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Autore: LilithMichaelis    24/02/2020    1 recensioni
Sherlock riportò l'attenzione al messaggio, e poco ci mancò che avesse un mancamento.
O forse lo ha avuto per davvero.
John non ricorda.
Venite in centrale.
Emergenza.
È Lestrade.
Non chiamare tuo fratello.
-Anderson

______________________________
In una giornata come tante altre, Sherlock e John sono chiamati a risolvere il mistero della scomparsa di Lestrade.
Ed è quando la paura di arrivare troppo tardi diventa insopportabile che parte la corsa contro il tempo.
{Mystrade/Johnlock - after season 4 - Spoiler!Allert - Introspettivo - Romantico - Drammatico - Trigger warning: menzione di morte, violenza, descrizione di atti violenti}
Genere: Drammatico, Introspettivo, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: John Watson, Lestrade, Mycroft Holmes, Sherlock Holmes
Note: AU | Avvertimenti: Spoiler!, Tematiche delicate, Violenza
Capitoli:
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Sherlock si risvegliò ansimante intorno alle 3 del mattino. Le immagini dell'incubo lo tormentarono ancora per qualche secondo, finchè non si tirò a sedere. Per l'ennesima volta, i suoi sogni erano stati tormentati dai volti di tutti coloro che aveva amato e perso. Victor, Eurus, Mary... Greg.

John, allenato dagli anni nell'esercito, aveva il sonno leggero, perciò si tirò anche lui su a sedere, senza un lamento. Era andato a dormire cosciente che sarebbe stato quel tipo di nottata, perciò non si fece troppi problemi a interrompere il sonno per stare vicino a Sherlock. Nonostante avesse convissuto con gli incubi per un tempo lunghissimo - colpa del suo PTSD - neanche lui era capace di conviverci, perciò sapeva che Sherlock sarebbe stato tormentato nei suoi sogni molto più duramente che nella vita di tutti i giorni.

Sherlock era una una persona particolare, la sua zona di conforto variava incredibilmente da giornata a giornata, perciò John non era sicuro di come consolarlo. Delicatamente, posò una mano sulla schiena nuda di Sherlock e, quando quest'ultimo non diede segni di fastidio, cominciò ad accarezzarlo lentamente. Era così che John riusciva a comunicare i suoi sentimenti a Sherlock. Con l'indecisione e la delicatezza. Nell'ultimo periodo, il detective si dimostrava molto più a suo agio sotto il tocco di John, ma non permetteva a nessun altro - se non a Rosie - di toccarlo.
Con il pollice, John percorse le profonde cicatrici che Sherlock portava sulla schiena sin dai tempi del suo finto suicidio. Non aveva mai voluto raccontargli esattamente come se era procurate. Inizialmente, John credeva fosse per proteggerlo, ma quando lo aveva confrontato a riguardo - ricordandogli, urlando, che lui era stato nell'esercito e di ferite ne aveva viste tante - si era reso conto dal suo sguardo che Sherlock non riusciva, fisicamente, a parlarne. John si sentì estremamente in colpa e cominciò a pensare agli orrori che il suo coinquilino doveva aver assistito per essere in grado di smantellare la rete di Moriarty.
Dopo il litigio, Sherlock non fu subito a suo agio a permettere a John di vedere di nuovo le sue cicatrici, assicurandosi di avere sempre qualcosa indosso, anche quand credeva di essere solo, e John non gli chiese mai di cambiare idea.
Fu una notte, diverse settimane dopo, che Sherlock trovò finalmente il coraggio di mostrarsi.
I due erano nella camera di Sherlock - Rosie dormiva in quella di John, con il baby monitor sempre acceso - e i medico, non riuscendo a trattenersi, aveva iniziato a posare baci gentili sulle labbra del detective, che aveva ricambiato con la foga di un uomo che beve per la prima volta dopo essersi perso nel deserto.
Le mani di John avevano avvolto il viso di Sherlock, per poi scendere lungo il collo e raccire il profilo della schiena. John raggiunse il bordo della canotta che Sherlock indossava per dormire e lo sollevò leggermente, per accarezzare la base della sua schiena, prima che si rendesse conto di ciò che stava succedendo e si fermasse.
Si allontanò un poco, guardando Sherlock negli occhi, ma prima che avesse l'occasione di scusarsi, il detective parlò:
«No. Niente più segreti».
Si sfilò lentamente la canotta, lasciandola cadere sul pavimento, e si girò, lasciando che John avesse libero accesso alla sua schiena.
Il biondo si prese un attimo di esitazione, prima di sfiorare delicatamente, con solo la punta delle dita, le cicartici che segnavano la pelle lattea dell'uomo di fornte a lui. Sherlock rilassò i muscoli al contatto con le dita di John e rilasciò un lungo respiro, che nessuno dei due sapeva stesse trattenendo.
Quando fu sicuro che Sherlock non sarebbe fuggito, John andò oltre, avvicinandosi a lui e posando delicatamente le labbra sulla sua schiena, mentre seguiva il percorso di ogni cicatrice con una scia di lievi baci.
Sherlock pianse, quella notte.

