con le dichiarazioni, ma ancora di più nel lasciarla senza parole.
 
«Sinceramente, non so cosa dire», sussurrò.
 
«Non serve che tu dica niente, basta che non te ne vada», rispose Gabriele, stringendole con più forza la mano.
 
«Sono qui», lo rassicurò, inclinando la testa per posarla sulla sua spalla.
 
«Sei qui», ripeté Gabriele, assaporando il significato della sua unica certezza.
 
Rimasero in quella posizione per qualche minuto, imprimendo ognuno nella propria memoria le forti sensazioni che trasmetteva loro quella vicinanza. Non era nulla di eccezionale, solo due mani che si abbracciavano, dieci dita che si intrecciavano e due visi che si sfioravano, ma ciò che per chiunque all’esterno avesse pensato fosse niente, per loro era invece tutto.
 
«Come ti senti?» chiese Ella, spezzando il silenzio che li aveva avvolti in una bolla e trascinati lontano dalla realtà.
 
«Più leggero. Avevi ragione, parlare è l’unico modo per lenire il senso di colpa», rispose, sospirando di sollievo.
 
«Non posso assicurarti che sparirà completamente, ma ti prometto che mi impegnerò a rimpicciolire sempre di più lo spiraglio che impedisce alla porta di chiudersi.»
 
Insieme, era certa, avrebbero vinto la guerra.
 
«Grazie», le sussurrò Gabriele, baciandole delicatamente la fronte.
 
Erano estremamente simili caratterialmente, perché lui mostrava gentilezza per camuffare le proprie debolezze, mentre Ella usava tanta ironia e battute sarcastiche. Entrambi erano pieni di difetti, ma facevano del loro meglio per sentirsi più forti.
 
«Non voglio che mi ringrazi, voglio solo che tu sia reale. Smettila di nasconderti dietro quell’inutile velo di perfezione che indossi da quando sei arrivato. Mostrami le tue emozioni. Arrabbiati con me quando ti tratto male, non assorbire tutto passivamente; piangi e non nascondere le lacrime quando soffri, solo perché non vuoi che io accolga il tuo dolore; ridi più spesso, perché il raggio di sole che ho immaginato quando ti ho visto potrebbe illuminare il mondo intero.»
 
Un rapporto di qualunque natura si basava sulla reciproca fiducia e trasparenza. Gabriele poteva essere sincero sull’amore che provava per lei, ma non lo era stato altrettanto con tutta la vasta gamma di emozioni che si era premurato di chiudere nell’armadio. Se Ella non lo avesse conosciuto abbastanza bene da sapere cosa frullasse nella sua testa, avrebbe potuto distruggere ogni cosa ancora prima di poterla creare, solo per il suo orgoglio e la sua fastidiosa testardaggine.
 
«Te lo prometto.» Gabriele non aveva intenzione di rovinare di nuovo il legame che stavano ricostruendo a fatica, giorno dopo giorno.
 
«Adesso togliti le scarpe e sparisci nel mondo dei sogni», lo incitò Ella, alzandosi di scatto dal divano per lasciargli tutto lo spazio che gli serviva.
 
«Ti sdrai con me?» chiese di getto Gabriele, mentre si scioglieva i lacci delle Nike.
 
«Non so se sia il caso», rispose Ella titubante.
 
Seguire l’istinto andava bene, ma aveva paura di superare un confine invisibile tra loro.
 
«Hai ragione, ho esagerato. Dimentica quello che ho detto, non avrei dovuto.»
 
Gabriele si maledisse per aver osato così tanto. Ella lo aveva abbracciato due volte ed era stato molto più di quanto si sarebbe mai aspettato, avrebbe dovuto accontentarsi, ma adesso che aveva ricevuto un assaggio di quelle che erano le sensazioni che solo lei era capace di scatenargli, non riusciva a farne a meno.
 
«Forza, sposta i tuoi muscoli.»
 
Ella si sedette al suo fianco, prima che la sua parte razionale la spingesse a barricarsi in camera da letto.
 
«Ella, non devi…»
 
«Se stai per dire che non devo farlo se non voglio, ti arriva una gomitata nel fianco. Ora chiudi quella bocca e rilassati», lo zittì, mentre copriva entrambi con la coperta che si trovava piegata sul bracciolo del divano.
 
Dopo averla sistemata in modo che nessuno dei due potesse sentire freddo, si sdraiò, trovando dietro il suo collo il braccio sinistro di Gabriele, invece del cuscino.
 
«Lo so che stai sorridendo», lo rimproverò Ella, mentre si agitava alla ricerca della posizione più comoda.
 
«Tu hai detto che non devo nascondere la mia felicità», le rispose, fingendo innocenza.
 
Gabriele, notando il leggero imbarazzo di Ella, che non sapeva come sistemarsi, strinse con l’altro braccio la vita della ragazza per spingerla a girarsi sul fianco destro e ad appoggiare la testa nell’incavo del suo collo.
 
«Comoda?» chiese, cercando di nascondere la nota di soddisfazione della voce.
 
«Si, ma non farti strane idee», rispose con tono di rimprovero, mentre strofinava la guancia sulla sua maglietta per entrare in confidenza con il suo corpo.
 
«Direi che per quello è un po’ tardi», commentò, divertito dai suoi tentativi di nascondere i sentimenti che provava per lui.
 
«Forse era meglio quando non parlavi, ora mi costringi a comprarti una museruola. Se fai il bravo, quanto ti svegli ti darò un croccantino.»
 
Ecco come il sarcasmo ritornava ogni volta che si sentiva messa alle strette.
 
«Sarebbe meglio un…»
 
«Scordatelo», lo interruppe, immaginando perfettamente quello che avrebbe detto.
 
«Me la fai completare una frase?» le domandò tra le risate.
 
«Ho capito, me ne vado, così i tuoi ormoni ti lasceranno riposare in santa pace.» Ella provò ad allontanarsi, ma la ferrea presa delle braccia di Gabriele le impedì qualsiasi tentativo di fuga.
 
«Non se ne parla», ribatté, iniziando ad accarezzarle la spalla sinistra nel tentativo di calmare la sua furia. «Buon riposo, piccola strega», le sussurrò e il tenero bacio che le posò tra i capelli fu l’ultima sensazione che Ella percepì, prima di addormentarsi tra le braccia del sogno più reale che avesse mai fatto.
 
   
 
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