E, in questa notte, Sherlock aveva il viso tra le mani e singhiozzava rumorosamente. John non si capacitava di quanto potesse essere fragile. Lo aveva visto affrontare casi terribili con dei nervi d'acciaio, ma questo lo aveva scosso particolarmente. Non capì cosa c'era di diverso tra questo e tutti gli altri casi che aveva affrontato con il detective, finchè non ricordò Eurus.
Ricordò le notti insonni passate a calmare Rosie, svegliata dalle urla di Sherlock. Ancora non aveva il coraggio di entrare nella stanza a calmarlo, quindi passava la notte sulla poltrona, con Rosie in braccio, fino al sorgere del sole.
Sherlock aveva un enorme attaccamento alla sua famiglia. Era ovvio che volesse bene a suo fratello, l'unica altra persona che, prima di Moriarty, aveva mostrato doni simili a lui. E poteva comprendere perchè si sentisse in colpa nei confronti di quella sorella che aveva abbandonato e dimenticato.

La mia famiglia merita una notte tranquilla.

John ricordò le parole che Sherlock aveva rivolto al fratello. Sherlock non aveva il concetto di famiglia tradizionale. La sua famiglia era come lui: confusa, enorme, mista e, soprattutto, fragile. Composta dalle menti più eclettiche e da quelle più ordinarie. Ed era pronto a scommettere che anche Greg era compreso in quell'idea di famiglia che Sherlock aveva creato per sè stesso.
Una parte di sè che ancora John non riusciva pienamente a comprendere fu inondata di calore all'idea che anche lui potesse far parte di quel piccolo e affiatato gruppo di persone che Sherlock aveva deciso di amare.

Piano piano, il respiro di Sherlock si calmò fino a tornare normale. John rimase al suo fianco, in silenzio, dandogli la possibilità di esprimersi in qualunque modo ritenesse necessario. Mentalmente, però, stava ripassando tutti i nascondigli dell'appartamento, pronto a scattare al bisogno.

«Scusami, John. Ti ho svegliato»

«Ero già sveglio» mentì il biondo. Sherlock non lo contraddisse.

«Mio fratello non ha mai amato nessuno così. Nessuno. Non posso permetterlo che lo perda, John... Devo... fare qualcosa. Se accadesse qualcosa a te e Rosie, io... come posso lasciare che succeda lo stesso anche a lui?»

«Non c'è altro da fare, Sherlock, lo hai detto anche tu, lasciamo che ci pensi Scotland Yard. È tutto ciò che possiamo fare ora»

Sherlock guardò John e gli sorrise stancamente. John non capì se fosse esausto per colpa delle notti insonni, del caso, di Eurus, di qualcosa di più profondo o - e John aveva paura che fosse vero - di tutto insieme.

«No, John, non è tutto ciò che posso fare. Mio fratello ha bisogno di me ora»

«Va bene, fammi solo portare Rosie da Mrs. Hudson...»

«No, John, devo andare da solo. Tu riposati, hai decisamente bisogno di dormire»

«Sherlock...»

«Te lo prometto, John. Non è una notte a rischio. Te lo prometto»

Per la prima volta, Jphn non fu sorpreso dalle doti di osservazione dell'altro. Era convinto di avere la faccia di un uomo colpito dalla peggiore sofferenza, perchè le immagini di ciò che Sherlock avrebbe potuto fare se lasciato solo avevano cminciato a riempirgli la testa. Eppure, la sincerità che vedeva negli occhi di Sherlock era rara, se non unica. John era convinto che se ne sarebbe pentito amaramente, ma per una volta decise di sperare. Di fidarsi di Sherlock. Di lasciarlo andare.

Il soldato non disse nulla. Si avvicinò al detective e gli posò delicatamente le labbra sulla spalla. Nessuno dei due si mosse per diversi minuti, ma Sherlock, nonostante fosse restio a rompere il contatto, sapeva che suo fratello aveva bisogno di lui come mai prima di quel momento.

Si vestì in fretta e lasciò l'appartamento sotto lo sguardo vigile di John, che lo osservava dalla finestra. Non aveva mentito, era davvero convinto di non aver bisogno di utilizzare alcun tipo di sostanza, ma era comunque terrorizzato. Aveva paura di essere troppo debole, troppo vulnerabile. Ma i suoi cari avevano bisogno di lui mai come in quel momento, perciò decise che, se anche non si fosse sentito forte abbastanza, avrebbe finto di esserlo. Per loro.
Nascose la paura in un angolo della sua mente e si avviò dove sapeva di trovare suo fratello.

***
Note dell'Autrice:
Altro piccolo capitolo di passaggio, che introdurrà quello che, per me, è uno dei capitoli più belli della storia. Ma non voglio farvi spoiler, quindi vi lascio con un po' di carineria Johnlock che nella vita non fa mai male.
Al prossimo capitolo!
Lilith
   
 
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